Le notti del Salento

pizzica-pubblico_2011

di Ermanno Inguscio

 

Tre eventi culturali scandiscono ogni anno il panorama culturale del Salento: la fòcara di Novoli, la notte di San Rocco a Torrepaduli e la notte della taranta a Melpignano. Tre appuntamenti che tracciano, sempre nel contesto sacrale della notte, la dimensione mitologica del fuoco, nel culto igneo di Sant’Antonio a Novoli, in pieno inverno, e, in piena estate, quella coreutico-musicale della pizzica-scherma, una nel culto di San Rocco a Torrepaduli e l’altra nella riproposizione della vetrina della tradizione musicale salentina del piazzale dell’ex convento degli Agostiniani a Melpignano.

Due santi della tradizione cristiana europea, Sant’Antonio e San Rocco, a sottolineare l’elemento primordiale del fuoco, a Novoli, e la passione del ballo della danza–scherma, tipica di Torrepaduli e l’appuntamento laico della notte della taranta, giunta ormai alla diciottesima edizione.

Grande festa popolare, il 22 agosto 2015 a Melpignano, che ha visto sul palco del concertone, insieme all’Orchestra Popolare, Luciano Ligabue ed artisti internazionali quali Paul Simonon (fondatore dei Clash, celebre band punk-rock britannica degli anni ’70 e ’80), Tony Allen (fondatore della musica Afrobeat, forse il più grande batterista al mondo, secondo Brian Eno) Andrea Echeverri (famosa cantante e chitarrista, componente degli Aterciopelados) Anna Phoebe (violinista inglese, abile nel cimentarsi in generi musicali diversi) e Raul Rodriguez (grande chitarrista dei Tres Flamenco), sotto la mirabile guida del maestro concertatore Phil Manzanera.

Grande successo mediatico, come da ventennale tradizione nonché di presenze stimate circa duecentomila nella serata conclusiva.

pizzica

Imponente successo di pubblico, oltre sessantantamila presenze, anche a Torrepaduli, il 18 agosto 2015, nello spazio sacro, come spesso definito da Pierpaolo De Giorgi, del Largo San Rocco, nella ottava edizione del Concertone della Notte di San Rocco. Evento organizzato, dal 2008, dalla Fondazione Notte di san Rocco, presieduta da Pasquale Gaetani. Un evento prodotto, come già da un triennio, dal direttore generale Cesare Vernaleone e presentato per le reti di Telerama dall’artista Rosaria Ricchiuto, che per ore fino all’alba del giorno seguente ha presentato ospiti di tutto riguardo, come Michele Placido , Eugenio Bennato e Beppe Fiorello.

Placido ha letto testi di Carmelo Bene; Bennato s’è rifatto alla tradizione musicale napoletana; l’attore Fiorello ha proposto alla platea di spettatori una una intensa rievocazione di canzoni di Modugno.

Una notte di San Rocco, quella di Torrepaduli non nata proprio ieri, attestata storicamente almeno dal 1531, e che presenta tradizione e pizzica, musica e devozione, uniti nel ritmo della festa popolare, che sublima il ferragosto, richiamando decine di migliaia di turisti e devoti del Santo di Montpellier, lanciandoli nell’agone della danza popolare, la pizzica-scherma di Torrepaduli.

scherma torre paduli

Qui canti e stornelli, alla corte del re tamburello, che ammalia e non stordisce mai, tracciano ancora i meandri della civiltà contadina, a riproporre attuali dispute tra studiosi su danza dei coltelli e mimo della rappresentazione della lotta, della danza maschile a mani nude protese a ricordare, forse anche la pizzica del corteggiamento di un tempo. Una danza, che sotto l’ottocentesco campanile di San Rocco, trova la sua massima espressione: qui sta parte del merito della Fondazione Notte di San Rocco, che punta ad innescare, con molteplici iniziative, il salto qualitativo di una cultura del territorio, da tutelare e tramandare, quando non si accontenta di coinvolgere una rete rocchina di feste patronali nell’intero Salento, con manifestazioni diffuse sul territorio e appuntamenti storico-culturali di prestigio.

La “notte” così è una dimensione culturalpopolare, fortemente sentita, e non può ridursi al solo fatidico “15 agosto”, quando la vacanza e il caldo sembrano favorire il formarsi di centinaia di “ronde” accanto al Santuario del Santo guaritore.

La notte di San Rocco, dunque, può dilatarsi per lungo tempo e durare anche fino ai fatidici “Quaranta” di Torrepaduli, quando il simulacro del Taumaturgo, dalla Matrice farà ritorno nella sua Chiesa-Santuario.

E’ questa, forse, la prerogativa assoluta del fascino della festa di San Rocco a  Torrepaduli: un patrimonio di secolare tradizione e di esperienza umana, ancorato alla storia del luogo, e che la Fondazione di Gaetani si ripropone di far conoscere al grande pubblico di fruitori e studiosi, promuovendo, con eventi studiati su base scientifica,  convegni e meetings di carattere internazionale.

Tamburelli, armoniche a bocca, violini e fisarmoniche, anche astraendo dalle moderne contaminazioni, non fanno altro che far sentire al mondo della cultura mediterranea, il trofeo di esperienze umane, sedimentate nella storia, da Torrepaduli, come sottolineato dal sottoscritto nella relazione al Convegno Europeo del 2013 a Lisbona. E allora alla brava regista e attrice Rosaria Ricchiuto, già alla terza esperienza di sapiente conduzione della “notte di Torrepaduli” non è stato difficile, insieme con Attilio Romita direttore del Tg della Puglia, presentare sul palco anche il regista salentino Edoardo Winspeare, Antonio Castrignanò, il Canzoniere Grecanico Salentino ed Enzo Pagliara, Rocco De Santis per ricordare il poeta Antonio Verri, Ruggero Inchingolo allievo di Luigi Stifani, il barbiere violinista delle tarantate, i Tamburellisti di Torrepaduli, i Mariglia Pizzica Salentina, i giovanissimi del gruppo Malià, Rachele Andrioli e Rocco Nigro, gli Sparrosh, la ballerina del Cilento Gessica Alfieri, la Compagnia di Scherma Salentina di Davide Monaco.

L’evento meritava di essere diffuso in diretta sul digitale terrestre delle TV Regionale di Telerama,, Canale 12 e Telesalento Canale 73, ma anche dalla emittente Regionale Viva La Puglia Cnale 93, dall’emittente nazionale Gold Tv Cnale 128 e dalle due reti Sky Made in Italy Cnale 875 e in Streaming su www.nottedisanrocco.it, www.trvews.it, www.regno.fm e su www.irdm.us.

Se batte forte dunque, come, è stato scritto, il ritmo della Taranta nel Salento, a rimarcare l’importanza dell’evento di Melpignano, non meno significativa è la “notte di San Rocco”, che, ricordiamo, è stata antesignana col Presidente Gaetani nella costituzione in Ente di Fondazione, nel 2008.

Soltanto due anni dopo, nel 2010, nel Palazzo Pasanisi di Torrepaduli, il gruppo di Sergio Blasi cominciò a coltivare l’idea di una Fondazione della Notte della Taranta. Del resto richiamare qui primati o primogeniture non avrebbe certo senso. Ma quanto a identità e genuinità di tradizione, in ambito antropologico e musicale, per Torrepaduli  è forse più di una semplice iperbole quanto scritto sul Corriere del Giorno del 1 settembre 2005, da Giovanni Pellegrino: La notte più significativa in estate del Salento e della Puglia è quella di Torrepaduli. Se passasse dal Salento un redivivo Caio Giulio Cesare, preferirebbe essere il primo schermidore di Torrepaduli piuttosto che il secondo organetto di Melpignano. Ciò con rispetto di tutti i professionisti in campo musicale e buona pace di ogni scatenato ballerino estivo.

Anche quest’anno la Notte della Taranta è andata, ma non rinuncio a dire la mia: il tarantismo, ovvero laddove la poesia arrivò prima della scienza …

di Armando Polito

Immagine tratta da http://www.labodeguitalivornese.com/evento/notte-taranta-popularia/
Immagine tratta da http://www.labodeguitalivornese.com/evento/notte-taranta-popularia/

Ogni fenomeno, prima di manifestarsi, ha un periodo più o meno lungo di latenza a seconda della forza delle cause che lo tengono in quiescenza, finché non prevalgono col loro effetto dirompente e, in un certo senso, contagioso quelle di segno opposto che ne hanno costituito la miccia, più o meno lunga, ma inesorabilmente innescata,  esauritasi la quale, arriva l’esplosione. Anche la durata di un fenomeno (inteso e come episodio singolo e come sua ripetizione nel tempo) è legata all’azione di alcune forze che lo favoriscono, finché il prevalere di quelle di segno opposto decreta la fine del singolo episodio e, in alcuni casi, la sua estinzione. Emblematico, mi pare, a tal proposito il tarantismo: la sua sparizione conferma che la tarantola e il suo morso  erano solo un pretesto per liberare, soprattutto nella donna, ataviche pulsioni per secoli represse non certo per sua volontà, conferma, cioè l’origine cultural-ritual-psicologica del fenomeno che gli studi di Ernesto De Martino, com’è noto, hanno messo in evidenza. Il tarantismo, insomma, si è progressivamente spento non perché si è estinta la tarantola o il sistema immunitario ha azzerato gli effetti del suo morso ma perché inesorabilmente col mutare del costume, liberazione sessuale della donna in primis, è venuta meno la necessità di mantenere come pretesto, alibi, copertura, l’animaletto ed il suo morso al fine di uscire dall’isolamento repressivo attraverso un percorso identificativo (alcuni movimenti delle tarantate ricordano quelli del ragno)-liberatorio (i movimenti stessi, eccitati dalla musica, scaricano la tensione e l’energia a lungo represse). Probabilmente tale processo sarebbe stato solo più lento se non fosse stata rivoluzionata, rispetto al passato, l’agricoltura con l’introduzione delle macchine che hanno esonerato uomini e donne dalle operazioni di coltivazione e raccolta, per non parlare dei veleni che di certo hanno ridotto drasticamente il rischio di un incontro ravvicinato di un tipo che in passato, molto probabilmente, era, sia pur inconsciamente ma non troppo, desiderato e, forse, pure cercato …

Tavola di Gustavo Dorè per illustrare il mito di Aracne celebrato da Dante  (Purgatorio, XII, 43-45); immagine tratta da http://www.worldofdante.org/pop_up_query.php?dbid=I301&show=more.
Tavola di Gustavo Dorè per illustrare il mito di Aracne celebrato da Dante (Purgatorio, XII, 43-45); immagine tratta da http://www.worldofdante.org/pop_up_query.php?dbid=I301&show=more.

Per tornare a De Martino: La terra del rimorso non omette di citare in ordine cronologico due autori che possono essere considerati gli antesignani della sua interpretazione. Il primo è, a sorpresa, un poeta, il secondo un medico, rispettivamente Giovanni Pontano (1429-1503) e Giorgio Baglivi (1668-1707).

Dal dialogo Antonius del Pontano riporto di seguito in formato immagine e con la mia traduzione a seguire un brano tratto da un’edizione (integralmente leggibile al link https://books.google.it/books?id=WS1ZAAAAcAAJ&pg=PT197&dq=ioannis+iovanni+pontani&hl=it&sa=X&ved=0CCcQ6AEwAWoVChMI1IbF4LKNxwIVBF0UCh0sswMP#v=onepage&q=antonius&f=false) di sue opere varie uscita a Venezia  nel 1512 per i tipi di Giovanni Rubeo e Bernardino Vercellese.

Amico  -Antonio soleva ripetere che [i pugliesi] sono i più felici degli uomini-

Ospite  -Quelli che hanno la fortuna di abitare in una regione tanto calda?-

Amico  – [Diceva] infatti che gli altri uomini essendo tutti stupidi a stento potevano addurre qualche giustificazione sufficientemente onesta della loro stoltezza e che in verità i soli pugliesi  avevano perfettamente pronto un motivo per scusare la pazzia, cioè quel ragno che chiamano tarantola, per il cui morso gli uomini impazzirebbero; e che il luogo più felice è dove  il massimo della felicità è il fatto che chiunque volesse desiderare il frutto della sua pazzia potrebbe coglierlo  onestamente. [Diceva] poi che ci sono ragni dal veleno diverso e tra questi anche quelli che spingono alla libidine, che essi sono chiamati concubitarie che da questo ragno solo solite essere morse spessissimo le donne e che sarebbe lecito e non vietato che esse cercassero gli uomini liberamente ed impunemente e che questo veleno non può essere neutralizzato in altro modo, sicchè sarebbe un rimedio per le donne pugliesi ciò che per le altre costituirebbe una vergogna. Non ti sembrerebbe questa la più grande felicità?-

Ospite  -Per Priapo1, grandissima!-       

Analogamente dal Dissertatio de anatome, morsibus et effectibus tarantulae del Baglivi scritto nel 1695 riporto un brano tratto dalla p. 617 dell’edizione di tutte le opere uscita per tipi di Posuel a Lione nel 1714 (integralmente consultabile al link http://lib.ugent.be/europeana/900000084459).

Non bisogna qui negare  la possibilità che nelle nostre regioni si presenti realmente il fenomeno del veleno della tarantola e dei tarantati; tuttavia le donne, che sono gran parte dei tarantati, molto spesso simulano questa malattia con sintomi alla donna familiari; infatti sia per piccoli fuochi d’amore, sia per un danno del patrimonio familiare o di altri mali tipici cui le donne sono più sensibili, sono prese dalla noia, per la continua tristezza derivante da tali situazioni degenerano nella disperazione e quasi nella malinconia. A tutto questo s’aggiunge una vita solitaria alla maniera delle monache di clausura, lontana da ogni per quanto onesta possibilità di parlare con gli uomini della famiglia. Si aggiunge parimenti l’aria infuocata, il temperamento caldissimo delle donne, i cibi caldi e molto nutrienti, la vita oziosa, etc. E per questi motivi tanto principali che secondari frequentemente degenerano nella tristezza e in uno stato d’animo malinconico e per la stessa ragione sono rallegrate moltissimo da ogni accordo di musica e dalle danze. Perciò, per servirsi di questa opportuna occasione di musica permessa ai soli tarantati, si fingono tarantate. All’inganno poi ed alla simulazione si aggiungono il pallore del volto, la tristezza, la difficoltà di respiro, l’angoscia, la cattiva immaginazione e gli altri sintomi più del simulato che del vero veleno delle tarantate (ed essendo questa danza estremamente gradita alle donne, presso le nostre passò in modo di dire, il Carnevaletto delle Donne); e, sebbene le sole donne di quando in quando simulino questa malattia, non allo stesso modo tuttavia si deve sospettare che questo succeda anche negli altri tarantati; infatti parecchi uomini, peraltro eruditi e religiosi, non credendo minimamente ai tarantati, si esposero essi stessi al pericolo e, morsi in Puglia dalla tarantola, caddero in imminente pericolo di vita e se non fosse intervenuta subito la musica in breve sarebbero morti, come riporta anche il nostro Epifanio2 nel passo lodato.  

Il De Martino non cita, però, un altro autore e, siccome questi è, come il Pontano, un poeta e devo dare giustificazione del titolo di questo post, lo faccio io.

Di seguito fra breve un brano di Giovanni Mario Crescimbeni (1663-1728) tratto da L’Arcadia, De’ Rossi, Roma, 1708 (integralmente consultabile e scaricabile al link  http://books.google.it/books?id=ez4dFjf-xsMC&pg=PA212&dq=crescimbeni+arcadia&hl=it&sa=X&ei=7RRKVNi1MY7YPMiLgeAJ&ved=0CCwQ6AEwAg#v=onepage&q=crescimbeni%20arcadia&f=false).

Al nostro tema sono dedicate le pp. 68-85 e assicuro il lettore curioso che la loro lettura sarà gradevole anche sotto l’ombrellone o nella hall di un albergo. Susciterà la meraviglia dei bagnanti o degli altri ospiti quando vedranno sullo schermo del tablet non qualche giochino o le solite foto gossippare ma dei caratteri non proprio moderni. E, se sarà salentino, saprà sfruttare meglio ciò che il Crescimbeni gli offre per catturare l’attenzione di quella brunetta, biondina o rossina che sola soletta, appare, senza ombra di dubbio, sensibile solo al fascino del meridionale sì, ma intellettuale …

E così, mescolando Dante, Crescimbeni, tecnologia e vanità maschile basata su presupposti tanto inconsistenti quanto velleitari, qualche poeta moderno particolarmente ispirato potrà far dire alla donna:

Quando leggemmo il disiato morso

esser curato da cotanto ballo,

il salentino ingrifato più che orso, 

mentr’io cotta dicevo -Fallo!, fallo!-,

mi morsicò la gota e quasi svenni.

L’uomo no, ma il tablet era da sballo …

Lascio immaginare il seguito della storia e passo al nostro, comunque beneaugurante …,  Crescimbeni col suo brano che sembra la trascrizione artistica delle affermazioni scientifiche del Baglivi (non a caso con quest’ultimo siamo alle soglie dell’illuminismo, con Crescimbeni agli inizi).  

La fantascienza spesso ha anticipato il futuro e la poesia si è avventurata in esplorazioni di regola riservate alla scienza e non è certo col tarantismo che l’ha fatto per la prima volta, né, per fortuna, è stata e sarà l’ultima …

Anche quest’anno la Notte della Taranta ha celebrato il suo trionfo. Bisognerà aspettare un poeta, prima ancora che un sociologo (sarebbe il compito immediato di un cronista indipendente …) che metta in evidenza come a ben pochi interessava la musica tradizionale salentina, sia pur intesa in senso lato, e che i gridolini sbavati delle giovani e meno giovani (ma anche di qualche giovane e meno giovane …) erano solo all’indirizzo di uno spaesato Ligabue, che, però, aveva fatto già conoscere la sua salentinità d’adozione facendosi ritrarre davanti ad una friseddha? Come non mettere in risalto, per converso, l’onesta intellettuale degli Aramirè che da tempo hanno rinunciato, con tutte le conseguenze negative, soprattutto di natura economica, che la loro scelta comportava, a salire su un palco le cui luci anno per anno si stanno sempre più trasformando  da stroboscopiche in stronzoscopiche (non mi riferisco agli artisti veri o presunti, che in qualche modo devono pur campare, ma al pubblico, attore passivo di un’invereconda e prostituente mistificazione)?

________

1 Poteva in questo caso un umanista del calibro del Pontano, umbro di origine ma napoletano di adozione, coinvolgere Ercole o Giove e non Priapo che con il suo mostruoso attributo bene in vista è stato immortalato in più di un affresco pompeiano?

2) È il mesagnese Epifanio Ferdinando (1569-1635), autore di Centum historiae seu observationes uscito per i tipi di Baglioni a Venezia nel 1621 (integralmente consultabile e scaricabile al link https://books.google.it/books?id=WghBAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=Centum+historiae+seu+observationes&hl=it&sa=X&ved=0CCAQ6AEwAGoVChMIzYPhjJ6NxwIVwu9yCh0v-wMN#v=onepage&q=Centum%20historiae%20seu%20observationes&f=false), dove sono registrati casi di tarantolati morti per non essere stati sottoposti in tempo alla terapia musicale.

 

Come ci inventiamo una cultura: il caso della Notte della Taranta. Parte seconda.

 

Distinzioni e chiarimenti sulle categorie e le esperienze del tipico, del tradizionale e del popolare: strumenti minimi per difendersi da stereotipi e clichè 

di Pier Paolo Tarsi

Il fatto che, passata l’estate, nel corso dell’anno la Pizzica scompaia quasi completamente dalle nostre vite (questione empirica incontestabile e salutare) significa qualcosa di ben più profondo di quello che si potrebbe credere a prima vista, significa, come mostreremo analiticamente, che questa non si può affatto considerare musica tipica salentina né musica popolare salentina e credere che tale sia per davvero significa solo confondere la rappresentazione generata dalle forze sociali –  la finzione auto-etero-rappresentativa ad uso turistico di un patrimonio culturale nella sua versione più semplificata di cui abbiamo detto  nella prima parte: http://spigolaturesalentine.wordpress.com/2011/06/08/come-ci-inventiamo-una-cultura-il-caso-della-notte-della-taranta/– con il reale, il quale va cercato nella concretezza della vita e dei contesti esperienziali in cui questa si esprime, non nelle guide turistiche e negli spot pubblicitari confezionati dagli assessorati per il turismo.

Tutte le precisazioni che faremo potrebbero sembrare pedanti sottigliezze se non fossero, come intendiamo mostrare ai lettori che avranno la pazienza di non abbandonarci, agili strumenti euristici in grado di spiegare diverse esperienze comuni nell’incontro con varie manifestazione della nostra cultura. La percezione a livello intuitivo della confusione nel minestrone stereotipico tra “tradizionale”, “tipico”, “popolare” (categorie su cui cercheremo di fare chiarezza) spiega ad esempio perché tutti noi salentini abbiamo riso (quando non ci siamo indignati) del feticcio di tipicità incarnato (o meglio indossato, recitato affettatamente, stereo-tipicamente appunto) dalla graziosa salentina che ha partecipato ad una recente edizione del Grande Fratello. Questa signorina infatti si è presentata come una vera “femmina salentina”, donna “legata alla sua terra”, alle radici, inscenando questo attaccamento in un video che la vedeva in un campo a ballare la “pizzica” (per chi volesse proprio farsi del male, il video è reperibile qui: http://gossip.fanpage.it/grande-fratello-11-concorrenti-francesca-giaccari-salentina-doc-foto-e-video/). Il risultato non era solo una finzione per molti irritante e per tutti distante anni luce dalla realtà attuale, il risultato era soprattutto risibile e ridicolo, perché fondato e stereo-tipicamente sbilanciato interamente sulla semplificazione della rappresentazione ad uso turistico del Salento! Siamo insomma di fronte a un caso evidente e parossistico di auto-etero-rappresentazione estremamente irrealistica e ad un pasticcio categoriale del tradizionale, del tipico e del popolare per come ne facciamo esperienza nel quotidiano: sappiamo tutti infatti che nessuna “tipica” ragazza salentina – mentalmente in salute si intende – se ne va in giro scalza nei campi a ballare la pizzica raccogliendo fichi d’india!

Dovremo dotarci di alcuni strumenti di carattere logico-linguistico essenziali per trattare in modo adeguato le questioni che ci interressano.

Per cominciare, chiariamo che cosa significa propriamente “tipico” in senso antropologico.

La migliore definizione antropologica (migliore dal punto di vista logico e

Come ci inventiamo una cultura: il caso della Notte della Taranta

di Pier Paolo Tarsi

Possiamo partire da un’interessante intervista (interamente disponibile al seguente link: http://www.vincenzosantoro.it/nottedellataranta.asp?ID=233) rilasciata il 13 agosto 2005 a Carla Petrachi da Eugenio Imbriani, docente di Antropologia Culturale all’Università del Salento, studioso serio del tarantismo e non solo. È opportuna anzitutto una precisazione: Imbriani, per anni impegnato nel seno dell’Istituto Diego Carpitella, al momento in cui l’intervista è stata rilasciata si era già volontariamente allontanato da questo ente, battezzato “nell’estate del 1997 con il proposito di studiare e valorizzare il patrimonio artistico e culturale del Salento” (fonte: sito dell’Istituto Diego Carpitello: http://www.lanottedellataranta.it/istituto_carpitella.php) e poi finito per diventare di fatto, con un evidente restringimento dei vasti intenti sopra indicati e a scapito in specie dell’attività di ricerca scientifica, semplicemente (o almeno, soprattutto) il promotore e l’organizzatore della famigerata Notte della Taranta, cioè – eventualmente qualcuno avesse passato gli ultimi anni su Marte e non lo sapesse – della estiva kermesse musicale itinerante per vari comuni salentini che conclude il suo ciclo a Melpignano, ove raggiunge il suo clou nel mega-concertone e show-mediatico finale negli ultimi giorni di agosto. Data la situazione descritta, il detto antropologo, interessato ovviamente più che altro alla ricerca e allo studio, finalità purtroppo “fagocitate” dalla Notte della Taranta che, per sforzi e risorse economiche e organizzative richieste, “cannibalizza” necessariamente tutto il resto delle attività per cui era sorto l’Istituto stesso, se ha inteso come anticipato prendere a suo tempo le distanze da questo, non ha ritenuto opportuno sollevare polemica alcuna. Imbriani infatti ribadisce spesso nella sua intervista di voler rimanere assolutamente lontano dalle polemiche su un eventuale “tradimento” dell’ampiezza di finalità per cui l’Istituto si era costituto e in particolare di voler astenersi da polemiche sul fagocitante e totalizzante evento mediatico (che vede almeno tanti detrattori, per ragioni molto diverse e spesso distanti tra loro, quanti sono i tifosi, motivati da ragioni anche qui molto variegate, ragioni che per continuità tematica non interessa ora analizzare).

Scelta arguta questa astensione dalle polemiche che non è dovuta (come si potrebbe pensare) ad una sobria pacatezza della persona in questione, a indifferenza o addirittura a una accondiscendenza remissiva e arrendevole della stessa, quanto al fatto, ben più interessante e istruttivo qui per noi, che Imbriani, con la mentalità tipica dello studioso, è interessato più a

Intervista al salentino Andrea Padova, interprete e compositore

 

Dialogo tra un musicista assai filosofo e un filosofo per nulla musicista

 

di Andrea Padova e Pier Paolo Tarsi  

 

Partiamo dalla fine, cioè dal suo ultimo lavoro. Altrove ha affermato che in esso vi è molto della sua terra, il Salento. Potrebbe rendere in parole il senso di tale presenza, indicare cioè brevemente la natura di questo legame che ha voluto esprimere nella composizione musicale?

“Arancio Limone Mandarino” è innanzitutto un disco che nasce dal Salento. Basta scorrere i titoli dei singoli brani per ritrovare il nome di alcuni luoghi (“Verso Leuca”, “Porto Selvaggio”) o di alcune persone (come Renata Fonte), di alcune suggestioni musicali (“Pizzica Tarantata”) o per riconoscere alcuni versi di Vittorio Bodini (“La pianura di rame”, “Il cielo è bianco”). Il titolo stesso dell’album è sia l’inizio di una filastrocca popolare che i bambini associano al gioco con la corda, sia un verso che Bodini usa come refrain in una delle sue poesie più belle. Posso aggiungere che per me, come per moltissimi altri, il Salento è il luogo dove sono nato e dove sono tornato, dopo aver vissuto anche altrove. Come appunto per Bodini e tanti altri, per me è proprio questo essere stato altrove che permette di vivere in maniera diversa questa terra. Direi quasi con un progressivo lento riavvicinamento che porta ad una maggiore non vorrei dire consapevolezza, ma senz’altro intensità.

Al di là di questo amore per il Salento che impregna anche il suo ultimo lavoro, bisogna tuttavia riconoscere che, finora, i più importanti riconoscimenti, sia come interprete che come compositore, le sono giunti soprattutto dall’estero, fuori dal Salento e dall’Italia in genere, sebbene anche in ambito nazionale goda di ampio favore della critica. Sullo scenario internazionale le viene rivolta grande attenzione, sin da quando, nel 1995, si è aggiudicato la vittoria al prestigioso “J.S. Bach Internationaler Klavierwettbewerb”. Ha un ampio e attento pubblico in diverse parti d’Europa ed è fortemente apprezzato anche al di là dell’Atlantico. Negli Stati Uniti è chiamato regolarmente ad esibirsi sui palchi più importanti, la critica le ha dedicato numerosi encomi su giornali come il New York Times e il Washington Post. È apprezzato e invitato insomma nei vari angoli del globo come uno dei migliori pianisti viventi, persino in Estremo Oriente, in Giappone per citare un caso. Qualcuno – forse in un momentaccio della sua vita – disse che nessuno è profeta in patria. Lei è più ottimista in proposito? O dubita della riconoscenza di questa terra che tuttavia lei onora ampiamente celebrandola nei templi sacri della musica mondiale?

Per carattere mi interessa molto più il fare che l’apparire: intendiamoci, non si tratta di un atteggiamento ascetico o particolarmente nobile, anzi è una forma piacevole e innocua di egoismo che finisce semmai per diventare altruismo: l’altruismo di non volerci essere sempre ed a tutti i costi. Più seriamente, il poter convertire in studio e tempo per la riflessione e la creazione le energie che oggi tanti, anche nel Salento, dedicano a un tentativo di onnipresenza, è un privilegio che è più facile coltivare a Lecce che a Milano o New York. Ho iniziato a tenere regolarmente recital nel Salento attorno ai sedici anni, e dai ventitre ho suonato con una certa frequenza come solista con l’Orchestra che oggi chiamiamo ICO. Non ho nulla di cui lamentarmi e forse non mi lamenterei comunque. Sicuramente non desidero riconoscenza. Oggi, con più di trent’anni di carriera alle spalle, sono io che non sento il bisogno di suonare a Lecce ogni anno o più volte l’anno. E dato che ogni regola comporta delle eccezioni, ovviamente suonare anche nel Salento i pezzi di questo nuovo album che sono nati nel e dal Salento è una cosa che mi interessa e sarò felice di fare. Anche se la presentazione del cd e il primo concerto saranno a Londra l’8 Febbraio…

Il suo repertorio come compositore è piuttosto variegato e ampio: spazia nel paesaggio sonoro dal classico, al Jazz, senza arroccamenti nella musica colta, non mancano infatti aperture alla spontaneità della musica popular. Vorrei sapere, che rapporto ha con la musica popolare salentina, in senso ampio? E cosa pensa in particolare del fenomeno “Notte della Taranta”?

Duplice: mi fa piacere che con la “Notte della Taranta” il Salento abbia raggiunto una notorietà internazionale e soprattutto trasversale ed interessi sia fasce d’età che appassionati di generi assai diversi tra loro. Mi rattrista un po’ vedere invece che il Salento venga identificato solo con la pizzica e soprattutto mi rattrista vedere che, tra coloro che si dedicano allo studio e all’esecuzione di testi e musiche legate al fenomeno del tarantismo, i pochi bravi e seri siano una esigua minoranza. È interessante e ha un aspetto quasi comico notare come lo spirito di trance e di stordimento siano passati dal senso e dalla pratica di quella musica alla capacità di percezione del grande pubblico, che sotto l’etichetta generica di Pizzica oggi si lascia servire davvero di tutto: in larghissima parte musica molto brutta e per di più molto mal suonata.

 

 

Musica di qualità e celebrità. Che relazione sussiste tra le due in Italia, ammesso che vi sia? E all’estero, cambia qualcosa in tal senso?

Posso rispondere per quelle che sono le mie impressioni e naturalmente, quindi, la mia risposta vale soprattutto per la musica classica e contemporanea, più che per jazz, pop e rock il cui mondo mi è meno noto. L’Italia come sappiamo è un paese di individualisti inguaribili (in quanto compositore e pianista, devo inserirmi automaticamente nella lista!) e le

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