
di Paolo Vincenti
“Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio”: in questi versi della dantesca preghiera alla Vergine di San Bernardo si concentra una delle espressioni più alte, nella storia del pensiero mondiale, dell’amore che l’uomo abbia saputo esprimere in poesia nei confronti dell’alma madre, la Madonna. Mala storia della letteratura di tutti i tempi è ricchissima di autori che, in prosa o in versi, si sono rivolti alla propria madre per cantarne la dolcezza, lamentarne l’assenza o vivificarne la presenza, piangerne la partenza, per sublimarne il volto e l’immagine o per cullarne il ricordo, per scrivere della propria nostalgia, dei propri rimpianti e travagli, di contrasti ormai sanati, di inquietudini e conflitti pacificati.
Così fa Maurizio Nocera, l’arsapo che continua a volare alto nei cieli della cultura salentina e che ogni tanto ha bisogno di ritornare al nido, là dove la sua avventura è cominciata, per ripararsi dalle intemperie della vita, per far riposare le ali e per cercare nel conforto materno quel caldo che aiuta a riprendere il volo. E quel nido per l’arsapo-angelo Maurizio è Tuglie, borgo avito, dove sono i suoi ricordi di infanzia e adolescenza, il porto-quiete dove