di Mauro Marino
Direte, è un “ingenuo”, ma io amo Candido, quello ottimista di Voltaire e anche il Candido Munafò di Sciascia e con Candido dico che il problema non è di qualità o meno del Bid Book, o colpa della pioggia che ha rovinato il giorno dell’Eutopia o di Airan Berg o di chissà chi. No, candidamente penso che ciò che è mancata a Lecce 2019 è la spinta della politica, quella dei Big.
C’era per Lecce 2019 uno come l’europarlamentare di lungo corso Gianni Pittella, lucano, fratello del presidente della Regione Basilicata Marcello Pittella, che sogna la Capitale della Cultura Europea per Matera da quando è giunto a Bruxelles nel 1999? No, noi non lo abbiamo avuto! E allora, è andata come è andata. E ancora, se si è potuto sperare nell’autonomia di giudizio della giurati europei, la speranza (la mia), s’è stinta quando, a quelli, si sono aggiunti gli altri di nomina governativa. Poi, mi son tornate all’orecchio le trasmissioni dedicate a Matera da Radio Rai Tre, la voce saputa di Marino Sinibaldi e tutto l’ambaradan che ne consegue e, come Candido, ho pensato: certo, Matera merita di fare la Capitale Europea della Cultura nel 2019, ma anche Lecce e il Salento l’avrebbero degnamente e magnificamente meritato, soprattutto per il grande movimento creativo qui originalmente nato che la Basilicata tutta, certo, non esprime.
Ha vinto comunque il Sud, ma c’è Sud e Sud e noi certo siamo più Sud: quello dei visionari e dei Santi, quello di Candido, degli sciocchi, dell’illusione e della festa. Ma questo, forse, è un altro discorso.
Allora, lasciamo acquietare i clamori, il “giorno dopo” pare sia lungo. Molta l’amarezza per chi ci ha creduto molta anche l’acrimonia di chi non conosce l’esercizio della critica e gode della “sconfitta” affilando “parole” in un autocompiacimento mai propositivo, mai volto al fare… Ma consumare parole non è solo di costoro c’è anche altro da tenere in conto. A questo punto, potremmo pensare di farci invece che Capitale solo e semplicemente “città europea nel Mediterraneo”.
Sedimentare l’esperienza è la chiave di ogni buon progetto, pratica non molto amata da chi è abituato al tutto e subito, al consumare idee sul mercato del “marketing culturale” che immagina i territori come merce da sfruttare per il massimo guadagno senza mai voltare gli occhi per un bilancio, per guardare lo scempio compiuto o la risorsa messa a frutto. Questa volta speriamo che accada: il Salento, Lecce ha necessità di far pausa per prendere le misure del suo “progresso” e per tracciare una mappa dei suoi reali bisogni. Ancora una volta siamo chiamati ad interrogarci sul futuro e lo stop (lo schiaffo) venuto con il “no” per il 2019 è un’opportunità per frenare, per una salutare “revisione” di un processo che, senza soste è in atto dai primi anni Novanta. Credo ce ne sia bisogno, non si può proseguire nel proporre tutto e il contrario di tutto. Armonizzare il paesaggio, la sua natura di Parco, sarebbe il compito di una politica culturale (se abbiamo considerato la cultura traino di sviluppo) che fa politica partendo dalla risorsa territoriale. Mare, campagna, centri storici, risorse creative, queste le qualità da eleggere a guida dell’espansione urbana e delle opere con cui si interviene per dare servizi e per migliorare la nostra vocazione e l’appeal geografico.
Questo non accade. La politica (ma anche le persone) spesso (sempre) son distratte, si appassionano ad un’idea ma dimenticando la coerenza, elemento fondante di qualsiasi atto creativo. Coerenza e costanza operativa occorre per proteggere ciò che oggi è a rischio, ciò che oggi si deprime forzando il futuro. Credete che la lezione (lo schiaffo) servirà per trasformate Lecce e il Salento in ciò che spera di essere? Non serve chiederselo c’è solo da lavorare.
Su La Gazzetta del Mezzogiorno di venerdì 24 ottobre 2014
per gentile concessione dell’Autore
di Mauro Marino
“La tensione dell’arco” e il titolo dell’opera dello scultore Patrizio Quarta in mostra al Fondo Verri da martedì 30 settembre sino a venerdì 17 ottobre dedicata a Lecce 2019.
L’atto dell’attesa nelle mani di un Messapo. Le volute del barocco, il ramarro sul braccio sinistro che tiene il centro della tensione dell’arco, la fune legata alla cinta del vestito, le frecce tante da scagliare… Un’opera profondamente spirituale, augurale per questi giorni che chiudono il processo della candidatura con la visita della giuria – lunedì 6 ottobre – che dovrà scegliere quale sarà la Capitale della Cultura Europea nel 2019.
L’“utopia” tagliata in una pietra di calcarenite miocenica scelta nelle ricognizioni che caratterizzano il lavoro di Patrizio Quarta, una pietra ricca di licheni, di tracce… Una cesellatura che scrive il racconto della nostra terra spinta ad immaginare il suo futuro.
***
Patrizio Quarta è nato a Novoli nel 1961. Avvicinatosi nel 1987 al mondo dell’arte guidato da autentica passione creativa, ha al suo attivo numerose ed importanti mostre. Uno scalpellino che con passione e abilità realizza il suo particolare immaginario utilizzando la pietra lecceseper un’avventura creativa che gli ha donato numerose gratificazioni. E’ emozionante vedere gli attrezzi con cui lavora, gli stessi con cui gli artigiani dei secoli scorsi ricamavano la pietra. Sul bancone di lavoro si vedono sgorbie in ferro battuto, pialle convesse o lisce, mazzuoli e tanti altri strumenti atti a cesellare. Ma lo strumento preferito dall’artista, col quale riesce ad ottenere il massimo della precisione, è il bisturi del chirurgo. Ciò che colpisce il visitatore entrando nel laboratorio di Quarta è il rispetto che questi ha per la pietra. Ad essa, infatti, non si dedica soltanto con l’intento di dare un “divenire”, ma la studia nelle sue più recondite pieghe per poi portarla allo stadio conclusivo di opera.
I “pezzi” di Patrizio Quarta hanno sia della retorica sia del contemporaneo e come ha scritto la rivista fiorentina “Eco d’arte moderna”, l’artista ha con la pietra della sua terra un legame così profondo da lavorarla con la forza del vento che leviga e smussa la superfice di una pietra antica. Da qualche tempo Quarta ha iniziato studi sull’alabastro toscano grazie ai quali ha ricevuto riconoscimenti significativi a livello nazionale. La pietra sia che venga levigata o smussata dalle sue abili mani non è mai violentata dalla luce, ma è sempre accarezzata e valorizzata. Peculiarità dell’arte di Patrizio Quarta è la pazienza certosina con cui elabora le proprie opere trattandole con muffe secche antichizzando in tal modo i pezzi e facendo pensare che gli stessi siano stati creati in tempi non più tanto vicini a noi.
Particolarmente attivo e presente nella vita culturale del suo paese d’adozione San Giorgio Jonico è tra i fautori della nascita del Circolo Culturale “L. Agnini” di cui sarà socio fondatore. Nel 1997, l’Amministrazione Comunale di San Giorgio J. dà incarico all’artista, in collaborazione con lo scultore L. Agnini di realizzare il “Monumento ai caduti e alla pace” – Villa Parabita. Tra le sue mostre più importanti ricordiamo: Rassegna di Noti maestri scalpellini salentini, Lecce; Beato Angelico – Premio Italia, Firenze; Biennale Internazionale di Pittura Scultura e Grafica Città di Lecce, Lecce. 1a Biennale Internazionale Arte di Palermo, Palermo.
Si, per la Fondazione Terra d’Otranto è un giorno memorabile, il giorno della pubblica presentazione, dell’apertura a tutti coloro che vorranno fare parte di questa avventura, della condivisione dei primi frutti di due anni di lavoro silente ma costante e quotidiano. L’appuntamento è alle ore 20.30 nei giardini della villa comunale di Nardò.
È una fondazione culturale, senza fini di lucro, nata per volontà di Marcello Gaballo, medico neretino e studioso che oggi la presiede. È una delle poche realtà culturali che vanta il riconoscimento ufficiale della Regione Puglia: voglio sottolineare, non parliamo di una procedura formale completata ma di un sigillo di serietà di intenti ed attività concesso a chi garantisce, attraverso lo statuto, uno scrupoloso rigore ed impegno nell’investimento in cultura, nell’organizzazione e nei modi di intervento sul territorio.
Quali scopi ha?
Gli scopi sono molteplici, ben espressi nello statuto che sarà presto consultabile online sul sito www.fondazioneterradotranto.it . Brevemente, convergono sulla promozione e valorizzazione del patrimonio artistico, archeologico, architettonico, archivistico, demoetnoantropologico, storico ed ambientale della Terra d’Otranto. Ma queste sono belle formule sulle quali non mi soffermerei troppo. Gli scopi della Fondazione sono l’insieme di quelle attività che si stanno traducendo o si tradurranno in fatti a beneficio del territorio e di chi lo abita, a vantaggio della conoscenza approfondita di Terra d’Otranto e della sua rinascita sociale.
Nella serata del 29 presenterete una rivista, ce ne parla?
La rivista si chiama “Il delfino e la mezzaluna”, nome che si ispira chiaramente allo stemma di Terra d’Otranto ed esprime efficacemente la cornice di riferimento e gli scopi conoscitivi per cui nasce.
È concepita per essere la voce ufficiale della Fondazione e, in particolare, il veicolo principale delle ricerche degli studiosi di ogni disciplina che si occupano in forme diverse di Terra d’Otranto: arte in primis, ma anche storia, lingua, letteratura, studi etno-antropologici, sociali, storico-filosofici, ricerche sulla storia della scienza, su ambiente, territorio, economia, relazioni interculturali ecc. Vogliamo che ogni serio studioso ed ogni paziente ricercatore a qualsiasi titolo (accademico e non, indipendente o istituzionalmente strutturato, giovane e sconosciuto o affermato e di fama ecc) possa contare sulla possibilità di una destinazione di alta qualità dei propri sforzi, e vi possa contare solo sulla base del merito e del valore scientifico delle proprie ricerche che potrà inviare direttamente in redazione con la posta elettronica! Per tale ragione ci siamo dotati di un comitato scientifico ampio e di competenze multidisciplinari, composto per lo più da alcune decine di docenti dell’ateneo salentino (ma non solo) e da studiosi di grande esperienza. Inoltre, a garanzia della qualità scientifica dei saggi che saranno pubblicati e
di Gianni Ferraris
E’ un audiolibro, è una guida poetico – sonora del Salento a cura del Fondo Verri per i luoghi d’allerta (http://spigolaturesalentine.wordpress.com/2010/08/08/luoghi-d%E2%80%99allerta-ottava-edizione/).
Un viaggio nel territorio dei muretti a secco, degli ulivi narrato con le parole di Vittorio Bodini, Girolamo Comi, Ercole Ugo D’Andrea, Rina Durante, Vittore Fiore, Vittorio Pagano, Claudia Ruggeri, Salvatore Toma, Antonio Verri e recitato da Angela Di Gaetano, Piero Rapanà, Simone Giorgino accompagnati dalle musiche di Adria e Bandadriatica.
Qui se mai verrai è l’0maggio a chi ha saputo interpretare la pietra, il vento e il mare, le strade di polvere e i dolori delle malinconie consumate al sole. La luce col suo accecare, il soffoco e il mare. Il Salento insomma, la terra che stai visitando! Che mai potrai sapere nella sua pienezza. Fugge sempre… sempre cangia puntuta e scontrosa… Sensi soltanto, nell’allerta, ti chiediamo. La poesia è accorgersi e dimenticare, sussurro… materia labile. Confondila con gli occhi! Guardala”. Così Mauro Marino nel risvolto della copertina.
E ancora, Antonio Errico, nella sua introduzione, dice dei poeti di Salento e delle parole della poesia: “…Accade, a volte, che una poesia rassomigli straordinariamente ad una terra. Che nelle sue parole si senta l’ odore del basilico, si vedano i colori dei gerani, si accendano riflessi di orizzonte, rilucano increspature di mare…”
Salento, terra dei rimorsi e della storia tutta compressa in ogni salentino. Dalle
Proponiamo di seguito l’ottima introduzione al film documentario di Piero Cannizzaro, scritta e pubblicata da Mauro Marino sulle pagine del quotidiano “PAESE NUOVO” dallo stesso diretto. Ringraziamo per la gentile concessione.
La redazione
di Mauro Marino
Il suono è la via di comunicazione che più facilmente può essere percorsa dalla suggestione, dalla memoria, dal pensiero.
Suoni sono i rumori, i linguaggi, le musiche.
Ogni suono è il segnale di una presenza, il veicolo di un messaggio, la componente essenziale di un territorio, di un paese, di un ambiente.
Un fenomeno caratteristico della corsa alla globalizzazione, ma anche un fenomeno particolarmente rispettoso delle diverse identità locali: si unisce, si mescola senza distruggere.
Magia tarantismo, disse Ernesto De Martino, sono forme arcaiche di cura, nelle quali si leggono aspirazioni e valori, tradizioni ed esigenze ludiche.
Ma oggi che la società contadina è notevolmente cambiata cosa è rimasto di quei suoni? Stiamo assistendo ad un nuovo interesse da parte di molti giovani che suonano e fruiscono di questa “nuova” musica. Suoni che oltre agli strumenti tradizionali come la voce, il tamburello, i fiati, il violino e le percussioni popolari si aggiungono anche il violoncello, il contrabbasso, la tromba, la batteria, la chitarra, l’ organetto, la fisarmonica etc.
Abbiamo viaggiato nell’Italia attraverso la musica etnica e le sue commistioni, i contatti con le culture e i modi che questa musica alimenta e assorbe per produrre a sua volta altra musica.
Quello che si prefiggono i musicisti (ma anche i danzatori) che abbiamo incontrato, è quello di andare oltre alla tradizione cercando di creare un ibrido tra il passato ed il presente, per rendere ancora oggi viva la tradizione.
In Puglia abbiamo incontrato e ascoltato la cantante salentina Anna Cinzia Villani, il gruppo “Mascarimirì” il cui sguardo è volto alla world music, al raggamuffin, al dub, alla techno, alla contaminazione con esperienze, suoni, voci, ritmi di altri paesi vicini e lontani. La loro idea di fondo è quella di mettere in musica le sensazioni, gli umori e gli odori delle feste tipiche del sud. E il “Canzoniere Grecanico Salentino” che è stato il primo gruppo di riproposta musicale della tradizione salentina ad essersi formato in Puglia nel 1975, ben trentacinque anni fa per
di Mauro Marino
Il primo Homo sapiens europeo è salentino, pardon… pugliese, no anzi, italiano. Era molto piccolo e non era ancora allenato ai distinguo “regionalisti” apparteneva alla Natura, era sua intima cosa nella bellezza di Uluzzo che chissà com’era in quel remoto tempo, 43 – 45mila anni fa.
Certo la Grotta del Cavallo davanti non c’aveva il mare. Una foresta forse, oh!, che foresta… o forse una palude?
I resti del pargolo, due dentini attorniati da conchiglie, vennero trovati negli anni Sessanta del Novecento, e in prima battuta vennero attribuiti all’estinto Neanderthal e per cui datati ancora più indietro. Oggi finalmente è tutto chiaro l’Uomo Moderno, il Sapiens più antico che “conosciamo” in Europa, viveva lì, a due passi da Nardò. È Storia, una delle tante che fanno unico questo territorio, luogo di transiti, d’arrivi e partenze…
Anche dall’altra parte, dov’è Badisco, le tracce dell’Uomo ci portano a Millenni fa, ma son cose dimenticate, invisibili e preda dell’incuria. Ma che fa, le notizie durano il tempo che durano e si è sempre pronti a strillare per poi farsi muti.
Grande pompa s’è consumata in questi giorni, locandine e paginoni che inneggiano alla primogenitura e alla pubblicazione sull’autorevole rivista britannica “Nature” della ricerca guidata da Thomas Higham dell’Università di Oxford e da Stefano Benazzi dell’Università di Vienna..
Poi, battuta la news, finito lo sturbo, tutto cadrà nel dimenticatoio e nenche un pannello avvertirà che lì, due denti da latte, hanno dato la prova che un gradino dell’evoluzione della nostra “dannata” specie è passato da lì… ma chissà da quante altre parti dimenticando di far ritrovare i dentini…
Ciò che preoccupa è la modalità ormai di “moda” nel Salento di “sparare” le notizie “salentocentriche”, con un enfasi che è roba da psichiatria.
Modo “barocco” che innalza facciate e poi immediatamente dopo dimentica di nutrire la necessaria operatività per valorizzare la “ricchezza” che il territorio ha custodito. Citavo prima Badisco e la Grotta dei Cervi, che non ha alcuna “evidenza”, ma l’elenco è lungo, interminabile se ci mettiamo a guardare. È come se il tanto osannato marketing territoriale si fermasse alle parole e alla prima scrematura di denari, poi nulla diventa cultura, educazione, pratica e semenza di crescita. Usurare soltanto questo lo stile. Consumare, tanto che poi di noi, non ritroveranno neanche i dentini!
Lupo Editore
NUBES – Ass. Culturale
Salumeria Cosimo Negri
22 Luglio 2011 – Ore 21,30
Piazzetta Mazzini – Copertino (LE)
Special Guest: MINO DE SANTIS IN CONCERTO ACUSTICO
Venerdì 22 Luglio alle ore 21.30, presso la Piazzetta Mazzini a Copertino (LE), Lupo Editore in collaborazione con l’Associazione Culturale NUBES e la Salumeria Cosimo Negri, organizza “Porca Miseria. Storia da salumeria”, un’inedita formula che coniuga la lettura dal vivo e il racconto di storie per riflettere sul clima di austerità e di tagli alla cultura.
Lupo Editore inviterà gli scrittori presenti a raccontare la propria storia
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