Gennaro Cimafonte e l’altare maggiore della chiesa del Rosario di Martano

Riportiamo gli abstract dei saggi pubblicati sul nuovo numero de Il delfino e la Mezzaluna

 

Ugo Di Furia, Gennaro Cimafonte e l’altare maggiore della chiesa del Rosario di Martano

in Il delfino e la Mezzaluna, Periodico della Fondazione Terra d’Otranto, anno VI, n° 8, 2019, pp. 165-177

 

 

ITALIANO

 L’altare maggiore della chiesa domenicana del Rosario a Martano fu realizzato intorno al 1752 da Gennaro Cimafonte, uno dei principali esponenti di un’ampia e celebre famiglia di marmorari napoletani, già presente in Salento nella chiesa della Purità di Gallipoli e nella parrocchiale di Campi Salentina. Tale attribuzione si deve ai documenti ritrovati più di un trentennio fa da Eduardo Nappi nell’archivio storico dell’Istituto Banco di Napoli Fondazione. A questi si aggiungono oggi altri dati provenienti dal medesimo archivio che, oltre a definire meglio i tempi di realizzazione ed i costi complessivi dell’opera, forniscono ulteriori informazioni su alcuni manufatti lignei realizzati contemporaneamente per lo stesso monastero domenicano dallo scultore Pietro Nittolo e dall’intagliatore Giacomo Ricci. Inoltre, i due putti capo altare di Martano, che in passato erano stati riferiti a Matteo Bottigliero e dei quali al momento non esistono documenti atti a testimoniarne la paternità, vengono qui attribuiti, sulla base di valutazioni di carattere stilistico, a mani diverse: a Giuseppe Sanmartino quello di sinistra e ad un altro coevo scultore napoletano, al momento ignoto, quello di destra.

 

ENGLISH

The main altar of the Domenican church of the Rosary, in Martano, was erected in 1752 by Gennaro Cimafonte, one of the leading exponents of a large and famous Neapolitan marble cutter family. Similar structures were already present in Salento in the church of Purita in Gallipoli and in the parish of Campi Salentina. Such attribution is due to some documents found more than thirty years ago by Eduardo Nappi in the historical archives of the Institute Banco di Napoli Foundation. Other data originating from the same archives made us possible to define more in detail the overall cost of the work and the amount of time required for the realization of it along with further information about some wooden artifacts probably produced for the same Dominican monastery by the sculptor Pietro Nittolo and by the woodcarver Giacomo Ricci. Additionally to these, the two cherubs in Martano which in the past had been referred to Matteo Bottigliero and of which at the moment there are no document that testify the ownership, were attributed, on the basis of stylistic evaluations, to different artistis: with Giuseppe Sanmartino is related the cherub on the left and to an unknown contemporary Neapolitan sculptor the one on the right.

 

Keyword

Ugo Di Furia, Martano, Gennaro Cimafonte, Pietro Nittolo, Giacomo Ricci, Giuseppe Sanmartino

Marmi e marmorari nel Salento

 

Il “Comunichino” della chiesa di Santa Teresa di Gallipoli alla luce di nuovi documenti

 

di Antonio Faita

Nell’ottobre del 1992, fu pubblicato il libro “Il Monastero delle Carmelitane scalze di Gallipoli”, edito dalla Tiemme di Manduria (TA) e scritto, all’epoca, dalla laureanda insegnante Carmela Casole[1].

Un lavoro paziente e appassionato, in cui la Casole ricostruisce storicamente, sia la realizzazione del monastero e chiesa, voluta dalla costante tenacia del suo fondatore, il vescovo Mons. Antonio Perez, che la vita claustrale, di preghiera e contemplazione delle figlie di Santa Teresa d’Avila. Il tutto, attraverso un’attenta lettura dei documenti archivistici, ma soprattutto di quelli inediti conservati da trecento anni nel monastero[2] delle Carmelitane scalze.

Dalla lettura di questo lavoro ho estrapolato alcuni passaggi interessanti che mi hanno consentito di approfondire alcuni aggiornamenti su determinati aspetti:

Il 30 luglio 1700 si insediò a Gallipoli, proveniente da Napoli, il Teatino Mons. Oronzo Filomarini succedendo a Mons. Perez, la cui morte avvenne il 14 gennaio 1700, lasciando un dolore inimmaginabile per le Carmelitane e per tutti coloro che lo conobbero[3]. Nel verbale redatto durante la Visita Pastorale del 1714 Mons. Filomarini ci descrive minuziosamente il complesso monastico e la chiesa che, dalla costruzione (1687) fino al loro completamento (1690), non subirono molti cambiamenti, per cui la descrizione riportata dalla Casole sul suo libro, è anche quella dell’attuale sistemazione[4].

La chiesa è dominata dal barocco degli altari, un esempio significativo, se non unico, in cui la tenerezza della pietra leccese ha certamente costituito un invito all’esuberanza della decorazione, consentendo nello stesso tempo un linguaggio assai ricco di motivi. Da un accostamento con altri altari in alcune chiese di

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