Libri| Nostro ulivo quotidiano

scattidautore

 

E’ stato pubblicato pochi giorni fa il volume di Elio Ria, Nostro ulivo quotidiano, a cura di Marcello Gaballo, per le edizioni della Fondazione Terra d’Otranto, inserito nella collana Scatti d’Autore, n°2. in quarto| 112 pagine| colore, cartonato. Impaginazione di Mino Presicce, fotocomposizione Biesse – Nardò, stampa Pressup. Foto di Fabrizio Arati, Mauro Bellucci, Maurizio Biasco, Lucio Causo, Coordinamento Forum Salute, Stefano Crety, Marcello Gaballo, Roberto Gennaio, Linda Iazzi, Walter Macorano, Lucio Meleleo, Tommy Mezzina, Francesco Politano, Mino Presicce, Pier Paolo Tarsi. Foto di copertina di Maurizio Biasco.

ISBN: 97888 906976 8 5

Edizione non commerciale, riservata alle biblioteche e ai soci della Fondazione.

 

Prefazione di Marcello Gaballo – Fondazione Terra d’Otranto

Scatti d’Autore è la nuova collana edita da Fondazione di Terra d’Otranto, che persegue l’obiettivo – attraverso le parole e le immagini – di valorizzare e promuovere la cultura salentina con i suoi autori più rappresentativi in ambito letterario, filosofico e artistico.

La grandezza della parola dipende dallo splendore delle immagini e dalla capacità cognitiva di raccogliere argomenti misuratori del Salento, che è luogo blindato di generosità e splendidezza, ma è anche sostanza d’ispirazione per poeti e artisti. Il mare, i porti, le chiese, i campanili, le piazze, i vicoli, i paesi, sono le cartoline di un mondo fiabesco che incarnano la pazienza del tempo e non hanno necessità di urgenza di fare a pezzi le tradizioni e i costumi di una comunità sempre devota a Dio.

Il secondo volume “Nostro ulivo quotidiano” dedicato all’albero di ulivo è scritto da Elio Ria. Le immagini sono di vari fotografi salentini che hanno voluto donare i loro scatti a corredo del presente lavoro.

Ria si distingue per la sua prosa erudita, pregna di allusioni e ironica nelle allegorie, corredata da una poesia metafisica che sembri lo affascini e lo nutri di piacere del sapere. Attento osservatore della propria terra sa incastonare le quotidianità della vita con le tradizioni che tuttora resistono e s’impongono nel Salento. Riservato e incline al silenzio, rifugge da ogni moda stravagante di letteratura, indagatore e archeologo delle parole crede nella modernità con moderazione, ha un naso eccezionale per le cose interessanti, ha la capacità di condensare minuziosamente i concetti e di sintetizzare le complessità esistenziali libero da ogni condizionamento politico e/o religioso. Ama narrare ciò che è invisibile per attualizzarlo e declamarlo in forma poetica. Offre ai suoi lettori un intrattenimento di lettura piacevole poiché ogni sua cosa è realizzata da un intimo godimento, il giubilo di chi fa ciò che gli piace fare.

Nelle sue omissioni volute si può cogliere la riflessione come fonte di emozione poetica e l’erudizione come retorica cortese – ma mai come pedanteria. Guarda sempre con passione tutto ciò che è minore in confronto a ciò che è maggiore, giacché dalle cose minime risultanti insignificanti sa estrapolare significativi e sostanziali frammenti di allegorie e di memorie.

Il libro è un mondo racchiuso in sé stesso, con le immagini dell’albero di ulivo e di una campagna in sofferenza; dove però prevale innanzitutto il senso civico di responsabilità del poeta per la sua terra, il quale avverte l’impegno di un agire per il meglio, nonché il monito ad una scelta di vita più consona alle regole della natura. Xilella fastidiosa è il killer che decreta la morte degli alberi, mettendo in serio pericolo l’ecosistema. Nelle parole del libro si addensano le atmosfere recondite e quelle sonore dell’uomo che riflette sulla realtà e tenta di interpretarle, poiché incombe un futuro senza futuro e il Salento rischierebbe una menomazione ambientale incommensurabile.

L’ulivo è l’albero simbolo del Salento, il gigante, che nei secoli ha germogliato ricchezza, orgoglio di natura, bellezze figurative, idea di poesia. L’omaggio editoriale è tutto per esso, significando in tal modo l’attenzione e l’interesse di questa Fondazione ai beni naturali della propria terra.

Una nuova edizione per la Fondazione. Nardò e i suoi

Nardò e i suoi

Con cerimonia privata, cui si accede per invito, sarà presentato e distribuito questa sera l’ultimo lavoro inserito tra le pubblicazioni della Fondazione, Nardò e i suoi. Studi in memoria di Totò Bonuso.

Un volume di 400 pagine, cartonato, in formato 24×30 cm, con saggi tutti riguardanti Nardò, a cura di Marcello Gaballo, presentazione di Luciano Tarricone. Edizione non in vendita. ISBN: 978-88-906976-5-4.

Saggi di Francesco Giannelli, Armando Polito, Maurizio Nocera, Gian Paolo Papi, Giuliano Santantonio, Fabrizio Suppressa, Paolo Giuri. Giovanni De Cupertinis, Marcello Gaballo, Stefano Tanisi, Alessandra Guareschi, Alessio Palumbo, Elio Ria, Maurizio Geusa, Pino De Luca, Letizia Pellegrini, Massimo Vaglio, Valentina Esposto, Daniele Librato, Mino Presicce, Pippi Bonsegna.

 

 

Luciano Tarricone, presentazione ……………………….……………………………………. p. 1
Francesco Giannelli, Tracce di preistoria e protostoria nel territorio di Nardò …… 5
Armando Polito, Un toponimo sulla riviera di Nardò: la Cucchiàra ………………….. 11
Maurizio Nocera, Della tipografia e dei libri salentini ……………….……………………. 15
Gian Paolo Papi, La “Madonna di Otranto” in territorio di Cascia
tra i possibili lavori del neritino Donato Antonio d’Orlando ……………………………… 29
Armando Polito, Antonio Caraccio l’Arcade di Nardò ……………………..……………… 41
Giuliano Santantonio, Ipotesi di attribuzione di alcuni dipinti
a Donato Antonio D’Orlando, pittore di Nardò ………………………………………………. 67
Fabrizio Suppressa, Torre Termite, la masseria degli olivi selvatici …………………. 81
Paolo Giuri – Giovanni De Cupertinis, Il seminario diocesano di Nardò dal xvii al xix secolo …………………………………………………………………………………………………….. 91
Marcello Gaballo, Un’architettura rurale impossibile da dimenticare.
Lo Scrasceta, dalle origini ai nostri giorni ………………………………………………………101
Stefano Tanisi, Lo scultore leccese Giuseppe Longo
e l’altare di San Michele Arcangelo nella Cattedrale di Nardò ………………….……… 117
Marcello Gaballo, Achille Vergari (1791-1875) e il suo contributo
per debellare il vajolo nel Regno di Napoli ……………………………………………………. 131
Alessandra Guareschi, L’arte “nazionale” di Cesare Maccari nella Cattedrale di Nardò ………………………………………………………………………………………………………. 147
Alessio Palumbo, Il mito di Saturno in politica: le elezioni del 1913 a Nardò ………………………………………………………………………………………………………. 185
Elio Ria, Piazza Salandra, un esempio di piazza italiana. ……………………………….. 193
Maurizio Geusa, Uno sconosciuto fotografo di Nardò al servizio dell’Aeronautica Militare ……………………………………………………………………………………………………… 199
Pino De Luca, Histoire d’(lio)……………..…………………………………………………………. 227
Letizia Pellegrini, Scritture private e documenti.
L’archivio privato di Salvatore Napoli Leone (1905-1980) ………………………………… 231
Massimo Vaglio, Olio e ulivi del Salento ………………..………………………………………. 257
Maurizio Nocera, Diario di un musico delle tarantate. Luigi Stifani di Nardò …………263
Valentina Esposto – Daniele Librato, L’archivio storico del Capitolo
della Cattedrale di Nardò. Inventario (1632-2010) ……………………..……………………. 289
Mino Presicce, Edizioni a stampa della tipografia Biesse di Nardò (1984 – 2015) …377
Pippi Bonsegna, Ricordo di Totò Bonuso una vita per il lavoro… e non solo

 

Minervino di Lecce. Le Tavole di San Giuseppe

Le Tavole di San Giuseppe: una tradizione ancora viva a Minervino di Lecce

di Mino Presicce e Loredana Cocola De Matteis

ph Loredana Cocola De Matteis (tutti i diritti riservati)

Nella tradizione religiosa San Giuseppe sposo di Maria, è il santo tutelare della casa e della famiglia.

Un’antica tradizione salentina vuole che il 19 marzo le famiglie benestanti facessero il “banchetto di San Giuseppe” (la taula ti San Giseppu) al quale venivano invitate le famiglie bisognose.

Con questa usanza il popolo suscitava e manteneva nel cuore degli uomini il dovere della carità e del rispetto per gli umili.

Nel corso degli anni in alcuni paesi, forse perché è cambiato il legame sociale e il rapporto con gli altri, questa tradizione è andata un po’ scomparendo; in altri piccoli centri, invece, questa usanza è ancora viva e le famiglie devote a san Giuseppe la preparano tutti gli anni in segno di ringraziamento delle

Minervino di Lecce. Le Tavole di San Giuseppe

Le Tavole di San Giuseppe: una tradizione ancora viva a Minervino di Lecce

di Mino Presicce e Loredana Cocola De Matteis

ph Loredana Cocola De Matteis (tutti i diritti riservati)

Nella tradizione religiosa San Giuseppe sposo di Maria, è il santo tutelare della casa e della famiglia.

Un’antica tradizione salentina vuole che il 19 marzo le famiglie benestanti facessero il “banchetto di San Giuseppe” (la taula ti San Giseppu) al quale venivano invitate le famiglie bisognose.

Con questa usanza il popolo suscitava e manteneva nel cuore degli uomini il dovere della carità e del rispetto per gli umili.

Nel corso degli anni in alcuni paesi, forse perché è cambiato il legame sociale e il rapporto con gli altri, questa tradizione è andata un po’ scomparendo; in altri piccoli centri, invece, questa usanza è ancora viva e le famiglie devote a san Giuseppe la preparano tutti gli anni in segno di ringraziamento delle

L’antichissimo rito del falò a Novoli, il più alto del Mediterraneo

Il rogo dei tralci di vite (sarmente) per la Fòcara di Novoli del Salento leccese

di Antonio Bruno

da http://www.industriadelturismo.com/falo-novoli-lecce/

 

«La Fòcara di Sant’Antonio», che si svolge ogni anno a Novoli del Salento leccese  dal 16 al 18 gennaio, registra dalle 80 alle 100mila presenze. In particolare nella tre giorni novolese del 2008 il flusso stimato delle presenze è stato di 80mila, nel 2009 di 100mila e nel 2010 di 95mila.  Il Sindaco di Novoli Vetrugno ha dichiarato: «Il gran falò che illumina la notte novolese è il segno d’identità di un popolo e di un territorio. Il percorso religioso da cui siamo partiti si è trasformato in un percorso turistico d’eccellenza particolarmente pregiato perché destagionalizzato e legato alla qualità del territorio e dei suoi prodotti. Il pellegrino, devoto al Santo, diventa il turista dell’enogastronomia e della cultura popolare». Ma è così che stanno davvero le cose?

gli ultimi ritocchi per la focara di Novoli del 2012 (ph Mino Presicce)

 

Le origini della Focara di Novoli

A Novoli nessuno sa quando si sia iniziato a riunirsi intorno al fuoco. In una nota della pro loco di Novoli si legge:
“la prima fonte scritta risale al 1893 in quell’anno “La Gazzetta delle Puglie” ricorda che il falò, a causa della pioggia non si accese. Secondo alcune fonti, nel 1905 una nevicata abbondante imbiancò il falò alla vigilia della festa.

Lo studioso di tradizioni popolari F.D’Elia, in un saggio del 1912, parla della sua costruzione come “di un rito antichissimo”. Comunque lo stesso D’Elia non scrive quanto sia antico e neppure a quanto tempo indietro c’è necessità di spingersi.

la focara di Novoli del 2012 (ph Mino Presicce)

 

La focara del Sud Est istituita da un Veneziano?

Sempre la Pro Loco di Novoli in una nota scrive: “L’origine della fòcara è materia controversa tra gli studiosi. Pare si faccia risalire intorno al secolo XV, quando ci fu una presenza veneziana a Novoli che esercitava il commercio sulla produzione locale di vino, olio e bambagia, e gestiva di un centro di allevamento di cavalli (La Cavallerizza).”
La presenza di commercianti veneziani a Lecce è ancora verificabile poichè costruirono nel Salento leccese anche i loro palazzi signorili; tra tutti, ricordo Il Sedile realizzato a Lecce in Piazza Sant’Oronzo nel 1592.
Di certo sappiamo che dal 1546 il feudo di Novoli conobbe un periodo di splendore sotto la casata dei Mattei, i quali fecero edificare il palazzo baronale e numerose chiese, fra le quali la chiesa di Sant’Antonio abate.

la focara di Novoli del 2012, La “catena umana” per passarsi le fascine e collocarle nella parte più in alto (ph Mino Presicce)

 

La foghera del Nord Est di Fulco Pratesi

Con grande interesse e meraviglia ho poi letto queste parole di Fulco Pratesi che ricordo a me stesso è il giornalista, ambientalista, illustratore  e politico italiano, fondatore del WWF Italia, di cui è ora presidente onorario:
“Di certo sappiamo che  nel Meridione i falò si incendiano sulle spiagge nella notte che precede il Ferragosto (15 agosto) e sono occasione per danze, cene all’aperto, tuffi collettivi notturni.
Nell’ Italia del Nord Est, soprattutto nel Veneto e nel Friuli Venezia Giulia, i falò si accendono invece nella notte dell’Epifania, tra il 5 e il 6 gennaio. Si tratta di una tradizione molto antica: prima ancora dei Romani, i popoli pagani festeggiavano in questo modo, dopo il solstizio d’inverno (21 dicembre) quando le giornate riprendono ad allungarsi, per invocare la benevolenza di Belenos (dio celtico del fuoco e del sole) e per allontanare gli influssi malefici. La tradizione di questi grandi falò non fu abolita dal Cristianesimo ed è giunta fino ai giorni nostri……
In tutti i casi i falò (in dialetto «foghera», «pignarul», «fugarisse», «focaraccio») servono soprattutto per far festa, per cercare di indovinare,  dall’andamento del fumo e delle faville,  come sarà l’anno da poco iniziato e banchettare con vin brulé (vino caldo aromatizzato con cannella e chiodi di garofano) e la tipica «pinza» (focaccia di farina di granoturco, pinoli, fichi secchi e uvetta).”
L’articolo di Fulvio Pratesi avvalora l’ipotesi che la focara di Novoli arrivi da Venezia! Non vi sembra?

tanti volontari per la focara di Novoli del 2012 (ph Mino Presicce)

 

La focara che facevo io alle case popolari di San Cesario di Lecce

“Signora nni tai ddo asche pe lla Fòcara??” (traduzione Signora ci regali un po’ di legna per fare un bel Falò?). Ero un ragazzino con i calzoni corti e con i miei compagni di giochi, tutti regolarmente “di strada”, bussavamo alle porte delle case. Altro che “scherzetto o dolcetto” di memoria anglosassone con al loro Halloween, noi lo scherzetto lo facevamo al freddo organizzando la sua fine attraverso una bella Fòcara (Falò).
Tutti quanti impegnati con le gambe livide di freddo a “carisciare asche” (traduzione: trasportare la legna) che accumulavamo nel campo non coltivato che era di fronte al rione delle “Case Ina” (oggi la chiamano 167 come fosse una macchina dell’Alfa Romeo). A seconda della generosità delle signore “la fòcara” diveniva più o meno alta. L’opera di noi bambini era allietata da teorie costruttive per rendere più alta e stabile la Pira e dall’ ansia per l’attesa dell’accensione.
Tutte le persone delle “CASE INA”, che avevano contribuito con la loro legna a quella splendida manifestazione di energia e luce, si avvicinavano al fuoco, si scaldavano e si raccontano cose che non avevano avuto modo di raccontarsi sino ad allora.
Persone che non si frequentavano abitualmente, avevano l’opportunità di parlarsi, di scambiarsi carezze che comunicavano, che provocavano meraviglia e curiosità.
Uno scialle sulle spalle delle donne e il braciere in mano,…quello di rame dura poco, quello di bronzo dura di più… La paletta e…”attento a non scottarti” che la brace brucia, per metterne dentro al braciere e aggiungere in un secondo tempo la “carbonella” ricavata dal guscio delle mandorle, o il carbone fossile.
Tutte le “CASE INA” intorno al fuoco, senza distinzione di età, sesso, ceto sociale e religione. Tutti sono ammessi vicino al fuoco, tutti sono attratti da quel rimbalzante falò che accende l’emozione e scalda i cuori.

la focara di Novoli del 2011 (ph Mino Presicce)

 

Una fòcara per avvicinarsi a casa

E se oggi fossi da qualche parte del mondo e volessi assaporare un po’ di odore di Salento leccese? Magari in preda alla nostalgia, sarei tentato di convincere gli indigeni a costruire un grande falò, per sentire il calore di casa mia, lontano come sono, da qualche parte del globo.
Quel veneziano che commercia i vini di Novoli, io me lo immagino così. Fa buoni affari, acquista il vino del Salento leccese e lo imbarca a Brindisi o a San Cataldo, e lui 500 anni fa è sempre li, per non perdere gli affari, mentre Venezia e la sua umida laguna sono terribilmente lontane.
Il ricco nord est di 500 anni fa che, per fare affari, staziona nel Salento leccese e i veneziani ci costruiscono i loro “Sedile” e le loro residenze e lo fanno rispettando lo stile che hanno a casa loro, lo stesso identico stile della Repubblica di Venezia!

la focara di Novoli del 2011 (ph Mino Presicce)

 

Una proposta al Sindaco di Novoli

Peccato che nessuno sappia come si chiami questo commerciante di Venezia, peccato che nessuno abbia raccolto le sue confidenze e ce le abbia tramandate, per sapere se era innamorato di una bella donna di  Venezia e soffriva per la sua lontananza, oppure se si era dato al commercio lontano da casa per dimenticare un amore che l’aveva fatto soffrire.
I cittadini di Novoli del Salento leccese non ricordano più il nome del commerciate veneziano che amava il fuoco e i cavalli. Dimenticato per sempre.
Strano destino per quelli che scoprono il fuoco o che ne propagandano l’uso. Nessuno ricorda chi è riuscito ad accendere il primo fuoco e nessuno ricorda chi sia l’uomo di Venezia che ha propagandato il fuoco “la focara” di Novoli che porta tanta ricchezza a questa cittadina.
Caro Sindaco Vetrugno visto quello che la città ricava dalla Fòcara,  perché non finanzia una ricerca finalizzata a fare chiarezza e, se emergessero delle novità che comportino la scoperta del nome del misterioso commerciante veneziano, magari proporre alla cittadinanza, visti i grossi affari per tutti,  di fargli un bel monumento? Non le sembra sia il caso?

ph Mino Presicce

 

Bibliografia
La focara di Novoli http://www.cisonostato.it/italia/puglia/3,26,13/viaggi/la-focara-di-novoli/2369/1.html
Fulco Pratesi, Il falò dell’Epifania: lo sapete perché si brucia la Befana?
Antonio Bruno, Un fuoco per illuminare la curiosità accendere le emozioni e scaldare i cuori. http://www.freeonline.org/articoli/com/cs-48645/Un_fuoco_per_illuminare_la_curiosit_accendere_le_emozioni_e_scaldare_i_cuori
http://www.iltaccoditalia.info/public/files/focara2011_scheda%20artisti_16%20gennaio.doc

Un ulivo non piange…

ph Mino Presicce

di Michele Stursi

Questa è la storia di un esproprio. Una sentenza ingiusta, proclamata da un ignobile giudice, ci ha privato senza alcun preavviso del nostro spazio vitale, costringendoci in pochi, risicati metri quadrati. Chi non fosse a conoscenza dell’accaduto, crederebbe che queste siano le farneticazioni di un piccolo e fragile arbusto. Si sbaglia costui, perché a urlare la sua rabbia è un raggrinzito e incazzato ulivo.
Questa è la storia di un esproprio, dicevamo, ma non pensi il lettore che in codeste note si vadano a esporre le ragioni di una delle parti, quella perdente si intende. Non saremmo in grado di tenere discorsi molto lunghi allo scopo di persuadervi, non conosciamo le leggi dell’ars oratoria, né tantomeno ci intendiamo di diritto agricolo.Il nostro è un racconto e come tale ha la sacrosanta urgenza di essere raccontato, affinché gli uomini, specie egoista per natura, si sentano in colpa in ogni singolo attimo della loro futura annaspante esistenza.
Albeggiava quando giunsero in sella ai loro portentosi e assordanti ronzini. La luce del sole vezzeggiava le nostre foglie argentee e la rugiada ingioiellava la fredda corteccia; una brezza leggera solleticava le nostre fronde e un brivido fulmineo, di risposta, scorreva nella linfa per tutto il tronco, portandosi sino alle radici, per poi perdersi nel terreno.
Credevo che nulla al mondo sarebbe stato in grado di dissuadermi dalla convinzione che ogni mattino è concepito nel silenzio più intimo, incontro tra la nostalgia della notte, sbiadita dalla fioca luce della luna, e la speranza del giorno, che si riflette nel nuovo sole. Quello che vidi però mi fece ricredere: gli uomini avanzavano sicuri, calpestando quella stessa natura che li aveva dato la vita, e si dirigevano proprio verso di noi. Nel pugno di quella chiassosa

Olivi del Salento.4

ph Mino Presicce

L’ulivo che a gli uomini appresti

 
la bacca ch’è cibo e ch’è luce,

 
gremita, che alcuna ne resti

 
pel tordo sassello;

 
l’ulivo che ombreggi d’un glauco

 
pallore la rupe già truce,

 

Non vuole,

per crescere, ch’aria, che sole,


che tempo, l’ulivo!

 

Arneotrek. Cronaca di un’escursione guidata

ph Mino Presicce – ripr. vietata

 Camminando per il Salento: il territorio dell’Arneo

di Mino Presicce

L’Arneo: vasto territorio posizionato nel cuore della penisola salentina, in passato scenario di sanguinose lotte contadine.

L’Arneo: terra di latifondi, distese immense di pascoli, uliveti, macchia mediterranea; territorio aspro, crudo, arido, rifugio di briganti.

L’Arneo: terra rossiccia, terra deserta, terra assetata.

Per chi ha la fortuna di esplorarlo, oggigiorno,  l’Arneo conserva ancora le cicatrici di un indelebile e triste passato. Quella fortuna noi l’abbiamo avuta e grazie all’abilità nonchè all’esperienza di Roberto (la nostra guida) in un caldo pomeriggio di luglio, abbiamo girovagato per una quindicina di chilometri, lungo i tortuosi sentieri dell’Arneo. Abbiamo visitato masserie, ville gentilizie, dimore signorili e incontrato, lungo il cammino, ruderi di antiche abitazioni, furnieddhi [1], vecchi pozzi per la raccolta dell’acqua piovana, torri colombaie, abbeveratoi per animali, ecc.

ph Mino Presicce – ripr. vietata

La nostra spedizione è partita da masseria Carignano Grande, in territorio di Nardò. Lo scenario che si presenta davanti ai nostri occhi è quello di un paesaggio in via d’estinzione: un impianto masserizio cinquecentesco con masseria fortificata (ben visibili ancora oggi le numerose caditoie lungo il perimetro della costruzione), ampio giardino con cisterne, chiesetta con campanile a vela e, poco distante, la torre colombaia. Già il primo impatto è

L’amore passato e presente (e non solo…) in 14 proverbi salentini

14 FEBBRAIO, SAN VALENTINO: L’AMORE PASSATO E PRESENTE (E NON SOLO…) IN 14 PROVERBI

 

di Marcello Gaballo e Armando Polito

Non chiediamo scusa, sia chiaro, per aver celebrato a modo nostro, sicuramente non convenzionale, questa ricorrenza e, in generale. l’amore. Lo faremo solo se qualche lettore (dubitiamo che sarà, paradossalmente, una lettrice…) ce ne darà un motivo la cui validità, poi, oltretutto, sottoporremo al vaglio di tutti. D’altra parte la serietà dell’argomento, lo diciamo senza ironia, ci ha dissuasi dal corredarlo,  all’inizio, di qualsiasi immagine, fosse solo una simpatica vignetta, in funzione ritualmente edulcorante; poi, invece …

  

 
 
 

 

collezione privata Mino Presicce

 

 

AMA CI CRESCE E NNO CI PARTURESCE

(Ama chi cresce e non chi partorisce)

Il pensiero vola ai neonati (sopravvissuti) la cui prima culla è stato un cassonetto, e (altra perversione umana…pensando alle adozioni sublimi anche tra specie diverse che le cosiddette bestie sono in grado di attuare) agli uteri in affitto.

 

AMA L’OMU CU LLU ‘IZZIU SUA

(Ama l’uomo col vizio che ha)

Tutto dipende dal vizio che ha.

 

AMORE TI PATRUNI AMORE TI FRASCUNI

(Amore di padroni, amore in mezzo a folte frasche)

In passato il verbo ‘nfrascare era sinonimo di “darsi alla macchia” per sfuggire alla cattura o per soddisfare, naturalmente da parte del maschio, rapporti sessuali “illegittimi”. Oggi, addirittura, si mobilitano fotografi e cameramen per immortalare l’evento che si verifica in un ambiente magari meno ecologico quale può essere un pied-à-terre (diventato, nel frattempo, un attico) , o peggio, se ne fa una ragion di stato per non abbattere un governo il cui capo, però, trova più comodo parlare di complotto della magistratura, naturalmente di sinistra1, che presentarsi davanti ad essa col fior di avvocati (peraltro parlamentari…di destra) che pure ha a sua disposizione.

 

collezione privata Mino Presicce

 

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