La fortuna filosofica di Vanini: l’ateo e il credente

di Luca Calabrese

Ettore Ferrari, Giulio Cesare Vanini (1889), ph Giovanni Dall’Orto

Giulio Cesare Vanini nacque a Taurisano il 18 gennaio 1585. Il Vanini entrò nell’ordine carmelitano col nome di frà Gabriele, in seguito si trasferì a Padova per studiare teologia. In Veneto entrò in contatto con il cristianesimo irenico e latitudinario di Paolo Sarpi. Dopo svariati viaggi attraverso l’Italia e la Germania, nel 1612, fugge in Inghilterra, dove abiura alla fede cattolica, abbracciando l’anglicanesimo. Dopo due anni tenta di riprendere i contatti con la Chiesa cattolica, tentando la fuga, ma le autorità religiose inglesi lo rinchiudono in una prigione nella torre del Palazzo di Lambeth, da dove riuscirà a fuggire grazie alla  connivenza dell’ambasciatore spagnolo a Londra.

Da questo momento inizia il peregrinare del Vanini, che teme la ferrea intransigenza dell’Inquisizione. Nel 1615 pubblica a Lione l’Amphiteatrum aeternae providentiae e nel 1616, a Parigi, il De admirandis naturae reginae deaeque mortalium arcanis. Dopo un breve periodo trascorso a Tolosa, venne processato dall’Inquisizione nel 1618, condannato per eresia e ateismo e, l’anno seguente, mandato al rogo.

Influenzato dall’aristotelismo di Averroè, di P. Pomponazzi e di G. Cardano, Vanini contesta la religione rivelata, facendosi promotore  di una concezione della divinità immanente alla natura. Nella sua filosofia i dogmi della religione rivelata vanno riconsiderati alla luce della ragione, mentre i miracoli, lungi dall’essere fenomeni straordinari, hanno una spiegazione naturale.

La Scuola d’Atene (particolare)

Questa visione materialistica e razionalistica della natura conduce Vanini ad un determinismo universale, in cui si nega che il mondo abbia avuto origine per creazione e allo stesso tempo si proclama la materialità dello spirito e la mortalità dell’anima umana.

A dominare l’intero corso della ‹‹fortuna›› del Vanini è l’identità di significato tra ‹‹vanianesimo›› e ‹‹ateismo esemplare››, che accompagnerà l’eretico autore dell’Amphiteatrum e del De admirandis, fin dal crudele rogo di Tolosa. La documentazione scritta redatta per le Annales de l’Hotel de Ville, gli imputa l’offensiva intenzione di creare dei proseliti, cioè di insegnare l’ateismo. La sua morte incarna la fine del perfetto filosofo, lontano dai conforti religiosi, irrisorio nei confronti dell’assurda credenza nell’immortalità dell’anima, saldo nel credere alla funzione catartica e

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