Gli agrumi del Salento

di Massimo Vaglio

Secondo la mitologia greca quando Giunone andò in sposa a Giove gli portò come dote alcuni alberelli che producevano dei meravigliosi pomi d’oro, arance e limoni, simboli d’amore e  fecondità, un simbolismo tuttora vigente, vista l’usanza di scegliere proprio i fiori di zagara per i bouquet nuziali. Giove, dovette considerare tanto caro e prezioso quel dono che li custodì gelosamente in uno stupendo  giardino sito in una parte remota del mondo allora conosciuto, alle pendici del Monte Atlante,incaricando come custodile mitiche ninfe Esperidi, avvenenti fanciulle dal canto dolcissimo che venivano coadiuvate in questa delicata incombenza dal drago Ladone.

Giovanni Antonio Pellegrini (Venezia, 29 aprile 1675 – Venezia, 2 novembre 1741), Ercole e le Esperidi

Purtroppo per Giove, tali accorgimenti si dimostrarono insufficienti; i preziosi alberi furono infatti sottratti da Ercole, nella sua undicesima fatica, dopo aver combattuto un’estenuante lotta in cui ebbe la peggio il terribile Ladone.

Da allora, gli agrumi divennero appannaggio pure dei comuni mortali, ma conservarono, a ricordo della  divina origine, il nome greco di esperidio, termine botanico con in quale viene indicato il frutto degli agrumi.

Gli agrumi appartengono alla famiglia delle Rutaceae, sottofamiglia Aurantioideae, gruppo Citreae, e si ripartiscono in numerosi generi.

La loro coltivazione è iniziata nella loro zona di origine che è l’Asia orientale intorno al 2400 a.C. La loro avanzata verso il Mediterraneo è stata piuttosto lenta e a tappe, transitando progressivamente attraverso l’India e il Medio Oriente. Ma il loro arrivo, se così si può dire, è stato pure rateale, pare infatti che i Romani abbiano conosciuto soltanto i cedri e i limoni, circostanza documentata in vari affreschi e mosaici. Solo più tardi, intorno al VII secolo, gli arabi introdussero in Sicilia l’arancio amaro o melangolo.

brunoaranceMoltissime fonti, anche molto autorevoli, attribuiscono agli Arabi anche l’introduzione dell’arancio dolce, ma di tale circostanza non si ha traccia né nei documenti storici né nella letteratura relativa a questo nobile e prezioso frutto. Per questo motivo, molti studiosi  propendono nel darne merito ai Portoghesi, dato che notizie certe su questo agrume cominciano in concomitanza con l’espansione coloniale avviata da questi nel 1415. Una testimonianza scritta si trova nel diario della prima missione portoghese in oriente compiuta da Vasco de Gama dove vi è testualmente scritto: sonvi melancrie assai, ma tutte dolci…. E’ facile pensare che impararono a conoscere questi frutti nel lontano Oriente e li trasferirono nella loro terra di origine. Ad avallare questa ipotesi anche il fatto che l’arancio comune o dolce venne appellato Portogallo, una denominazione che tuttora conserva in vari idiomi meridionali, come in quelli calabresi e salentini (portagallu).

Diversi insigni botanici, fra cui il Risso, il Poiteau, il Fiori e lo Swingle si sono cimentati con risultati spesso discordanti della loro classificazione, operazione che presenta ancora oggi notevoli difficoltà, non essendo facile stabilire con sicurezza, se non con approfondite indagini genetiche, l’ascendenza delle numerosissime forme coltivate da quelle selvatiche, dalle quali si presume abbiano avuto origine per incroci o per mutazioni gemmarie.

Per quanto riguarda il Salento, il suo clima particolarmente mite, lo rende  un territorio  vocato alla coltivazione degli agrumi, che costituiscono le essenze arboree più diffuse nei giardini cittadini e negli orti suburbani, ma la loro coltura ha storicamente raggiunto un buon grado di specializzazione, soprattutto nella cittadina di Alezio e in tutto l’interland gallipolino, ove sono state tradizionalmente coltivate diverse cultivar di arancio dolce (Citrus sinensis Osbeck), a maturazione differenziata in modo da coprire il fabbisogno provinciale in un arco temporale quanto più ampio possibile, quali: l’Arancio Biondo Comune e il Sanguinello, il Piattello, il Maltese o Vainiglia, il Tarocco, il  Moro, il Washington,  il Valencia Late, ecc.. oltre a diverse altre cultivar non meglio identificate e a numerose varietà di mandarini comuni, limoni e agrumi rari.

Un patrimonio di biodiversità agraria importantissimo, che negli ultimi decenni è stato fortemente compromesso, molti sono stati infatti gli agrumeti, per così dire storici, che sono stati svelliti o reinnestati in omaggio alla globalizzazione con arance Navel e con Clementine apirene. Queste, sono infatti le cultivar che da qualche decennio hanno progressivamente globalizzato tutti i mercati del mondo compreso quello salentino.

Una delle varietà tradizionali  più interessanti e pregiate è sicuramente l’arancia Piattello, meritoriamente rientrante fra i P.A.T., ossia, nell’elenco nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali, questa, presenta l’esperidio di colore arancio, dalla forma tipicamente appiattita ai poli con un diametro che può comunemente superare i 15 centimetri. Con l’avanzare della maturazione, sia il flavedo (esocarpo), sia la polpa (endocarpo), si pigmentano di una intensa colorazione sanguigna. Il frutto è ombellicato, ovvero solitamente presenta internamente in corrispondenza dell’apice, una corona di piccoli spicchi. Gli alberi, molto produttivi, riescono a portare annualmente a maturazione anche oltre 100 kg di arance.

Fra le diverse cultivar di limone (Citrus limon Burm), si distingue senz’altro il Veracetto o Limone Gallipolino, dal bellissimo frutto bislungo con la scorza sottile difficile da togliere e dalla colorazione verde gialla, di buona acidità, aromaticità e ottima serbevolezza, caratteristica che già nel “700 ne fece una merce preziosa, vivamente contesa, come scorta antiscorbuto, dagli equipaggi delle numerose navi che facevano scalo nel porto di Gallipoli impegnate nel traffico dell’olio. Oggi, relegato nei giardini di diverse dimore storiche è molto apprezzato nella preparazione del limoncello.

Particolarmente apprezzato anche il Frangiapane o Limone di Pane, simile ad un grosso limone, viene così appellato per via del frutto dalla scorza dolce e spessa, particolarmente adatto ad essere consumato crudo, ammannito in una sorta di insalata. In verità, secondo alcune autorevoli classificazioni, non si tratterebbe di una varietà di limone bensì di una varietà di limetta (Citrus aurantifolia Sw) e precisamente della limetta di varietà Limoncella.

In molti giardini salentini, inoltre, si conservano gelosamente, alcuni antichi cloni di Melangoli (Citrus aurantium L.) localmente appellate “Marange”, che seppur fortemente amare, vengono fatte oggetto di commercio in diverse feste religiose primaverili, ove, apparecchiate in scenografiche ghirlande (“campanari”), vengono vivamente contese da non pochi affezionati estimatori.

Non mancano neppure delle vere e proprie rarità botaniche, Lime di più cultivar, Pompelmi Rosa di straordinaria grandezza e la cosiddetta Meraviglia, un strano, raro agrume di origine misteriosa. Valutando le sue caratteristiche si può desumere che sia una sorta di ibrido scaturito dall’incrocio tra due specie d’agrumi, probabilmente (ma è solo un’ipotesi), tra il melangolo e il cedro. L’albero, è simile a quello dell’arancio, ma può presentare un habituspiù o meno gentile, ovvero può essere, più o meno spinescente. I frutti, o meglio gli esperidi, che nella forma ricordano il pompelmo, sono di colore giallo carico, molto grandi, pesano mediamente 700-800 grammi, ma possono superare anche il chilogrammo di peso.

La scorza, si presenta esternamente granulosa, se non bitorzoluta, negli esperidi provenienti da alberi coltivati su terreni leggeri; quasi liscia, invece, quella degli esperidi prodotti da alberi coltivati su terreni più profondi e fertili.

Il flavedo, è sottile e fortemente aromatico; l’albedo è bianco, talvolta leggermente roseo, di notevole spessore in proporzione alla polpa. La polpa, e quindi il succo, è amarognolo e notevolmente più acido di quello del limone, quindi inadatto al consumo fresco, anche se qualcuno utilizza gli spicchi dei frutti molto maturi, previa spellatura, nelle insalate.

Della meraviglia, sulla scorta di quanto si fa comunemente con i limoni, si usa il flavedo per farne un liquore, localmente molto apprezzato per il grato sapore e la straordinaria fragranza. La scorza completa, viene anche tradizionalmente utilizzata per farne canditi un tempo ampiamente utilizzati nella grande pasticceria monacale salentina.

A comprovare la datata diffusione di questo agrume sul territorio della Provincia di Lecce, l’esistenza di annosi grandi alberi, in diversi giardini  di dimore storiche, la cui presenza è  nota agli appassionati di varie branche, gastronomi, botanici, e semplici curiosi e buongustai. Le monache benedettine del convento di San Giovanni Evangelista, in corte Accardo a Lecce, depositarie della ricetta originale della famosa pasta di mandorla, ne possedevano diversi alberi ed utilizzavano i loro esperidi per preparare rosoli e bagne, ma anche, canditi che impiegavano nella preparazione dei loro inarrivabili dolciumi.

Marmellata d’arance
Lavate con cura delle arance non trattate e recuperate la scorza (solo la parte arancione); tagliatela a filetti e sbollentatela per 5 minuti. Scolatela e tenete da parte. Pelate a vivo le arance; tagliatele a pezzi o a fette sotti­li pesatele e trasferitele in una casseruola unendo il succo di un limone. Ponete su fiamma bassa e cuocete per 5 minuti; poi, aggiungete le scorze e800 g di zucchero per chilo di frutta. Mescolate con cura tutto e lasciate cuocere, a fuoco lento, fino a quando la marmellata avrà raggiunto la giusta consistenza. A questo punto, versatela nei barattoli a chiusura ermetica; tappateli e capovolgeteli per qualche minuto. Quindi rigirate nuovamente i vasi e lasciateli raffreddare coperti con dei panni di lana prima di riporti in una dispensa buia e asciutta.

Marmellata di mandarini
Lavate con cura i mandarini privateli della scorza, mondatela, per quanto possibile, della parte bianca, poi, sbollentatela per 5 minuti e tritatela finemente.
Private, quindi i mandarini dei filamenti e dei semi; spezzettateli e riuniteli con le scorze in una casseruola e ponete su di una  fiamma molto bassa per 5 minuti. Trascorsi i quali aggiungerete il succo del limone e600 g di zucchero per ogni chilo di frutta.  Fate addensare mescolando. A questo punto, versate la preparazione in vasetti sterilizzati con chiusura ermetica; tappateli e capovolgeteli per qualche minuto. Quindi rigirate nuovamente i vasi e lasciateli raffreddare coperti con dei panni di lana  prima di riporti in una dispensa buia e asciutta.

 

Scorze d’arancia candite

Lavate le arance, sbucciatele in modo da ricavarne delle scorze il più larghe possibile senza romperle.  Mettete le scorze in un tegame e copritele di acqua fredda. Portatele a bollore e poi scolatele. Ripetete quest’operazione che serve a ridurre l’amaro delle scorze tre volte, in alternativa potrete bollire le scorze in abbondate acqua per 20 minuti. Scolate, asciugate bene le scorze, poi pesatele.  Mettete in un tegame zucchero semolato pari al peso delle scorze, con una ventina di grammi di acqua per ogni etto di zucchero. Portate ad ebollizione lo sciroppo di zucchero e versatevi le scorze, rigirandole finché non ci sarà più zucchero liquido nel tegame. Nel frattempo versate dello zucchero semolato in un piatto. Passate le scorze nel piatto dello zucchero, dividendole e rigirandole per bene, poi adagiatele su di una carta-forno in modo che non si attacchino fra loro. Quando saranno raffreddate. si possono conservarere in un vaso a chiusura ermetica. Costituiscono un buon accompagnamento al caffè e posseggono ottime proprietà digestive.

Arance sotto spirito

Sbucciate le arance e dividetele in spicchi. Levate la parte bianca da ogni spicchio, tagliateli in due ed eliminare i semi. Pesate gli spicchi, unite una uguale quantità di zucchero riempite dei vasetti e versate in ognuno di questi due dita di alcool a 90° e chiudeteli ermeticamente. Si possono consumare dopo circa tre mesi.

Arancino

Lavate delle arance non trattate, appena raccolte e utilizzando un coltellino molto affilato o ancora meglio un pelapatate, asportate il flavedo ossia la parte esterna della scorza sino a ricavarne200 grammi, tagliuzzatele e mettetele in infusione con1 litrodi alcool per 4-5 giorni in un vaso di vetro a chiusura ermetica. Aggiungete uno sciroppo preparato sciogliendo800 grammidi zucchero in l litro di acqua; dopo 20 giorni filtrate e imbottigliate. Migliora con qualche mese di stagionatura. Otterrete un liquore denso, dalla colorazione tendente al vermiglio d’ottimo aroma e gusto.

Limoncello

Con le stesse dosi e le stesse procedure sopra riportate potrete ottenere il più famoso limoncello, è un liquore di colorazione giallo chiara, fortemente aromatico, di piacevole gusto, entrambi migliorano sensibilmente con una stagionatura di almeno sei mesi.  Particolarmente indicati  ad essere serviti ghiacciati o con acqua bollente nella preparazione del grog.

Insalata di “Limoni Frangiapane”

Con il nome di limone Frangiapane o Limone di Pane, si identifica un grosso limone, che viene così appellato per via del frutto dalla scorza dolce e spessa, particolarmente adatto ad essere consumato al naturale o ammannito in una sorta di insalata. In verità, secondo alcune autorevoli classificazioni, non si tratterebbe di una varietà di limone, bensì di una varietà di limetta (Citrus aurantifolia Sw) e precisamente della limetta di varietà Limoncella. La ricetta è la seguente: frutti di  Arancia Bionda comune e di “Limone Frangiapane” o solo di “Limone Frangiapane” privati del flavedo ossia dell’esocarpo aromatico,  tagliati a spicchi e conditi con olio extravergine d’oliva e sale. Tale insalata viene spesso resa più ricca e gustosa, aggiungendo delle olive nere della cultivar Cellina di Nardò in concia tradizionale e dei finocchi tagliati a piccoli spicchi.

Gli agrumi del Salento

di Massimo Vaglio

Secondo la mitologia greca quando Giunone andò in sposa a Giove gli portò come dote alcuni alberelli che producevano dei meravigliosi pomi d’oro, arance e limoni, simboli d’amore e  fecondità, un simbolismo tuttora vigente, vista l’usanza di scegliere proprio i fiori di zagara per i bouquet nuziali. Giove, dovette considerare tanto caro e prezioso quel dono che li custodì gelosamente in uno stupendo  giardino sito in una parte remota del mondo allora conosciuto, alle pendici del Monte Atlante,incaricando come custodile mitiche ninfe Esperidi, avvenenti fanciulle dal canto dolcissimo che venivano coadiuvate in questa delicata incombenza dal drago Ladone.

Giovanni Antonio Pellegrini (Venezia, 29 aprile 1675 – Venezia, 2 novembre 1741), Ercole e le Esperidi

Purtroppo per Giove, tali accorgimenti si dimostrarono insufficienti; i preziosi alberi furono infatti sottratti da Ercole, nella sua undicesima fatica, dopo aver combattuto un’estenuante lotta in cui ebbe la peggio il terribile Ladone.

Da allora, gli agrumi divennero appannaggio pure dei comuni mortali, ma conservarono, a ricordo della  divina origine, il nome greco di esperidio, termine botanico con in quale viene indicato il frutto degli agrumi.

Gli agrumi appartengono alla famiglia delle Rutaceae, sottofamiglia Aurantioideae, gruppo Citreae, e si ripartiscono in numerosi generi.

La loro coltivazione è iniziata nella loro zona di origine che è l’Asia orientale intorno al 2400 a.C. La loro avanzata verso il Mediterraneo è stata piuttosto lenta e a tappe, transitando progressivamente attraverso l’India e il Medio Oriente. Ma il loro arrivo, se così si può dire, è stato pure rateale, pare infatti che i Romani abbiano conosciuto soltanto i cedri e i limoni, circostanza documentata in vari affreschi e mosaici. Solo più tardi, intorno al VII secolo, gli arabi introdussero in Sicilia l’arancio amaro o melangolo.

Moltissime fonti, anche molto autorevoli, attribuiscono agli Arabi anche l’introduzione dell’arancio dolce, ma di tale circostanza non si ha traccia né nei documenti storici né nella letteratura relativa a questo nobile e prezioso frutto. Per questo motivo, molti studiosi  propendono nel darne merito ai Portoghesi, dato che notizie certe su questo agrume cominciano in concomitanza con l’espansione coloniale avviata da questi nel 1415. Una testimonianza scritta si trova nel diario della prima missione portoghese in oriente compiuta da Vasco de Gama dove vi è testualmente scritto: sonvi melancrie assai, ma tutte dolci…. E’ facile pensare che impararono a conoscere questi frutti nel lontano Oriente e li trasferirono nella loro terra di origine. Ad avallare questa ipotesi anche il fatto che l’arancio comune o dolce venne appellato Portogallo, una denominazione che tuttora conserva in vari idiomi meridionali, come in quelli calabresi e salentini (portagallu).

Diversi insigni botanici, fra cui il Risso, il Poiteau, il Fiori e lo Swingle si sono cimentati con risultati spesso discordanti della loro classificazione, operazione che presenta ancora oggi notevoli difficoltà, non essendo facile stabilire con sicurezza, se non con approfondite indagini genetiche, l’ascendenza delle numerosissime forme coltivate da quelle selvatiche, dalle quali si presume abbiano avuto origine per incroci o per mutazioni gemmarie.

Per quanto riguarda il Salento, il suo clima particolarmente mite, lo rende  un territorio  vocato alla coltivazione degli agrumi, che costituiscono le essenze arboree più diffuse nei giardini cittadini e negli orti suburbani, ma la loro coltura ha storicamente raggiunto un buon grado di specializzazione, soprattutto nella cittadina di Alezio e in tutto l’interland gallipolino, ove sono

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