Fracking o hydrofracking in Puglia

mappa fracking

di Gianni Ferraris

Si legge nel blog della Dott.ssa Maria Rita D’Orsogna, italiana che vive e lavora negli U.S.A. presso la California State University at Northridge  Los Angeles, alla pagina: http://dorsogna.blogspot.it/2013/05/fracking-foggia.html  un interessante articolo. L’autrice da sempre si batte perché l’Italia non subisca lo scempio della petrolizzazione. In fondo non siamo un paese ricco di petrolio e, come ormai norma e consuetudine, gettiamo alle ortiche le nostre ricchezze. Quale altro sciagurato governante, se non quello di stirpe italica, permetterebbe il crollo di Pompei? Quale altro essere umano mediamente capace di intendere e volere penserebbe ad un faraonico ponte sullo stretto, devastante, senza prima ultimare l’autostrada Salerno Reggio Calabria che è cantierizzata da almeno 40 anni? Eppure si concede, contro il parere di tecnici, il permesso a fare della nostra terra un colabrodo. Che sotto ci siano interessi che vanno oltre il ritrovamento del petrolio viene spontanei pensarlo. Ma veniamo all’articolo della D’Orsogna. Intanto io non sapevo cosa fosse il fracking, ho fatto quello che chiunque può fare, anche i parlamentari che concedono permessi, ho cercato su wikipedia:

La fratturazione idraulica, spesso denominata con i termini inglesi  fracking o hydrofracking, è lo sfruttamento della pressione di un fluido, in genere acqua, per creare e poi propagare una frattura in uno strato roccioso[1]. La fratturazione, detta in inglese frack job (o frac job)[2][3], viene eseguita dopo una trivellazione entro una formazione di roccia contenente idrocarburi, per aumentarne la permeabilità al fine di migliorare la produzione del petrolio o dello shale gas contenuti nel giacimento e incrementarne il tasso di recupero

Le fratture idrauliche possono essere sia naturali che create dall’uomo; esse vengono create e allargate dalla pressione del fluido contenuto nella frattura. Le fratture idrauliche naturali più comuni sono i dicchi e i filoni-strato, oltre alle fessurazioni causate dal ghiaccio nei climi freddi. Quelle create dall’uomo vengono indotte in profondità in ben precisi strati di roccia all’interno dei giacimenti di petrolio e gas, estese pompando fluido sotto pressione e poi mantenute aperte introducendo sabbia, ghiaia, granuli di ceramica come riempitivo permeabile; in questo modo le rocce non possono richiudersi quando la pressione dell’acqua viene meno.

Rischi ambientali 

La fratturazione idraulica è sotto monitoraggio a livello internazionale a causa di preoccupazioni per i rischi di contaminazione chimica delle acque sotterranee e dell’aria. In alcuni paesi l’uso di questa tecnica è stata sospesa o addirittura vietata.

Rischi sismici

Le tecniche di microfratturazione idraulica del sedimento possono, in taluni casi, generare una micro-sismicità indotta e molto localizzata. L’intensità di questi micro-terremoti è di solito piuttosto limitata, ma ci possono essere problemi locali di stabilità del terreno proprio perché i sedimenti sono superficiali. Sono stati comunque registrati alcuni terremoti probabilmente indotti superiori al 5º grado della Scala Richter. Ad esempio nel Rocky Mountain Arsenal, vicino a Denver in Colorado, nel 1967, dopo l’iniezione di oltre 17 milioni di litri al mese di liquidi di scarto a 3.670 metri di profondità, furono registrate una serie di scosse indotte localizzate nell’area, con una punta massima di magnitudo compresa fra 5 e 5,5.

 

Vediamo cosa dice la D’Orsogna:

Durante il periodo 15-17 Aprile 2013 un gruppo di ricercatori ENI ha presentato un lavoro dal titoloRevitalizing Mature Gas Field Using Energized Fracturing Technology In South Italy presso la 2013 North Africa Technical Conference and Exhibition a Il Cairo, Egitto.

Gli autori, Luis E. Granado, Roberta Garritano, Raffaele Perfetto, Roberto Lorefice, Roberto L. Ceccarelli, tutti dell’ENI, affermano di avere “rivitalizzato” un pozzo di gas già sfruttato in passato usando nuovissime tecniche di fratturazione idraulica che incluono l’uso di fluidi “energizzanti” a base di zirconati.

Il campo scelto e’ quello di Roseto-Montestillo, nei pressi di Lucera e la concessione e’ la Tertiveri.

Nel testo si dice che a causa della delicatezza delle operazioni, si sono dovuti usare molti accorgimenti in tutte le fasi di progettazione, trivellamento, completamento e successiva stimolazione dei pozzi.  E’ stato necessario usare “elevatissime pressioni di pompaggio” e hanno avuto problemi con i proppanti, che servono a mantenere aperte le fessure dopo le operazioni di fracking. Alla fine pero’ sono arrivati ad “ottimi guadagni” in produttivita’ e allo stesso tempo hanno ridotto il quantitativo dei fluidi di perforazione.

Purtroppo l’unico sito da cui la notizia e’ reperibile e’ quello della “Society of Petroleum Engineers” e i dettagli sono pochi.

Dai siti ministeriali non vi e’ traccia di tale intervento: i pozzi nella concessione Tertiveri sono elencati tutti come in produzione o non produttivi e non vi sono altre specifiche.

Le domande che ci si pongono allora sono sempre le stesse:

Perche’ queste cose le dobbiamo apprendere dalla “Society of Petroleum Engineers” in un convegno al Cairo e non da appositi enti informativi italiani?

L’ENI aveva i permessi per fare fracking? Cosa esattamente hanno pompato nel sottosuolo? Quanto tempo sono durate queste operazioni? Quando e’ successo? La gente lo sapeva?  In quali altre localita’ si vuole fare fracking in Italia?

I nostri ministri lo sanno cos’e’ il fracking?

E veramente vogliamo andare avanti cosi, a casaccio? Che chi prima arriva fa un po quel che gli pare e poi lo dobbiamo venire a sapere da una mezza paginetta di un convegno in Egitto? E se non c’era il convegno quando l’avremmo saputo?

Cosa aspettiamo ad aprire un dialogo nazionale, non solo sul fracking ma in generale sul modo in cui intendiamo proteggere (o non proteggere) il sottosuolo dalle trivelle – di petrolio, gas, con fracking, senza fracking, in mare, in terra o per stoccaggi di dubbia utilita’?

Infine: perche’ non seguiamo l’esempio della Francia che ha vietato il fracking gia’ nel 2011?

Trivellazioni. L'audizione al Senato di Maria Rita D'Orsogna

stefano crety
ph Stefano Crety

di Maria Rita D’Orsogna

Sono tornata a casa, e non ho fatto a tempo a partire e ad arrivare che già’ si parlava di liberalizzazioni delle trivelle, di ritiro annunciato – ma forse che c’e’ il barbatrucco – oltre che della manifestazione di Sabato 21 Gennaio a Monopoli, di altri scoppi di petrolio ENI, del petrolio al largo della Costa Concordia, dell’oleodotto Keystone per ora bocciato da Obama, e del diniego del pozzo della Audax al largo di Pantelleria.

Avrei tante cose da raccontare, tante impressioni, incontri: dibattere con un nuovo ENI-man a Muro Leccese – sweet revenge – incontrare le mamme di Viggiano, ricevere i premi a Pescara e a Palermo, ma non c’e’ tempo per tutto. Occorrerebbe un post per ciascuna di queste cose.

 

L’audizione al Senato: e’ andata bene.

Inizia tutto puntuale alle 2 del pomeriggio – ero un po’ preoccupata ed avevo speso moltissimo tempo prima per condensare tutto nei pochi minuti che avevo, perche’ volevo essere rispettosa del tempo altrui. Ma poi, una volta iniziato, la paura e’ passata ed e’ andata come sempre.

Con me c’era il mio amico Hermes Pittelli, giornalista e scrittore di Roma, che sono sicura sapra’ fare un resoconto piu’ obiettivo e distaccato.

Ai senatori in aula gli ho fatto vedere le mappe di tutte le regioni in dettaglio – Venezia, l’Abruzzo, la Sicilia, le isole Tremiti, il Salento, la Basilicata – ed ho evitato di parlare di royalties per non passare il messaggio che aumentando un po gli spiccioli che ci danno, si puo’ fare tutto.

Il mio discorso e’ durato circa 25 minuti ed e’ stato piu’ o meno una versione ridotta di quello che dico sempre. Alla fine ho detto loro che secondo me – ma anche secondo il buonsenso! – sarebbe opportuno sveltire l’istituzione dell’area marina protetta a Pantelleria e del Parco della Costa Teatina per l’Abruzzo, per dare cuscinetti in piu’, ma che meglio sarebbe interdire tutti i mari nazionali alle trivelle.

E poi gli ho detto che siccome l’Italia è il paese più ricco e più avanzato di quelli che si affacciano sull’Adriatico sarebbe opportuno che fosse il nostro paese a farsi promotore di una azione congiunta per chiudere Adriatico, e per

Il Comitato per la tutela del mare del Gargano ribadisce il "no" alle ispezioni sismiche nel mare di Puglia

Il mare Adriatico deve essere difeso e tutelato dall’attività estrattiva del petrolio ed il progetto delle ispezioni sismiche è da ritenersi in forte e totale contrasto con l’ambiente, l’economia, la storia, le tradizioni che si svolgono lungo la costa adriatica da Rimini sino a Santa Maria di Leuca, peraltro un territorio ampiamente antropizzato che promuove e valorizza in ogni occasione il turismo di qualità, i prodotti ittici, i sempre più numerosi prodotti agricoli “slow food”, la consolidata immagine di territorio sano che si avvia verso uno sviluppo sempre più sostenibile.

Di seguito la lettera inviata alle Autorità dal Comitato per la tutela del mare del Gargano.

Trivellazioni in mare. Gianni Ferraris intervista Maria Rita d'Orsogna

Trivellazioni in mare, ne abbiamo parlato con Maria Rita D’Orsogna, abruzzese, che lavora come Associate Professor Mathematics Department California State University at Northrigde Los Angeles, CA. Che ci ha risposto da Los Angeles nonostante il fuso orario di 9 ore diverso dal nostro.

ph Stefano Crety


Il governo italiano ha dato concessioni per le trivellazioni in mare per ricerche petrolifere, ha senso spingere in questa direzione anzichè nella ricerca di energie alternative?

E’ ovvio che no, ma non soltanto perchè  il futuro dell’energia è nelle fonti alternative – solare in primis – ma soprattutto perchè il petrolio che abbiamo in Italia è di qualita’ scadente, posto in profondità e non presente in grandi quantità. Il petrolio italiano non cambierà di una iota lo scenario energetico nazionale ma servirà solo per arricchire chi lo estrae. Basti pensare che il più grande giacimento europeo si trova in Basilcata e produce solo il 6% del fabbisogno nazionale italiano. Questo vuol dire che se vogliamo restare ancorati al petrolio, volenti o nolenti, continueremo a importarlo dall’estero a lungo. La Northern Petroleum stima che il petrolio presente nei mari di Puglia e’ pari a circa 50 milioni di barili – quanto basta all’Italia per un mese. Il gioco vale la candela? 

In più il petrolio italiano in genere è “amaro e pesante” cioè carico di impurità sulfuree e le cui molecole non sono della lunghezza giusta per farci la benzina. Il petrolio migliore del mondo è dolce e leggero – tutto il contrario del nostro, che risulta particolarmente inquinante e che necessita di speciali trattamenti per eliminare lo zolfo. La maggior parte delle concessioni di cui si parla oggi arrivano dopo sondaggi gia’ eseguiti 40 o 50 anni fa. A suo tempo si decise che, a parte speciali situazioni come Cortomaggiore (Piacenza), poiche’ il petrolio italiano era di qualita’ pessima non era conveniente estrarlo, e si preferi’ importarlo dall’estero. Oggi c’e’ questo revival di petrolio italiano perche’ la materia prima inizia a scarseggiare, c’e’ molta piu’ competizione da parte di cinesi e indiani, anche per quello che l’ENI ha definito in mia presenza “il fondo del barile”. E siccome siamo nel mondo globale e ipervelocizzato, c’è molto da speculare anche da petrolio cosi scadente come quello italiano.

Quale impatto ambientale provocheranno le trivellazioni?

Quello a cui non sempre si pensa è che per trivellare e poi estrarre petrolio occorre iniettare grandi quantita’ di “fluidi e fanghi” perforanti nel sottosuolo, saturi di inquinanti, a volte di materiale radioattivo e cancerogeni. Si stima che nell’arco della sua vita – di 30 o 40 anni – una piattaforma marina produca circa 90 mila tonnellate di questi rifiuti classificati come speciali e tossici. In teoria queste sostanze dovrebbero essere smaltite in maniera ottimale, nella realta’ spesso finiscono in acqua: lontano dagli occhi della gente. E questo non solo in Italia, ma in tutto il mondo, lo fanno anche in

Lettera aperta riguardo le trivellazioni nei mari del Salento

ph Maria Aurora Trentadue

IN DIFESA DEL MARE DELLA PUGLIA E DELLE COSTE DEL SALENTO

Alla c. a. del Dott. Marcello Gaballo
“Spigolature Salentine”
https://spigolaturesalentine.wordpress.com/

Gentilissimo Dott. Marcello Gaballo,

mi è giunta una preoccupante comunicazione scritta (riportata di seguito
integralmente) da parte della Prof.ssa Maria Rita D’Orsogna,
professore associato di Matematica Applicata a Los Angeles, che mi
scrive in merito a nuovi pozzi di petrolio che dovrebbero sorgere lungo
le coste del Salento.

Da diversi anni la Prof.ssa Maria Rita D’Orsogna cerca di sensibilizzare
le comunità e i cittadini sui pericoli delle trivellazioni selvagge nei
mari italiani.

Come cittadini italiano, pugliese e salentino, mi sento in
dovere di trasmettere anche a Lei ed a tutti gli “Spigolatori Salentini
le comunicazioni pervenutemi da parte dell’insigne ricercatrice italiana
che sollecita attenzione ed interventi immediati da parte delle
istituzioni, dei cittadini e degli organi d’informazione del Salento.

Aderisco civilmente e moralmente al fianco degli abitanti delle Isole
Tremiti e del Gargano contro le trivellazioni in mare per l’estrazione
del petrolio, ed oggi ritengo che la tutela dell’ambiente del nostro
Salento contro i gravi rischi dell’estrazione petrolifera sia una
priorità irrinunciabile per tutti noi.

Confido che Lei e gli “Spigolatori Salentini” saprete offrire la giusta
attenzione alle allarmate e allarmanti comunicazioni della Prof.ssa
Maria Rita D’Orsogna, perché la sua non resti una “vox clamans in
deserto”.

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