Seclì. La chiesetta della Madonna di Luna

La chiesetta della Madonna di Luna

Uno scempio storico-artistico tra Seclì, Galatone e Aradeo

 

di Annunziata Piccinno

 

Nelle campagne salentine sono disseminate le cappelle e le edicole votive; di alcune di queste spesso si ignora l’esistenza o le radici storiche, altre invece sono conosciute e frequentate, altre ancora, sebbene si conoscano le radici storiche e l’importanza che hanno avuto anche in un recente passato, sono abbandonate a se stesse in uno stato di precaria conservazione. La grande quantità di testimonianze del passato, se da un lato ci riempie di orgoglio, dall’altro ci pone di fronte a delle responsabilità nel custodire questa grande mole di opere che i nostri avi hanno saputo realizzare.

Il nostro presente non può esistere senza il passato, e noi abbiamo il dovere di conservare e tutelare ciò che abbiamo ricevuto per trasmetterlo alle nuove generazioni.

In un saggio del 1997 il sovrintendente ai beni culturali, Giovanni Giangreco, denunciava il senso di impotenza ad operare per ragioni magari comprensibili, come la carenza di risorse, ma che non cancellano la nostra responsabilità storica. E scriveva:«Che fare? Questa domanda diventa sempre più pressante col passare degli anni perché le nuove generazioni incalzano […] Bisogna allora individuare la causa di tale impotenza e, se le leggi non aiutano, bisogna adoperarsi con la cultura e con la fantasia per tentare strade nuove che portano alla risoluzione di questi problemi»[1].

Problemi che si ripropongono ogni qual volta veniamo a conoscenza o constatiamo direttamente il degrado in cui certi monumenti sono caduti, nonostante la ricerca storica e il vincolo. Un caso esplicito è la piccola chiesa rurale della Madonna di Luna, in agro di Seclì.

facciata principale (ph A. Piccinno)

Abbandonata a se stessa versa in uno stato di deplorevole degrado, ridotta quasi a un rudere; riconoscibile a malapena da chi ne ricordasse le primigenie sembianze, non tanto per il logorio dei secoli, ma soprattutto per l’incuria e il vandalismo cui è stata soggetta in questi ultimi anni[2].

La storia della chiesa la conosciamo attraverso le ricerche del sacerdote Sebastiano Fattizzo, pubblicate nel suo volume sul Crocifisso di Galatone[3] e in seguito riproposte in un saggio edito dal Comune di Seclì[4].

Sulla scia delle ricerche del sacerdote galateo, è facile tracciare brevemente le vicende della chiesetta, a partire dall’inusuale intitolazione alla Madonna di Luna.

Probabilmente nell’area dell’attuale edificio esisteva un sacello già in epoca pagana. Il titolo dunque deriverebbe da un luogo di culto dedicato alla dea Luna, consacrato alla Vergine una volta scomparso il paganesimo. Ecco perché la festa della titolare, fino a pochi decenni addietro, veniva ancora celebrata alla fine di agosto o ai primi di settembre, in prossimità della luna piena. Nei pressi della chiesetta, del resto, vi era un grosso macigno in pietra viva, chiamato pietra di luna, posto sul ciglio di un quadrivio campestre e poi gettato nel fondo della cava, ormai esaurita, della Masseria Gentiluono. Sarebbe una reliquia dell’antico tempio pagano, o addirittura un resto dell’ara su cui si immolavano sacrifici alla dea.

Sta di fatto che la fantasia popolare dei galatei non disdegnò di imbastire leggende su quello strano cimelio. Così recita una strofa dialettale, che l’ignoto scopritore della pietra avrebbe trovato incisa sul retro, dopo averla rivoltata:Iata a ci mi ota!

E mò ca m’ha bbutàta

M’aggiu totta ddiffriscàta.

Òtame e sbòtame ‘n’addha fiata.

che si traduce così:

Beato chi mi volta!

E ora che mi hai voltata

mi sono tutta rinfrescata.

Voltami e rivoltami di nuovo.

La chiesa, come accennato in precedenza, è sita nei limiti di feudo tra Seclì (appartiene territorialmente a questo comune), Aradeo e Galatone.

prospetto laterale

L’originaria costruzione è di indubbia antichità, anche se ricostruita ed ampliata nel corso degli anni. La chiesa, nell’Inventario dei Beneficji Ecclesiastici di Galatone, redatto nel 1678, appare esistente dal 1657. Ivi si apprende che, in quella data, tal Francesco Buia ristrutturò un’antica cappella preesistente, la ampliò e la dedicò, per una sua particolare devozione, alla Madonna di Costantinopoli; il popolo, però, continuò a chiamare la chiesa con il suo vecchio nome di “Madonna di Luna” e così fino ad oggi.

La chiesetta, sollevata sul piano stradale di circa un metro e mezzo, è a due vani con volta a botte. Nel vano rettangolare, addossato al muro, vi era un altare sormontato dall’affresco della Madonna con in braccio Gesù Bambino. Era dotata degli arredi sacri e di una pregevole acquasantiera. Sul fronte dell’edificio, affacciato sulla strada principale, vi era (e oggi se ne può vedere solo una parte) un piccolo campanile a vela con una campana. Questo fino ad una ventina d’anni fa.

Un campanello di allarme sullo stato del monumento trillava già in un articolo del 1989 dove, tramite un altro scritto di Sebastiano Fattizzo, si denunziavano le pessime condizioni dell’affresco e la necessità di provvedere alla custodia della chiesa:

«[…] l’affresco […] è circondato da una magnifica cornice di pietra scolpita: se non si provvederà quanto prima a riparare il guasto, qualche piromane brucerà i vecchi scanni rimasti dentro la chiesa… ed altri sfonderà l’altare e il pavimento… ed in questo modo tutto sarà sfasciato…».

Profezia che purtroppo si è avverata!

Il monumento, sottoposto dalla Soprintendenza a vincolo di tutela con declaratoria del 19-08-1987, è beneficio dell’Insigne Collegiata di Maria SS.ma Assunta di Galatone. Per tale motivo i canonici galatei avevano l’obbligo di celebrarvi un certo numero di messe e di impegnarsi nella manutenzione e conservazione del monumento. Oggi, messo da parte tale obbligo morale, la chiesa è quasi del tutto inesistente se non per le mura, anch’esse percorse da numerose e profonde crepe. Soggetta a furti ripetuti, da quanto ho potuto personalmente appurare, dell’antico corredo la chiesa non conserva nulla. Durante un mio sopralluogo nel 2001 notai che l’altare era stato asportato e mancava l’acquasantiera. L’affresco della Vergine, picconato giù dalla parete, era a terra, fatto a pezzi, ridotto a un cumulo di frammenti informi; coperti da strati di polvere e calce, si potevano riconoscere come tessere di un mosaico il manto azzurro della Vergine, i piedi del Bambino e altri particolari[5]. Ora neppure questo. È lo scempio più totale! È addirittura arduo e pericoloso poterci entrare, giacché l’architrave è lesionata, così come la volta, e a terra vi sono pietre disseminate dappertutto. Uno scheletro che a malapena si mantiene in piedi, così è disgraziatamente ridotta la chiesetta.

Intanto, a braccia conserte, si resta a guardare. Che ne sarà di Luna? Ai posteri l’ardua sentenza.


[1] G. Giangreco, La Chiesa di S. Angelo De Salute in Galatone o l’eredità culturale del passato, in L’oro di Galatone, Lecce 1997, 135.

[2] Cf M. Grasso, Li petre ti luna, in «Il giornale di Galatone», 29 (2000), 11.

[3] S. Fattizzo, Il Crocifisso di Galatone, Galatina 1982, 484-492.

[4] S. Fattizzo, La leggenda della pietra di luna, in Seclì. Almanacco di storia arte e società 2003-2004, a cura di V. Zacchino, Galatina 2003, 105-113.

[5] A. Piccinno, La Chiesa di “Madonna di Luna”nella Visita Pastorale di Mons. Antonio Sanfelice del 1719, in «Piazza San Paolo, periodico di Seclì», 4 (2001), 9.

 

pubblicato su Spicilegia Sallentina n°6

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