di Irene Mancini
L’intervista è tratta dal libro I leccesi a Civita Castellana: storia di emigrazione e di tabacco, edito dalla Biblioteca Comunale di Civita Castellana nel 2008. L’autrice, Irene Mancini, è nata a Civita Castellana. Vive e lavora a Viterbo, dove insegna sociologia e svolge il ruolo di operatrice sociale presso la casa circondariale. Si è laureata in Lettere alla Sapienza di Roma (Ndr.).
Premessa dell’autrice
Alfredo Romano è nato a Collemeto, una frazione di Galatina in provincia di Lecce, nel 1949. È arrivato con la sua famiglia a Civita Castellana nel 1965 per la lavorazione del tabacco. Dal 1970 dirige la biblioteca comunale ‘Enrico Minio’ di Civita Castellana. È autore di vari volumi (poesie, racconti, due romanzi, raccolte di tradizioni popolari salentine) e articoli su periodici nazionali e locali. Ispirandosi alla storia dei suoi paesani a Civita Castellana e ai temi della tradizione salentina, ha portato in scena degli spettacoli dove narra e canta accompagnandosi con la chitarra e il tamburello. Ha dato uno spettacolo anche a Roma, al mitico Folkstudio, e a Wholen, in Svizzera, per gli immigrati italiani. Negli incontri periodici con i ragazzi della scuola dell’obbligo, oltre al compito di far loro conoscere i servizi della biblioteca, li intrattiene con letture animate di poesie e racconti, nonché cantando delle filastrocche su testi di Gianni Rodari, che lui stesso ha messo in musica. Lo incontro diverse volte. Poter raccontare la sua storia lo appassiona. Mi aiuta a cercare tutto il materiale possibile sull’argomento, perché l’idea che qualcuno faccia conoscere le vicende della comunità salentina immigrata a Civita Castellana, gli sembra un lavoro molto importante per la memoria storica non solo dei salentini, ma anche dei civitonici [abitanti di Civita Castellana. Ndr.]. Partecipa all’intervista con manifesta sensibilità, passando dall’ironia alla malinconia, fino alla commozione.
Come si arrivava a Civita Castellana?
“In genere, come nel caso della mia famiglia, perché qualcuno c’era già stato, e, tornando una volta l’anno al paese natio, ti invogliava a partire. Fu gente di Collemeto emigrata a Civita alcuni anni prima a capacitare mia madre; mio padre invece era restio. E non gli si poteva dare torto, visto che emigrare a 52 anni, quanti ne aveva allora, non era cosa semplice. La verità è che papà da qualche tempo aveva perso il lavoro (commerciava in tufi da costruzione) e a casa si attraversava un momento difficile. Perciò Civita Castellana apparve come una soluzione. Ho saputo in seguito che a quei tempi ogni proprietario terriero usava sborsare circa 50 mila lire di premio a chiunque convincesse una famiglia salentina a migrare a Civita per lavorare nella propria azienda. Nel 1965 erano soldi! Per cui, chi ti sollecitava a partire aveva un qualche interesse