Se non è plagio è copia-incolla
di Armando Polito
L’informatica ha rivoluzionato la scrittura, ma anche in questa rivoluzione è dato cogliere aspetti senz’altro positivi ed altri decisamente negativi. Se da un lato, infatti, la videoscrittura ha reso il processo meno faticoso e consentito un risparmio di carta almeno fino alla fase della stampa1, dall’altro espone chi scrive alla minore lucidità di controllo che subentra quando si affida tutto al correttore automatico (e nello stesso tempo ne propizia la pigrizia), nonché alla tentazione di imitare, con esiti certamente meno felici, gli antichi rapsodi2 nonché i successivi autori di centoni3 che, in fondo, sono stati i primi a sfruttare, certo meno comodamente, lo strumento del copia e incolla (e anche qui oggi la pigrizia va a nozze, specialmente quando non si ha la voglia o la capacità non dico di controllare la veridicità di qualche affermazione ma almeno di parafrasarla).
Non starò qui a disquisire sulla differenza tra copia e incolla e plagio: rischierei di impelagarmi in una giungla di distinguo degni della migliore trattazione sulla differenza tra erotismo e pornografia.
Lascerò al lettore il giudizio finale e mi limiterò solo ad esporre il fatto, anzi il fattaccio.
Di recente ho avuto occasione di occuparmi di cinque poesie in latino di Pasquale Oronzo Macrì, facenti parte di Gallipoli illustrata, scritta nel 1809.4
L’opera, secondo un’abitudine normale per quei tempi5, reca in testa una sorta di lettera di presentazione in latino6 che, tradotta, suona così:
A Nicola Maria Cataldi, Sacerdote di Gallipoli, Oronzo Pasquale Macrì Arcidiacono di Maglie rivolge il suo saluto.
Ciò che frettolosamente ho ricordato della nostra città lo mando a te tramite un uomo fidato, affinché tu finalmente capisca in quanta considerazione io abbia e la bellezza della città e la notorietà del suo nome. Sebbene io in questa mia mediocrità non sia per nulla simile ad un dotto scrittore che dal suo tesoro offre cose nuove e vecchie, tuttavia ho faticato