Galugnano, Acaya e la Madonna te li pampasciuni

lampascione2

Il primo venerdì di marzo Galugnano ed Acaya festeggiano la Madonna Addolorata,  Matonna ‘Ndururata te Calignanu e Madonna de li pampasciuni.  “Straordinariamente – afferma lo studioso Massimo Vaglio – il pampasciune nel Salento integra anche un probabile interessante caso di sincretismo religioso, che si concretizza nella venerazione della Madonna de li pampasciuni. La Madonna Addolorata, venerata a Galugnano ed Acaya, cambia addirittura nome divenendo appunto Madonna de li pampasciuni”.

La diffusione del culto può essere legata al feudatario, Gervasio dell’Acaya, che sin dal 1294 ebbe contemporaneamente in concessione da Carlo I d’Angiò i due castelli di Acaya, frazione di Vernole e Galugnano, frazione di San Donato. Sono inoltre note storie di sofferenze, atti di pirateria e malattie, subite dalle genti del luogo, che per disperazione si è messa sotto la protezione della Madonna, offrendo in dono l’elegante cipollaccio col fiocco.” (Nunzio Pacella, casapacella.it)

 

VI CONVIVIUM “Madonna te li Pampasciuni”

4-5 MARZO 2016 ___________________________________________________

 

Venerdì 4 Marzo 2016

IL VENERDI’ DEL PAMPASCIONE

Ore 15,30

Incontro in Largo Vittorio Emanuele II a Galugnano, caratteristica frazione del comune di San Donato di Lecce, dove si festeggia la Madonna Addolorata, tradizionalmente nota come la “Madonna Te li Pampasciuni”.

La confraternita parteciperà ai festeggiamenti religiosi che prevedono una processione con la statua della Madonna, portata a spalla dalle donne del paese, dalla Chiesa Matrice verso quella del Cimitero, dove viene officiata la Santa Messa con successivo rientro del simulacro verso Galugnano.

La tradizione popolare prevede che nel giorno di Festa in tutte le famiglie galugnanesi preparino e degustino i pregiati lampascioni che crescono, abbondanti nelle campagne del paese. Per tenere viva la tradizione nel comune si organizza una Gara Gastronomica con piatti rigorosamente a base di “pampasciuni”.

Nel corso del pomeriggio possibilità di partecipare ad una conferenza sul tema “Il Lampascione: aspetti tradizionali, nutraceutica e prospettive colturali” tenuta dal Dott. Agronomo Giancarlo Leuzzi; seguirà la presentazione del volume “Piccolo codice del Lampascione” di Massimo Vaglio, accompagnato da uno chef che illustrerà i mille modi per trasformare il “Muscari Comosum” in piatti succulenti.

Al termine della conferenza passeggiata libera tra gli stand della festa.

 

Cena Conviviale del Pampascione

Ore 20,30

Cena conviviale presso il ristorante dell’ agriturismo “Il Rifugio” di Galugnano..

 

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Sabato 5 Marzo 2016

Un sabato da Pampascione

Ore 08,00

Sveglia e prima colazione in hotel.

Ore 09,00

Partenza per Alezio (Le) con mezzi propri per una passeggiata “insolita” alla scoperta di un itinerario che porterà dalla cripta di Santa Lucia del convento delle Suore Compassioniste alla vicina azienda olearia “Stajano” dove ci sarà la possibilità di degustare i prestigiosi olii prodotti dall’azienda. Proseguiremo con un tuffo nella gastronomia salentina, presso la masseria didattica “Mulino Stracca”, partecipando ad una breve lezione di lavorazione delle farine di grano “le mani in pasta” tenuta dalla sig.ra Simona Schirosi, che con i prodotti preparati durante il laboratorio ci preparerà sul posto un pranzo leggero ( ma non tanto ). La passeggiata continuerà con la visita all’azienda “Villa Antica” produttrice di liquori artigianali con essenze mediterranee. Nel corso della quale, ci sarà la degustazione guidata dei liquori con illustrazione dei processi produttivi.

Nel pomeriggio ci muoveremo nelle Serre Salentine: visita all’azienda agricola “I Contadini” a Felline, che coltiva direttamente, con la tecnica della produzione integrata, oltre venti ettari di ortaggi a campo aperto. Al termine ci trasferiremo a Racale per visitare il museo dell’ Emigrazione, ubicato all’ interno dello storico palazzo “D’ Ippolito”, luogo di recupero della memoria storico-culturale dell’emigrazione della popolazione appartenente ai comuni del Gal “Serre Salentine”.

A seguire ci immergeremo nella storia con la visita guidata di Casarano, uno dei contesti più belli del Salento, impreziosito dalla suggestiva chiesetta di “Santa Maria della Croce” o di Casaranello, dove sono ancora presenti resti dell’arte bizantina tra cui i preziosi mosaici paleocristiani del V secolo. In corso di visita, tempo permettendo, passeggiata nel centro storico.

Rientro in hotel per un breve riposo.

 

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Sabato 5 Marzo 2016

La Magnifica cena del Pampascione

Ore 20,30

Cena preparata e curata direttamente dai Confratelli presso la sala panoramica dell’Hotel Bellavista di Gallipoli.

 

Info e Prenotazioni: Massimo Primiceri tel. 360907820 – mail: c.pampascione@gmail.com

Il lampascione, re dei bulbi. Tutto ciò che occorre sapere

di Massimo Vaglio

 

Squisiti, adorabili, straordinari, benefici, gustosi, ottimi, particolari, ricercati, eleganti, versatili… Accanto a termini come questi, proferiti dai tanti estimatori si affiancano anche tutta una serie di termini meno lusingheri, rispettabile giudizio di una pur presente minoranza di detrattori. Per i lampascioni, infatti non si conoscono le mezze misure, o li si ama o li si odia.

È doveroso comunque premettere che il lampascione resta un bulbo misterioso per la stragrande maggioranza degli italiani, ma è molto probabile che, viste le sue prerogative, se fosse conosciuto meglio, sarebbe certamente amato un po’ di più.

In passato era conosciuto come Muscari comosum Mill.; dopo alcuni approfonditi studi botanici dal 1968, viene più correttamente appellato Leopoldia comosa (L.) Parl. Si contano, inoltre, varie specie simili al lampascione che vengono spesso utilizzate alla stessa stregua del lampascione per così dire verace: si tratta di una decina di specie appartenenti a tre diversi generi Bellevalia, Muscari, Leopoldia che hanno però un po’ tutte caratteristiche organolettiche più scadenti rispetto allo stesso. A tale proposito è utile ricordare quanto riportato dal Mannarini:“Assieme al pampasciulo trovasi spontaneo da noi un altro muscari, il Muscari Holzmannii Bois. o Leopoldia Holzmani Held., che ha proprietà eccitanti ed anche afrodisiache. Questo è volgarmente conosciuto col nome di pampasciulu pe li vecchi. Per questo, esso in Grecia si adibisce ad uso alimentare, da noi non è adoperato, anzi viene scartato nella raccolta del M. comosum”.

Decisamente meno tranquillizzanti le indicazioni di Dioscoride (II.358.) a proposito di una di queste specie identificata da alcuni traduttori naturalisti nel Muscari atlanticus e o M. botryoides:”il porro capitato fa ventosità, genera cattivi umori, fa sognare cose terribili e spaventose. Cuocersi la capillatura sua nell’aceto, ed in acqua marina. Con tali premesse non perderemo nulla se dal punto di vista gastronomico considereremo solo il lampascione rosso verace ovvero la Leopoldia comosa (L.) Parl.

La parte edule è costituita dal bulbo che può raggiungere eccezionalmente i 4 centimetri di diametro ed il peso di 35-40 grammi, anche se generalmente il

Tutte le ricette tradizionali per il lampascione, il re dei bulbi

di Massimo Vaglio

Lampascioni in insalata

Nettate i lampascioni, lessateli in acqua salata, fateli raffreddare, divideteli in due se sono grossi e conditeli con olio extra vergine, aceto, pepe e a piacere con menta o prezzemolo. Serviteli freddi. Una variante, consiste nel cuocerli nel modo anzi descritto e nel servirli accompagnati da rape di barbabietole lesse, condendo il tutto come sopra indicato. E’ bene che queste insalate per insaporirsi meglio vengano lasciate riposare qualche ora condite prima di essere servite.

I lampascioni costituiscono da tempo immemorabile, uno degli stuzzichini tradizionali dei pugliesi e dei salentini in particolare, per cui, forse non esiste “putea ti mieru”, così sono denominate le caratteristiche botteghe di vino con mescita nel Salento, ove non vi sia una brava coppa di “lampasciuni ccunzati”, (conditi cioè con olio, sale, pepe e aceto) a disposizione degli avventori, poiché si ritiene che il loro gusto dolce-amaro favorisca il consumo di vino.

Lampascioni cotti nella cenere calda

Questo è un piatto a dir poco primordiale, uno dei primi alimenti umani, insieme ai tuberi di asfodelo, sin dal Neolitico, ma l’uso di arrostire i lampascioni nella cenere, al contrario di quello dell’asfodelo, si è conservato sino ai nostri giorni. Quando gli “alàni” delle masserie pugliesi, ossia i bifolchi addetti all’aratura con muli o buoi, arando il terreno cavavano dei bulbi di lampascione, li raccoglievano e la sera, rientrati per la cena a base quasi

Il lampascione, re dei bulbi. Tutto ciò che occorre sapere

di Massimo Vaglio

 

Squisiti, adorabili, straordinari, benefici, gustosi, ottimi, particolari, ricercati, eleganti, versatili… Accanto a termini come questi, proferiti dai tanti estimatori si affiancano anche tutta una serie di termini meno lusingheri, rispettabile giudizio di una pur presente minoranza di detrattori. Per i lampascioni, infatti non si conoscono le mezze misure, o li si ama o li si odia.

È doveroso comunque premettere che il lampascione resta un bulbo misterioso per la stragrande maggioranza degli italiani, ma è molto probabile che, viste le sue prerogative, se fosse conosciuto meglio, sarebbe certamente amato un po’ di più.

In passato era conosciuto come Muscari comosum Mill.; dopo alcuni approfonditi studi botanici dal 1968, viene più correttamente appellato Leopoldia comosa (L.) Parl. Si contano, inoltre, varie specie simili al lampascione che vengono spesso utilizzate alla stessa stregua del lampascione per così dire verace: si tratta di una decina di specie appartenenti a tre diversi generi Bellevalia, Muscari, Leopoldia che hanno però un po’ tutte caratteristiche organolettiche più scadenti rispetto allo stesso. A tale proposito è utile ricordare quanto riportato dal Mannarini:“Assieme al pampasciulo trovasi spontaneo da noi un altro muscari, il Muscari Holzmannii Bois. o Leopoldia Holzmani Held., che ha proprietà eccitanti ed anche afrodisiache. Questo è volgarmente conosciuto col nome di pampasciulu pe li vecchi. Per questo, esso in Grecia si adibisce ad uso alimentare, da noi non è adoperato, anzi viene scartato nella raccolta del M. comosum”.

Decisamente meno tranquillizzanti le indicazioni di Dioscoride (II.358.) a proposito di una di queste specie identificata da alcuni traduttori naturalisti nel Muscari atlanticus e o M. botryoides:”il porro capitato fa ventosità, genera cattivi umori, fa sognare cose terribili e spaventose. Cuocersi la capillatura sua nell’aceto, ed in acqua marina. Con tali premesse non perderemo nulla se dal punto di vista gastronomico considereremo solo il lampascione rosso verace ovvero la Leopoldia comosa (L.) Parl.

La parte edule è costituita dal bulbo che può raggiungere eccezionalmente i 4 centimetri di diametro ed il peso di 35-40 grammi, anche se generalmente il

Come cucinare il lampascione, il re dei bulbi

di Massimo Vaglio

L’estrema versatilità gastronomica, del lampascione, ma soprattutto la straordinaria combinazione fra le sue singolari peculiarità olfattive e le complesse ben dosate caratteristiche organolettiche, lo rendono, a dispetto della sua larga diffusione nei ceti più popolari e nei menù delle bettole paesane, un prodotto molto elegante.

Il loro gusto, che possiamo descrivere: dolceamaro con retrogusto erbaceo e dall’aroma vagamente muscarino, li rende dei bulbi ripetiamo organoletticamente eleganti ed estremamente interessanti e se, com’è auspicabile, incontreranno l’estro dei grandi cuochi, non potranno che assurgere a nuovi fasti divenendo dei protagonisti d’eccellenza della nostra gastronomia.

Nella quasi totalità dei casi i lampascioni, prima di essere sottoposti a cottura, devono essere nettati, privando i bulbi dell’apparato radicale, della parte aerea, se ancora presente, e delle tuniche più esterne. Devono essere quindi lavati diligentemente sotto l’acqua corrente e, per divenire commestibili, devono essere obbligatoriamente cotti.

Quasi tutte le ricette che li interessano prevedono una loro preventiva lessatura; questo fra i vari metodi di cottura, resta quello più consigliabile in quanto li rende più digeribili. Anche questa semplice operazione richiede però degli accorgimenti, anche se minimi.

I lampascioni, a seconda del terreno dal quale provengono, possono essere più o meno amari come pure più o meno teneri. Nel primo caso si potrà ovviare all’inconveniente ponendoli a bagno in acqua fredda dopo averli nettati e provvedendo a cambiare l’acqua almeno due volte al giorno per un periodo massimo di due giorni; di norma è sufficiente tenerli a bagno la nottata antecedente al giorno di cottura.

Nel caso invece ci si trovi davanti a lampascioni molto restii alla cottura, cosa che generalmente si verifica in lampascioni provenienti da terreni molto calcarei, un rimedio può essere quello di lessarli in acqua piovana, cosa che un tempo era facilissimo procurarsi, in quanto quasi tutte le abitazioni erano munite di una cisterna che la raccoglieva affidandone la potabilità ad una vorace e vigile anguilla cui era affidato il compito di divorare insetti, limacce e larve che fossero accidentalmente caduti dentro. Oggi, l’oggettiva difficoltà a procurarsi l’acqua piovana, impone, alla bisogna, il ricorso ad una punta di bicarbonato di sodio aggiunta all’acqua di cottura e il risultato è assicurato lo stesso, anche se potrebbe annullare alcuni principi vitaminici.

Comunque regola fissa rimane quella di sottoporre i lampascioni ad una lessatura non tumultuosa, ma regolando la fiamma al minimo appena l’acqua comincia a bollire, in questo modo i lampascioni cuoceranno prima, in modo completo e soprattutto rimarranno integri.

(continua)

 

 

Il lampasciòne in quattro puntate (4/4)

di Armando Polito

Il lampascione nelle feste popolari

Nello sconfinato calendario delle sagre dedicate ai prodotti tipici, vegetali e animali, del Salento, sagre che hanno trovato nella necessità di mantenere tradizioni secolari, dunque in un  appiglio  culturale, un  alibi  non  sempre  correttamente  giocato  per  promuovere il turismo e il consumismo (ora, per fortuna, meno sfrenato), il lampascione trova uno spazio da protagonista unico nel primo venerdì di marzo ad Acaya, frazione di Vernole in provincia di Lecce, in occasione della ricorrenza della Madonna Addolorata più comunemente nota come Matonna de li pampascioni. Un’antica leggenda popolare narra che un 1° venerdì di marzo di più di un secolo fa una barca carica di gente naufragò di fronte alle Cesine; molti dei naufraghi, dopo aver pregato la Madonna Addolorata, riuscirono a mettere piede a terra  e nel primo villaggio che incontrarono, Acaya appunto, organizzarono festeggiamenti in suo onore con canti, balli, e lampascioni34, di cui la zona è ricchissima.

Il bulbo, invece, diventa coprotagonista in occasione delle Tavole di San Giuseppe,  festa celebrata il 19 marzo in quasi tutti i centri del Salento ma che ad Uggiano la Chiesa (Le) ha conservato tutti i dettagli dell’antico rituale. Vengono allestite nella stanza più grande di parecchie case tavolate allestite con piatti tradizionali per un numero di commensali detti “santi” che può variare da tre a ventuno. Secondo la tradizione i commensali rappresentano la Sacra Famiglia (san Giuseppe, la Madonna e Gesù Bambino) e i vari santi: sant’Anna, san Gioacchino, sant’Elisabetta, ecc.). Essi svolgeranno, sotto gli occhi dei devoti, il sacro rito della cena. Dopo essere state benedette dal parroco il pomeriggio della vigilia, le tavolate vengono aperte al pubblico e ad ognuno dei visitatori vengono offerti purciddhùzzi35, lampascioni,  piccoli pani, pucce36 e cartidddhate37. I cibi che si possono ammirare su questo splendido banchetto sono tutti tradizionalmente poveri, infatti troviamo: pasta con il miele e mollica di pane, pesce fritto e arrosto, lampascioni, fritti con il miele, vermicelli con ceci, stoccafisso in umido, rape bollite, cavolfiori fritti, olio, vino e miele. Secondo  la tradizione, chi riceve la puccia ringrazia con la tipica frase:” San Giuseppe te l’aggia ‘nsettu38” (San Giuseppe te ne renda grazie, o secondo la tua intenzione). Sempre nel periodo che precede la festa, le devote preparano in grande quantità anche la massa39. Si tratta di una pasta che

Il lampasciòne in quattro puntate (3/4)

di Armando Polito

 

Il lampascione nell’arte contemporanea: musica, teatro, cinema e poesia

 

di Armando Polito

L’umile bulbo entra nella canzone popolare, sia pure nella variante pampasciòne e nel significato traslato di testicolo già ricordato: succede in Li mistieri, canto tradizionale che gli Aramirè14 hanno inserito nel loro album Mazzate pesanti uscito nel  2004. Riporto di seguito per intero il testo con  la mia versione italiana perché  sia compreso anche da chi salentino non è:

Mo’ te cuntu te li mestieri;/ li scarpari su li primi:/ se la inchene la panza/cu nu piattu te lupini./ Mo’ te cuntu li falignami:/tuttu lu giurnu liscia liscia/alla fine te la sciurnata/ se la fottene la pignata/Ca mo’ riane li trainieri:/fannu na vita te cavalieri quando rivane alla ‘nchianata/ la castimane l’Immacolata./ Mo’ te cuntu te li ferrari:/ tuttu lu giurnu batti batti;/ quando spicciane li crauni/ se li rattane li pampasciuni./ Mo’ te cuntu tte li ’mpiegati:/ fannu na vita te Patreternu;/ quando riva lu ventisette/ te lu squajane lu governu./E li poveri contadini/fannu figura te pezzenti:/quando spicciane la stagione/nu hannu ccotu propriu nienti.

(Adesso ti parlo dei mestieri;/ i calzolai sono i primi:/se la riempiono la pancia/con un piatto di lupi. Adesso ti parlo dei falegnami:/ tutto il giorno liscia liscia;/alla fine della giornata/se la fottono la pignatta./E’ la volta dei carrettieri:/fanno una vita da cavalieri;/quando giungono alla salita/la bestemmiano, l’Immacolata./Adesso ti parlo dei fabbri:/tutto il giorno batti batti;/quando finiscono i carboni/se li grattano i coglioni/). Adesso ti parlo degli impiegati:/fanno una vita da Padreterno;/quando arriva il ventisette/te lo squagliano il governo./E i poveri contadini/fanno la figura di pezzenti:/quando chiudono la stagione/non hanno raccolto proprio niente).

Analoga apparizione  nel  brano  Vinne de  Roma, che  fa  parte  dell’album  Allu tiempu de li lupini realizzato da I cantori dei Menamenamò15 e uscito nel 2000:

Vinne de Roma…/ Lu tammurreddhru meu vinne de Roma/ ca me l’ha’ nnuttu na Napulitana./E cu lu sonu…/ Me disse cu lu cantu e cu lu sonu/ ca quannu vene iddhra lu pacamu./ La tarantella…/A ddhru te pizzicau la tarantella?/Sutta lu giru giru de la gonnella./De le tarante…/E Santu Paulu meu de le tarante/ pizzica le caruse ‘mmenzu l’anche./De li scurpiuni…/E Santu Paulu meu de li scurpiuni/pizzica li carusi ‘lli pampasciuni….

(Venne da Roma…/ Il tamburello mio venne da Roma/e me l’ha portato una napoletana/E per suonarlo…/Mi disse di cantarlo e di suonarlo/che quando viene lei lo paghiamo/La piccola taranta…/Dove ti morse la piccola taranta?/Sotto il giro della gonnella./Delle tarante…/E san Paolo mio delle tarante/morde le giovani in mezzo alle gambe./ Degli scorpioni…/E san Paolo mio degli scorpioni/morde i giovanotti ai coglioni…).

Al bulbo si sono ispirati nella scelta del  loro  nome   i  Lampasciounazz,

Il lampasciòne in quattro puntate (2/4)

di Armando Polito

Come riprodurlo.

Dei due metodi di riproduzione che mi accingo a descrivere il secondo è quello che garantisce i migliori risultati: 1) per seme: si raccolgono  i semi alla fine dell’estate e  si   interrano    abbastanza  superficialmente anche in  vaso, purchè  questo  sia esposto  al  sole  per  almeno   due-tre ore   al  giorno; l’acqua  va  somministrata  moderatamente  e  con  regolarità da  febbraio  a  giugno, il  periodo vegetativo   della pianta. La concimazione  va fatta dalla primavera  fino  all’inizio  dell’autunno, una  volta  al  mese, con fertilizzante liquido aggiunto all’acqua di annaffiatura. La potatura consiste nell’eliminazione dello stelo quando questo è sfiorito. Il bulbo diventa di  dimensioni  adatte al  suo  utilizzo dopo non meno di quattro, cinque anni;  2) per bulbillo: separare a fine estate i bulbilli  che  si  formano  alla base del bulbo madre e metterli a dimora definitiva in  autunno a una distanza di almeno   dieci  cm. l’uno  dall’altro. Concimare e annaffiare come nel metodo di  riproduzione  prima  descritto. Il bulbo  assume dopo non meno di tre anni dimensioni che lo rendono utilizzabile.

Le proprietà afrodisiache del bulbo nelle testimonianze degli autori antici.

Testimonianza molto più antica di quella del  X° secolo riportata nella prima puntata sulle presunte proprietà afrodisiache del bulbus si ha nel mondo greco in Dioscoride Pedanio (I° secolo d. C.) (De medicinali materia, II, CLXI): “Il bulbo commestibile. Il bulbo commestibile è noto a tutti come cosa che si può mangiare; salutare per lo stomaco, libera l’intestino, è rossastro e viene importato dalla Libia; è amaro, simile alla scilla, più

Il lampasciòne in quattro puntate (1/4)

di Armando Polito

Caratteri generali e classificazione scientifica.

Questa pianta cresce spontaneamente in tutto il Mediterraneo, dalle pianure fino a   1500 m. di altitudine, negli incolti erbosi, nei pascoli e nei coltivi. Pur essendo presente in molte regioni italiane, la pratica della sua raccolta ed utilizzazione alimentare è diffusa soprattutto nell’Italia meridionale. In alcune regioni come Puglia e Calabria ne è stata avviata anche la coltivazione. Può raggiungere al massimo i 25 cm di altezza, le foglie sono basali, erette, di forma lineare e tendono ad afflosciarsi verso il basso; generalmente sono  circa  la metà  dello  scapo floreale.

Il bulbo (foto iniziale) simile ad una piccola cipolla, è tunicato, con colore rossastro, rosso vino; si trova ad una profondità media di 20 cm. e l’estrazione  richiede  gran  cura  poichè   non   sempre   si  colloca  perpendicolarmente rispetto alla parte epigea; per  chi  ha una  certa pratica  della sua   estrazione di  solito bastano due o  tre  colpi (due laterali e il terzo in testa) con l’attrezzo adatto, ma tutto dipende anche dalla morbidità del terreno, per cui si consiglia, a chi ne avesse voglia, di tentare dopo una pioggia piuttosto prolungata. La difficoltà di estrazione giustifica la sua quotazione piuttosto alta sul mercato dei buongustai. A tal proposito va

Breve storia economica del lampascione

di Armando Polito

Lascio parlare le fonti (le traduzioni dal testo originale, che qui non si riporta per motivi di spazio, sono mie…il lettore è avvertito), limitandomi solo a qualche intervento di collegamento.

Dioscoride Pedanio (medico greco del I secolo d. C.) (De medicinali materia, II, CLXI): “Il bulbo commestibile. Il bulbo commestibile è noto a tutti come cosa che si può mangiare; salutare per lo stomaco, libera l’intestino, è rossastro e viene importato dalla Libia; è amaro, simile alla scilla, più salutare per lo stomaco, favorisce la digestione. Tutti sono aspri, danno calore e eccitano al rapporto sessuale…”.

Non dissimile opinione anche in ambito romano: Publio Ovidio Nasone (I secolo a. C.-I secolo d. C.) (Remedia amoris, 795-800): “Ecco, ti darò anche, per usare ogni dono della medicina, i cibi da evitare e da seguire. Il bulbo della Daunia o quello mandato a te dalle coste della Libia, o venisse pure da Megara1, ti sarà comunque nocivo. Nondimeno è opportuno evitare le afrodisiache ruchette e tutto ciò che prepara i nostri corpi all’amore. Più utile che tu prenda la ruta che aguzza la vista e tutto ciò che nega i nostri corpi all’amore. ”

Dello stesso tenore è la testimonianza di C. Plinio Secondo (I secolo d. C.) che conferma, sia pure parzialmente, la precedente graduatoria di Ovidio (al primo posto il bulbo di Megara1, poi quello africano e infine quello della Daunia), in due passi della Naturalis historia : XIX, 30: ”…sono apprezzati soprattutto quelli (i bulbi) nati in Africa, poi quelli dell’Apulia.”;XX, 105): ” I bulbi di Megarastimolano al massimo grado il desiderio amoroso…”.

Concorde pure la testimonianza di Lucio Giunio Moderato Columella (I secolo d. C.) (De re rustica, X, 105-109): ”…e vengano da Megara1 i fecondatori semi di bulbo che eccitano gli uomini e li armano per le fanciulle e quelli che la Numidia raccoglie coperti dalle zolle getule e la ruchetta che viene seminata vicina al fecondatore Priapo per svegliare all’amore i mariti addormentati.”

Ritorniamo al mondo greco con Ateneo di Naucrati (II-III secolo dopo C.) con le sue numerose citazioni che costituiscono ciò che ci resta di autori antichi: (I deipnosofisti, Difilo2): ”I bulbi sono di difficile cottura ma molto nutrienti e salutari per lo stomaco; inoltre sono purgativi e indeboliscono la vista, ma sono eccitanti nei rapporti sessuali. Il proverbio dice: Per niente ti gioverà il bulbo se non hai vigore. In realtà sono afrodisiaci tra loro quelli chiamati regali, che sono superiori agli altri, tra i quali quelli rossastri. Invece quelli bianchi e quelli della Libia sono simili alla scilla; i peggiori tra tutti, però, sono quelli egiziani”)].

Pur tenendo conto della difficoltà di identificare senza ombra di dubbio il bulbus con il lampascione3, non si può non ricordare che due tipi di bulbus compaiono nell’Edictum de pretiis rerum venalium emanato nel 301 d.C. dall’imperatore Diocleziano, che stabiliva il prezzo massimo per vari tipi di merce. E tra le derrate alimentari nella sezione De oleribus et pomis (Ortaggi e frutti) si legge: bulbi Afri siv[e] Fa[b]riani maximi no. viginti denarii duodecim bulbi minores no. quadraginta denarii duodecim bulbi africani ovvero fabriani grandissimi no. venti dodici denari bulbi più piccoli no. quaranta dodici denari)

Come si nota, i bulbi africani (maximi), allora, sul mercato valevano esattamente il doppio rispetto ai minores (da presumere di produzione italica), nonostante un’altra sezione dello stesso editto mostri (dopo che i Romani avevano riempito di strade tutto l’impero) che il prezzo di trasporto per mare era di due denari per miglio/tonnellata, quello per terra di cinquanta denari: oggi è esattamente l’opposto e i nostri lampascioni si sono presi, a distanza di parecchi secoli, la loro brava rivincita su quelli africani: un raro esempio di ribaltamento di una originaria esterofilia alimentare?

Ma non è finita, perché essi sono riusciti a rendere obsoleti perfino vecchi proverbi. Uno di questi sanciva la fine delle abbuffate carnevalesche e l’inizio del digiuno (o quasi) quaresimale:

È scurùtu lu Carniàle

cu ppurpètte e mmaccarrùni;

mò ndi tocca l’acqua e ssale

e qquattru, cinque lampasciùni

È finito il Carnevale

con polpette e maccheroni;

adesso ci tocca l’acqua e sale4

e quattro, cinque lampascioni.

Anche qui i rapporti si sono invertiti: il lampascione, quello pugliese, in passato cibo povero, oggi, con la sua quotazione di mercato, è tutt’altro che simbolo di frugalità e rinunzia, ruolo che, paradossalmente rischiano di assumere le polpette e i maccheroni, che un tempo erano (soprattutto le prime) il cibo delle grandi occasioni.

E non è detto che il significato traslato di stupido diventi in breve volgere di anni obsoleto: come si può continuare a dare quest’appellativo, che indica oggi qualcosa di pregiato, ad un uomo di poco valore?

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1 Megara è il nome di due città, una in Grecia, l’altra in Sicilia; è più verosimile che quella citata da questo autore e da altri sia la seconda, dal momento che Dioscoride Pedanio accenna solo ai bulbi provenienti dalla Libia e non a quelli, per così dire, nazionali di Megara.

2 Naturalista del III secolo a. C.

3 Lampadio compare per la prima volta in un manoscritto del X secolo (che secondo gli studiosi si rifà ad uno, perduto, di almeno tre secoli prima) contenente la traduzione in latino di un pezzo in greco di Oribasio (erborista e medico bizantino del IV secolo d. C.).

4 Simbolo della frugalità di altri tempi quando una cena consisteva in qualche pomodoro affettato in acqua e sale.

Il bulbo che risveglia i sensi

di Antonio Bruno

 

Mio nonno Pietro detto “Petruzzu” li adorava. Li potete raccogliere dopo l’aratura del terreno e sono il frutto di 4 o 5 anni vita di questa pianta che ha il nome Muscari comosum. Ha dell’avventuroso andare alla ricerca del “Pampasciune”, una attività di scavo, di portare fuori dalle rosse terre del Salento leccese un bulbo amaro che viene lasciato nell’acqua per essere poi mangiato. La raccolta del selvatico è praticata ancora oggi diffusamente nel Salento leccese.
Lu Pampasciune detto anche Lampasciune è una pianta erbacea perenne di modeste proporzioni, fornita di un bulbo (organo sotterraneo come quello dei tulipani) formato da scaglie o tuniche carnose, compatte, di colore rosaceo.
Tutte le parti di questa pianta (bulbo, fusto,  foglie e fiori) contengono un succo mucillaginoso di sapore amaro un po’ acre.
Nel mondo classico ai bulbi , veniva attribuito un alto potere afrodisiaco, e numerose sono le testimonianze in tal senso. d.C.) dedicò ai bulbi queste parole. “qualora tua moglie sia vecchia, qualora il tuo membro sia morto, niente altro che i bulbi potranno soddisfarti… Chi sa apparire uomo nelle battaglie di Venere, mangi i bulbi e sarà molto forte”.

 
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Un linguaggio d’altri tempi, una parola che indica una cipolla selvatica che

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