Ulivi ricurvi, intrecciati in un abbraccio spasmodico di vita, avvinghiati alla terra con le loro radici eppure anelanti al cielo, fermi immobili nel perenne scorrere delle cose eppure in continua mutazione, sempre uguali a se stessi pure rinnovandosi e trasformandosi nell’alternarsi delle stagioni.
Questo almeno erano gli ulivi, i patriarchi verdi della nostra Puglia, ideali sentinelle del tempo che passa, prima che un flagello dalle proporzioni bibliche intervenisse a falcidiarli, portandoli ad un lento ed inesorabile declino.
Questo morbo è la xylella fastidiosa (nomen omen, purtroppo), che isterilisce i giganti della nostra terra, li priva della loro linfa vitale e li condanna senza appello. Assistere desolati alla moria degli ulivi, quando nemmeno le condizioni di maggiore siccità di questa “Apulia sitibonda”, come la definì Orazio, ci sono riuscite, è una esperienza straziante.
Il paesaggio salentino sta velocemente mutando, e capita, percorrendo strade e stradine lambite dalla campagna (tutte, o quasi, nel Salento), di vedere con raccapriccio enormi zone brulle là dove verdeggiava vigoroso e intricato il fitto fogliame, ed ora regna invece un bircio marroncino per lo più sgottato dall’indifferenza dei passanti, che a questo scenario da day after stanno drammaticamente facendo l’abitudine.
La perdita dei connotati larici del paesaggio nostrano, così fortemente iconizzato dagli alberi d’ulivo, come un buco nella tela del pittore, una malvoluta tabula rasa in uno scenario da paese sud asiatico spaventosamente attraversato da uno tsunami, conferisce a questa terra un aspetto alieno, quasi fosse sceso su di essa un nero sudario di morte. L’ulivo, cantato dai poeti, simbolo di pace e vittoria nell’araldica, “Hoc pinguem et placitam paci nutritor olivam“, “nutriti di questa oliva pingue e alla pace gradita”, scrive Virgilio (Georgiche, Libro II, vv. 420-425), è forse la pianta più famosa nella storia dell’umanità, da quel primo albero fatto spuntare dalla Dea Athena sul suolo greco, nella mitologica disputa con il dio Nettuno, al ramoscello di olivo portato in bocca dalla colomba partita dalla biblica Arca di Noè, dopo il diluvio universale, fino agli ulivi dell’orto del Getsemani, il luogo dell’agonia e dell’arresto di Gesù Cristo.
L’ulivo, noto già ai babilonesi, agli egizi, agli ebrei, ai fenici, agli etruschi, era conosciuto a Cnosso, nell’isola di Creta, quindi caro a quella civiltà minoica che molti studiosi hanno ritenuto antesignana della più tarda civiltà greca, e già presente negli ideogrammi della scrittura micenea nel 1400 a.C..
Questa pianta sempreverde viene cantata nella poesia classica a partire da Omero che, nell’Iliade scrive: “Qual d’olivo gentil pianta, nutrita in lieto d’acque solitario loco, bella sorte e frondosa: il molle fiato l’accarezza dell’aure, e, mentre tutta del suo candido fiore si riveste, un improvviso turbine la schianta dall’ime barbe e la distende a terra;” (Omero, Iliade, Libro XVII). Ne parlano Catone il vecchio nella sua opera De agricultura e l’erudito Varrone nel suo trattato Rerum rusticarum libri tres: “Le tue rare virtù non furo ignote/ alle mense d’Orazio e di Varrone/ che non sdegnàr cantarti in loro note”, scrive D’Annunzio (Gabriele D’Annunzio, L’olio, vv.9-11). Mentre si assiste impotenti ad una simile agonia, vien fatto di pensare con scoramento a tutto questo e alle tante raffigurazioni pittoriche e scultoree dell’ulivo nella storia dell’arte.
Quell’ulivo di cui Sofocle diceva: “una pianta che su terra d’Asia non so, né che di Pelope germini sulla vasta isola dorica”, alludendo al fatto che l’ulivo non fosse nato in Asia minore, men che meno nel Peloponneso, ma che esso, secondo la leggenda, fosse stato fatto spuntare dal suolo dalla dea Athena riconoscente alla nazione attica; e ancora: “indomita, spontanea, venerato terrore delle lance desolatrici, fiorente rigoglio di queste zolle: il glauco paterno ulivo. E mai né antica né giovane mano di nemico invasore lo stroncherà facendone sterminio, poiché lo veglia eterna la pupilla mai chiusa di Giove Morio, e, glauco, l’occhio di Atena”. (Sofocle, Edipo a Colono, vv. 690-704). Non fu verace profeta Sofocle, perché né Giove, invocato come protettore degli ulivi, dal greco morìai, né la Pallade Athena “occhiazzurrina”, hanno saputo purtroppo difendere i giganti verdi, e il terrore alle lance nemiche che essi dovevano incutere (in quanto intesi come alberi della pace) è quello dei Caterpillar che li abbattono.
Ma poi che la terribile pestilenza delle piante, l’invisa xylella, tragica precorritrice di quella, ancor più temuta, degli umani, ovvero il covid 19, si è abbattuta sugli ulivi, condannandoli ad una fine senza gloria, ad accelerare il processo di disfacimento è intervenuto lo stato di bisogno dei contadini, misto alla miserabile ma pur sempre umana brama di lucro, dacché è stato predisposto prima, dal cosiddetto “Piano Silletti”, con i fondi della Comunità Europea, un contributo di circa 140 euro per ogni albero abbattuto, e poi, più recentemente, stanziata la concessione di contributi per un totale di svariati milioni, per il loro reimpianto nelle zone infette. I finanziamenti per l’abbattimento delle piante hanno suscitato appetiti e dato adito a stratagemmi per aumentare il premio ristorativo, solo in parte giustificati dalla situazione di emergenza che vivono gli operatori agricoli.
Cosicché gli ulivi, da archetipi di longevità, simboli di ininterrotta armonia fra uomo e natura, oggi diventano pretesto per strappare un po’ di denari illeciti.
La Puglia e specificamente il nostro Salento furono da sempre mèta di viaggiatori e turisti stranieri, ammirati dalle incomparabili bellezze paesaggistiche offerte dal territorio. Il fenomeno del Grand Tour, fra Settecento e Ottocento, ossia il viaggio di istruzione e di formazione, ma anche di divertimento e di svago, che le élites europee intraprendevano attraverso l’Europa, vedeva protagonisti non solo i giovani rampolli delle famiglie aristocratiche, ma anche diplomatici, filosofi, collezionisti, romanzieri, poeti, artisti, per i quali il “viaggio in Italia” rappresentava un’esperienza irrinunciabile. Ciò diede origine ad una sterminata produzione di epistolari, reportages, diari di viaggio, racconti, romanzi. Così i nostri ulivi sono stati ammirati, descritti e cantati da inglesi, tedeschi, francesi, olandesi, svedesi, svizzeri, polacchi. E se ancora ai nostri giorni gli “assolati uliveti”, per dirla con Pablo Neruda (Ode all’olio) hanno portato moltissimi oriundi da ogni parte d’Italia a trasferirsi qui nel Salento, eletto a buen ritiro, ciò è stato determinato da quell’affatturante nòstos, quasi una struggente nostalgia del non vissuto, con cui essi li hanno saputi avvincere.
L’ulivo racconta la memoria di un popolo, è simbolo identitario, oggi più che mai, perché, in quanto pianta duale, celeste e terragna, connubio di umano e divino, allegorizza il presente destino di morte e di rinascita, diviene vessillo di speranza e di riscatto: la speranza che, con le nuove cure che riuscirà a portare la scienza, attraverso un lungo processo di metamorfosi, giunga la rinascita per purificazione che riscatti anche l’umanità. E quale immagine di intensa speranza, più che mai belli e vibranti sentiamo allora quei versi di Nazim Hikmet (Alla vita) che, parafrasati da Roberto Vecchioni (Sogna, ragazzo sogna) dicono di quel contadino che a settant’anni pianterà degli ulivi convinto ancora di vederli fiorire.
La “passione” degli ulivi, in Elegia dell’ulivo. Riflessioni. Emozioni. Ricordi, a cura di Associazione Autori Matinesi, Matino, maggio 2021
I paesaggi dell’olivo pugliese e le minacce dei tempi moderni
Mostra – fotografica
Campi Salentina 25-28 novembre 2016 Istituto Calasanzio
La diffusione dell’infezione di Xylella fastidiosa in Salento sta portando nel volgere di pochi anni, alla trasformazione del paesaggio, attraverso la perdita di una coltura caratterizzante per la storia del Salento, della Puglia e dell’intero Mediterraneo. Le minacce del paesaggio dell’olivo non provengono solo dalla diffusione del batterio Xylella fastidiosa, ma vi sono altre minacce non di minore importanza: la costruzione d’infrastrutture spesso troppo invasive, il consumo indiscriminato di suolo agricolo per nuove costruzioni, una tecnica agricola non sempre rispettosa del paesaggio e dell’ambiente.
Collettiva fotografica di: Fernando Bevilacqua, Carlo Bevilacqua, Pino Cavalera, Mauro Minutello, Giovanni Resta, Rosanna Merola, Antonio Ottavio Lezzi, Francesco Tarantino.
Incontro di presentazione della mostra fotografica
Sabato 26 novembre 2016, ore 11.30-13,30
Sala Consiliare Comune di Campi Salentina
Saluti Egidio Zacheo Sindaco di Campi Salentina
Cosimo Durante Presidente Fondazione città del Libro
Interventi
La tutela e valorizzazione dei paesaggi dell’olivo Pugliese
Anna Maria Curcuruto -Regione Puglia Assessore alla Pianificazione territoriale-
– Urbanistica, Assetto del Territorio, Paesaggio, Politiche abitative
Gianni Ippoliti in video messaggio
Paesaggio dell’olivo ed agricoltura
Vittorio Marzi –Accademia dei Gerorgofili Firenze –Presidente Sezione Sud- Est
Giovanni MercarneOlivicoltore Agronomo
Tutela del paesaggio ed infrastrutture
Lorenzo Ciccarese, in video messaggio, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra).
Scatti d’autore di Mauro Minutello – testi di Elio Ria
prefazione di Pier Paolo Tarsi, a cura di Marcello Gaballo
Edizioni Fondazione Terra d’Otranto – Collana Scatti d’autore n°1
formato A/4, cartonato, 84 p., stampa colore
ISBN: 978-88-906976-4-7
La lettura del libro e il godimento delle immagini rimanda ad un ulteriore dire in un panorama ampio di dettagli della terra salentina. Un libro “incompiuto” dove l’esaltazione dell’insieme è demandata al lettore. Il poeta e il fotografo hanno sottolineato ciò che hanno voluto secondo i propri interessi, in condizioni di imparziale attenzione, assumendo anche le vesti di spettatori trasognati.
Indubbiamente le immagini e i testi sono frutto delle abitudini e ossessioni degli autori: difatti in qualsiasi trattazione tematica fotografica e testuale affrontata, parlano in fondo di sé stessi, del proprio bisogno di trarre dalla geniale creazione di Dio un frammento concettuale per magnificare la sua opera.
La voglia di dire e di raccontare qualcosa che sfugge all’attenzione, e di cui non si avverte il valore, è palesemente suffragata dall’impegno del poeta Elio Ria e dal fotografo Mauro Minutello, i quali hanno dimostrato come la bellezza di un fiore resta tale anche se non c’è nessuno a contemplarla.
L’opera tenta di agganciare il lettore all’intorno di un mondo come l’odierno in cui tutto è uguale a tutto in osservanza della soddisfazione dei bisogni. Decelerare, soffermarsi a contemplare il significato della reale bellezza dei luoghi diventa un esercizio che rafforza le certezze di un’idea, sviluppatasi non solo per meravigliare gli occhi ma anche per traslare significati di architettura della natura. Il linguaggio dei luoghi è affine a quello della lingua.
Traspare nel volume edito da Fondazione di Terra d’Otranto il criterio di non deviare sia in parole che in immagini dal verisimile, rispettando ciò che gli occhi hanno visto – e comunque – in una sorta di resfictaoargumentum, vale a dire la res ficta è inventata sì, ma entro i limiti del verisimile, seppure in alcuni testi la poesia tende a colpire con lo splendore della forma: mirando a immaginare fantasie ma anche cose incredibili. Il poeta giustifica in questo modo la propria licenza di trattare cose impossibili al fine di rendere sorprendente e interessante la sua opera. Di converso il fotografo ha estrapolato da un contesto più ampio un dettaglio che – a parere suo – potesse illuminare con la fissità dell’immagine qualcosa che sfugge all’abitudine degli occhi. Si può dire che entrambi gli autori sono riusciti a dissimulare e a rendere gradevole persino l’assurdo, infrangendo le regole visive della verità, inducendo gli occhi a ragionare concetti di bellezza e di ulteriore dire, nel tentativo di conquistare gli occhi degli altri. Lo stupore dell’impossibile è un bisogno dell’uomo e i testi quando ne sono ricchi svolgono un compito preciso. Ricorrere alla finzione vuol dire allargare per un momento lo spazio del reale, muovere passi in zone normalmente vietate entro la logica della narrazione che si mantiene in un sistema coerente di rapporti tra possibile e impossibile.
Il volume, di pregevole fattura, assume l’onere della divulgazione conoscitiva di alcuni luoghi del Salento, rendendo partecipe il lettore alla realtà, la quale è assumibile a un modello che descrive la riconducibilità della vita umana a essa. Modello che può anche fornire chiavi critiche, che può favorire un’evasione, oppure appagarsi della sua contemplazione o riportarlo alla realtà che esso produce fittiziamente.
Il palcoscenico è l’immagine tratta da uno scenario naturale, la parola è il sostegno ad essa per coniugare nuove visioni e una validazione della fantasia. Il libro è da considerarsi a tutti gli effetti un coraggioso tentativo di connubio poetico-artistico che fa da contraltare ai canoni classici della letteratura e della fotografia, dimostrando che è possibile muovere insieme immagini e parole in un contesto regolato dalla ciclicità degli eventi naturali; inoltre la reversibilità del tempo, gli scambi reciproci fra immaginazione e vita, moltiplicano all’infinito i rapporti soggetto-oggetto. Ria e Minutello hanno teso al massimo il filo che collega il reale all’irreale: amplificando, modellando, cose quotidiane di un creato che può ancora meravigliare.
Vorrei conoscere il sentiero che seguono i ricordi per tornare alla mente. A volte sono così lontani che non si ha più idea di averli custoditi con cura.
Lunedì pomeriggio 2 giugno 2014 , pulisco l’attrezzatura fotografica, quando, chissà perché, inizia a tornare alla luce l’immagine di mio nonno, quando veniva a prendermi da casa e mia madre dopo avergli aperto l’uscio mi chiamava… “corri, il nonno è venuto a prenderti, mi ha chiesto se vuoi andare con lui”.
In un attimo ero fuori pronto a sedermi sulla canna della sua bicicletta color argento e lui dopo aver salutato con un sorriso mia madre iniziava a pedalare, con quella cadenza sempre uguale, da movimento perpetuo.
Dopo la partenza iniziava a raccontare tante storie fantastiche che mi portavano lontano, prendendo per mano i pensieri di bambino.
Quel pomeriggio del giugno di 48 anni fa mi disse “andiamo a trovare Giovanni e suo fratello, loro d’estate vivono in campagna vedrai che ti piacerà. Sanno preparare i fuochi d’artificio e se fai il bravo gli chiederò di farlo per te”. Non proferii parola, sin quando non mi disse “vedi quei due alberi alti.. ? Siamo arrivati, il loro giardino è là”.
Una volta entrati, Giovanni, che il nonno aveva salutato con un rumoroso “buona vespra”, usci dalla casupola a torso nudo, con i pantaloni tenuti su da una corda legata in vita con un doppio nodo. Fu grande la mia sorpresa quando mi accorsi che era scalzo, la pelle color bronzo, secco da far paura. Rispose, sorridendo “a signuria maestro Ciccio”. Finiti i convenevoli si sedettero sullo scanno di pietra a parlare, mentre io, trasformatomi in esploratore, prendevo il largo con il benestare di entrambi..
La voce di mio nonno mi riportò alla realtà quando mi chiese “ha detto Giovanni se vuoi vedere i fuochi, lui ha preparato i tubi, ma devi andare a chiamare suo fratello che dorme sotto quel noce. Lo vedi, è quell’albero grande dopo il campo di grano, corri, su!”
Arrivato sotto i rami dell’albero immenso lo vidi sdraiato su un vecchio telaio da tabacco su cui aveva steso una coperta. Stava fumando. Dopo avermi guardato con gli occhi che brillavano disse “dammi una mano ad alzarmi, cavaliere”. La cosa che mi colpi fu il folto baffo grigio con i peli ingialliti dalla parte dove reggeva il sigaro con le labbra. Mentre tiravo a me la sua mano rugosa, mi sentii veramente un cavaliere, nonostante avessi ancora i pantaloni corti.
Giovanni aveva infisso nel terreno due paletti, con su un tubo metallico, da cui nella parte inferiore usciva una piccola miccia, lunga non più di cinque centimetri.
Il fratello armeggiò per alcuni minuti con dei sacchetti di polvere diversi, con fare da alchimista, poi disse “allontanatevi, che accendo”. Pochi secondi dopo il primo botto ed il cielo si riempì di colori fantastici. Per tre volte rimasi senza fiato a guardare la sua magia, mentre il cuore mi batteva forte per l’emozione. Il sole stava per tramontare quando ci avviammo sulla strada del ritorno dopo aver promesso a Giovanni che saremmo ritornati…
Ho appena finito di pulire la macchina fotografica quando una delle mie idee strane viene alla luce: “perchè non tornare lì… deve essere da queste parti, non molto lontano. Sì, basta lo zoom corto, due minuti dopo salto il muro di recinzione di casa e mi avvio tra le erbe alte. Purtroppo gli alberi alti non ci sono più.
Dopo un pò ho il presentimento di essere assai vicino, ma non ho idea di dove sia esattamente, finchè un vecchio contadino mi grida da lontano: ” Heii, heii, dove vaii? chi cerchi? è proprietà privata!”. Lo saluto alzando la mano destra, mente mi avvicino all’ingresso del suo podere mi fermo e dopo aver salutato come una volta: “buona vespra”. Chiedo se posso entrare, si toglie la coppola e mi chiede chi io sia. Gli spiego che cerco il fondo di Giovanni e suo fratello, che erano miei lontani parenti e comunico il desiderio di rivederlo. Solo allora mi saluta con un “signurìa si giovane. Doi minuti e si rrivatu”. Quindi mi indica la strada, senza immaginare che mi avrebbe atteso sul ciglio della strada per verificare di aver individuato ciò che cercavo.
E’ una strana sensazione quella che si prova tornando nei luoghi dei ricordi, Non ci sono più Gionanni, il fratello e mio nonno; il terreno è incolto e le erbacce chiudono l’ingresso della casetta, ma nel momento in cui mi sono seduto per terra, come allora li ho tutti rivisti, seduti a parlare, assorti del loro lavoro. Anche il vecchio noce è spoglio. Anche con lui gli anni sono stati duri. Scatto una sola unica foto e vado via. E’ giunto il momento di riporre in buon ordine i ricordi.
Qual è la stravaganza di questo pensiero annuvolato, reciso dal cielo di aprile ancora? Come le corna dei ruminanti sprona la ragione ad un’idiozia arricciata, nociva, impigliata nel da farsi di una sera inconcludente. Questioni intricate condannate al rogo della convenienza si stemprano allorquando il fuoco è ancora nell’idea di una sentenza.
Vi è la fierezza della disperazione che invece di spegnersi in un accomodamento certo, muore nell’ispirazione dello scrittore che da…l pungolo della stravaganza si sottrae per intelligenza e onestà.
Rimane la pioggia di una domenica a significare l’indizio di una teoria sostenuta che ha bisogno di qualcuno che la sostenga.
Il malefico Zuckerberg pone la domanda in questo luogo non luogo. A cosa stai pensando … il suo successo deriva dal fatto che nessuno è più interessato ai pensieri dell’altro. Chi te lo chiede oggi: “a cosa stai pensando?” Se ti permetti di proferirlo di tua sponte ti trovo qualcuno che cambia posto, discorso o semplicemente gioca con lo smartphone.
E allora i tuoi pensieri li devi affidare al non luogo se vuoi che diventino tangibili anche a te stesso. Ed i miei pensieri s…tanno alle tante persone che mi vivono vicine, in condizioni di grandissima povertà e di enorme dignità. Che al supermercato comprano (si fa per dire) un pacco di spaghetti o (esclusivo) un litro di latte, e hanno gli occhi lucidi e bassi. Poi vai ad acquistare i giornali, noi che siamo nati negli anni ’50 compriamo sempre I giornali. Cinque Euro per nutrire la curiosità. Uno sguardo e ti accorgi che la merda è sempre la stessa, che raccontano di ieri, forse di oggi, mai di domani. I nomi son sempre uguali e non hanno mai gli occhi lucidi e bassi e, forse, non sanno quanto costa mezzo chilo di pasta o un litro di latte.
I poveri hanno un nome comune in questo paese, si chiamano ISTAT, tutti insieme, privati anche della dignità di un nome. Salario di cittadinanza, riduzione del cuneo fiscale, riduzione immediata e grande dei prezzi dei beni di prima necessità. Tassare il pane, la pasta, il latte è una vergogna in queste condizioni. Sono scomparsi dall’agenda politica. I rivoluzionari passano il tempo a combattere i fantasmi, i conservatori passano il tempo a conservare i privilegi, gli innovatori l’hanno presa alla larga. E Giovanni, Salvatore, Luigi e le loro famiglie sperano in un giorno nel quale qualcuno permetta loro di guadagnare venti Euro in nero, magari pulendo un giardino o pitturando per l’ottava volta un portoncino di ferro, che non ne avrebbe bisogno, ma il suo proprietario sa che se offre venti Euro di sostegno Giuseppe non li prende e allora gli fa pitturare il cancelletto.
I nomi sono falsi ma le storie sono vere. E un mercoledi 12 febbraio 2014 principia da un’alba stanca, densa di pioggia. Ma noi non dobbiamo stancarci, pochi, reietti e derisi, appesi alla folle idea di uguaglianza dobbiamo da andare avanti perché un altro mondo è possibile.
Buon giorno mondo, non mi rassegnerò mai alla tristezza.
E’ stata inaugurata a Maglie, presso la Libreria Universal, la mostra fotografica di Mauro Minutello, nostro validissimo collaboratore ed amico, che resterà aperta fino al termine dell’anno, con ingresso libero.
Con una soluzione originale e senz’altro piacevole, tra i libri troveranno posto alcuni degli scatti più interessanti dell’artista, che da tempo, timidamente e rispettosamente, esprime particolare sensibilità ed amore per la terra in cui vive ed opera.
Nelle fotografie di Mauro Minutello le persone sono assenti, emergendo invece le loro opere, specie quelle dei tempi che furono, le cui antichità sembrano sfidare l’obiettivo pur di evocare inconsapevolmente antiche nostalgie e perle di saggezza di abili costruttori e coraggiosi massari, specie quando il fotografo adopera sapientemente il bianco e nero, con inquadrature che trasformano quelle opere in icone di una mitica terra come il Salento, che Mauro ama e riesce ad immortalare, fino ad evocare il misticismo di luoghi e anfratti che solo lui sa scovare.
Una terra luminosa e distensiva la sua, straordinariamente ricca e generosa, tanto da offrire piante e animaletti che difficilmente si notano se non li si va a cercare, magari appostandosi per ore e giorni, come riesce a fare solo un innamorato.
Perchè di amore si tratta, e solo questo riesce ad esaltare pietre a secco e pajare, giunchi e acquitrini, fichidindia e corbezzoli, rivalutando anche l’ultima foglia della vite che la stagione ha destinato alla fine.
Un occhio di riguardo Mauro lo riserva all’ulivo, l’eterna pianta che gioca a mettersi in posa, provocando la fantasia dello spettatore con le sue innumerevoli rughe, tronchi e fronde rabbiose e fragili, protese verso quel cielo che solo questa terra tra i due mari possiede, piantati in quelle distese senza tempo che richiamano il senso della vita, reclamando il diritto alla libertà di epressione, trattenendosi a forza tra le rosse zolle dell’arida terra salentina, con una lotta perenne con quanti li vorrebbero sradicati per farne buona legna da ardere.
Visitare una mostra di Mauro equivale ad un percorso nella memoria e negli ideali del Salento, tra simboli contraddittori del nostro vivere quotidiano che potrebbe sedare l’ansia dilagante, che certamente scemerebbe di fronte a quelle scenografie affettuosamente immortalate, senza distinzione tra terra e mare, sabbia o scogli, città o campagna.
Una visita alla mostra è il minimo che si possa fare, magari lasciandosi dietro la frenesia degli acquisti natalizi, alla ricerca di luoghi e paesaggi che difficilmente qualcun altro riesce a presentare così bene.
Le voci circolavano già da alcuni giorni, ma domenica 17 novembre 2013, tanti cittadini attenti hanno voluto verificare con i loro occhi, e si son recati nelle aree definite “rosse”, di massima pesantezza del fenomeno (dette anche “d’insediamento”), ma vi hanno trovato gli alberi d’ulivo, che nei mesi scorsi avevano perso le foglie, in pieno vigore rigenerativo, e non solo dalla base vi stanno spuntando innumerevoli polloni, ma anche nuovi germogli dai grandi tronchi, nelle parti alte. Tutto questo in uliveti abbandonati, che non hanno subito nessun intervento “curativo”, (potatura del secco o trattamenti specifici su piante e suolo) ed è tutto un tripudio di germogli e di nuova vivissima vegetazione!
Le tante foto, che smascherano il bluff del “mal affaireXylella”, messe subito in rete, hanno avuto, in pochissimo tempo, un’ immensa condivisione che continua in queste ore.
L’indignazione è tanta nei cittadini del Salento, e non solo! Ad accorgersi di tutto questo anche alcuni giornalisti più attenti e critici che, nei giorni scorsi, sui quotidiani locali avevano parlato di ulivi, che come dei “Lazzaro” dei Vangeli, stavano risorgendo proprio nelle aree dove gli strani tecnici, comparsi nella vicenda, avevano parlato di “cimitero” di ulivi.
Dicevano, dopo solo pochissimi giorni di sopralluoghi: “le piante d’olivo si son eradicate lì da sole, sono morte e non c’è alcuna speranza!”. E, poi, persino chi diceva: “i terreni lì sono ormai contaminati e mai più vi potrà essere ripiantato l’olivo”, sebbene poi anche alcune varietà di olivo, nella “zona rossa”, non hanno mai presentato alcun disseccamento! L’area interessata comprende dagli 8.000 ai 10.000 ettari, gli uliveti su cui penderebbe lo spettro dell’eradicazione, che taluni stanno tentando di imporre, contano una numerazione che va dai 6.000 ai 600.000 alberi d’olivo, più i mandorli, e tutte le altre specie su cui potenzialmente potrebbe vivere la Xylella, oltre alla correlata flora autoctona dei canali e dei “sipali” (la macchia di vegetazione spontanea lungo i margini dei campi), delle iper-tutelate macchie, più il verde urbano, privato, pubblico e stradale! Numeri biblici, per uno scenario di devastazione da film di fantascienza!
Nocivi pesticidi contro i potenziali vettori della Xylella – le cicalellidi – ( e di conseguenza contro tutti gli altri insetti) e diserbanti chimici da gettare con la scusa di eliminare tutti i definiti “serbatoi di inoculazione”, (si parlava, persino, di irrorazione dall’alto con l’uso degli aerei), e squadre, financo, di militari, lanciafiamme contro erbe e muschio, ed eradicazioni! Si è parlato, non a caso, con preoccupazione e rabbia da parte dei cittadini, di “shoah degli ulivi”, e di “olocausto chimico del Salento”, e in tanti hanno perso il sonno per via degli incubi di tutto questo assurdo scenario da guerra contro tutto ciò che vuol dire Salento! La sintomatologia degli alberi l’avevano definita, gli strani tecnici, “complesso del disseccamento rapido dell’ulivo”, forse dovremmo parlare di “indotta psicosi dell’agognato, da alcuni, disseccamento rapido degli ulivi salentini”, che tutto sono meno che disseccati e morti, ma un tripudio di vita che ritorna! E, in effetti, non nutrivamo dubbi sulla proverbiale forza rigenerativa dell’olivo, e non a caso, il suo ramoscello è a contorno di ogni stemma civico dei comuni d’Italia!
Avevamo, per questo, anche invitato, seguendo i più attenti veri tecnici scesi in campo, a considerare e studiare il fenomeno sotto molteplici aspetti, considerando l’effetto dello stress idrico estivo, particolarmente prolungato, tanto più nella fascia occidentale salentina, ed altri fattori chimico-fisici, di natura antropica, o meno, riguardanti le falde, l’aria, i suoli, l’ inquinamento più o meno doloso che fosse, e avevamo invitato ad indagare le pratiche insane, svolte in taluni oliveti, avvelenati dalla agrochimica da troppi anni irresponsabilmente, per capire i motivi di estivazione con disseccamento di alcuni rami, o di indebolimento immunitario, con regressione vegetativa, degli alberi; fattori, che andavano studiati con rigore e serietà, e che avevano favorito l’insorgenza, infatti, non di uno solo, ma di più patogeni, come anche da tutti i tecnici riconosciuto, sugli alberi indagati presentanti la sintomatologia in questione.
Il brutto gioco messo ad arte in traballanti piedi, e che oggi crolla rovinosamente, è ormai fin troppo palese. Dopo esser stati chiamati ad intervenire per studiare la particolare sintomatologia del disseccamento di alcuni rami degli ulivi, (chiamati anche da alcuni nostri attivisti, cittadini sensibili all’ambiente), dei tecnici preposti giunti sui luoghi vi trovano sugli alberi diversi patogeni, insetti e muffe, ma anche poi un batterio, di questo i primi studi ben dimostrano essere non patogeno per alcuna coltura, e addirittura un batterio che da studi scientifici pubblicati in letteratura, inoculato, negli esperimenti condotti sull’ulivo, non ha dato mai sintomatologie patogene “Si dà il caso che le indicazioni molecolari acquisite a Bari forniscano buoni motivi per ritenere che il ceppo salentino di X. fastidiosa appartenga ad una sottospecie (o genotipo) che non infetta né la vite né gli agrumi, e che esperienze statunitensi (California) indicano come dotato di scarsa patogenicità per l’olivo” (articolo pubblicato il 30 ottobre 2013 sul sito della Accademia dei Georgofili, per l’ ‘approfondimentto sul caso degli olivi salentini).
Per cui, dai tecnici locali, si è presentato tale batterio, qui nel Salento, come concausa della sintomatologia degli ulivi; sintomatologia bollata subito come “terribile contaminante epidemia senza alcuna speranza”; finché, poi, nelle uscite sui media più nazionali, dai medesimi tecnici, il batterio trovato è stato presentato come il principale imputato responsabile, il “batterio killer”! E così, è stato anche presentato da tutti gli enti sciacallo, e politicanti, accorsi sulla scena come avvoltoi per banchettare del Salento e sui possibili lauti fondi europei, nazionali e regionali così ottenibili.
Dove è il gioco allora: quel batterio è una sottospecie della Xylella fastidiosa, che per i danni fatti da altre sottospecie diverse del medesimo batterio, soprattutto in aree extra-europee, soprattutto in America, è stata inclusa come patogeno da quarantena in Europa! E, l’Europa, pertanto in sua presenza invita i paesi membri ad attivarsi per eradicare il batterio o per contenerlo! Mentre qui tutto questo lo si voleva fare, da parte dei tecnici scesi in scena, nella maniera più radicale e forsennata possibile, in forme estremiste pazzesche mai vistesi prima: eradicando la foresta degli ulivi del Salento e facendo un deserto piro-chimico avvelenato di ogni cosa! Per di più i cittadini mobilitatesi da subito, davanti a una sentenza troppo efferata da parte di uno studio durato pochi giorni, hanno scoperto che gli stessi enti, che oggi volevano imporre la quarantena da Xylella diffondendo terrore in tutt’Europa, in Italia e nel Salento, avevano tenuto tre anni fa, un corso, e proprio in Puglia, per formare tecnici sull’applicazione della “quarantena da Xylella fastidiosa”, spiegando, allora, come si legge ancora sui loro siti internet, che di questo batterio non c’era traccia in Europa, e coinvolgendo le università d’oltreoceano, oggi, da quegli stesi enti, chiamate qui ad intervenire come novelli “salvatori”, in un clima oscurantista di nulla trasparenza scientifica! Tanti interrogativi, dunque, su tutta questa vicenda.
Per di più l’innocuo batterio potrebbe essere persino endemico ed endofito, come anche ipotizzato da alcuni stimati docenti universitari locali, ovvero presente ovunque e da sempre nel Salento in maniera del tutto asintomatica, ergo, da qui, la possibilità di distruggere senza freni, con l’estremizzazione della quarantena, l’intero paesaggio salentino, e di emungere immense risorse statali e comunitarie a “difesa” dell’Italia e dell’Europa, da cosa dunque?! Il tutto condito da un’irresponsabile, per non dire altro, clima terroristico strumentale, mistificatorio e falso scientifico. Senza una diagnosi alcuna, o con una traballante diagnosi, vacillante e scarna, contestata anche pubblicamente da locali ricercatori universitari, si voleva procedere, o meglio, imporre con sanzioni e coercizioni, persino contro chi si sarebbe opposto: la TERAPIA FINALE, che ha richiamato alla mente i terribili filmati, (ridiffusi non a caso in rete dai virtuosi cittadini, in questa folle emergenza speculativa devastatoria!), degli americani che gettavano il diserbante “agente orange” sui bordi dei canali e sulla tropicale lussureggiante foresta vietnamita per defogliarla, disseccando ogni cosa, e avvelenando le genti locali con conseguenti e mostruosi effetti mutageni sulla prole per decenni. Il progenitore dei moderni odiosi diserbanti chimico-industriali da vietare!
Li abbiamo chiamati per osservare, analizzare e curare una sintomatologia particolare e poco nota degli ulivi, al fine di un’estate siccitosa, e di una prolungata estate dal punto di vista termico, fenomeno naturale possibile, che ha portato anche quest’anno, eccezionalmente, ad anticipate fioriture autunnali di tantissimi alberi nel Salento, e questi non solo non studiavano e curavano un bel nulla, ma si dedicavano a promuovere l’eradicazione del presunto paziente e di ogni possibilità di sua rigenerazione, avvelenando e cancellando tutto il vivente! Da troppo tempo, ormai, stiamo assistendo a vergognose e continue campagne di terrorismo speculativo sui naturalissimi parassiti delle piante, non ultima quella sui nostri lecci, in cui strani tecnici e politicanti, gridano al disastro, e mica per curare, ma solo per avere fondi pubblici per estirpare le piante, o potarle a morte, e per spandere tonnellate di prodotti chimici nocivi di ogni genere! Piante che diventano lucrosa biomassa. Interventi chimici che non hanno nessun effetto curativo, ma incrementano i danni a piante ed ambiente, mentre dove non giunge la mano sporca e velenifera dell’agro-chimica-speculativa i boschi di leccio son in perfetta ripresa! Così per il volgare mercato delle biomasse vengono fatti fuori con mille falsità pseudo-tecniche, falso-scientifiche e falso-forestali i nostri bellissimi e preziosissimi pini mediterranei ovunque, e non solo i pini! Un’ecatombe speculativa, immorale e intollerabile da fermare con massima urgenza, procedendo alle ripiantumazioni delle medesime specie!
Ed oggi la stessa malsana macchina guarda famelica agli ulivi! Le parassitosi sono fenomeni naturalissimi e transitori, e al più effetti di squilibri in cui intervenire ricostruendo gli ecosistemi, ripiantando di più, anche proprio le piante colpite, e favorendo così anche il ritorno dei predatori naturali, quanto più autoctoni possibile, dei parassiti, per ripristinare equilibri alterati a volte dallo stesso uomo; ricreando gli habitat degli insetti insettivori, le macchie ripariali e dei “sipali”, le stesse che oggi si vorrebbero cancellare nel Salento, in preda alla follia più cupa; non, dunque, cancellando parassiti, piante parassitate o semi-parassitati, e gli eventuali insetti vettori, cancellando ogni insetto ed il loro ecosistema, come nel parossismo intollerabile raggiuntosi con il “mal affaire Xylella” ora in Puglia! Dobbiamo, invece, aumentare non diminuire la biodiversità!
Attenti agronomi, ancora chiamabili così con onore, han ad esempio osservato come a Barcellona tante palme son sane, e sopra vi nidificano i pappagallini mediterranei ed europei della specie Parrocchetto dal collare (Psittacula krameri), questi stessi parrocchetti son stati visti predare in volo dei Punteruoli rossi (il parassita delle palme) anche nel Salento! Ma c’è persino chi, nel Salento, vede i pappagallini giunti in migrazione (come da sempre) e, anziché gioire per questa nota colorata di biodiversità comunque mediterranea da favorire, grida all’animale alloctono, sbagliando, e ne chiede lo sterminio, poveri ciechi la cui ignoranza è promotrice di intollerabili ecocidi, e poi chiede la nociva fito-chimica industriale per salvare le palme alloctone … che non ha salvato un bel nulla! Contraddizioni che nascono da una non conoscenza della Natura e dei suoi equilibri.
Così si deve piantare più palme mediterranee in reazione, non smettere di piantare palme, come la Palma da dattero (Phoenix dactylifera) e la italica Palma nana (Chamaerops humilis).
In Puglia ora, sul “mal affaire Xylella”pendono pesanti gli spettri della speculazione del mercato della biomasse, delle multinazionali della agro-chimica industriale, persino, degli OGM per produzione di biocarburanti, come quelli di mille speculazioni consuma suolo. Tutto quanto scoperto e diffuso in rete dai cittadini in pochi giorni, è impressionate. I legami di accordi e convegni di diversi enti ed associazioni di categorie, scese in scena in questi giorni, con le ditte delle industrie che speculano sulle biomasse; il finanziamento delle ricerche di università d’oltre oceano, oggi coinvolte nella questione Xylella in Puglia, da parte di multinazionali della agrochimica e degli OGM, il progetto Alellyx (che è impressionantemente l’anagramma del nome Xylella, con cui in paesi poveri i colossi mondiali delle multinazionali degli OGM e dei brevetti sulle sementi, son entrare ad egemonizzare le economie dei paesi del sud America, utilizzando la Xylella, come cavallo di Troia, per imporre varietà brevettate, presentate come ad essa resistenti, al posto della tradizione agricola delle locali genti per la produzione in prevalenza di bioetanolo); ecc.
Nei dossier e comunicati dei giorni scorsi abbiamo riportato solo alcune delle tantissime contraddizioni della vicenda, per cui rimandiamo a quelle pagine già diffuse ed inoltratevi.
Qui si osservi solo come l’altro giorno, nelle aree definite più colpite, dove i giornalisti hanno ben visto e segnalato i resuscitati olivi, (imbarazzanti per diversi di quei tecnici!), tecnici, gli esperti americani, e tantissimi giornalisti e curiosi, scorrazzavano sui presunti terreni contaminati senza alcuna protezione di profilassi, in una spettacolarizzazione oscena e ridicola, in cui si andava a caccia di insetti con i retini! Se vi fosse stata una epidemia, agire in tal modo voleva dire permettere ai giornalisti convenuti da tutta la Puglia e non solo, di infettare l’intera regione, una volta spostatisi da lì con le loro medesime suole delle loro scarpe che avevano calpestato i tanto “contaminati” terreni dal “terribile” batterio! Un’epidemia ad intermittenza, insomma, e con tante possibili deroghe alla bisogna! Ora dovremmo ribattezzarlo il “batterio della risurrezione”!?
Di fronte agli olivi che risorgono più onorevole sarebbe un “scusate ci siamo sbagliati!”, invece crediamo sia anche possibile assistere ancora a disonorevoli arrampicate falso-scientifiche ed illogiche sugli specchi! Questa segnalazione poi degli olivi che risorgono doveva venire data con giubilo da quegli stessi tecnici, ma invece … nulla, e come sempre devono essere giornalisti attenti e cittadini a colmare queste preoccupantissime mancanze! Più d’uno, oggi, dovrebbe pensare a dare le dimissioni, di fronte a questa scandalosa vicenda, e ci auguriamo che i futuri urgenti quadri tecnici e politici sian fatti di persone responsabili, preparate e di alta onestà intellettuale e scientifica, nonché persone attente davvero alla cura dell’ambiente, e senza ombra di rapporto con le industrie della agro-chimica, delle biomasse per le agro-energie, e lobby di altri interessi consuma-suolo.
Sia questa l’occasione per fare rinascere nel segno della salubrità il paesaggio pugliese, all’insegna delle pratiche virtuose e dei principi che abbiamo raccolto nel “Manifesto per l’urgente riconoscimento del vasto ecosistema dell’uliveto quale Agro-Foresta degli ulivi di Puglia!”
Vanno strappate a tutti gli “agronemici” le decisioni per il nostro futuro! Ringraziamo i tantissimi cittadini che hanno permesso, con le loro innumerevoli professionalità di smascherare il “mal affaire Xylella”. La nota più positiva, di tutta questa volgare mostruosa vicenda, è stata il loro impegno, come il loro cuore, la loro indefessa virtù, il loro Amore per il Salento!
Ora nel segno degli ulivi che riverdeggiano dobbiamo difendere tutti insieme la nostra salute, il nostro paesaggio, la nostra storia e la nostra biodiversità, nonché la nostra salubre tradizionale economia costruttrice di paesaggio pittoresco, attraverso il coinvolgimento di tutti gli enti ancora sani della nostra Regione, Nazione e Comunità Europea, e chiedendo tutela in tutte le sedi preposte per fermare la follia speculativa della “quarantena” pro deserto piro-chimico artificiale del Salento. E dovevano essere i medesimi tecnici e amministratori a spiegare anche all’Europa che non era il caso che si applicasse la quarantena, date le caratteristiche del batterio salentino e gli studi lacunosissimi ancora in corso, invece hanno fatto l’esatto contrario! Assurdo!
La Regione Puglia deve d’urgenza fermare i 2 milioni di euro stanziati ai consorzi di bonifica, nel quadro della quarantena, per il biocidio della flora dei canali, che son i rivi, i fiumi di Puglia, dove vi è il rischio non solo del taglio meccanico dei canneti, che rinascono, ma anche dell’uso della chimica ad avvelenamento immorale di suoli, aria, ed acqua, intollerabile, e il serio rischio di taglio eradicativo degli alberi ripariali, protetti, che con le loro radici trattengono gli argini terrosi degli stessi rivi. Ma in questa corsa forsennata tutto il vietato diventa possibile, in un carnevale della politica amministrativa senza alcuna logica, e suicida per il Salento ed i salentini!
Quei soldi siano ridestinati ad opere di rimboschimenti con piante autoctone naturali NO OGM , magari da fare eseguire ad enti pubblici (eventualmente anche gli stessi) e privati! Come agli orti botanici universitari, e alla Forestale! Più alberi sui canali, non l’eradicazione degli esistenti che finirebbero come biomassa chissà dove, spacciati anche come lucroso rifiuto che non sono!
La Comunità Europea deve indagare su tutto quanto stava avvenendo, a danno di ogni cittadino europeo qui in Puglia, nel “mal affaire Xylella”,e avviare inchieste urgenti perché simili manovre oscene non si ripetano mai più, né qui, né altrove!
Il vero problema principale e precedente da risolvere è l’uso della chimica nell’olivicoltura che va risolto imponendo la conduzione dell’oliveto all’insegna delle filosofie del biologico e delle buone pratiche agricole. Ed oggi, invece, si voleva persino aggiungere chimica a chimica (quando una delle potenziali cause che può rendere un agente da endofito e innocuo a patogeno è proprio lo stress chimico!).
Il danno di immagine all’economia salentina creato da questi irresponsabili nel “mal affaire Xylella” è immenso ed inquantificabile, ma è l’ultimo dei problemi oggi, e siamo certi sarà risolto in breve tempo, ora che la stessa Natura, come sempre, dopo le copiose piogge autunnali, ha smascherato il piano di ecatombe biocida che, taluni, stavano portando avanti, progettando di fare di 10.000 ettari di Salento, e forse oltre, letteralmente “tabula rasa”! Arrivando persino a dire: “anche senza sintomi, piante da abbattere!”. Bestemmie, insomma, contro il sacro olivo ed il Salento terra di Atena dei messapi, dea dell’olivo! Un progetto inqualificabile dove ognuno ha il diritto di aggiungervi tutti gli aggettivi che ritiene più opportuno!
Forum Ambiente e Salute del Grande Salento, rete apartitica coordinativa di movimenti, comitati ed associazioni a difesa del territorio e della salute delle persone
Lecce, c.a.p. 73100 , Via Vico dei Fieschi – Corte Ventura, n. 2
‘Gli ulivi che a Taviano alti e schietti Van da Gallipoli in marea piana, Quasi in corsa giganti giovinetti Mi balzarono incontro e mi guardar. Mi riconobbero, e bisbigliaron ver me co ‘l capo chino Perché non parli? Perché non ristai? Se voi sapeste! … via, non fo per dire, ma oggi so di finanza e un po’ d’affari, di biomasse e pannelli solari, di rondò e ragnatele stradali. Un mormorio pe’ dubitanti vertici ondeggiò. Una gentil pietade avean di me, e presto il mormorio si fe’ parole: Ben lo sappiamo: un pover’uomo tu se’. Rimanti, e i rei fantasmi che da’ fondi neri Del cuore tuo battuto dal pensier Guizzan come dai cimiteri Putride fiamme innanzi al passegger. Rimanti, e ti canteremo noi ulivi i cori Che vanno eterni fra la terra e il cielo. Il dissidio, o mortal, de le tue cure Ne la divina armonia emergerà A salvare noi miseri da fine certa o voi prodighi da dubbia salvezza … ’
Forse così avrebbe scritto oggi il Carducci se fosse stato allevato da zolle
di Salento, quello che piange veleni e vomita rimedi.
E non me ne voglia il grande poeta se ho preso in prestito il suo amore per i
cipressi di Bolgheri, ‘in duplice filar’, per riaccendere la passione salentina
degli ulivi, in sconfinata distesa, intorno a Gallipoli, la zona dell’attuale
focolaio d’infezione da Xylella Fastidiosa,…forse.
Eh già, perché i georgofili si astengono dall’identificare con certezza la
causa di questa parassitosi nella Xylella, rinominata ormai batterio killer.
Terrorismo mediatico, diffamazione di una povera ‘Concausa’ elevata al rango
di ‘Flagello Esclusivo’, endemica strampalata Messalina senza particolari
fortune né piaceri. In poche parole una vecchia conoscenza della nostra terra
con all’attivo qualche buon colpo messo a segno nel passato, un lungo periodo
di buona condotta e una condanna di complicità con taglia pendente sulla
testa. E non solo sulla sua. Attenzione quindi alla testa nostra e a quella
degli ulivi contagiati, quasi 600.000 alberi per circa 8.000 ettari di terreno
interessato. Una vera strage.
“Non c’è cura, non c’è speranza di guarigione e gli alberi sono da abbattere
senza se e senza ma!”, questo il tenore delle dichiarazioni degli organi
competenti locali.
Sbaglio o gli alberi si curano ‘senza se e senza ma’?
Provate a convincermi che per curarli si debba ucciderli.
Se questa fosse la regola valida per alterazioni e malattie, l’intero globo
terrestre sarebbe oggi pressocchè disabitato: pochi esseri umani sopravvissuti
al delirio di onnipotenza, al contagio della corruzione, alla speculazione
famelica su ogni diritto;
lande deserte animate dal rosso diafano di qualche pomodoro OGM, sagome di
alberi di carta proveniente dalla deforestazione e riforestazione proveniente
dall’imponente richiesta di carta;
poche mucche meno pazze delle sorelle passate a miglior vita, qualche suino
privo di raffreddore, di maschera al silicone e di pass per i festini alla
Provincia, uno sparuto nugolo di api indenni ai pesticidi e alla squalifica per
doping, e un piccolo gregge di pecore geneticamente modificate, in grado d’
insegnare ai lupi come fare a ingannare i bracconieri, i rimborsi dell’Ente
Parchi e le esche estrogenate.
E in mezzo a questa Torre di Babele di buone intenzioni, di effetti estremi e
di ottimi profitti, credete davvero oneroso e insensato provare a salvare gli
ulivi del Salento piuttosto che i ‘detersivi’ per smacchiare denari e
coscienze?
Sarebbe criminale ricordare che le parassitosi si superano con la
sopravvivenza degli esemplari ad esse resistenti e che non è necessario
estirpare le piante colpite fingendolo un penoso dovere da emergenza
fitosanitaria?
Se un’emergenza c’è, riguarda il coinvolgimento di esperti nazionali e
internazionali in materia di bonifica, d’interventi di risanamento, di cura e
di salvaguardia degli uliveti dall’inesorabile diffusione del patogeno e della
speculazione.
Il nostro parco oleario fa invidia a tanti, si sa, i piani di sfruttamento
selvaggio del territorio non hanno mai avuto il vezzo della timidezza in questa
regione, e tutto, come d’incanto, può diventare all’improvviso business per
pochi, la cura come l’abbattimento.
E’ il modo più rapido per squarciare un’economia già in ginocchio.
Eppure, novelli Carducci, camminando per le nostre campagne dovremmo trovare
irresistibile il richiamo dei fedeli amici argentati, monumentale tempio di
forza, bellezza e sapienza senza età.
Nel magico rituale che attorno a loro si consuma da secoli, ci ritroviamo nel
cuore di una natura che si fa raccogliere e spremere per nutrire, di un’
atmosfera che suggestiona e incanta per identificare.
L’ulivo è infatti simbolo dell’identità di ogni suo abitante, è l’anello di
congiunzione tra il lavoro dell’uomo, le tradizioni e la cultura storica del
popolo salentino.
Albero sacro, elemento peculiare di un paesaggio che tutto perderebbe senza
quelle nodose promesse di vita che attraggono, non adescano.
Davanti alla chiesetta di San Pietro dei Samari, nella gallipolina Palude de
li Foggi, così come Carducci davanti a San Guido, nel cuore della Maremma
livornese, dovremmo idealmente raccoglierci tutti per opporci alle soluzioni
spicciole proprie della vita profana, identificata oggi nella condanna senz’
appello degli alberi infetti.
L’elevazione spirituale offerta dagli ulivi rimane perciò una realtà da
perseguire e un’importante ragione per cui lottare,… ma attenti all’ “asin
bigio”!
“… l’asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
e a brucar serio e lento seguitò.”
Come non capirlo, povera bestia? Ha occhi solo per il suo bel cardo da
rosicchiare, unico mezzo attraverso cui crede e sente di realizzarsi, rimane
indifferente a tutto ciò che gli accade attorno, non si scomoda neanche se gli
crolla il mondo addosso: asino bigio di pura razza bigio asinina!
E pensare che suo cugino, per spaventare gli altri animali o forse solo per
primeggiare su di essi, un giorno volle mettersi addosso una pelle da leone,…ma
finì sbranato.
Di questo strappo costante di poesia ogni giorno enumero disposizione di pensiero, diverso, sottile, conseguenziale alle idee, frattura di consuetudine, oscillazione di profumi di viole, conteggio di passi sui viali lastricati di piazze con chiese di facciata onesta, perseguo adempimenti di somiglianze di semplicità, dispongo cose nel disordine della prosa, ripeto a me stesso le insolite vicende, riguardo lo specchio infranto dalle illusioni, riscatto un senso perduto, elaboro un giorno, disegno la sera, immagino la luna di falce, inseguo un tramonto autunnale vaporoso di scirocco, azzardo un abbraccio.
Il passo di questa mia vita in prossimità del lontano non è di misura. Il luogo che è qui mi dà presenza e memoria, paesaggio e orizzonte; insieme si scompongono in un altro luogo dell’inventio. La poesia, la mia, è qui in questo luogo che ho voluto fra i luoghi della terra. Nell’aver luogo mi affanno all’atto poetico, per venire alla manifestazione non di tutto ma di qualcosa che mi è dato d’intendere, di svelare, poi, non in un’immutabile verità, piuttosto in una sostenibile sensazione di appartenenza nel luogo della poesia.
Questo luogo che mi ospita è di cielo di crema, di vento imperfetto, di campagna silente, di ulivi pretesi dall’uomo, di papaveri rossi, di granai di risvegli. Ho sfinimento di odori, di luce, d’insipienza, di sonno per l’ammanto che ne ho. Mi strugge la seduzione dei colori nelle erranze dei simboli di naufragio della scrittura. Gli stralci di pallore delle pietre bianche brizzolate mi ridanno memoria dell’inosservato paesaggio, sfuggito per un pensiero monco, portato a un a capo febbrile e collerico. Gli alberi di pino mi confidano, quando possono, le lacrime delle viole che sulle pietre afferrano le radici della vita, in basso poste al di là della superbia, in un canto di autunno, rimesso a nuovo dalle storie del tempo. Il cuore non sempre si trova, né paga i debiti delle emozioni. Un filo d’erba tra le altre erbe è più verde, si spande sulla terra umida e corrosa dal sole, taglia gli sterpi, rimonda la natura, mi ridà il cuore.
Devo congedarmi da questa astrattezza di luogo. Il giorno mi restituisce la propria immagine. A capofitto, in questi mattini trattenuti ancora dal sole d’estate, ho osato addentrarmi nei confini inviolabili della poesia di un luogo.
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