La cripta e gli affreschi di Santa Maria degli Angeli in Poggiardo

 

di Marco A. de Carli

A un tiro di schioppo dalle note mete turistiche costiere di Castro e di Santa Cesarea Terme, nell’entroterra sorge la ridente cittadina di Poggiardo, che riserva al visitatore notevoli ricchezze storiche ed artistiche.

La cripta bizantina dedicata a Santa Maria degli Angeli, insieme con la cappella della Madonna della Grotta e la chiesa dei Santi Stefani a Vaste¹, rappresenta una delle suggestive chiese-cripte ipogee che caratterizzano quella che un tempo era conosciuta come Terra d’Otranto. Risalente alla cosiddetta “seconda età d’oro” del periodo tardo-bizantino, pur non presentandone la raffinatezza architettonica, la cripta di Poggiardo può essere paragonata al “San Salvatore” di Giurdignano (località conosciuta soprattutto per i suoi menhir e che dista una decina di chilometri da Poggiardo).

Sorta intorno all’anno Mille, la cripta fu adibita al culto per oltre quattro secoli, fino al suo totale abbandono alla scomparsa del rito greco, nel corso del XVI secolo.

Riportiamo qui di seguito la descrizione che della cripta fece, nel 1847, Giovanni Circolone

«Nell’interno dell’abitato vi è il tempio a S. Maria sacrato, di cui ne investe onoratamente il nome. Situato al di sotto del calpesto terreno pare che nasconder si voglia alla vista dei mortali moderni: vi si penetra dal curioso, escavando la ripiena entrata dalla consolidata macerie: pervenuto nel tempio la accesa fiaccola fa subito rilevarne la tripartita rettangolare figura, il doppio filo di colonne, le immagini di più santi, l’altare, l’effige di Colei, di cui ne porta il nome; i scolorati colori e il goccolio della insinuante umidità rompono il vero effetto del settemplice raggio: tutto in breve riveste lo squallore e l’oblio, nell’atto che la sua vetustà concentra l’animo del filosofo e trascorrere un sacro tremore fa per le membra. Comincia l’incavato tempio sulla strada da oggi detta la Chiesa, sette in otto passi al di là dell’angolo egrediente del palazzo Ducale: si estende a proporzione a dritta e a manca, e giunge fino al loco ove attualmente giace la Chiesa Matrice. Delle iscrizioni esistenti in detto tempio non mi è riuscito interpretarne alcuna, attesa la mal conformazione dei caratteri di cui si è fatto uso, non essendo riferibili ad alcuno dei conosciuti alfabeti. Ci mi sono acquietato al solo riflesso che assegnando l’epoca alla escavazione del tempio, deve essere poco tempo dopo il 1000: in allora trovandosi caduto l’Impero occidentale, ed essendo i barbari sfrenati a delle continue incursioni rimase in Italia avvinta e deserta in ogni punto, come ancora i guasti di tanti eserciti e le calamità di ogni sorte agevolarono la estinzione di quel fuoco, che avea reso immortale l’animo degli etruschi e dei latini. Laonde per cotale disastro s’estinse ogni lume di lettere e di cognizioni umane, per locché da un particolare alfabeto dovettero essere formate le iscrizioni in parola»².

Nel 1929, durante uno scavo, la cripta, situata sotto la sede stradale di via Don Minzoni, nelle adiacenze della chiesa parrocchiale, fu casualmente riscoperta e riportata alla luce e ne vennero immediatamente riconosciuti il pregio ed il valore. Dopo essere stata liberata dal materiale di riempimento e restaurata, riacquistò il suo originale aspetto. Una copertura in calcestruzzo armato sostituì quella originaria in tufo, quasi del tutto franata. Quanto all’illuminazione naturale della cripta, la si ottenne mediante una struttura in vetrocemento.

L’architettura della costruzione, a forma basilicale, è a tre navate che si concludono in altrettante absidi curve, con la volta sorretta da quattro pilastri, due dei quali crollati poco dopo la riscoperta della struttura. Di essi rimangono solo i basamenti. L’invaso è nettamente diviso in naos (ναός), area riservata ai fedeli, e bema (βήμα) che, nelle chiese bizantine, è lo spazio riservato a clero e ministri (presbiterio). Naos e bema erano separati da una iconostasi litoidea che metteva in comunicazione le due zone attraverso stretti passaggi. Singolare è la posizione fuori asse della parete di fondo che, dopo lo scavo, fu probabilmente oggetto di un aggiustamento nella più tipica direzione richiesta dalla liturgia, ossia verso oriente.

Di particolare interesse sono gli splendidi affreschi che adornano la cripta. Per carattere di tecnica e stile essi si differenziano da quelli della stessa epoca (XI-XII sec.) delle altre cripte salentine, principalmente per i colori accesi e vari, con uno spiccato predominio dei rossi e delle ocre.

La diffusa ed insanabile umidità delle pareti della cripta, unita all’incombente minaccia delle muffe, resero necessario lo stacco degli affreschi, che nel corso del 1955 furono portati all’Istituto Centrale del Restauro di Roma. Il restauro richiese un lungo lavoro ma il risultato fu soddisfacente; essi vennero esposti in una serie di mostre in varie città italiane e, nel 1975, tornarono finalmente nella propria terra di origine dove trovarono una degna collocazione in una struttura-museo ipogea appositamente realizzata in piazza Episcopo, a quattro passi dalla cripta, e all’interno della quale il perimetro originario della cripta è stato tracciato sul pavimento e gli affreschi montati su pannelli nella posizione di origine. Se ciò da un lato contribuì ad una migliore conservazione e valorizzazione del prezioso materiale iconografico, dall’altro determinò l’abbandono della struttura originaria, che nel 1985 è stata resa oggetto di opportuni lavori di ristrutturazione. Le fessurazioni createsi, avevano causato infiltrazioni delle acque meteoriche. È stata effettuata l’impermealizzazione completa della struttura con materiali di sicura affidabilità e risolto il problema della presenza di forte umidità, ventilando la cripta con l’installazione di un apparecchio aspiratore-ventilatore. Copie artistiche e durature degli affreschi, in polistirolo ignifugo e refrattarie all’azione degli agenti atmosferici, sono state collocate nella loro sede originaria. In tale modo si è ottenuto un doppio percorso: le opere originali in un ambiente salubre e protetto, la parte architettonica resa di nuovo agibile e ricorredata del suo ciclo pittorico. Il museo è stato inaugurato il 12 giugno 1975 con l’autorevole partecipazione dell’allora presidente del consiglio Aldo Moro.

Il ciclo degli splendidi affreschi è particolarmente ricco: nel naos, sulla parete destra dell’ingresso figurano, racchiuse in riquadri policromi, le immagini di San Nicola, San Giorgio nell’atto di trafiggere il drago e – queste tutte in dittico – San Gregorio Nazianzeno e San Giovanni Teologo, Sant’Anastasio e Cristo con ai piedi la Maddalena, San Demetrio e San Nicola.

Le pareti poste a separare il naos dal bema vedono le figure di San Giovanni Teologo a destra e San Giovanni Battista a sinistra. Degli affreschi che decoravano il pilastro crollato non rimane traccia. Ancora visibili, invece, quelli che abbellivano il pilastro ricollocato nel museo e che rappresentano San Giorgio, una Vergine con Bambino ed un santo ignoto. Ancora a sinistra nel naos sono raffigurati San Michele e San Giuliano e, nella parte terminale, una Vergine con Bambino e San Nicola.

Nel bema, di notevole bellezza è l’abside centrale, che raffigura una Vergine con Bambino, posta tra gli Arcangeli: l’abside di sinistra contiene l’Arcangelo Michele, mentre sui setti tra le tre absidi sono raffigurati, a sinistra Santo Stefano e a destra San Lorenzo. Sulla parete sinistra i Santi Cosma e Damiano.

Come abbiamo già avuto modo di accennare, le pitture risalgono al periodo che va dalla seconda metà del sec. XI alla prima metà del XII. Fanno eccezione alcuni affreschi, come quello che raffigura la Madonna con Bambino, del secondo pilastro di sinistra e che risalirebbe alla prima metà del XV sec. e l’altra Vergine con Bambino, sulla parete NO e San Nicola che le sta accanto, databili al sec. XIII.

Segue qualche cenno descrittivo dei singoli affreschi.

San Nicola, vescovo di Mira

Il santo è raffigurato con paramenti vescovili mentre benedice “alla greca” (con pollice e anulare della mano destra che si uniscono, lasciando l’indice diritto e formando così l’anagramma greco di Cristo IC XC [ΙΗΣΟΥΣ ΧΡΙΣΤΟΣ]. Le due dita unite simboleggiano la duplice natura di Cristo: divina e umana).

San Giorgio

San Giorgio martire è rappresentato secondo l’iconografia tradizionale, mentre trafigge il drago-serpente dall’alto del cavallo. Pur apparendo di profilo, il santo volge busto e capo di prospetto. Veste una tunica svolazzante rossa e una corazza a squame gialle.

San Giovanni Teologo e San Gregorio Nazianzeno

San Giovanni veste una tunica grigia e un manto rossastro, mentre San Gregorio è raffigurato con manto giallo. Nella mano sinistra sostiene un libro. Le scritte a lato dei santi risultano illeggibili, come in quasi tutti gli affreschi della cripta.

Cristo Benedicente, la Maddalena e Sant’Anastasio

Cristo è assiso sul trono mentre benedice alla greca. Reca in mano un libro con la scritta “Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre”. Il Cristo veste un manto che ricade in pieghe molto ampie e calza dei sandali. Ai suoi piedi è inginocchiata la Maddalena, vestita di rosso. Verticalmente vi è la scritta greca “Maria Maddalena”. A destra troviamo Sant’Anastasio che reca in mano una piccola croce.

San Demetrio e San Nicola

San Demetrio è raffigurato di fronte, in un dittico in gran parte sbiadito, con San Nicola che benedici alla greca e che tiene stretto al petto un evangelario.

San Giovanni Teologo

Il santo è affrescato anch’egli nell’atto di benedire. Con la mano sinistra regge un evangelario decorato da un fiore. La sua tunica è di un rosso scuro e un manto grigio gli avvolge la vita.

San Lorenzo

Il santo, raffigurato di prospetto, veste una dalmatica rossa. Il suo volto, di un bell’ovale, è ben conservato.

Madonna con Bambino tra gli Arcangeli

L’affresco si trova nell’abside centrale. La Vergine siede sul trono con il Bambino sulle ginocchia e veste di rosso scuro, con un manto blu scuro. Alla sua destra l’Arcangelo Gabriele, rappresentato con una veste grigia e manto rosso. L’Arcangelo è proteso verso il gruppo centrale della Vergine e del Figlio. A sinistra l’Arcangelo Michele, che indossa un manto grigio su veste rossa.

Santo Stefano

Il primo martire della cristianità è raffigurato in piedi, di prospetto, e veste da diacono una dalmatica marrone decorata da cerchi bianchi. Con la mano destra l’incensiere.

Arcangelo Michele

E’ affrescato nell’abside di sinistra, di propsetto, ad ali aperte. La sua veste è di colore rosso. Nella mano destra alzata impugna la lancia e con la mano sinistra regge il globo incrociato.

Santi Cosma e Damiano

L’affresco si trova sulla parete orientale, presso l’abside minore. San Cosma indossa una tunica bianca ed un manto di foggia particolare, identificato con la penula ebraica che gli copre interamente la spalla destra, lasciando libera la sinistra. Con la mano destra a dita unite alzata, nella sinistra regge un rotulo. La figura del fratello San Damiano è analoga alla precedente per aspetto e foggia dell’abbigliamento. Il manto lascia libere le spalle e sulla veste grigia risaltano decorazioni a cerchi marroni. Nella mano sinistra stringe un libro.

San Giovanni Battista

La sua figura intera e di prospetto è posta sulla parete meridionale d’angolo. La sua tunica bianca rosata si intravede appena. La mano destra con tre dita aperte poggia sul petto.

San Michele Arcangelo

Il santo, affrescato a figura intera con le ali aperte, indossa una veste rossa e sul petto si incrocia una stola marrone. L’arcangelo impugna, con la destra, la lunga asta, mentre nella mano sinistra regge il globo. Come il precedente, questo affresco è alquanto guasto.

San Giuliano

A figura intera, dipinto di prospetto, il santo veste una tunica di colore rosso con orlature e calza gambiere rosse e sandali. La mano sinistra è alzata a palma in fuori e con la destra stringe la croce.

Madonna con Bambino e San Nicola

In questo affresco la Madonna, in veste grigio scura con un manto marrone, tiene in braccio il Bambino con tunica bianca e manto giallo. Il volto della Vergine è leggermente inclinato verso il Figlio. A destra è dipinto, di prospetto, San Nicola, con una penula rossa chiara e il pallio episcopale. Il santo è raffigurato benedicente alla greca. Lo stato della pittura è molto precario.

 

Vergine con Bambino

Il dipinto è situato sul lato est del primo pilastro di sinistra. La Madonna sorregge con il braccio destro il Bambino seduto e benedicente. Indossa un manto azzurro (annerito nel tempo) che le copre pure il capo. Questo affresco si differenzia nettamente da quello dell’abside centrale; l’insieme dell’esecuzione, di duro disegno, e l’espressione dei volti rivelano una diversa mano e epoca. Si può pensare al tardo XIII secolo.

San Giorgio

Affrescato sul lato a sud del primo pilastro di sinistra, San Giorgio è raffigurato di prospetto. Veste corazza a squame gialle, su tunica a maniche bordate. Con la mano sinistra impugna la lancia a punta triangolare, mentre la destra è appoggiata, a pugno chiuso, al petto.

Santo Ignoto

L’ultimo affresco della cripta-museo rappresenta un santo ignoto, in veste bizantina. Il Santo Ignoto può essere considerato come l’espressione simbolica delle virtù esercitate da tutti i santi.

A partire dall’anno 725, per iniziativa di Leone III Isaurico, successore di Teodosio al trono di Bisanzio, oltremare si andavano diffondendo l’iconoclastia e la conseguente persecuzione della popolazione greca ad essa ribellatasi e che produsse fenomeni di culto nascosti. In tale scenario, per lungo tempo Otranto ed il monastero di San Nicola di Casole assunsero una posizione chiave nella strategia della cultura. La cripta di Santa Maria degli Angeli fu citata in relazione al prestito di uno sticherarion (στιχηράριοv), libro che contiene i canti degli uffici liturgici vespertini e delle lodi del mattino, prestito concesso dal monastero di San Nicola al capo della comunità di Poggiardo, il monaco Michele.

L’attività dei monaci, anziché attirare la benevolenza delle autorità, scatenò pontefici e re di Napoli, che si misero d’accordo per sopprimere quanto di greco esisteva in Italia. Gregorio I estese la gerarchia latina; i conti di Lecce e Nardò soppressero i calogerati basiliani, donandoli ai benedettini. Nel 1583 il sinodo diocesano, presieduto dall’arcivescovo di Otranto Pietro Corderos, sancì l’abbandono del rito greco nel Salento che, tuttavia, rimase in uso fino al XVII secolo.

La cripta ed il museo di Santa Maria degli Angeli in Poggiardo sono aperti al pubblico.

¹  Vaste fu una città messapica di considerevole importanza (l’antichissima Basta o Baxta), fondata probabilmente attorno al 600 a.C. Oggi è frazione del comune di Poggiardo.

²  M. LUCERI, La cripta di S. Maria in Poggiardo, in Japigia, IV 1933.

 

Bibliografia

S. RAUSA, Poggiardo : una vivace comunità salentina, Lecce 1995.

C.D. FONSECA – A.R. BRUNO – A. MAROTTA – V. INGROSSO, Gli insediamenti rupestri medievali nel basso Salento, Galatina 1979.

M. FALLA CASTELFRANCHI, La pittura bizantina in Salento, in “Ad Ovest di Bisanzio. Il Salento medioevale”, Atti del Seminario Internazionale di Studio, Martano 1988 (Galatina 1990), 129-214, a cura di B. Vetere.

M. FALLA CASTELFRANCHI, Pittura monumentale bizantina in Puglia, Milano 1991.

M. LUCERI, La cripta di S.Maria in Poggiardo, in Japigia, IV 1933.

 

Le foto sono della Fondazione Terra d’Otranto

Die Basilika Heilig Kreuz in Lecce, ein Wahrzeichen des Barocks


di Teodoro De Cesare

Die Basilika Santa Croce ist das Wahrzeichen des Barocks von Lecce schlechthin und ein Gebäude, das den künstlerischen Geist der Architektur des Salento verkörpert. Berühmt ist die Kirche wegen der reichen und prunkvollen Dekoration besonders im oberen Teil der Fassade.

Es handelt sich nicht um eine von Beginn an im Barock-Stil gebauten Kirche, vielmehr wurde sie in früheren Zeiten errichtet. Es wird sogar vermutet, dass die Kirche aus dem 14. Jahrhundert stammt: so vermutet man, dass beispielsweise die Lilien, welche die Rosette umgeben, die Lilien darstellen, die das französische Königshaus an die Bevölkerung schenkte und den Celestinern (Zweig des Ordens der Benediktiner) damit Wohlstand wünschte. Jene Blumen würden an die erste Gründung erinnern, als Gualtieri VI von Brienne Graf von Lecce war. Im Auftrag der Celestiner bat er den Bischof, ihnen eine ihm angehörende Kirche zu vermachen. Nach Wunsch des Grafen hätte die Kirche „Santa Maria Annuntiata“ und „San Leonardo confessore“ benannt werden sollen. Da jedoch die Kirche schon unter den Namen „Santa Croce“ bekannt war, zog die Bevölkerung diesen Namen vor. Gualtieri starb 1356 und die Arbeiten wurden unterbrochen; über eine möglichen Fortsetzung der Arbeiten liegen keine Dokumente vor.

Zweifellos wurden auf Anregung der Celestiner Äbte ab 1549 die Bauarbeiten fortgesetzt. In jenem Zeitpunkt beginnt die Geschichte der Kirche, die bis zur Vollendung der Barock-Fassade andauern will.

Die Arbeiten am Bau von Santa Croce begannen im Jahr 1549 dank des Architekten Gabriele Riccardi. Riccardi schuf die Struktur der Basilika und vollendete auch den unteren Teil der Fassade, von klassische Ausgewogenheit und romanische Architektur aus blinden Rahmen bestehendem Gesims.

Sechs Säulen mit zoomorphen Kapitellen trennen die Wand, die von einem Fries klassischer Inspiration geschmückt ist. Im Jahr 1606, dank Francesco Antonio Zimbalo, wurde eine Art Prothyron mit Zwillingssäulen und zwei seitlichen Portalen angebaut. Der obere Teil wurde um 1646 durch Cesare Penna und Giuseppe Zimbalo ausgeführt. Er ruht auf einer Galerie die mit zoomorphen oder symbolischen Karyatiden gestützt ist. Dreizehn mit Emblemen versehenen Putten bilden die Balustrade. Die grosse zentrale Rosine weist einen romanischen Einfluss auf und ist von einem prächtigen Gesims umgeben; vier Säulen bieten eine fantasievolle Dekoration; im Fries sind die Buchstaben die für den Namen des auftraggebenden Abtes Don Matteo Napolitano stehen. Zwei Säulen stützen die Statuen von Sankt Pietro Celestino und Sankt Benedikt.

Alles ist durch eine Plastik von ungezügelter Fantasie und schöpferischer Freiheit vereint, ohne dadurch allzu überladen oder allzu reichlich zu wirken. Im Gegenteil, in ihrer Reichhaltigkeit erscheint die Struktur schlicht und klar.

Diese Leichtigkeit im Reichtum ist bestimmt der pietra leccese (lokaler Kalksandstein), die eine helle Farbe hat und leicht zu verarbeiten ist und dadurch die Komposition lebendig erscheinen lässt, zu verdanken.

Aus dieser kurzer Beschreibung versteht man, wie allein der Bau der Fassade eine Zeitspanne von etwa hundert Jahren in Anspruch genommen hat.

Von 1549 bis 1646 macht die italienische Kunst dann eine radikale Veränderung durch: die Zeit des Manierismus nähert sich dem Ende zu, Florenz verliert zugunsten von Rom ihre künstlerische Vorherrschaft. Ihrerseits empfängt Rom im Laufe des 17. Jahrhunderts Künstler aus der ganzen Halbinsel und dem Ausland; so folgen Klassizismus, Naturalismus und Barock aufeinander. Durch diese Situation kommt auch Lecce ein Reflex zu: so vereinen sich hier die Verspätungen der römischen Modelle mit einer starken lokalen künstlerischen Tradition.

Man kann behaupten, dass der Barock aus Lecce , der in der Fassade von Santa Croce zu erkennen ist und der später auch in anderen Bauten der Stadt wahrgenommen werden kann, sich zwischen der zweiten Hälfte des Cinquecento und Ende des Seicento entfaltete.

Der geschichtliche Kontext in dem sich diese kulturelle Erscheinung eingliedert, ist jener der Gegenreformation und des Eintretens der reformierten  Glaubensorden, ein Kontext der ökonomisch und kulturell besonderen Prozesse, zu dem politische und verschiedene künstlerische Persönlichkeiten beitrugen.

Der in Lecce ist ein Komplex von Palästen, Villen und Adelsresidenzen, Kirchen, Klöster, Religionsschulen, Sozialinstitutionen die vom politischen Rang der der Stadt zugeschrieben wird, über hinaus des unglücklichen ökonomischen Bildes, wie es die Historiker für die Terra d’Otranto zwischen Seicento und Settecento beschreiben.

Man kann behaupten, dass die Fassade von Santa Croce als prunkvoller Altar gedacht wurde und einen ewigen Verweis zwischen Aussen und Innen, klein und gross – was der Aufbau der Bedeutung der Architektur des Barocks von Lecce darstellt – ist.

Bei der Fassade und dem Altar handelt es sich gewissermassen um einen schmückenden Überbau auf einer Wand, die schon vorher bestand und die speziell im Fall „Santa Croce“ noch erforscht werden sollte. Ein Fassaden-Barock?

Der Abschluss des unteren Teils der Kirchenfassade reicht, laut Inschrift, auf das Jahr 1582 zurück. Die drei Portale wurden auf Entwurf von Francesco Antonio Zimbalo zwischen 1606 und 1607 ausgeführt; auf jeden Fall mussten die drei Tore – wahrscheinlich in anderer Form – schon vor dem Bau der Portale existieren, da sie den drei Eingängen des Schiffes entsprechen.

Es ist also sehr wahrscheinlich, dass eine ursprüngliche Form des Portals ein Werk des Gabriele Riccardi, Autor des unteres Teils der Fassade war. Das zentrale Portal kennzeichnet sich besonders durch vier paarweise verbundenen Säulen aus und es ist durchaus stichhaltig, dass gerade dies den Anbau des Zimbalo ist. Die verpaarte Säulen ruhen auf 45° gedrehtene Sockel: diese Lösung kann man in der Kirche auch im Altar von Sankt Francesco di Paola, ebenfalls im Jahr 1614 ausgeführt, beobachten. Diese Art von Säulen ist hier kein Einzelfall: man findet sie in der Theorie der Architektur des italienischen Manierismus.

Ein Werk des Riccardi könnte vielleicht die Lisene im Portal sein, wie man es aus dem Vergleich mit den Akanthusblättern über den Kapitellen des Schiffes in Santa Croce entnehmen kann.

Diesen Teil der Fassade hat 1646 ein dritter Künstler und Bildhauer, Cesare Penna beendet. Die Angabe des Jahres 1646 ist in einer von zwei Löwenfiguren getragene Schriftrolle enthalten und legt die Weihe der Kirche fest.

Die Balustrade stützt sich auf Telamonen und zoomorphen Figuren. Anhaltspunkt ist ein mittelalterliches Bestiarium, was im Salento nicht ungewöhnlich ist und profane und religiöse Themen verbindet: das bedeutendste Beispiel stellt der Mosaik-Boden in der Kathedrale zu Otranto, zwischen 1163 und 1165 ausgeführt, dar.

Das Thema in Santa Croce könnte könnte auch das vom siegenden Kreuz über die Mythen und den Hochmut der Heiden sein: «Diese Anspielung wird in der Serie der dreizehn Telamonen, die die Konsole zur Loggia des zweiten Stockes bilden, klar: es ist – durch den Prunk des Barocks noch vergrössert – die alte Symbolik der Löwen, die Säulen tragen, und auf die unterworfene Bestialität und das Böse hinweisen: unter den dreizehn Konsolen finden wir nämlich den Löwen, aber auch den Vogel Greif, den Adler und den Drachen, Bilder von Stolz und Ungeheuerlichkeit. Weiter sind erkennbar die römische Wölfin, Herkules mit dem Löwenfell, Figuren von Legionären, Negern, Muslimen, alten und neuen Heiden oder Ungläubigen. Dies alles mit einem gewissen Hinweis auf die Piraten des Mittelmeeres, die kürzlich (…) in der Schlacht von Lepanto zerschlagene berüchtigte Türken».

Die zentrale Rosette ist fällt einem am meisten auf: aus ihr entwirren sich eine Art Bewegung und visuelle Spiele, die die Eigenschaft des Festes und der Freude in sich haben. Im innersten Kreis sehen wir zwölf Engel, die dem Motiv der zwölf Strahlen entsprechen würden; dies ist in den Rosetten von mittelalterlichen Kathedrale häufig und symbolisiert die Christus-Sonne. In den beiden äussersten Kreisen sind vierundzwanzig christologische Granatäpfel sowie vierundzwanzig Engel zu sehen.

Der obere Teil der Santa Croce-Fassade ist der Triumph der dekorativen Fantasie. Dargestellt sind einige sich wiederholende ikonographische Elemente wie die Flammen und Löwen, Glaubenssymbole, der Pelikan der seine Kleinen ernährt (im Kapitell links von der Rosette) und die Granatäpfel, Symbole der Passion Christi.

Es ist auch möglich einen  Hinweis auf die grafische Technik der Miniatur zu erkennen, besonders in den verzierten Gesichtern und noch mehr in den von Engelchen getragenen Schriften, die man im Fries unklar zu sehen bekommt.

Dieses reiche und funkelnde Ornament stellt ein Barock dar, der an eine Wandstruktur des Cinquecento angebracht wurde und zwar nach den Regeln manieristischer Architektur und der Gegenreformation.

In ihrer künstlerischen Schönheit und technischer Feinheit, gleicht die Fassade von Santa Croce einem provisorischen, leichten Bau, den Figuren aus Papiermaché ähnlich, die in Italien, mindestens seit dem Quattrocento mit den provisorischen Ausschmückungen oder einem Entwurf des Modells, das selten aufbewahrt wurde, in Verbindung gebracht werden . Es ist kein Zufall, dass sich in Lecce seit dem Settecento eine grosse Tradition von Papiermaché-Meistern entwickeln konnte. Eine Tradition, die noch bis zum heutigen Tag floriert.

 

Übersetzung: Marco A. de Carli

 

Le lac de bauxite d’Otrante dans la province de Lecce

de Rocco Boccadamo

Les mots ne suffisent pas, du moins, ils ne seraient pas adaptés aux simples observateurs de la rue, qui écrivent pour pouvoir dire d’Otrante, de son cœur, de son âme, de son histoire, imprimés entre deux moments de louange, de gloire et parenthèses de tragédie, de ses propres alentours.

Nous pouvons dire que Otrante est un inégalable trésor, que dire, un ensemble de trésors, un authentique petit, grand mirage royal.

L’approche mentale à son endroit, ne peut que se conjuguer avec émotions et sensations profondes.

À quelques kilomètres de la localité, le long de la route qui serpente en direction du sud vers Porto Badisco, Santa Cesarea Terme et Castro, plus ou moins à la hauteur de la Baia delle Orte, on trouve, s’imposant à l’admiration hébétée des visiteurs, les restes des caves de bauxite et cela en raison de sa forme ressemblant à un bassin d’eau alpestre.

Mais, cela dénote l’exceptionnalité du site, situé sur l’autre versant de

Castro, perle très pure du Salento

 

Castro, mon grand amour: perle très pure du Salento, entre lumineux feux d’histoire et rayonnements de modernité

de Rocco Boccadamo

On a pas l’impression de rêver, on perçoit la réelle sensation que la divine Pallas Athéna pour les Grecs ou déesse Minerve pour les Romains – dont le nom constitue partie intégrante du surnom original du petit bourg que je m’apprête a nommer justement Castrum Minervae – peut-être à cause d’une forte déception, elle aurait distillé aux alentours une petite pluie de larmes ; larmes qui, arrosant et pénétrant le terrain, se seraient transformées en humus particulier qui, à son tour, serait à l’origine d’une vaste gamme, ou mieux d’un concentré, de beautés naturelles extraordinaires et admirables qu’on note diffusées dans cette souriante et amène contrée du Salento.
Un point presque invisible sur les cartes géographiques, qui cependant donne, en soit même, l’avantage de ressembler à l’ombilic de l’accouplement entre les dernières épaisseurs du vert de l’Adriatique et les plus animées nuances de bleu intense, de la mer Ionienne.

Comme par l’effet d’un miracle étrange, mais il ne s’agit pas d’un miracle, Castro est une «vieille» ville sur les traces de son antique et glorieuse histoire, bourrée aussi d’épisodes de saccages et destructions à l’oeuvre de hordes de pirates et de garnisons conquérantes qui jetaient l’ancre depuis  les rives très proches du Canal d’Otrante. Castro se présente, en même temps, joyeusement jeune, du moment qu’elle a réussi à garder, de nos jours encore, une grande envie de vivre et de croissance: ici, on doit le souligner, le problème de la baisse de la natalité n’existe pas, si non dans des termes modestes, de sorte que les jeunes, les adolescents et les enfants sembles nombreux, du moins en rapport du nombre de personnes âgées.
Castro la minuscule, cependant centre important dans l’histoire de la chrétienté. Beaucoup, peut-être, ne savent pas, que pour plusieurs siècles

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