Da Profico a Caputo: l’avvento del fascismo nel Salento

 

di Alessio Palumbo

 

Nel giungo di novanta anni fa, esattamente il 15 di giugno, Cosimo Profico, un contadino, ex combattente, vicino alle posizioni del neonato partito popolare e attivo fautore delle leghe contadine organizzate da don Vito Marinuzzi e mons. Vito De Razza, incontra in piazza Colonna, ad Ugento, Luigi Ancora.

Ancora è un procaccia postale, un fascista facinoroso, distintosi per gli attacchi ai popolari e per alcune scritte minacciose ed offensive sull’abitazione del De Razza. In piazza Colonna gli animi si surriscaldano facilmente: tra i due scoppia una lite ed il procaccia estrae la pistola. Profico tenta allora di darsi alla fuga, ma quattro colpi di pistola lo raggiungono alla nuca, uccidendolo. Ancora fu arrestato ma, a distanza di due anni quasi esatti (24 giugno) “beneficiando di un decreto di amnistia emanato dal governo Mussolini nel dicembre del 1922, era stato assolto dalla Corte d’Assise di Lecce in quanto l’omicidio di Cosimo Profico (iscritto al Partito Popolare) era stato qualificato come omicidio politico” (S.Coppola, Politica e violenza nel Capo di Leuca all’avvento del fascismo, Lecce, Grafiche Giorgiani, 1999, pp.10-11).

L’omicidio Profico non era certo il primo in ordine di tempo. Il quattro novembre dell’anno precedente degli squadristi di Galatone avevano ucciso Giuseppe Manta, contadino di Sogliano. Tre mesi dopo fu la volta di Salvatore Giuppa

Gigetto di Noha, nel solco di una tradizione musicale propriamente salentina

L’INCONTRO CON GIGETTO DI NOHA OVVERO LUIGI PAOLI
L’ULTIMO «FURESE ‘NNAMURATU» DEL SALENTO

di Alfredo Romano

“Durante la guerra mio padre suonava il flauto per gli Americani a Brindisi, ed io l’accompagnavo con la mia voce bianca di bambino, per campare. Tempi tristi!”.
Comincia così il racconto di Luigi Paoli, un cantastorie, un menestrello, un musicista popolare nato a Noha 48 anni fa e residente a Spongano in una bianca e comoda casa di periferia, con immancabile terrazza e orto giardino, e la cantina, dove le botti suonano di pieno e versano a me, fortunato visitatore, un negramaro robusto, profumato.
Non è facile orientarsi nel mercato minore della canzonetta popolare ora che molti improvvisatori sprovveduti si sono lanciati in questo folk alla moda che non ha niente di peculiare e scimmiotta anzi un certo liscio romagnolo omogeneizzato che imperversa nelle sale e sulle piazze di tutt’Italia.
Basta un po’ di gusto però per capire che Luigi Paoli, da trent’anni, nel solco di una tradizione propriamente salentina, elabora testi popolari, li arrangia, ne inventa di nuovi per un pubblico non solo salentino, meridionale in genere, emigranti soprattutto (in Australia perfino, in Canada) che curano l’amara nostalgia al ritmo di suoni e canti che ricreano l’atmosfera della terra natia. II suo racconto si dipana lentamente in un gesticolare ampio. La voce, il corpo, assumono una dimensione teatrale, un viso pienotto, da scatinatore, occhi neri e luminosi, a sottolineare un sorriso perenne, contagioso.
Il più piccolo di cinque fratelli maschi, orfano di madre a quattro anni, a otto guardava le capre presso un guardiano di Noha. Un giorno, per via che, assetato, aveva impunemente bevuto in un secchio d’acqua tirata dal pozzo destinata alle capre (pare che le capre si rifiutino di bere dove ha già bevuto un altro, ndr.), venne appeso al ramo d’un albero a testa in giù, e, come una bestia, bastonato di santa ragione. Quest’episodio acuirà la sua sensibilità di fanciullo, rivelatore di una futura carica umana che Paoli, da grande, saprà trasfondere nella sua musica.
Di quei tempi funzionava a Noha una, chiamiamola così, palestra di vino e

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