Matino: due fogli di via obbligatori del passato

di Armando Polito

Il foglio di via obbligatorio come strumento preventivo per garantire la sicurezza pubblica con il fenomeno dell’immigrazione clandestina sta vivendo, credo, quella che comunemente si dice seconda giovinezza. Non intendo nemmeno sfiorare l’argomento della sua efficacia, anche se i reiterati reati con lo stesso protagonista, di cui le cronache si occupano giornalmente, mi fanno somigliare il foglio di via al tentativo di nascondere la polvere sotto il tappeto più che eliminarla. Non vorrei che l’ultimo verbo usato venisse interpretato strumentalmente, perché la sua carica semantica per me dovrebbe valere non solo nei confronti di colui che, disperato  o meno quanto si vuole, ha scelto di delinquere ma anche del potente che, anziché essere esautorato e sbattuto in galera, viene trasferito, in qualche caso con promozione; nel primo caso turismo delinquenziale di massa, nel secondo di élite …

Il mio interesse, dunque, è solo documentario e  non avendo preso visione, neppure per motivi indiretti …, di un foglio di via dei nostri tempi, non posso fare la comparazione formale con quelli del passato che mi accingo a presentare (il corsivo normale riproduce le parti a stampa, il grassetto le integrazioni a mano). Entrambe le immagini sono state tratte da eBay. Il primo documento  riguarda una donna nativa di Torremaggiore (FG) che alla data di emissione del documento (Torremaggiore, 12/9/1932) aveva 41 anni, com’è annotato nella colonna di sinistra insieme con la statura (1, 56), il colore dei capelli (castani), la fronte (giusta), le sopracciglia (regolari), il naso (regolare), la bocca (giusta), Nel foglio si dichiara che la donna residente a Matino circondario di ——- provincia di Lecce  ha ordine di trsferirsi a Matino  circondario di ——- provincia di Lecce  passando per ———- e di presentarsi all’autorità di P. S.entro gioni due cui dovrà rimettere personalmente il presente. Nella parte alta del documento si legge, scritto a mano, Diffidata ai sensi dell’art. 157 del T. U. delle leggi di P. S.

Il secondo documento, emesso a Lecce in data 15/2/1934  riguarda, invece, un ragazzo di 18 anni (unico dato riportato nella colonna a sinistra). Mentre nel documento precedente FOGLIO DI VIA era integrato con obbligatorio, quisi legge Foglio di via obbligatorio con mezzi. Il ragazzo, nato a Matino provincia di Lecce residente a Matino provincia di Lecce ha ordine di trasferirsi a Matino provincia di Lecce passando per (segue spazio non barrato) e di presentarsi al Podestà entro giorni uno cui dovrà rimettere (segue spazio non barrato) il presente.

Da notare nel primo documento figlio di … , mentre nel secondo si legge figlio die di …. ; nonostante in quest’ultimo fosse previsto appositamente lo spazio per il nome della madre, esso risulta vuoto.

 

Di-segni poetici a Matino

Invito di-segni poetici 2

di Salvatore Luperto

Il MACMa – Museo Arte Contemporanea Matino – ha il piacere di comunicare che il 7 Luglio 2013, presso la chiesetta della Pietà di Matino, alle ore 19, sarà inaugurata la mostra di-segni poetici 2 (curata da Salvatore Luperto e Anna Panareo) con le nuove opere di autorevoli esponenti dell’arte visiva italiana tra cui l’artista sarda Maria Lai (recentemente scomparsa, ritenuta la maggiore artista del Novecento sardo), Mirella Bentivoglio, Lamberto Pignotti, Nanni Balestrini, Fernando De Filippi, Emilio Isgrò, Franco Vaccari, Roberto Malquori, Luciano Caruso, Irma Blank, Michele Perfetti, Arrigo Lora Totino, Lucia Marcucci, Vitantonio Russo, Adriano Spatola, Emilio Villa, William Xerra, Tomaso Binga, Vitaldo Conte, Vittorio Fava, Ruggero Maggi, Fernando Andolcetti, Bruno Conte, Liliana Ebalginelli, Ferruccio Cajani, Carlo Canè, Carlo Marcello Conti, Chiara Diamantini, Maria Pia Fanna Roncoroni, Fernanda Fedi, Gino Gini, Giovanni Fontana, Marco Marchiani Mavilla, Gianni Martinucci, Enzo Miglietta, Eugenio Miccini, Riri Negri, Enzo Patti, Giuseppe Pellegrino, Michele De Luca e altri.

Maria Lai, Le fate operose
Maria Lai, Le fate operose

La mostra, che proseguirà sino al 30 Agosto, accompagnata dalle composizioni sonore del maestro Biagio Putignano, espone opere della seconda metà del Novecento e del primo decennio del 2000 che provengono, per la maggior parte, da donazioni di artisti e dalla collezione di Mirella Bentivoglio.

Le opere esposte in di-segni poetici 2 pongono in evidenza, attraverso la creatività degli autori, un esempio di evoluzione del fenomeno poetico verbo-visivo degli ultimi cinquant’anni. Alcune di esse, preziose e rare, rappresentano la poetica caratterizzante il pensiero dell’autore come quelle di Maria Lai, Emilio Villa, Mirella Bentivoglio,William Xerra, Lamberto Pignotti, Roberto Malquori, Vitantonio Russo.

Mirella Bentivoglio, Attento
Mirella Bentivoglio, Attento

di-segni poetici 2 è quindi un’ ulteriore indagine per poter cogliere l’originalità di questo fenomeno poetico e per rievocare aspetti e problematiche degli anni Sessanta e Settanta che hanno determinato quel rinnovamento sociale ancora oggi attuale e vivo in tante espressioni della cultura contemporanea letteraria e artistica.

Nella stessa serata, un paesaggio del Salento, realizzato dalla feconda immaginazione creativa dell’artista Ercole Pignatelli, dipinto in onore del suo insegnante Luigi Gabrieli (a cui è dedicato il MACMa), sarà collocato nello spazio museale riservato all’artista matinese, ritenuto il maestro dei maestri per la sua lunga attività di docente nella Scuola d’Arte di Lecce. Ercole Pignatelli come tanti suoi allievi, alcuni dei quali sono oggi artisti affermati, furono formati in linea con le espressioni artistiche degli anni Cinquanta che il maestro Gabrieli estrinsecò nei suoi paesaggi, pervenendo a delle soluzioni pittoriche apparentemente astratto – informali, libere dagli schemi della tradizione napoletana di fine Ottocento.

 

Per una storia degli oleifici salentini

 

L’Oleificio Sociale di Matino nel 1906, il primo dell’Italia Meridionale

di Antonio Bruno

Il 18 febbraio 1906, sotto forma di società anonima cooperativa a capitale illimitato, fu costituto a Matino, nel Salento leccese, il primo Oleificio sociale dell’Italia Meridionale. Gli oli dell’Oleificio Sociale di Matino nei primi del 900 riportavano grandi onorificenze nelle mostre e nelle esposizioni dell’epoca.
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Tanto per rimanere in tema di territorio, di tutela, di tradizione. L’olio che si si estrae dalle olive del Salento leccese non ha bisogno di parole e il suo profumo è noto a chi mette ogni giorno a tavola la sua boccetta. Si perché l’olio si riconosce per il suo profumo, e tu devi cominciare a pensare così, come quando vai in profumeria e acquisti il tuo profumo non tenendo in alcuna considerazione di che colore sia. Così l’olio, ha importanza solo il profumo e il gusto, il colore non ha nessun valore.

Nel Salento leccese questo profumo si produce e si produceva alla grande; infatti erano attivi 159 oleifici sociali e 210 stabilimenti di molitura privati.

Gli acquirenti maggiori dell’Olio del Salento leccese sono rappresentati dai grossisti (56%), industria (20%) e mercato nazionale.
Ma c’è sempre una prima volta. E allora chi è che per la prima volta nel Salento leccese ha costituito un Oleificio cooperativo? Sono notizie che dovremmo sapere perché riguardano donne e uomini del Salento leccese che hanno fatto la storia.

Nei primi anni del secolo scorso a Matino, nel Salento leccese, un gruppo di uomini intelligenti e coraggiosi, dopo aver costituito un Consorzio Agrario per gli acquisti collettivi, fecero sorgere il 18 febbraio 1906, sotto forma di società anonima cooperativa a capitale illimitato, il primo Oleificio sociale dell’Italia Meridionale con un patrimonio sottoscritto di Lire 27.500 e con 13 soci che già nel 1910 erano diventati 24 costituendo un capitale sociale di di Lire 50.200 quasi interamente versato e una riserva di Lire 2.628.
Lo stabilimento sociale utilizzava una superficie di 700 metri quadrati che si sviluppava su tre piani. Al piano più alto, spazioso ed arieggiato c’era l’olivaio per il deposito e la conservazione delle olive su graticci della capacità di poco meno di un quintale ciascuno. Dall’olivaio le olive, dopo essere state lavate, passavano attraverso una tramoggia, nel piano immediatamente inferiore, che era destinato a frantoio. Il frantoio era composto da una vasca a tre macelli per la prima molitura delle olive, poi da una serie di torchietti a mano, attraverso i quali veniva estratto l’olio di prima qualità; a seguire una serie di presse idrauliche da otto pollici. C’era una seconda vasca a due macelli per la rimolitura e due grandi forate, anch’esse a pressione idraulica.

L’energia era data da una locomotiva mobile a vapore collocata in un apposita stanza, le presse e le forate erano alimentate da una pompa a sei corpi e regolate da due accumulatori.
Dal frantoio si passava al piano terra destinato a chiaritoio e raffineria dove si lavorava l’olio liberandolo dalle acque di vegetazione coi separatori brevettati Bracci, lavandolo, decantandolo ripetutamente e filtrandolo. Quindi l’olio passava nell’oliario costituito da tanti pozzetti sotterranei rivestiti da mattonelle di vetro e in recipienti provvisori di latta.
Vi erano poi gli uffici e un dormitorio per gli operai. Sotto all’olivaio c’era una scantinato spazioso per deposito di sansa, attrezzi ed altro.

In un corpo di fabbrica isolato e lontano dall’edificio principale era messo “l’inferno” che mediante un canale sotterraneo riceveva le acque madri che dal chiaritoio si scaricavano in una grande vasca e successivamente, per mezzo di sifoni, passavano in altre quattro vasche per disperdersi poi in una vora dopo aver subito una fermentazione di 20 giorni.

Lo stabilimento era in grado di lavorare da 120 a 150 ettolitri di olive al giorno con il solo lavoro diurno.
Gli oli dell’Oleificio Sociale di Matino nei primi del 900 riportavano grandi onorificenze nelle mostre e nelle esposizioni dell’epoca.

L’Oleificio Sociale di Matino pur essendo entrato in funzione in ritardo e con una produzione di olive di annata di scarica nel primo anno lavorò una media di 60 ettolitri di olive al giorno, trasformando 3.177 ettolitri di olive in 408 quintali di olio di tre tipi diversi. Si erano ottenuti inoltre 26,25 quintali di olio d’inferno, un olio molto scadente che si ottiene raccogliendo quello che affiora dalle acque di lavorazione e di lavaggio (in realtà molto poco), dopo averle convogliate tutte insieme in un locale di solito sotterraneo all’oleificio, chiamato, non a caso, “Inferno” e lasciate riposare per alcune settimane. E, come è facile intuire, quest’olio si chiama appunto olio d’inferno che nessuno degli oleifici dell’epoca realizzava perché le acque grasse venivano abbandonate prima ancora di essere totalmente sfruttate. Si sono ottenuti poi 722 quintali di sansa che il Prof. Bracci di Spoleto trovò interamente esaurita con i mezzi meccanici e dopo aver effettuato le analisi chimiche riscontrò la presenza del 9% di grasso.
Nel primo anno di lavorazione l’esercizio finanziario si chiuse con Lire 2.005,50 di utile netto. Nel secondo anno si trasformarono 2.039 ettolitri di olive in 268 quintali di olio, 1.622 quintali di sansa con un utile netto di Lire 5.603,00 e tale utile sussisteva nonostante si fossero messe tra le spese Lire 2.000 per l’ammortamento del locale.
Nella terza annata agraria si lavorarono 2.808 ettolitri di olive ricavando 384 quintali di olio e 658 quintali di sansa.

A Matino gli uomini si mettevano insieme per fare l’olio e realizzavano insieme quell’attimo eterno di storia in cui l’oliva sacrifica se stessa per cedere all’uomo il suo fluido dorato, quel pregiato nutrimento che impreziosisce le tavole fin dalle età più remote: l’olio del profumo e del sapore, l’olio della saggezza e del calore, l’olio della tranquillità e del tepore, l’olio delle morbide chiome, l’olio del Salento leccese, l’olio che ti vuole.
Bibliografia

Cosimo Casilli: Lo Sviluppo economico locale: politiche di programmazione e strumenti di incentivazione – Manni Editore.
E. Viola: Cooperazione Rurale. L’oleificio cooperativo di Matino
Aliberti Giovanni: Strutture sociali e classe dirigente nel Mezzogiorno liberale

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