Le “cattedre ambulanti di agricoltura” in Terra d’Otranto

di Armando Polito

La stupida divaricazione esistente tra la cultura scientifica e quella umanistica si è, a mio avviso, accentuata da quando la scienza cosiddetta pura ha ceduto il passo a quella applicata, per cui la stessa ricerca può contare quasi esclusivamente su sponsorizzazioni pubbliche, e ancor più private, se il campo d’indagine è promettente in vista di uno sfruttamento economico dei suoi risultati. Non auspico certamente che pure quella umanistica diventi schiava del profitto ma che almeno vitalizzi con la pratica una teoria altrimenti destinata a restare stucchevole, noiosa e, purtroppo, sterile sotto tutti i punti di vista, non escluso quello economico. Che senso ha, ad esempio, in un liceo classico studiare il latino ed il greco e, sfruttando il laboratorio d’informatica e la versione elettronica dei vocabolari delle due lingue (per non dire delle risorse reperibili in rete), non  dare agli allievi un’idea, almeno quella, delle enormi potenzialità offerte dall’informatica, senza, per questo, però, trascurare di parlare delle velleità della linguistica computazionale col connesso rischio che dall’IA (‘intelliggenza artificiale) si passi all’IA (idiozia acquisita)? Che ci sarebbe di strano, poi, se già a partire dalla fine del biennio, si mettessero gli allievi in contatto guidato se non con un manoscritto antico, almeno con un’epigrafe? Purtroppo temo che ancora oggi nello studio della letteratura la sezione antologica del manuale sia la cenerentola, oppure che avvenga il contrario, illudendosi che la lettura possa prescindere dalla conoscenza della grammatica o, peggio, che quest’ultima possa essere bypassata.

Oggi ci si lacera le vesti e ci si scompiglia i capelli sciacquandosi la bocca con fenomeni come la dispersione scolastica. I pochi benemeriti come Lorenzo Milani, purtroppo, non fanno testo, perché dovrebbe essere lo stato a farsi carico di portare la scuola nella strada, visto che la strada tiene lontano dalla scuola. Sotto questo aspetto pure il passato può insegnarci qualcosa e per questo entro in argomento.

Le cattedre ambulanti d’agricoltura hanno portato la scuola sul camo, visto che il campo, per una serie di motivi facilmente intuibili (e non per la congenita impossibilità a muoversi …), non poteva andare a scuola.

La prima in Italia nacque ad Ascoli Piceno nel 1868. Via via seguirono le altre, tutte  come associazioni private gestite da figure di grande prestigio in campo agrario. La loro diffusione, proprio per il loro carattere volontaristico, era limitata alle aree in cui l’agricoltura era più avanzata e le amministrazioni locali più attive e lungimiranti. Solo il 13 luglio 1907 con la legge n. 513 esse saranno istituzionalizzate con normativa statale riguardante all’assetto giuridico, la costituzione delle commissioni interne di vigilanza e lo svolgimento dei concorsi per l’attribuzione della carica di direttore. il compito primario delle cattedre era quello di diffondere le più avanzate pratiche di agricoltura attraverso una adeguata serie di conferenze da tenere nei vari paesi, seguite da libere discussioni, con dimostrazioni pratiche in sede o in aperta campagna e con la pubblicazione di un bollettino quindicinala o mensile, oggi documento prezioso per la ricostruzione delle attività ma anche dell’organigramma. La cattedra ambulante di agricoltura di Terra d’Otranto (comprendente all’inizio le sezioni di Brindisi, Taranto, Gallipoli, Tricase e il Comizio agrario di Lecce, nacque (o, quanto meno, iniziò a pubblicare il suo bollettino, L’agricoltura salentina, nel 1902. L’immagine che segue riproduce il frontespizio del primo numero del 1904 e l’analisi che farò, integrata con i dati registrati da altre pubblicazioni ufficiali può dare concretamente un’idea dell’importanza documentaria della quale ho detto prima.

A tale scopo basterebbe solo soffermarsi sui nomi citati ed è quello che farò nelle schede che seguono, anticipando solo che essi, i più non salentini (in quanto la mobilità dell’insegnante, occasione di nuove esperienze e, dunque, di miglioramento professionale, era all’epoca considerata come un fenomeno normale e non una iattura, qual è oggi per l’insegnante che vorrebbe il posto di lavoro a pochi metri da casa sua …), rappresentano, com’è naturale quando è la competenza a prevalere nell’attribuzione di un qualsiasi incarico, la crema della scienza agraria di allora.

FERDINANDO VALLESE

Non sono riuscito a reperire nessuna nota biografica, anche se la sua carriera iniziò a Lecce, continuò a Sassari, per concludersi ancora a Lecce. Il fatto che in quest’ultima città una strada è intitolata al suo nome indurrebbe a supporre, rischi connessi con l’omonimia a parte, che fosse, quanto meno, salentino. Un altro indizio è dato dal suo articolo La coltivazione della Batata a Calimera pubblicato sul n. 23 del 15 dicembre 1902 debollettino; il tema appare troppo legato al territorio [la patata zuccherina di Calimera oggi risulta inserita nel PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali)] per essere oggetto di studio da parte di uno straniero. Quasi sterminata è la serie delle sue pubblicazioni1.  

GIOVANNI MOLÈ

Nessuna notizia biografica; tuttavia, il cognome e il territorio prevalente oggetto di studio dei suoi lavori2 autorizzano ad ipotizzare un’origine siciliana.

GIOVANNI D’AMBROSIO

Il prevalente luogo di pubblicazione dei suoi lavori3 (Casalbordino) induce a pensare che fosse di origine abruzzese.

 GIOVANNI DONINI

I primi dei suoi lavori4 risultano pubblicati a Gallipoli, ma questo da solo non basta per ipotizzare la sua origine salentina.

GIUSEPPE GRAVINA

L’unica sua pubblicazione5 non aiuta a individuarne l’ origina.

FEDERICO SOLERI

I luoghi prevalente delle sue pubblicazioni6 indurrebbero a pensare ad un’origine toscana.

Da notare come nel frontespizio del bollettino riprodotto tra le sezioni (Brindisi, Taranto, Gallipoli e Tricase) manca Nardò. Evidentemente alla data del 15 gennaio 1904) la sua sezione non era stata ancora istituita, mentre risulta presente alla data del 1927, come riportato dall’ Annuario del Ministero dell’economia nazionale, 1927-V – 1928 VI, Libreria Provveditorato Generale dello Stato, Roma, 1928, p. 206, dal dettaglio di seguito riprodotto.

Naturalmente molti altri prestarono la loro opera nella cattedra ambulante di Terra d’Otranto  fino al 1928, anno in cui furono tutte soppresse7. Solo pochi nomi:

LUIGI SCODITTI (1896-1973) Iniziò la sua carriera professionale presso le Cattedre Ambulanti di Agricoltura (gli attuali Ispettorati Provinciale dell’Agricoltura). Prestò servizio dapprima a Lecce, poi a Gallipoli, Francavilla Fontana, Cerignola. Fu autore molto prolifico e dai molteplici interessi8.

LIBORIO SALOMI (Carpignano Salentino 1882 – Lecce 1952). Subito dopo la laurea lavorò presso la “Cattedra ambulante per le malattie dell’olivo” di Lecce e quando questa cessò di esistere passò ad insegnare Storia Naturale presso l’Istituto Tecnico  “Oronzo Gabriele Costa” di Lecce, succedendo a Cosimo De Giorgi. Non ha lasciato nessuna pubblicazione, ma non è questo, soprattutto per quei tempi …, l’unico metro del valore di un uomo di scienza.

ATTILIO BIASCO (1882-1959)  di Presicce. Scienziato principe dell’olivicoltura, come dimostra la maggior parte dei titoli delle sue numerosissime pubblicazioni9. Diresse L’agricoltura salentina dal 1923.

Oggi il PSR (Piano di Sviluppo Rurale) di ogni regione prevede la rinascita in chiave moderna delle cattedrev ambulanti, ma, pur non mancando le risorse, è indispensabile la volontà politica, al momento latitante, di realizzarla.

Tutte le cattedre all’epoca si avvalsero del veicolo pubblicitario all’epoca più potente e in pratica tutte dettero la loro intestazione a cartoline postali, oggi ricercate dai collezionisti. Per risparmiare spazio mi limito a riportare ub solo esempio che ci riguarda più da vicino.

La cartolina, spedita da Lecce il 25/10/1926 e incredibilmente giunta nello stesso giorno a Trani, è indirizzata All’Ill.mo Sig. Conte Pasquale Romano, Palazzo Antonacci, Trani.

I bollettini mensili, che le cattedre, come s’è detto, erano obbligate a pubblicare, sono preziose fonti d’informazione e ricostruzione storica. Nel nostro caso, invece, un aiuto ci viene dall’ Annuario del Ministero dell’economia, op. cit. nel dettaglio prima riprodotto e che, per comodità del lettore, replico.

Apprendiamo così non solo che il conte Pasquale Romano era un avvocato ma pure che alla data del 1928 ricopriva ancora la carica di presidente, mentre direttore era Attilio Biasco.

 

Lo stesso numero ci dà notizia delle cattedre delle altre provincie (Per Brindisi a p. 203 e per Taranto a p. 210).

 

Ho l’impressione che negli ultimi tempi le cattedre passarono, almeno per quanto riguarda la presidenza,  dal controllo dei professori di agraria, vantanti, come abbiamo visto, numerose pubblicazioni, a quello dei latifondisti (conte Pasquale Romano, barone Giuseppe Pantaleo) e di Mosè Stefanelli, che non pubblicarono nulla mentre che non pubblicarono nulla. Sorprende, per la provincia di Brindisi l’assenza del direttore, ma, in compenso, di quello della provincia di Taranto, Aurelio Bianchedi, si registra un numero apprezzabile di pubblicazioni10 .Su Giuseppe Pantaleo riproduco quanto si legge nella Rassegna puglese dfi scienze, lettere ed arti, anno XXX, v. XXVIII, nn. 6-7-8, Trani-Roma, Giugno-Luglio-Agosto 1913, p. 284

È certo, però, che nel meridione le cattedre non si distinsero per attivismo e spirito d’iniziativa, mentre le provincie settentrionali pubblicarono, oltre al bollettino periodico previsti dalla legge, anche alcune delle lezioni.

Non poche coniarono pure medaglie commemorative, con esiti esteticamente apprezzabili grazie alle allusioni a modelli del passato remoto o recente, come volta per volta dirò.

Al dritto lo stemma della provincia di Cuneo e legenda PROVINCIA DI CUNEO; al verso CATTEDRA AMBULANTE DI AGRICOLTURA MOSTRA DI FRUTTICOLTURA OTTOBRE 1928


Al dritto un seminatore; al verso un fascio di spighe a destra ed a sinistra un ramo di pianta di difficile, almeno per me, identificazione, replicata in esergo, e legenda CATTEDRA AMBULANTE DI AGRICOLTURA PROVINCIADI COMO. La raffigurazione del seminatore sembra essere sta ispirata  dal famosissimo Seminatore al tramonto di incent van Gogh (ne riporto il dettaglio per comodità di confronto).

 

Al dritto la dea Fortuna seduta in trono regge con la sinistra la cornucopia, simbolo dell’abbonsanza e con la destra il timone dell’aratro; legenda NIHIL MAIUS MELIUSVE TERRIS (Niente è maggiore e migliore delle terre) FERRARIA; al verso in campo vuoto CATTEDRA AMBULANTE DI AGRICOLTURA MDCCCXCIV    FERRARA MCMXXIV. NIHIL MAIUS MELIUSVE TERRIS è citazione da Orazio (Odi, IV, 2, 37). La medagli celebra il trentesimo anniversario anniversario dalla fondazione della cattedra (1894-1924) La raffigurazione appare ispirata a quella che nelle monete romane di epoca imperiale è uno dei due stereotipi (l’altro prevede la Fortuna seduta non sul trono ma sulla ruota. Di seguito due dei tantissimi esempi delle due varianti.

Asse: nel dritto testa laureata di Adriano (fu imperatore dal 117 al 138); al rovescio la Fortuna, nell’iconografia sopra descritta.

Al dritto testa di Aureliano (fu imperatore dal 270 al 275); al rovescio la Fortuna seduta sulla ruota.

Il piccolo repertorio di medaglie delle cattedre ambulanti fin qui presentato termina con due ultimi esemplari.


Al dritto testa di Mussolini rivolta a sinistra e legenda DUX con una fiamma a destra; al verso CATTEDRA AMBULANTE DI AGRICOLTURA DI LUCCA COMM(ISSIONE) PROVINCIALE GRANARIA, in esergo una spiga di grano

Al dritto testa di Mussolini rivolta a sinistra e legenda PIÙ FONDO IL SOLCO PIÙ ALTO IL DESTINO  e in basso al centro DUX e una fiamma; Al verso in alto un aratro e legenda CATTEDRA AMBULANTE AGRICOLTURA PADOVA GARA DISTRETTUALE 1930 e  al margine intorno COMMISSIONE PROVINCIALE GRANARIA. La medaglia attesta apertamente con GARA il clima di competizione tra le varie cattedre nel quadro della cosiddetta Battaglia del grano, caposaldo del programma autarchico del regime fascista.

Da notare nei due dritti l’utilizzo dello stesso modello iconografico, molto simile ad uno dei due (prima immagine sottostante) utilizzato in altre medaglie, in alternativa all’altro (seconda immagine).

Se le medaglie potevano costituire motivo di orgoglio per le cattedre, un carattere più peronale e privatistico avevano i diplomi rilasciati per aver partecipato con profitto ai corsi.

CATTEDRA AMBULANTE DI AGRICOLTURA

DI MODENA

ISTRUZIONE PROFESSIONALE DEI CONTADINI

ANNO 1930-1931-IX

CONCORSO GENERALE DI CAMPOSANTO

Si certifica che Moprselli M.O Luigi figlio di Giuseppe

nato a Camposanto il giorno 16 del mese di ottobre dell’annp 1869

ha frequentato regolarmente il suddetto corso professionale con esito ottimo.

Modena, li 30 giugno 1931

IL DIRETTORE                                                              L’ISTRUTTORE DEL CORSO

della cattedra ambulante di agricoltura

Diplomi erano previsi anche per i partecipanti ai concorsi, ma in questo caso, naturalmente, il premiato non era un contadino ma un produttore, che spesso poteva vantare il titolo di dottore.

CATTEDRA AMBULANTE DI AGRICOLTURA DI FANO

CONCORSO DI FORAGGIERE LEGUMINOSE

4° PREMIO

Diploma di Medaglia di Bronzo

Al Signor

Giovannelli Dott. Alberto

Fano, Giugno 1906 

In tempi molto recenti, poi, c’è chi ha pensato di sfruttare l’improbabile suggestione alimentata dal ricordo di questa istituzione: Giovanni Gregoletto (a cura di), Viti ambulanti. Nuove cattedre di enologia e viticultura, Edizioni SUV, s. l., 2014.

L’autore, nato a Conegliano nel 1963, vive a Premaor di Miane in provincia di Treviso. Viticultore, ha promosso la realizzazione in località Pedeguarda di Follina, sempre in provincia di Treviso, di un luogo museale che ospita gli oggetti che compaiono nel libro. Non a caso SUV è l’acronimo di Spazio dell’Uva e del Vino.

_____________________

1

Brevi norme pratiche per riconoscere, prevenire e combattere alcuni nemici della vite, s. n., Lecce, 1884

La cantina sperimentale di Lecce nel 1886, Lazzaretti, Lecce, 1887  

Le viti americane nella provincia di Sassari, Dessi, Cagliari, 1894

Le viti americane e la viticoltura moderna, Vallardi, Milano, 1896

Nuovo vivaio di viti americane nel podere della Scuola pratica di agricoltura in Sassari, Rizzo, Catania, 1898

La regia scuola pratica di agricoltura in Marsala nel suo primo bienno di esistenza, Giliberti, Marsala, 1900

Il presente e l’avvenire della viticoltura marsalese, Giliberti, Marsala, 1900  

Gl’ibridi produttori diretti, Giliberti, Marsala, 1901  

La caprificazione in Terra d’Otranto: osservazioni ed esperimenti, Tipografia cooperativa, Lecce, 1904

La cattedra ambulante di agricoltura per la provincia di Terra d’Otranto nel suo primo biennio di esistenza, Regia Tipografia Editrice Salentina, Lecce, 1904

Le cause certe o probabili dell’improduttività degli oliveti leccesi, Tipografia Giurdignano, Lecce, 1907

Gelsi e bachi: istruzioni pratiche per gli agricoltori salentini, Tipografia Giurdignano, Lecce, 1907

ll fico: nozioni botaniche, varietà, coltivazione, produzione, disseccamento, commercio, avversita, Battiato, Catania, 1909

ll trifoglio alessandrino o bersim (trifolium alexandrinum lin.) in Terra d’Otranto : esperimenti culturali eseguiti durante l’anno 1909-1910, Regia Tipografia Editrice Salentina, Lecce, 1910

Il gelso: nozioni pratiche di coltivazione, con speciale riguardo al Mezzogiorno d’Italia, Battiato, Catania, 1912

Esperimento contro la mosca delle olive, (dacus oleae gml) col metodo delle capannette dachicide, Tipografia Editrice Salentina, Lecce, 1913

La gelsicoltura e la bachicoltura in Terra d’Otranto nel 1913-14, Regia Tipografia Editrice Salentina, Lecce, 1914

2

Studio scientifico-economico sull’ex feudo Bosco di S. Pietro con speciale riguardo sulla coltivazione ed utilizzazione della sughera in Sicilia, Stabilimento tipografico vesuviano, Portici, 1902

La terra ai contadini, Industrie grafiche romane “ars nova”, Roma, 1924    

Perfosfati o fosforiti macinate? Problemi agrari, Stamperia della Libreria italiana e straniera, Sassari, 1926

L’ irrigazione ed il latifondo in Sicilia, s. n., Milano, 1926

Studio-inchiesta sui latifondi Siciliani, Tipografia del Senato, Roma, 1929

Contributo allo studio dell’emigrazione in rapporto alle condizioni dell’agricoltura in Sicilia, Lucci, Roma, s. d. 

3

L’innesto erbaceo delle viti, Tipografia Nicola De Arcangelis, Casalbordino, 1903 

Concimi di origine organica e concimi di origine inorganica. Istruzioni pratiche sul loro uso, sul loro commercio e sul loro controllo, Tipografia Nicola De Arcangelis, Casalbordino, 1905 

L’olivicultura nella zona adriatica brindisina, Tipografia Nicola De Arcangelis, Casalbordino, 1905 

La nostra vigna nei riguardi ai concimi e alle concimazioni, Tipografia del commercio, Brindisi, 1913

Potatura dell’ulivo : norme da servire di guida ai pratici ulivicultori, Tipografia del commercio, Brindisi, 1915  

Protezione degli animali utili all’agricoltura, Fratelli Puglisi, Ragusa, 1932 

4

Come si dovrebbe coltivare il castagno nell’alta zona santafiorese, Stefanelli, Gallipoli, 1904

Parassitismo o Saprofitismo dello Agaricus Melleus? Appunti e ricerche, Stefanelli, Gallipoli, 1904

La questione fillosserica e le viti americane nel territorio di Sansevero, Stefanelli, Gallipoli, 1904

Bisogna mutarsi!…,Stefanelli, Gallipoli, 1905

Per una scuola d’agricoltura nel canton Ticino, Tipografia della Camera dei Deputati, Roma, 1910

Ancora della scuola agraria F. Gigante di Alberobello, Cressati, Noci, 1912

grani Strampelli e Todaro nel Fabrianese, Tipografia Federazione Consorzi Agrari, Fabriano, 1921

Della ginestra spartium junceum L., Gentile, Fabriano, 1937

Della ginestra, Arti grafiche Gentile, Roma, 1938 

5

Sunto sull’attività della cattedra dal 1 ottobre al 30 giugno 1905, Tipografia L. Caforio, Taranto, 1905

6

Guida e norme per l’acquisto e Controllo delle materie utili in agricoltura, Tip. Rusconi-Gavi-Nicrosini Succ. Gatti, Voghera, 1902

Relazione sulla attività della cattedra ambulante per la provincia di Massa-Carrara dal Maggio 1904 al Dicembre 1905, Massa, Tipografia E Medici, 1906  

Guida pratica per l’applicazione dei concimi artificiali : Esperienza di concimazione su lupini diretta dal prof. Federico Soleri, eseguita nel 1905 nella tenuta del Conte a. Guerra, Soc. Tip. Già Compositori, Bologna, 1906 

Relazione sugli esperimenti di concimazione istituiti sui Prati e Pascoli Montani in provincia di Massa e Carrara, Massa, Tipografia E Medici, 1908   

L’attività della Cattedra nel primo sessennio, Poligrafica Stagi, Conti & C., Livorno, 1910

Si può aumentare la produzione granaria in prov. Di Massa-Carrara? : Dati e risultati degli esperimenti di concimazione Chimica del grano istituiti dalla cattedra ambulante di agricoltura, Massa, Tipografia E Medici, 1922

Per le prossime semine del grano : Consigli pratici agli agricoltori apuani, illustrati dai risultati di alcuni esperimenti di concimazione chimica del grano istituti per conto del Ministero di agricoltura, Massa, Tipografia E Medici, 1923

7

Oggi il PSR (Piano di Sviluppo Rurale) di ogni regione prevede la rinascita in chiave moderna delle cattedrev ambulanti, ma, pur non mancando le risorse, è indispensabile la volontà politica, al momento latitante, di realizzarla.

8

La lotta contro le principali malattie delle piante. Note pratiche per gli agricoltori del Salento, Tipografia Guido, Lecce, 1927

Note storico-rurali su Mesagne nel Salento, Atel, Roma, 1962

Le origini di Latiano patria di Bartolo Longo. Arti Grafiche Ciccolella, Bari, 1964

Numerosissime sue monografie dattiloscritte sono custodite nella Biblioteca Nicola Bernardini di Lecce:

Origine e fine dei casali medievali del Salento, s. d.

L’ attività agricola dei monaci basiliani nel Salento nello alto medio evo, s. d.

Le incursioni turche nel Salento, 1950  

La patria di Ennio era presso Francavilla Fontana?, 1953

I templi di Minerva ed il porto in cui sarebbe sbarcato Enea sulla costa sud-orientale del Salento, 1955

Tre piazzeforti messapiche tra Oria e Brindisi, 1955

Note storico-rurali sul Salento, 1958

L’ antica via Appia nel Salento, 1959

Specchie e paretoni nel Salento, 1959

I Messapi e le guerre dei Messapi con Taranto, 1959;

Le origini ed il nome di Lecce, 1959

I nomi dialettali salentini dei fioroni di fico, 1959

L’ origine e la denominazione dei centri abitati della provincia di Brindisi, 1959

Il Limitone dei greci e la muraglia confinaria messapica nel Salento, 1959

Le città dell’antica Messapia, 1960

Torri della Regina Giovanna nel Salento, 1960

L’origine del tratto Monopoli-Lecce dell’odierna strada statale adriatica, 1961

La congetturata città di Sibari nella Messapia, 1962

Le origini e la denominazione di Otranto, Gallipoli e Leuca, 1962

Le famose lane tarantine dell’epoca romana, 1962

Fabbricati rurali fortificati del Salento e le loro origini, 1962

Oria fumosa, 1962

Tracce di aziende agrarie e colonizzazione agraria nel Salento dell’epoca romana, 1962

Le antiche diligenze e l’antica strada di Puglia da Napoli a Lecce, 1962

Neviere e neve nel passato a Mesagne a Francavilla Fontana ed altrove, 1962

L’agro di Arneo nel passato nel Salento, 1963

Le masserie del Salento e le loro vicende, 1963

Ancora sulla località in cui sarebbe sbarcato Enea nel Salento, 1963

Antichi passaggi sotterranei nel Salento con particolare riguardo a Mesagne, 1963

Chi era la regina Donna Sabetta del canto popolare di Melendugno nel Salento?, 1963

Centri balneari nel Salento nel penultimo decennio dell’ottocento, 1963

Il culto di Santa Cesaria nel Salento, 1963

Le origini e la denominazione di Santa Cesarea e di Porto Cesareo nel Salento, 1963

Le antiche vie Appia e Traiana Appia nel Salento, 1963

Note critico-storiche su Oria nel Salento, 1964

L’ origine e la denominazione di Campi Salentina e di Carmiano nel Salento, 1965

Aggiunte e modifiche alla nota n. 8 del mio opuscolo “L’origine e il nome di Campi Salentina e di Carmiano nel Salento, 1966

Le antiche numerazioni dei fuochi e l’entità della popolazione nel Regno di Napoli, 1966

Note critico-storiche sulle origini del Vescovato di Oria nel Salento, 1966

La chiesa di S. Maria della Mutata in agro di Grottaglie ed il suo nome, 1967

La popolazione di Mesagne dal 1378 al 1961, 1968

Brindisi non è la città di Temesa citata da Omero, 1968

9

L’ olivicoltura nel basso leccese : memoria monografica, Giannini, Napoli, 1807

La brusca nel mandorlo e nell’albicocco; sulla distanza degli alberi negli oliveti leccesi , R. stabilimento tipografico Francesco Giannini & figli, Napoli, 1908

Ricerche anatomo-patologiche sul roncet della vite, Stabilimento tipografico vesuviano, Portici, 1909

La coltivazione dell’asparago, Stabilimento tipografico Giordignano, Lecce, 1909

La quercia vallonea, Tipografia editrice salentina fratelli Spacciante, Lecce, 1912

Notizie intorno alla Quercia Vallonea (Quercus Aegilops L.), Premiato stabilimento tipografio Ernesto Della Torre, Portici, 1914

Sulla improduttività degli oliveti : cause, rimedi, Editrice salentina, Lecce, 1915

Per il miglioramento dei tabacchi levantini nel Salento : note sulla concimazione, Tipografia sociale G. Oronzo, Lecce, 1924

Per l’incremento della cerealicoltura salentina : a proposito della battaglia del grano, Tipografia sociale, Lecce, 1925

Fattori ambientali e concimazione nella coltivazione dei tabacchi da sigarette, Tipografia Edoardo Pizzi, Milano, 1926

Acqua del sottosuolo ed irrigazione nel Salento, Tipografia O. Guido, Lecce, 1928

L’ asparago : generalità, coltivazione ordinaria, coltivazione forzata, parassiti, commercio, F. Battiato, Catania, 1928

Relazione sull’attività della cattedra ambulante d’agricoltura di Terra d’Otranto : dalle sue origini a tutto il 1927, Guido, Lecce, 1928

Nuovo orientamento dell’agricoltura salentina: conferenza agli agricoltori (Federazione dei Sindacati fascisti degli agricoltori, Commissariato di zona di Gallipoli), Tip. E. Stefanelli, Gallipoli, 1931

Progetto di massima per la trasformazione fondiaria dell’Arneo, Editrice Salentina, Lecce, 1932

Granicoltura salentina, 1925-1932 : Commissione provinciale per la propaganda granaria, Lecce, Tip. Salentina, Lecce, 1932

La gallina leccese selezionata, Editrice salentina, Lecce, 1933

La tabacchicoltura salentina, Editrice salentina, Lecce, 1933

La trasformazione fondiario-agraria dell’Arneo, Stabilimento tipografico Scorrano, Lecce, 1934

La trasformazione agraria nel Comprensorio di bonifica di Ugento : consorzio per la bonifica di Ugento : paludi Mammalie-Rottacapozza e Pali, R. Tip. Edit. Salentina, Lecce, 1934

Per la fertilizzazione dei terreni in Provincia di Lecce, Editrice salentina, Lecce, 1935

Saltuarietà di produzione dell’olivo e concimazione ad alte dosi, Favia, Bari, 1935

L’ olivicoltura salentina attraverso i secoli, Tipografia degli agricoltori, Roma, 1937

La concimazione dell’olivo, Istituto Italiano Arti Grafiche, Bergamo, 1939

La regione salentina, Tipografia Editrice salentina, Lecce, 1946

Una antica pratica che ritorna agli onori della ribalta, Editrice salentina, Lecce, 1958

Cotonicoltura salentina : vicende storiche : prospettive per l’avvenire, Editrice salentina Pajano, 1958

10

Che cosa si e fatto in provincia jonica per la battaglia del grano, Tipografia delle Terme, Roma, s. d.

Appunti di analisi chimica qualitativa, ad uso degli studenti del 4. Corso d’Istituto tecnico, Cooperativa Tipograica Forlivese, Forlì, 1912

l tabacco sostituisca la barbabietola, Cooperativa Tipografica Forlivese, Forlì, 1915

Gelsicoltura moderna. I prati di gelso, Cooperativa Tipografica Forlivese, Forlì, 1919

Corso pratico di viticoltura. Lezioni svolte agli agricoltori ex-combattenti, Stabilimento Tipografico Editoriale Romano, Roma, 1925

L’attivita della cattedra nel triennio 1927-1929, Arti grafiche A. Dragone & C., Taranto, 1930

La razza asinina di Martina Franca, Arti Grafiche A. Dragone & C., Taranto, 1930

L’uva da tavola tardiva Saint Jeannet, Gandolfi, San Remo, 1932

L’allevamento del coniglio e le sanzioni economiche : norme pratiche ad uso dei volonterosi, Gandolfi, San Remo, 1935

Direttive per un maggior consumo di fiori, Gandolfi, San Remo, 1936

Disciplina dei mercati di produzione per la vendita all’ingrosso dei fiori, Gandolfi, San Remo, 1936

Le armi della vittoria contro le infami sanzioni, Gandolfi, San Remo, 1936

Il garofano e la floricoltura italiana, Tipografia San Bernardino, Siena, 1937

L’allevamento del coniglio : norme pratiche ad uso dei volenterosi, Gandolfi, San Remo, 1940

L’ importanza del lavoro nella floricoltura : primo contributo sulle aziende floreali della provincia di Imperia, S.A.I.G.A., Genova, 1940

La lavanda, Ramo editoriale degli agricoltori, Roma, 1940

L’allevamento familiare della pecora : norme pratiche ad uso dei volenterosi, Gandolfi, San Remo, 1940

I mais ibridi in provincia di Treviso : Pubblicato in occasione della Mostra provinciale del granoturco. 25 settembre-2 Ottobre 1951. (Ispettorato provinciale dell’agricoltura, Treviso), Tipografia Longo e Zoppelli, Treviso, 1951

Quintali di granoturco per ettaro : Altri 18 concorrenti hanno superato I 100 quintali, Tipografia Longo e Zoppelli, Treviso, 1953

Relazione sull’attività svolta dall’ispettorato nel 1955 : (Ispettorato provinciale dell’agricoltura, Treviso), Tipografia Editrice Trevigiana, Treviso, 1956

I radicchi di Treviso: storia, coltivazione, forzatura, commercio, Ramo editoriale degli agricoltori, Roma, 1961

BIBLIOGRAFIA

Come s’è detto, fondamentali sono le pubblicazioni periodiche (bollettini ed annuari). quasi sempre di difficile reperibilità. Per quanto riguarda L’agricoltura salentina, fornisco di seguito un quadro della sua dislocazione con relativa consistenza:

Biblioteca dell’Accademia nazionale di agricoltura – Bologna 1907 (6), 1910 (9), 1916 (15); lacunosi 1907 (6), 1913 (12), 1916 (15)

Biblioteca nazionale centrale – Firenze 1902 (1), 1905 (4), 1907 (6), 1910 (9), 1917 (16), 1919 (18), 1939 (32) in gran parte lacunosi

Biblioteca di scienze tecnologiche – Agraria – Università degli studi di Firenze – Firenze 1914) (13); lacunosi 1914 (13)

Biblioteca Roberto Caracciolo – Lecce 1902(1), 1910 9), 1912(11), 1916 (15); lacunosi 1904, 1908-1912

Biblioteca della Camera di Commercio – Lecce  1902 (1), 1915 (14);  lacunosi 1902, 1909

Biblioteca delle Civiche raccolte storiche – Milano  1909 (8 n. 3)

Biblioteca Fondazione Banco di Napoli – Napoli 1925 (18),  1929 (22) tutti lacunosi

I titoli che seguono possono aiutare nella ricostruzione storica.

Tito Poggi, Le cattedre ambulanti di agricoltura in Italia, Società editrice Dante Alighieri, Roma, 1899
Tito Poggi, Le cattedre ambulanti d’agricoltura in Italia: loro origine e scopi, Officine grafiche di C. Ferrari, Venezia, 1903
Enrico Fileni, Elenco completo delle cattedre ambulanti d’agricoltura o speciali con l’indicazione del loro personale tecnico e dell’ammontare e provenienza dei loro bilanci preceduto da brevi notizie sull’Associazione Italiana delle cattedre ambulanti d’agricoltura, Tipografia operaia romana cooperativa, Roma, 1906
Cattedre ambulanti di agricoltura. Disposizioni legislative e regolamentari, Tipografia G. Brunello, Vicenza, 1908
Dino Sbrozzi, Riordinamento delle cattedre ambulanti di agricoltura, Tipografia A. Nobili, Pesaro,1911,
Pietro Zambrini, Le cattedre ambulanti di agricoltura italiane, Tipografia E. Cattaneo, Novara, 1923
Luigi Pagani, Della ricostruzione delle cattedre ambulanti di agricoltura, Arti Grafiche Esperia, Venezia, 1946
A. Bianchi, Dalle cattedre ambulanti agli ispettorati provinciali dell’agricoltura, Centro studi agricoli Shell, Borgo a Mozzano, 1960
Mario Zucchini, Le cattedre ambulanti di agricoltura, G.Volpe, Roma, 1970
Franco Antonio Mastrolia, Istituzioni e conoscenze agrarie in Terra d’Otranto (1910-1930), Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2018

Ancora su Paolo Emilio Stasi, con una sua foto

di Riccardo Carrozzini

Nel trascorso anno 2022 è caduto il centenario della morte, oltre che di Cosimo De Giorgi, anche di Paolo Emilio Stasi. Il 22 dicembre il Museo Castromediano ha inaugurato la mostra Paolo Emilio Stasi, pittore e archeologo in terra d’Otranto tra otto e novecento, che sarà visitabile fino al 31 gennaio prossimo.

Mi sono occupato di lui non come pittore, ma come ricercatore – archeologo, nel volume Liborio Salomi, un illustre salentino quasi sconosciuto, edito da Milella nel 2015, annoverandolo tra i personaggi che Salomi conobbe o con cui fu in contatto. Metto qui a disposizione di chi lo volesse utilizzare quanto è contenuto nel volume citato su Paolo Emilio Stasi.

Riporto in apertura una parte della presentazione del volume su Salomi sopra citato, scritta da Livio Ruggiero, utile come inquadramento generale, specie per i “non addetti ai lavori”:

Il patrimonio culturale di Lecce e del suo territorio sembrerebbe non pre­sentare elementi legati alle scienze in senso lato, a causa delle emergenze letterarie, artistiche e archeologiche che sembrano aver relegato nell’ombra dell’oblio tutto il resto; ma la Terra d’Otranto ha dato i natali ad una schiera piuttosto numerosa di studiosi in varie discipline scientifiche, non escluse quelle più strettamente legate allo sviluppo dell’agricoltura e alla gestione del territorio. Antonio Miglietta, Oronzo Gabriele Costa, Salvatore Trin­chese, Filippo Bottazzi sono personaggi noti a livello internazionale per i contributi determinanti dati allo sviluppo delle scienze mediche e di quelle biologiche, del presente e del lontano passato, ma il loro ricordo, vivo nei testi di specialisti italiani e stranieri, è presentato ai conterranei, che igno­rano anche che siano vissuti, solo dalla toponomastica stradale. Altri hanno fatto dono alla città del frutto dei loro studi e del loro impegno sociale, come Giuseppe Candido, il sacerdote scienziato che realizzò a Lecce, tra il 1868 e il 1874, la prima e unica rete, non solo in Italia, di orologi pubblici sincronizzati elettricamente, o come i numerosi agronomi che hanno con­tribuito allo sviluppo e all’ammodernamento dell’agricoltura locale. Anche per essi il velo dell’oblio si è steso inesorabile sulla loro vita e sulle loro opere. E non vanno dimenticati i non salentini che hanno contribuito in maniera determinante alla conoscenza del passato e del presente di questa regione, come Ulderigo Botti, scopritore di numerose testimonianze del­la presenza dell’uomo preistorico, del prezioso ricco giacimento di fossili quaternari di Cardamone e della breccia ossifera che diede a Paolo Emilio Stasi l’opportunità di scoprire la Grotta Romanelli, prezioso archivio di dati paleoclimatici, e come Pietro Parenzan, che negli anni Sessanta del Secolo scorso fondò la Stazione di Biologia Marina di Porto Cesareo, dan­do un impulso determinante per la conoscenza degli ambienti costieri e subacquei non solo del Salento.

Di uno solo non si è potuta cancellare la memoria, Cosimo De Giorgi, perché i numerosi scritti da lui lasciati, frutto di una pluridecennale attività di ricerca appassionata sulla sua terra, hanno costituito da sempre il punto di partenza obbligato per chi ha voluto interessarsi in seguito di questa parte d’Italia.

Negli ultimi decenni si è avviata, da parte di alcuni studiosi, un’azione di recupero della memoria di questi personaggi, nella speranza che l’accre­sciuto interesse per loro e per le loro opere possa suscitare, soprattutto nelle giovani generazioni, il desiderio di permetterne la valorizzazione nello svi­luppo della formazione culturale di tutti.

 

Ed ecco (con qualche piccola modifica e/o adattamento a questo contributo) quanto ho scritto nell’introduzione alla sezione del libro in cui ricordo alcuni personaggi di rilievo, tra cui Stasi, con cui Salomi fu in contatto, al fine di fornire un quadro più completo del clima e di alcune vicende, anche di rilevante importanza, in certi ambiti scientifici salentini nei primi decenni del XX secolo nonché dei rapporti e delle frequentazioni tra i personaggi culturalmente più in vista in quegli anni, che tutto sommato si riducevano, per l’ambito di nostro interesse, a una ristretta cerchia di persone.

Salomi fu per diversi anni a stretto contatto con Cosimo De Giorgi, che negli ultimi anni di vita lo prese come assistente personale e del quale prese il posto nella cattedra di Scienze naturali presso l’Istituto “Costa”. La scuola nominò Salomi, che anche in questo succedette al più illustre predecessore, direttore del Museo / Gabinetto di scienze naturali. Pochi documenti attestano le frequentazioni e la familiarità tra Salomi e Cosimo De Giorgi. Quello più noto lo troviamo nel libro di De Giorgi “Descrizione geologica e idrografica della Provincia di Lecce” pubblicato postumo a cura proprio di Salomi.

Nella presentazione dello scritto, datata 4 novembre 1922 (meno di un mese prima della sua morte), dopo l’esternazione della sua delusione nei confronti della Provincia, che dopo 5 anni non si era ancora decisa a pubblicare il suo scritto, l’autore così si esprime: “Un giorno dell’estate scorsa passeggiavo con l’amico Liborio Salomi nel bel giardino del nostro Circolo cittadino, quando questi d’un tratto si rivolse a me e disse: ‘Professore, mi assumo io la pubblicazione dell’opera sua’. Accettai commosso da questo atto spontaneo e lo ringraziai ‘Con quel tacer pudico che accetto il don ti fa’.”

Ricordo anche il contenuto della breve prefazione di Salomi, riportato in parte nelle note biografiche.

Durante la frequenza al Liceo “Capece” di Maglie Salomi ebbe come docente, tra gli altri, Pasquale De Lorentiis, padre di Decio (quest’ultimo fu il primo direttore del Museo Paleontologico di Maglie) e Salvatore Panareo.

Furono suoi compagni di corso presso l’Università di Napoli e amici carissimi, sino alla morte, Augusto Stefanelli, Geremia D’Erasmo, Giulio Cotronei. Relatore della sua tesi fu il prof. Francesco Bassani. Conobbe e frequentò un altro grande personaggio salentino: Paolo Emilio Stasi. Fu in contatto epistolare con il prof. G. A. Blanc, che lo tenne in grande considerazione e lo consultò per le sue pubblicazioni geologiche salentine; lo accompagnò, alcune volte, anche nelle esplorazioni della grotta Romanelli, a Castro.

Pur non avendolo ancora citato, ritengo necessario ricordare Ulderigo Botti. Questi fu personaggio troppo importante per il Salento della fine del XIX secolo per ignorarne l’esistenza; ebbe inoltre tanta parte nell’istituzione del Museo / Gabinetto dell’Istituto “Costa”, ed i suoi scritti furono tenuti in grande considerazione dal Salomi nella sua tesi di laurea (nella bibliografia ne sono riportati sette).

Botti, su segnalazione di C. De Giorgi, scoprì la grotta di Cardamone, tra Lecce e Novoli, oggi non più esistente, i cui abbondantissimi reperti osteologici di fauna fossile, compresi nel patrimonio del Gabinetto del “Costa”, attendono ancora che qualche studioso se ne occupi.

 

Di Stasi, che nelle sue ricerche fu coadiuvato dal paleontologo parmense Ettore Regalia (1842-1914), del Gabinetto Paleontologico di Firenze, la bibliografia della Tesi di Salomi, che ho ricopiato nel mio volume, riporta i seguenti tre scritti:

  1. LXXVIII 1904 Stasi P. E e Regalia E. Grotta Romanelli (Castro, Terra d’Otranto) stazione con faune interglaciali e di steppa (Arch. per l’Antr. e l’Etnol. vol. XXXIV, fasc. I)
  2. LXXXI 1905 Stasi P. E e Regalia E. Due risposte ad una critica (Arch. per l’Antr. e l’etnol. vol. XXXV, fasc. 2°)
  3. LXXXV 1906 Stasi P. E Grotta funeraria di Badisco (Terra d’Otranto) (Arch. per l’Antr. e l’Etnol. vol. XXXVI, fasc. I°)

 

Ecco, inoltre, quanto ho scritto nel volume su Salomi di Paolo Emilio Stasi, che insegnò disegno al liceo Capece di Maglie dal 1870 al 1911 (le notizie appresso riportate sono state – nel 2015- prese dal sito del Museo civico di Paleontologia e Paletnologia “Decio de Lorentiis” di Maglie www.maglie.cchnet.it ).

A Paolo Emilio Stasi (1840-1922), agiato pittore di Spongano, risale l’antefatto della nascita del Museo di Maglie. Appassionato di paleontologia già dalla seconda metà del 1800, grazie anche alla presenza nel Salento di uno dei capostipiti italiani di questa disciplina, Ulderigo Botti, e autore di diverse segnalazioni lungo la costa di Castro, come il deposito a fauna pleistocenica di Grotta delle Striare (i cui materiali prontamente sottopose al Botti), conobbe Pasquale de Lorentiis, padre di Decio, al Real Ginnasio Francesca Capece di Maglie, dove entrambi insegnavano, stringendo una leale amicizia che non avrà termine. Nel 1900, penetrando in una cavità presso Castro, già segnalata nel 1871 dal Botti, grotta de’ Romanelli, ne svelò al mondo la fondamentale importanza nell’ambito della preistoria italiana. I primi saggi di scavo, condotti dallo stesso Stasi, aiutato dal De Lorentiis e da altri amici fidati, tra il 1900 e il 1903 misero in luce resti di fauna pleistocenica associata a strumenti litici di epoca paleolitica, la cui esistenza in territorio italiano era allora negata dal Pigorini, la più autorevole voce in tal campo, e i primi documenti in Italia di arte preistorica in grotta. Nel 1904, insieme a Ettore Regalia, del Gabinetto Paleontologico di Firenze, pubblica la nota introduttiva alle ricerche condotte in Romanelli, attirando non solo le ire e lo sdegno del Pigorini, ma anche l’acredine di autorevoli voci salentine, come quella di Cosimo De Giorgi che, sulle pagine del Corriere Meridionale, ne stroncava la figura, rispondendo con veemenza e sarcasmo alle note di Pasquale de Lorentiis sull’importanza e il valore scientifico della scoperta realizzata dall’amico. Ne seguì una damnatio memoriae dello scopritore e della cavità, che non solo amareggiò a lungo Stasi, ma lo relegò in un ruolo quasi secondario nella vicenda di Grotta Romanelli. La sua figura fu ridimensionata, nella memoria collettiva salentina, a quella di un pittore per nulla interessato alla ricerca preistorica e che per un puro caso fortuito si imbattè in Grotta Romanelli, mentre vagava tra gli scogli di Castro alla ricerca di un anfratto suggestivo dove ritrarre una Madonna, e così è giunta fino a noi. Venivano così cancellate, fino a tempi recenti, la passione di un uomo e la trentennale attività di ricerca nel territorio precedente alla scoperta di Grotta Romanelli.

Dopo 10 anni di assoluto silenzio ufficiale, sebbene schizzi delle prime manifestazioni artistiche (prime in assoluto per l’intero territorio italiano), scoperte sulle pareti di Romanelli dallo stesso Stasi, facessero il giro dei salotti scientifici europei, nel 1914 lo scienziato di fama internazionale Barone Gian Alberto Blanc ottenne autorizzazione a scavi sistematici in Grotta Romanelli, dando così avvio al più felice e fecondo periodo di ricerche. L’anziano Paolo Emilio seguì sempre appassionatamente le campagne di scavo fino al 1922, accompagnato dal suo amico de Lorentiis, a cui presto si aggiunsero i giovani Decio de Lorentiis, Alberto Carlo Blanc, Paolo Graziosi, Antonio Lazzari ed i figli di Stasi, Gino e Giovanni. Nascevano, in quei momenti, i presupposti che avrebbero portato alla nascita del Museo di Maglie. In esso confluirono, infatti, le collezioni provenienti dalle “terre rosse” e dalle “terre brune” di Grotta Romanelli delle Famiglie Stasi e De Lorentiis, divenendone il nucleo fondamentale delle esposizioni del Museo.

 Ed infine ecco la foto che Stasi dedicò al suo carissimo amico Liborio Salomi. La foto, pubblicata nel volume citato in apertura, mi è stata fornita da Teresa Salomi, figlia di Liborio, che ha lasciato questo mondo proprio pochi giorni fa, il 4 gennaio 2023, alle soglie dei 90 anni.

Liborio Salomi e il capodoglio di Punta Palascia (II parte)

di Riccardo Carrozzini

 

Fig. 5 – Lo scheletro ricomposto, a Maglie (da Teresa Salomi, come le successive fino alla fig. 5e)

 

La vendita venne infine effettuata al Museo di Zoologia e di Anatomia comparata della Regia Università di Pisa, il cui direttore era il prof. Sebastiano Richiardi, che offrì un corrispettivo di lire mille più spese di trasporto a suo carico. La spedizione venne effettuata nel maggio 1903. In una lettera di quello stesso mese al Richiardi, il Presidente Garzia lo informa dell’avvenuta spedizione ed aggiunge: “Le accludo una relazione, di questo egregio giovane Sig. Salomi Liborio, appassionatissimo cultore di Scienze naturali, il quale, sotto la direzione dell’insegnante prof. Consiglio di questo Liceo ha curato la preparazione e l’imballaggio del cetaceo“. Brani di questo documento, trascritto integralmente più oltre, vengono citati nell’articolo di Braschi – Cagnolaro – Nicolosi in precedenza citato. La scansione della relazione, di 8 pagine, mi è stata mandata il 22 maggio 2014 dal dott. Nicola Maio, dell’Università di Napoli, al quale è stata fornita da uno degli autori.

Fig. 5a – Particolare arto anteriore

 

Fig. 5b – Particolare parte posteriore del cranio

 

Fig. 5c – Particolare delle costole

 

Fig. 5d – Particolare delle prime vertebre

 

Fig. 5e – Particolare della mandibola

 

Da una lettera della Giunta provinciale amministrativa di Terra d’Otranto del 3 luglio 1903 (prot. 10775), che si esprime in ordine ad una deliberazione dell’Istituto Capece, risulta che il Salomi, “avendo questi col suo lavoro contribuito al maggior vantaggio dell’amministrazione”, ricevette come compenso per l’opera prestata la somma di £. 50,00.

Fig. 6 – La lettera in francese per la vendita dello scheletro (Fondaz. “Capece”)

 

Fig. 7a – La lettera al prof. S. Richiardi, pag. 1

 

Fig. 7b – La lettera al prof. S. Richiardi, pag. 2 (Fondaz. “Capece”)

 

Vi è poi una lettera del Prof. S. Richiardi, del Museo di Pisa, il quale aveva, evidentemente, anticipato di tasca sua le £. 1.025,00 pagate all’Istituto Capece per lo scheletro. Richiardi faceva rilevare che la quietanza di pagamento rilasciata dal Capece era sbagliata perché intestata a Salvatore e non a Sebastiano Richiardi, la qual cosa gli aveva impedito fino ad allora (10 maggio 1904) di essere rimborsato dall’Università di Pisa, e pregava il Presidente Garzia di inviargli una nuova quietanza correttamente redatta. Riferiva, nella stessa lettera, che “il Fisetere [9] è montato, mancano però l’ultima vertebra, una delle ossa del bacino, n. 8 denti, n. 3 ematoapofisi od ossa a V, n. 20 pezzi degli arti – dovrebbero essere 30+30”.

Fig. 8 – L’articolo di Braschi – Cagnolaro – Nicolosi citato nel testo

 

Do’ anche conto delle spese sostenute dall’istituto Capece in occasione del recupero di questo scheletro: si trova, infatti, tra la documentazione, un rendiconto finale (denominato “Conto cetaceo”) delle spese sostenute, che ammontarono a lire 576,85; detratte queste dalle lire 1.025,00 avute come corrispettivo, risultò un guadagno netto, per l’Istituto Capece, di lire 448,15.

Fig. 9 – Il “Conto cetaceo” (Fondaz. “Capece”)

 

ig. 10 – Il compenso di 50 lire a Salomi (Fondaz. “Capece”)

 

Lo scheletro del capodoglio è ancora esistente presso la Certosa di Calci, dove l’Ateneo pisano ha il suo Museo di Storia naturale, dotato di una stupenda galleria che contiene gli scheletri di numerosi cetacei (si vedano le foto in calce alla presente).

È trascritta infine fedelmente, di seguito, la relazione di Salomi di cui si è fatto cenno più sopra, scritta su carta intestata del Liceo – Ginnasio Capece (una pagina di questa è l’ultima foto in calce), nella quale si autodefinisce “perduto amatore di Zoologia” e dalla quale si può chiaramente evincere, dai molti particolari e dalle descrizioni, chi era, quanto a conoscenze e competenze nel settore, Liborio Salomi già a 20 anni; questo documento è il più lungo testo con firma autografa che sono riuscito a trovare [10].

 

Relazione di Liborio Salomi

Ill.mo Signor Direttore,

Prima di ogni altro mi permetta presentarmele quale un appassionato di Storia Naturale. Ho venti anni e sono in procinto di conseguire la licenza liceale in questo Liceo, dopo di che vorrò dedicarmi completamente allo studio delle scienze biologiche che ho coltivato sin da ragazzo. Ero ancora tale quando cominciai a catturare insetti e a sezionare quanti mammiferi, uccelli ed altri animali mi capitassero fra le mani; e poi ho continuato sempre più a sentirmi attratto dalle tante bellezze di cui è ricca la natura, e possiedo una discreta raccolta di insetti indigeni, di resti fossili, di uccelli imbalsamati da me stesso, di animali in alcool, fra i quali un bellissimo aborto mostruoso di Ovis Aries etc.. Qui in Maglie mi conoscevano già tutti per appassionato di Scienze Naturali, allorché un caso speciale venne a mettermi in maggiore evidenza. Fu questo l’arrivo in Otranto di un Capodoglio. Nello scorso anno infatti, nel 18 gennaio 1902 i soldati del Semaforo, addetti al servizio di Otranto nella località così detta “Palascia”, avvisarono che in alto mare galleggiava uno scafo di bastimento capovolto. A tale avviso, i poveri marinai otrantini, sperando di trovare in esso dei tesori che valessero a sollevare alquanto la loro miseria, si misero in mare con sette barche, ma grande fu la loro delusione quando, giunti al voluto scafo, riconobbero in esso un immane pesce, a dir loro già morto da parecchi giorni. Assicuratolo con una forte gomena attorno la coda lo rimorchiarono nel porto, donde il Sindaco, per ragione d’igiene pubblica, lo fece trasportare non lungi da Otranto, nella località detta “Rinule” a circa tre chilometri dall’abitato. Ben presto la notizia dell’invenimento di questo grande cetaceo si sparse per quasi tutta la provincia e da ogni parte di essa si recarono ad Otranto delle persone per vederlo. Tra queste ci fui anche io ed altri compagni di scuola, accompagnati dal sig. Giuseppe Consiglio, professore di Fisica e Scienze Naturali in questo Liceo. Dapprima vedemmo il cetaceo da sugli scogli e poscia con delle barche potemmo osservarlo da vicino. La putrefazione era già cominciata nell’interno, e ad ogni cavallone un po’ forte e quindi ad ogni conseguente muoversi del cetaceo, veniva fuori dalla sua bocca un puzzo penetrante e insopportabile. Provvisto di una discreta macchina fotografica il prof. Consiglio ritrasse l’animale, e la fotografia sebbene non molto chiara è abbastanza sufficiente per mostrare come esso giacesse sul fianco sinistro e come, ad arguirlo dalla bava bianchiccia che vedesi intorno alla bocca, fosse inoltrata in esso la putrefazione. Essendo lo Stato padrone di tali mostri che si rinvengono sulle coste italiane, il sindaco di Otranto annunziò al governo la scoperta del Capodoglio, perché si pigliassero serii provvedimenti onde distruggerlo, potendo riuscire, con la sua putrefazione, di grave danno per gli abitanti delle spiagge vicine. Si attendeva invano ordine dal Ministero, allorché il preside di questo Liceo, il sig. Giuseppe Gabrieli [11], attualmente bibliotecario all’Accademia dei Lincei, pensò che fosse conveniente all’Istituto Capece l’acquistare lo scheletro di un Capodoglio, sì importante nello studio della Zoologia ed Anatomia comparata e così raro nello stesso tempo. Si telegrafò dapprima alla Capitaneria del porto di Taranto, e avendo questa risposto che il cetaceo era in potere del Ministero di P. Istruzione, il presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto Capece, il sig. Cav. Raffaello Garzia, fece delle pratiche presso di esso, il quale rispose che il cetaceo era a disposizione del gabinetto di Storia naturale di Maglie. Fu così che io, alunno della 2a liceale, e perduto amatore di Zoologia, ebbi dalla Onorevole Commissione di questo Liceo il piacevolissimo incarico di andare ad Otranto per dirigere la scarnificazione del cetaceo e sorvegliare a che nessuna parte dello scheletro venisse menomamente lesa. L’operazione per denudare le ossa fu di somma difficoltà e dispendio, sia per la località che non mi permise di trarre a secco il cetaceo, sia per la poca praticità del personale addetto al lavoro, sia in ultimo per i tempi piovosi. Potei constatare subito trattarsi di un individuo di Physeter macrocephalus, di sesso femminile. La pelle era completamente intatta, ciò che esclude l’idea che l’animale fosse morto per ferita. Dei denti, in massima parte cariati, mancavano otto, ciò che, tenendo anche conto della coda completamente liscia, mi fece pensare trattarsi di un individuo assai inoltrato negli anni. La putrefazione avvenuta mi impedì assolutamente di fare qualsiasi osservazione anatomica sui tessuti molli, e mi tolse anche l’agio di constatare se nella vescica orinaria vi fossero dei calcoli, e delle incrostazioni di simil natura sulle pareti dell’intestino. Ciò che mi colpì grandemente furono i muscoli tutti invasi, nel loro spessore, da corpuscoli un po’ più piccoli dei granelli di pepe, di color bianco-giallognolo e che alla osservazione microscopica sembrano delle uova di Elminti [12]. Fosse la morte del Cetaceo stata causata dall’esistenza di qualche parassita? Mancando di libri da riscontro non ho potuto venire a conclusione alcuna, eppure potrebbe trattarsi di qualche specie nuova o poco studiata di Elminto. Circa lo scheletro fui dapprima sommamente meravigliato di trovar distaccate le ossa facciali del lato sinistro, ma ben presto potei attribuir ciò al peso della massa muscolare sopraincombente del lato destro. Ebbi massima cura di conservare le ossa del cinto pelvico tanto importanti nello studio dell’anatomia comparata. Dopo 13 giorni di continuo lavoro le singole ossa furono trasportate a Maglie ed infossate nella calce viva per farle spolpare e sgrasciare completamente. Circa un mese fa le ho tolte da essa per pulirle definitivamente ed ora sono in viaggio per Pisa. Anche l’imballaggio è costato lavoro e fastidio, ma per la scienza bisogna far tutto, ed io mi reputo fortunatissimo di aver lavorato, ancor sì giovane, per la preparazione dello scheletro di un Capodoglio che di ora in poi adornerà (me l’auguro) le ricche sale del Museo pisano, vanto e gloria del nostro chiarissimo Savi [13]. E voglio sperare che ella trovi lo scheletro in buono stato, in modo che il mio lavoro non sia andato completamente perduto, e che voglia attribuire qualche piccolo difetto alla mancanza dei mezzi necessarii per la preparazione di tali scheletri e alla mia poca pratica con essi. Prima di fare l’imballaggio ho situate le ossa alla meglio onde fare la fotografia dello scheletro intero, e fra giorni mi farò un pregio di mandargliela insieme a quella del cetaceo in mare ed altre ritraenti diverse ossa e regioni singole dello scheletro, ed una rappresentante un frammento di membrana endoteliale dello sfiatatoio [14]. Lo scheletro come le sarà facile constatare è lungo, così disarticolato, m. 10,30, ma con i dischi intervertebrali misurava m. 11, pur essendo lungo m. 12 rivestito dalle masse muscolari. Nell’imballarlo ho messo nel gabbione oltre al capo anche l’atlante l’epistrofeo saldato alle altre cinque vertebre cervicali ed al processo odontoide rudimentale, le vertebre dorsali, le lombo-caudali e le costole. Nel cassone ho messo lo sterno, il primo paio di costole, i denti, le ossa del cinto pelvico, alcune ossa del capo che trovai da esso distaccate, le clavicole, le scapole, gli omeri, le ossa, saldate verso la loro estremità, dell’antibraccio, le ossa carpali con le rispettive falangi (1) [15] ed alcune ossa articolate alla faccia inferiore delle vertebre lombo-caudali, e che non so invero cosa siano, pur avendo cercato di riscontrare varii testi di anatomia comparata. (Che anzi le sarei obbligatissimo se volesse indicarmi a quali dello scheletro umano corrispondano queste ossa e che ufficio compiano nei cetacei). Di queste ossa vi è una nel gabbione che per l’azione della calce ha l’estremità libera un po’ bruciata, ma credo che ciò non pregiudichi lo scheletro; ché nella relazione del Gasco [16] sulla Balena catturata a Taranto, ho letto come anche nello scheletro di essa alcune parti siano state sostituite da legno. È mai possibile evitare qualche piccola avaria in scheletri così colossali e nello stesso tempo risultanti da ossa spugnose e fragili in sommo grado? Avrei desiderio di scrivere una piccola monografia su questo Cetaceo, ma a causa della mancanza di materiale di studio, rimando tal lavoro al primo anno di studii universitarii, che veramente non mi son ancor deciso dove fare. Potrà darsi che venga a Pisa; è un centro di studii tanto rinomato! Giorni fa leggevo nella Mammologia [17] Italiana del Cornalia di uno scheletro di Physeter, arenato nel 1868 in Calabria e da lei egregiamente preparato per l’Università di Bologna. Credo, se non mi sbaglio, che manchi ancora in Italia un elenco completo dei cetacei giunti morti o dati a secco sulle sue spiagge; e sto curando, tanto per contributo a tale elenco, di raccogliere notizie precise su tutti i cetacei rinvenuti sulle coste della penisola salentina. Pochi anni or sono ad Ugento, sullo Ionio, dettero a secco contemporaneamente parecchi capodogli, ma per la putrefazione avvenuta, il governo, a richiesta delle autorità locali, mandò due navi per curarne il loro affondamento in alto mare.

Giorni fa fui chiamato da alcuni cavatori di pietra per vedere delle ossa che avevano trovato a nove metri di profondità: Recatomi sul luogo ebbi a constatare trattarsi dei resti di un Equus caballus mastodontico, quaternario. Ho quasi tutti i denti, che sono veramente bellissimi. Di resti di Equus ed altri animali quaternarii trovansi spesso nelle nostre cave ed io ho una discreta raccolta, ma mi mancano molti scheletri di animali odierni per farne gli studi comparativi. Se crede ella che tali resti fossili possano servirle a qualche cosa, non dovrà che avvisarmene, ed io sarò fortunatissimo di farglieli avere. E così dico pure di qualsiasi prodotto naturale della penisola salentina.

Mi permetta intanto di ossequiarla e professarmele suo dev.mo

Liborio Salomi di Angelo

Maglie il 12 maggio 1903

Fig. 11 – Lo scheletro del capodoglio alla certosa di Calci (Foto dal prof. Roberto Barbuti, Università di Pisa, come le successive fino alla fig. 14)

 

Fig. 12 – Sulla mandibola si può leggere “Otranto, gennaio 1902”

 

Fig. 13 – Un’altra vista dello scheletro

 

Fig. 14 – Una vista della Galleria cetacei con lo scheletro recuperato da Salomi in primo piano

 

Fig. 15 – Una pagina della lettera-relazione di Salomi

Note

[9] Sinonimo di capodoglio, derivata dal nome scientifico latino.

[10] Ringrazio il prof. Barbuti, già citato in precedenza, che si è messo in contatto col dott. Alessandro Corsi, direttore della Biblioteca di Scienze naturali dell’Università di Pisa; questi ha autorizzato la pubblicazione della relazione.

[11] Giuseppe Gabrieli, da Calimera (LE), padre di Francesco (quest’ultimo deceduto nel 1996, uomo di sconfinata cultura che fu uno dei più grandi orientalisti italiani e Presidente dell’Accademia dei Lincei), orientalista anch’egli, mentre era Preside del “Capece” vinse il concorso per bibliotecario dell’Accademia dei Lincei di Roma e lasciò la Presidenza del “Capece” per assumere il nuovo prestigioso incarico.

[12] Elminti: nome caduto in disuso, che non designa un gruppo zoologico definito, ma genericamente i vermi, in particolare quelli parassiti.

[13] Dall’Enciclopedia on line Treccani: Savi, Paolo. – Naturalista (Pisa 1798 – ivi 1871), figlio di Gaetano, prof. di storia naturale nell’Università di Pisa (dal 1823); socio corrispondente dei Lincei (1860). Autore di molti notevolissimi lavori sulla geologia della Toscana, in cui sostenne la teoria attualistica di Ch. Lyell, e di due importanti opere ornitologiche.

[14] Evidentemente presso l’Università di Pisa non vi è traccia di queste foto, visto che nell’articolo prima citato è stata pubblicata una foto fornita dalla dott. Elena Valsecchi, pronipote di Liborio Salomi. Forse le foto sono quelle pubblicate in questo volume, in possesso della figlia Teresa.

[15] Qui vi è la nota (1) nel manoscritto, e a piè di pagina è scritto: le ultime vertebre caudali.

[16] GASCO, Francesco Giuseppe: famoso naturalista (Mondovì 3 nov. 1842 – Roma 23 ott. 1894). Dal Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 52 (1999), di Maria B. D’Ambrosio: … Nel 1877 il G. vinse la cattedra di zoologia e anatomia comparata all’Università di Genova, e qui si occupò anche del Museo zoologico che arricchì di nuovi reperti fra cui lo scheletro di una balenottera arenatasi a Monterosso in Liguria; contemporaneamente pubblicò una relazione, iniziata a Napoli, su una balena arenatasi a Taranto nel febbraio del 1877 che identificò nella balena dei Baschi, Balaena Biscajensis (euglacialis). Nel 1878 le sue ricerche sulla osteologia dei Cetacei lo spinsero a visitare i più importanti musei europei fra cui quelli di Parigi, Londra, Copenaghen, Leida e Bruxelles, dove più ricche erano le collezioni cetologiche e molto quotati i cultori di questo ramo della zoologia. Invitato dal direttore del Museo di Copenaghen X. Reinhardt a studiare lo scheletro di un esemplare catturato nel 1854 a San Sebastiano sulle coste spagnole, giunse alla conclusione che si trattava della stessa specie della balena di Taranto. …

[17] La mammologia è la scienza che studia i mammiferi, classe di vertebrati con caratteristiche come ad esempio pellicce e un complesso sistema nervoso. La mammologia si dirama anche in altre discipline, quali la primatologia (studio dei primati) e la cetologia (studio dei cetacei).

 

Per la prima parte v. qui:

Liborio Salomi e il capodoglio di Punta Palascia (I parte)

Liborio Salomi e il capodoglio di Punta Palascia (I parte)

di Riccardo Carrozzini

Liborio Salomi (Carpignano Salentino, 1882 – Lecce 1952) è lo scienziato / geologo / naturalista / tassidermista, amico e collaboratore di Cosimo De Giorgi, al quale succedette nella cattedra di Scienze naturali e nella direzione del Museo – Gabinetto di Scienze presso l’Istituto “O. G. Costa” di Lecce. Di lui mi sono occupato nel volume Liborio Salomi, un illustre salentino quasi sconosciuto [1]. Ne riporto di seguito uno stralcio, che vede coinvolti gli addetti al Faro di Punta Palascia (Otranto), in ciò stimolato da Cristina Manzo, che ci delizia con i suoi bellissimi articoli sui Guardiani del mare (https://www.fondazioneterradotranto.it/2020/08/07/i-guardiani-del-mare-si-raccontano-e-i-piu-belli-sono-nel-salento-iv-parte/). E che in quello del 7 agosto parla proprio di quel faro, che sul web (non ricordo dove) ho trovato essere stato costruito nel 1869, sul luogo di una delle nostre tante torri cinquecentesche, all’epoca già allo stato di rudere, che fu interamente demolita. Ho un po’ ridotto e adattato il testo alle esigenze di questo sito: si tratta della vicenda (che vide Salomi protagonista nel 1902-1903) del recupero dello scheletro di un capodoglio, la cui carcassa in decomposizione venne avvistata proprio dai soldati del semaforo. Sarei curioso di sapere se esistono i diari dell’attività di quel faro (allora era presidiato) e, in caso affermativo, se in quello del 1902 la vicenda è stata riportata.

 

Poco più che diciannovenne, da studente del secondo Liceo dell’Istituto “Capece” di Maglie, Liborio Salomi mise già alla prova tutte le sue capacità partecipando attivamente al recupero e alla preparazione dello scheletro di un grosso capodoglio morto, il cui corpo venne avvistato al largo di Otranto il 18 gennaio 1902 [2].

Il corpo di questo enorme pesce (che in realtà, come si sa, è un mammifero), visto in lontananza, fu scambiato, dai “soldati del semaforo, addetti al servizio di Otranto, in località così detta Palascia”, per il profilo di un natante naufragato; alcuni gruppi di pescatori si diressero perciò, a bordo di sette imbarcazioni, verso questa sagoma indistinta visibile al largo, sperando di trovarvi chissà quale bottino.

Rivelatosi per quello che era, il corpo del cetaceo, già in stato di decomposizione, venne trainato a Otranto, da dove il Sindaco dell’epoca ordinò che venisse rimosso e spostato in località “Rinule” [3], a causa del fetore che emanava, in attesa che chi di dovere decidesse il destino di quella enorme carcassa. Esiste una foto, in possesso di Teresa Salomi (figlia dello scienziato, ancora vivente), appena leggibile e che, malgrado ciò, ho pensato ugualmente di pubblicare, del corpo del cetaceo trasportato nel porto di Otranto.

Fig. 1 – Il capodoglio nel porto di Otranto; sul molo un gruppo di curiosi (Foto da Teresa Salomi)

 

Frattanto la notizia era giunta a Maglie, dove il Presidente del Consiglio d’Amministrazione del Liceo Capece, avv. Raffaele Garzia, si interessò alla questione, manifestando il suo interesse anche presso il Ministero della Marina. Questo, con telegramma in data 24 gennaio, concesse il cetaceo al Ministero dell’Istruzione e per esso al Preside del Liceo Capece a “scopo scientifico”. Con telegramma del giorno successivo il Sindaco di Otranto comunicava al Preside che il Prefetto lo aveva reso partecipe di quanto sopra e che pertanto il cetaceo recuperato era nella disponibilità del Liceo Capece “subordinatamente intero pagamento spesa ricupero ed in caso rifiuto lo abbandoni ricuperatori”. Lo stesso giorno (25 gennaio) il Consiglio d’Amministrazione del Liceo Capece, convocato in via d’urgenza, adottava la deliberazione n. 51, con la quale si stanziavano £. 150,00 per l’acquisto “dello scheletro del cetaceo giacente nelle acque di Otranto”.

Il Salomi, già conosciuto nella sua scuola per la sua competenza e per gli interessi nel settore della preparazione di animali imbalsamati e scheletri, fu incaricato di recuperare, per l’Istituto “Capece”, lo scheletro del cetaceo, e si recò dove il corpo era stato portato, procedendo [4] alla rimozione di tutte le carni e le parti molli in decomposizione [5] e al dissezionamento dello scheletro; organizzò e sovrintese anche al trasporto dello scheletro stesso, ormai privato degli organi interni e in gran parte ripulito dalle masse carnose, a Maglie, dove le ossa vennero seppellite nella calce viva per una loro completa ripulitura.

Tra la documentazione reperita vi è poi una lettera del Presidente Garzia al prof. Giuseppe Consiglio [6] con la quale il docente veniva pregato “di compiacersi procedere al diseppellimento delle ossa del cetaceo, e provvedere per pulirle, facendosi aiutare da qualche alunno, se lo crede, per evitare spese all’Istituto”. Qui rientra in gioco il Salomi, che effettua la pulizia finale delle ossa dissotterrate e procede alla ricomposizione dello scheletro, come testimonia la fig. 5, in possesso della figlia Teresa e già pubblicata (sia pure in una versione “speculare” fornita dalla pronipote di Liborio dott. Elena Valsecchi) nell’articolo Braschi – Cagnolaro – Nicolosi (si veda la nota 2); la foto mostra lo scheletro, sommariamente ricomposto a Maglie, con accanto la figura inconfondibile del giovane Salomi [7].

Fig. 2 – Il frontespizio del fascicolo che contiene tutti i documenti della vicenda
(archivio Fondazione “Capece”, Maglie)

 

Non si capisce bene perché, ma le originarie motivazioni dell’acquisto, di cui si trova traccia nella delibera n. 51 (“per arricchire il materiale scientifico dei nostri Gabinetti”), vennero successivamente meno, tanto che venne deciso –credo unicamente per motivi economici, ma non ho trovato documentazione che confermi questa mia supposizione- di alienare lo scheletro, forse al miglior offerente, inoltrando la relativa offerta anche oltr’alpe.

Fig. 3 – La deliberazione n. 51 (Archivio Fondazione “Capece”)

 

A tal proposito si segnala una lettera a stampa in lingua francese, su carta intestata, anch’essa in francese, non si sa se mai spedita (è, infatti, senza indirizzo), che trascrivo integralmente nella mia traduzione:

“Data del timbro postale – Il nostro Istituto ha acquisito, da qualche mese, lo scheletro di un capodoglio, restituito morto dal mare Adriatico nei pressi di Otranto il 19 gennaio 1902. Si tratta di un physiter macrocephalus femmina, il cui scheletro raggiunge la lunghezza di 15 metri [8] e la circonferenza di 7 metri all’altezza della parte anteriore del tronco. Non è ancora montato, ma tutti i suoi pezzi – mancano solo 8 dei 25 denti della mandibola destra – sono stati scarnificati con cura e seccati con la calce. Desideriamo venderlo o scambiarlo con altro materiale scientifico di zoologia in buono stato. In attesa di ricevere proposte, siamo pronti a fornirvi eventuali chiarimenti richiesti (foto, inventario dei pezzi, ecc.). Il Presidente dell’Istituto Raffaele Garzia.” La lettera è indirizzata, sempre a stampa, “ai Signori Direttori d’Istituti di scienze naturali, di Musei zoologici, etc.”, senza ulteriori specificazioni.

Fig. 4 – La lettera al prof. Consiglio (Fondaz. “Capece”)

 

(continua)

 

Note

[1] R. Carrozzini, Liborio Salomi, un illustre salentino quasi sconosciuto, Ed. Milella, Lecce 2015, ISBN 978–88–7048–581–3. Chi volesse saperne di più può cercare Liborio Salomi tra gli articoli della Fondazione Terra d’Otranto.

[2] Nell’archivio della Fondazione “Capece”, la cui sede è ubicata nello stesso stabile dell’omonimo Liceo, a Maglie, si trova, nella busta n. 9, un fascicoletto con la documentazione relativa a questa vicenda; in altre buste vi è anche traccia di alcuni mandati di pagamento relativi alla stessa. Ringrazio il Presidente della Fondazione dott. Dario Vincenti e l’addetta all’archivio dott. Giovanna Ciriolo per la grande disponibilità dimostrata e per l’autorizzazione a pubblicare la documentazione in loro possesso. Altro doveroso ringraziamento al prof. Roberto Barbuti, vice-Direttore del centro Interdipartimentale – Museo di Storia Naturale e del Territorio dell’Università di Pisa per le foto dello scheletro, l’articolo sullo stesso (S. Braschi,     L. Cagnolaro, P. Nicolosi, Catalogo dei Cetacei attuali del Museo di Storia Naturale e del Territorio                       dell’Università di Pisa, alla Certosa di Calci. Note osteometriche e ricerca storica, in Atti Soc. tosc. Sci. nat., Mem., Serie B, 114, 2007) ed altre notizie fornite. Ringrazio infine il dott. Nicola Maio dell’Università di Napoli, studioso dello scheletro dei cetacei dei musei italiani, con il quale ero in contatto per altre vicende relative al Salomi e che mi ha permesso di trovare e pubblicare la lettera/relazione di Salomi che si può leggere in questo articolo.

[3] Piccola cala ubicata circa 650 metri a nord della “punta” posta sulla costa a nord dell’insenatura principale della città di Otranto, ossia dopo l’odierna Riviera degli Haethei.

[4] Con l’aiuto di manovalanza non particolarmente qualificata, vedere relazione di Salomi trascritta più oltre.

[5] Il lavoro durò complessivamente tredici giorni; Teresa Salomi riferisce di aver appreso direttamente da suo padre che in quella occasione qualcuno gli insegnò a fumare il sigaro toscano, il cui “odore” riusciva in qualche modo a coprire o almeno a mitigare gli effetti dei miasmi nauseabondi emanati dall’enorme carcassa in decomposizione.

[6] prot. n. 110 in data 31 maggio 1902, fig. 4

[7] Si vedano anche le figg. 5a, 5b, 5c, 5d e 5e che raffigurano particolari dello scheletro prima del suo assemblaggio.

[8] I pochissimi articoli finora pubblicati sul Salomi, ed anche quanto riferitomi dalla figlia Teresa, in realtà concordavano sul fatto che la lunghezza del capodoglio sarebbe stata di 22 metri; la cosa mi insospettì fin da subito per due ordini di motivi: per quanto a mia conoscenza 22 metri era una dimensione più che rispettabile persino per una balenottera (i capodogli, più piccoli, non credevo arrivassero a tale misura), ed inoltre dalla fig. 5, in cui è visibile anche il Salomi, si desume facilmente che la lunghezza doveva essere notevolmente inferiore; il prof. Barbuti mi ha scritto infatti, il 15 gennaio 2013, che “non è lungo 22 metri bensì 12,57 metri”, evidentemente così com’è ancora esposto a Pisa; nella lettera riprodotta nella fig. 6 si parla di una lunghezza di 15 metri; Salomi nella sua relazione (ved. oltre) parla di una lunghezza massima di 12 metri.

Liborio Salomi, un illustre salentino quasi sconosciuto

liborio salomi

Riccardo Carrozzini, “LIBORIO SALOMI, un illustre salentino quasi sconosciuto”, Ed. Milella – Lecce Spazio Vivo, Lecce 2015

 

di Riccardo Carrozzini

Conoscevo la famiglia Caputo, da Carpignano, fin dagli anni ’80, per essere stato Luigi mio alunno, per alcuni mesi, durante una delle mie sup­plenze di Tecnologia delle Costruzioni presso l’Istituto tecnico per Geome­tri “G. Galilei” di Lecce, poi tirocinante presso il mio studio ed infine mio collaboratore (lo è ancora oggi). Conobbi perciò la sua famiglia: il padre Umberto, la sorella maggiore Margherita e la madre, Cettina Salomi, dalla quale appresi della sua parentela col naturalista Liborio, a me noto, all’e­poca, solo perché a Lecce gli era stata intitolata una traversa di viale Don Minzoni, alle spalle dell’Istituto Marcelline, e una scuola privata, sempre a Lecce. Appresi anche della parentela tra le nostre due famiglie, entrambe provenienti da Soleto, risalente all’epoca del mio bisnonno, Tommaso, che sposò Rosa Salomi, zia del naturalista (figlia di un fratello del nonno, anche questi di nome Liborio).

Tutto sarebbe finito lì, se… il 16 marzo 2006 non fossi stato in pericolo di vita per un brutto infarto che mi consentì, dopo un lungo periodo di con­valescenza, di poter lasciare Ostuni, dove insegnavo da 10 anni, e di poter scegliere, perché utilizzato in altri compiti per motivi di salute, un’altra scuola, anche nella nostra provincia. Ed allora, parlandone con un amico, dirigente scolastico, nel periodo degli esami di stato 2007, gli manifestai il mio desiderio di venire utilizzato nella mia scuola (da studente), il Liceo scientifico “Cosimo De Giorgi” di Lecce. Mi occorreva, però, la richiesta del suo Dirigente, che all’epoca era il prof. Salvatore Dota, che per puro caso, in quei giorni, era presidente, come il mio amico, di una commissione d’esame presso il Liceo “Capece” di Maglie. Perciò: appuntamento, pre­sentazione e, dopo le ferie estive, di nuovo in servizio, ma presso il “mio” Liceo De Giorgi.

Poco tempo dopo fui incaricato dal Preside, insieme al collega Pino Sambati, oggi in pensione, di sistemare, in 4 nuove vetrine fatte apposi­tamente realizzare, una collezione di minerali e, in piccola parte, di fossili che erano stati per lungo tempo depositati più o meno alla rinfusa nello scantinato della scuola e da poco riordinati, in gran parte almeno, con l’a­iuto di un esperto. Stampammo le etichette da incollare sulle basi in legno fatte appositamente predisporre e ci recammo a sistemarli nelle vetrine. Trovammo i minerali e i fossili nelle loro cassettine originali, di cartone, che conservammo, molte delle quali portavano l’etichetta del prof. Liborio Salomi. Eccolo di nuovo. Cercai perciò in rete notizie sul personaggio, per la redazione di una breve scheda informativa da esporre in una delle vetrine, e trovai che vi erano solo poche e frammentarie notizie (niente su Wikipedia!), che però, in qualche modo, furono sufficienti allo scopo, ma anche ad accrescere da un lato la mia curiosità e dall’altro le mie cono­scenze sulla levatura dello studioso il quale, appresi, succedette a Cosimo De Giorgi nella cattedra di Storia naturale presso l’Istituto tecnico “O. G. Costa” di Lecce.

In tempi immediatamente successivi, recandomi per ragioni del mio uf­ficio nella succursale di via Massaglia, vidi, in 4 grandi vetrine, di non recente fattura, una collezione di animali imbalsamati, scheletri e prepa­rati osteologici vari, molti dei quali portavano ancora le etichette origina­li, anche queste del prof. Liborio Salomi. Rieccolo. Chissà perché, però, non ricordavo (e non ricordo ancora) dov’era collocato tutto quel materiale dall’ottobre 1962 al luglio 1967, periodo della mia permanenza, da studen­te, al Liceo “De Giorgi”, nell’allora unica sede di viale Brindisi (oggi De Pietro). Il Preside mi chiese di cercare un bravo tassidermista che potesse occuparsi del restauro della collezione, che versava in non buone condizio­ni di conservazione. Il restauro, però, non poté essere eseguito, probabil­mente per mancanza di fondi, almeno fino al pensionamento del prof. Dota. La nuova Dirigente, prof. Giovanna Caretto, biologa e già insegnante di scienze naturali, per alcuni anni anche nel nostro Liceo, ha portato a compi­mento il recupero della collezione nell’estate del 2012, facendo restaurare anche le vetrine originali e dando al tutto degna collocazione nel grande atrio/disimpegno a piano terra della sede di via Pozzuolo.

Nel frattempo, a maggio dello stesso anno, contattava il Liceo “De Gior­gi” il dott. Nicola Maio[1] per avere notizie su un cranio di delfino, anche questo preparato dal Salomi, facente parte della collezione. Il dott. Maio, che stava preparando una pubblicazione sui Cetacei delle raccolte minori di Puglia, mi informò dell’esistenza di un volume, curato da Arcangelo Rossi e Livio Ruggiero[2], reperibile anche in rete, nel quale vi era anche una foto di quel cranio. Gli inviai le notizie richieste insieme ad alcune foto. La pubblicazione, che ha il titolo prima citato, ha visto la luce di recente[3].

Le numerose coincidenze (?) che portavano tutte a Liborio Salomi han­no progressivamente incrementato il mio desiderio di conoscenza del per­sonaggio, ed avendo la mia scuola in preparazione un nuovo numero dei “Quaderni”, da pubblicare nel 2013, novantesimo anno dalla sua fondazio­ne, volli approfondire le ricerche con l’intento di produrre un articolo da inserire in quella pubblicazione.

Ma ecco quello che non t’aspetti: chiacchierando del più e del meno, Luigi Caputo mi dice che era ancora vivente una figlia di Liborio Salomi, che aveva casa a Roma, ma che più volte all’anno veniva a Lecce. Ed ecco saltar fuori la prof. Teresa, oggi più che ottantenne, con qualche piccolo acciacco, ma decisamente molto vitale e decisa a conservare e tramandare la memoria e l’opera del padre, come ha fatto in tutte le occasioni in cui è stato richiesto un suo contributo, ad esempio nel volume per i 100 anni dell’Istituto “O. G. Costa”, del 1985, e in un convegno su Liborio Salomi tenutosi a Carpignano salentino (suo paese natale) nel 2004. E come ha fatto anche di recente con una ricerca – di tipo genealogico e non – sulla fa­miglia Salomi, durata alcuni anni e pubblicata nel 2013[4]. Con lei si è subito stabilito un ottimo feeling e, con la sua vitalità, ha fatto scattare quell’inter­ruttore che mi ha dato tutta l’energia e gli stimoli necessari per desiderare di mettere insieme tutto ciò che si può trovare su suo padre, ponendo inoltre a mia disposizione tutto il materiale in suo possesso ed i suoi ricordi diretti.

Presto mi sono reso conto che il materiale a disposizione era tanto, e non avrebbe potuto costituire una piccola sezione di un libro dedicato anche a molte altre tematiche, come i Quaderni 2013 che la mia scuola aveva in preparazione, ma doveva diventare un volume interamente a lui dedicato, nel quale trovasse posto tutto il materiale, edito e/o inedito, per illustrare la sua vita, la figura e la sua attività di naturalista, studioso, educatore. Un articolo per i “Quaderni 2013”, necessariamente breve, è stato dato alle stampe ed è stato perciò utile per ricordare la figura di Liborio Salomi e per anticipare il contenuto di questo libro.

Il mio ruolo è stato quello di svolgere alcune ricerche necessarie (che hanno dato in più di un caso esito positivo) e sistemare in un certo ordi­ne tutto il materiale disponibile. Ho cercato di limitare al massimo la mia “presenza”, sia perché ho preferito, dovunque possibile, lasciar parlare i documenti, sia perché le mie conoscenze/competenze non mi avrebbero permesso di approfondire molte cose. Ho consultato tutte le (poche) pub­blicazioni che sono riuscito a reperire e che contengono articoli sul Salomi; ho effettuato indagini presso diversi archivi e biblioteche: l’Archivio di Stato (III Deposito della Provincia, comprendente anche materiale dell’I­stituto “Costa”), gli archivi del Liceo “De Giorgi”, della fondazione “Cape­ce” di Maglie e dell’Istituto “Costa”, la biblioteca provinciale, la biblioteca “Caracciolo” dei frati minori di Lecce. Ho contattato anche l’Università di Pisa, in possesso di un importante scheletro di un cetaceo preparato dal Salomi a soli 19 anni, e ne ho ricostruito tutta la vicenda, inclusa la relazio­ne di accompagnamento scritta da Salomi, che mostra il livello dell’uomo e dello scienziato già a soli 20 anni; ho preso contatti con molte scuole e diversi Istituti universitari ai quali aveva venduto le sue collezioni.

Per gli aspetti che non ero in grado di affrontare (la tesi di laurea, gli appunti di anatomia comparata ed embriologia) ho chiesto ed ottenuto col­laborazione da parte di Stefano Margiotta[5], geologo, di Piero Medagli[6], bo­tanico, e di Elena Valsecchi[7], biologa nonché pronipote di Liborio Salomi. Il mio lavoro è stato perciò quello di approfondire quanto è stato già scritto su Liborio Salomi, attingendo a piene mani da ciò che è stato scritto da Teresa, mettendolo insieme con un ordine prestabilito ed arricchendolo, dove è stato possibile, con ricerche originali, notizie, documenti inediti e contributi di validi specialisti.

Ho pensato anche a lungo al carattere da dare a questo scritto, forse il primo, di una certa consistenza, sulla vita e l’opera di Liborio Salomi. Alla fine, dopo tante chiacchierate con Teresa, si è deciso che dovesse essere solo un mezzo per far conoscere questo figlio del Salento, fino ad oggi decisamente poco noto ai più. Una ricerca sul web, fatta ancora oggi, dà risultati deludenti, fatta eccezione per il sito “Il Salento e la scienza”, creato nell’ambito del progetto finalizzato CNR intitolato “Beni culturali”, in cui al link http://scienzasalento.unile.it/biografie/liborio_salomi.htm si posso­no leggere notizie biografiche di Liborio Salomi. Perciò il contenuto di questo libro è organizzato per rivolgersi ad un pubblico più vasto possibile, con inserimento di numerose note esplicative, rivolte soprattutto ai giovani e agli studenti (ma non solo).

Ed ecco, finalmente, quanto ho potuto mettere insieme. Molto materiale mi è stato dato da Teresa, la cui sola esistenza mi è sembrata un miracolo (quando nacque Teresa il padre aveva 51 anni), quel miracolo che ha co­stituito il volano per questo mio lavoro. Teresa mi ha fornito anche notizie su cose da trovare e persone da contattare. Il resto lo ha fatto la mia pazien­za, la mia curiosità, il mio entusiasmo e la mia disponibilità di tempo. In futuro mi auguro che possa esservi chi avrà ancora più pazienza di me e chi, perciò, possa continuare ed approfondire, ad esempio, le ricerche delle collezioni prodotte da Salomi ancora esistenti in tante Scuole e Università italiane, dalle quali non ho avuto un riscontro proporzionale al mio impe­gno di ricerca.

Anche un’approfondita ricerca diretta presso l’Università di Napoli po­trebbe dare buoni risultati, rintracciando, ad esempio, il fascicolo personale dello studente Liborio Salomi e la sua tesi (originale) presentata e discussa. Poche speranze, in merito, mi ha però dato il dott. Nicola Maio, dell’Uni­versità di Napoli, più sopra citato, che mi ha fornito alcune notizie utili e mi ha informato sul pessimo stato di conservazione del materiale e sulle enormi lacune dell’archivio storico di quella Università. Poche speranze mi ha dato anche il prof. Francesco Zaccaria, fisico della stessa Università, in pensione da diversi anni, da me conosciuto in occasione delle ricerche sulla Cassa scolastica del Liceo “De Giorgi”, che ha attivato le sue conoscenze, non avendo, purtroppo, alcun riscontro.

Decisamente diversa la situazione dell’archivio dell’Università di Fi­renze, dove sono state trovate le (poche) tracce lasciate dal Salomi nel suo breve soggiorno toscano. Mi ha dato una mano per queste ricerche Alberto Bernardini, leccese, architetto e mio compagno di studi universitari, che vive presso quella città.

Il contenuto della tesi di laurea (sempre che la copia pubblicata in questo libro, in possesso di Teresa, sia conforme a quella presentata e discussa), da me trascritta, viene analizzato nello scritto di Stefano Margiotta. Insieme alla bibliografia, in originale, ne viene pubblicata una parte con trascrizione a fronte, quella cioè sui giacimenti della pietra leccese, e la conclusione, ma non quella sui fossili, certamente più da specialisti e che esula dagli scopi di questo scritto. Gli appunti di biologia ed embriologia sono stati invece esaminati da Piero Medagli e da Elena Valsecchi, dei quali riporto le valutazioni, unitamente ad alcuni dei numerosi disegni di Salomi contenuti negli stessi.

I pochi, ma significativi, documenti sulla sua carriera scolastica utili ai fini di questa pubblicazione sono contenuti nel fascicolo personale in pos­sesso dell’Istituto “O. G. Costa”, da me visionato in compagnia di Teresa. Ringrazio la Preside prof. Adas Mazzotta per la sua disponibilità.

Quanto resta degli appunti del Salomi tassidermista, qui pubblicati in fedele trascrizione, può servire anche da utile supporto agli attuali prepa­ratori di animali e/o restauratori delle numerose vecchie collezioni didat­tico-scientifiche nel campo naturalistico ancora esistenti, anche se oggi alcune delle sostanze più pericolose, all’epoca largamente utilizzate, sono state certamente abbandonate. Alcuni disegni superstiti dei suoi preparati osteologici, qui riprodotti, ci mostrano la profondità dei suoi studi e l’accu­ratezza delle preparazioni.

La riproduzione di numerosissime foto (d’epoca e non) e dei documenti più significativi contribuiscono validamente, a mio giudizio, ad inquadrare e valutare la personalità dell’uomo e il valore dello scienziato.

Spero soltanto che queste pagine abbiano diffusione anche tra i non ad­detti ai lavori, in modo che Liborio Salomi possa conquistarsi il posto che gli spetta nella storia del Salento del XX secolo.

Ovviamente Teresa Salomi è stata la mia più importante collaboratrice (io direi quasi coautrice) per questi scritti. Oltre che a lei e a Livio Ruggie­ro (per i consigli, sempre utili, la supervisione di tutto il lavoro e le foto di alcuni preparati), i miei ringraziamenti vanno a tutte le persone, Enti e istituzioni che hanno collaborato, in qualsiasi modo e a qualsiasi titolo, alla riuscita di questa iniziativa. Alcuni sono stati citati in questa prefazione, altri lo saranno nel corpo del testo, come tutti coloro che hanno contribu­ito a darmi notizie sulla produzione tassidermica. Mi scuso davvero se ho dimenticato qualcuno. L’ultimo e il più sentito grazie va alla persona, che ha voluto mantenere l’anonimato, che ha voluto finanziare la stampa del volume, senza il cui contributo il mio lavoro sarebbe stato destinato, pro­babilmente, ad essere pubblicato solo su qualche sito web.

Il volume si articola come segue:

– note biografiche;

– intervista a Teresa Salomi, di Franco Martina;

– approfondimento di singoli aspetti e/o episodi della vita di Liborio Salomi:

  • il percorso scolastico e universitario (Maglie – il Liceo; Firenze e Napoli – l’Università; il capodoglio; Gli appunti di embriologia e di anatomia comparata, di Elena Valsecchi e Piero Medagli; La tesi di laurea: Età ed ambiente di sedimentazione della pietra leccese: gli studi del Salomi e le recenti ricerche, di Stefano Margiotta; la tesi di laurea, prima parte e conclusioni, con trascrizione a fronte);
  • il tassidermista e il preparatore (di scheletri e reperti osteologici, esemplari di minerali, di fossili, di conchiglie; all’interno: breve storia del­la tassidermia, la tassidermia oggi, la tassidermia secondo Salomi, appunti di tassidermia, Liborio Salomi ed Umberto Eco, curiosità);
  • la produzione tassidermica (le collezioni didattico-scientifiche, con documentazione fotografica; foto d’epoca dei preparati tassidermici; i disegni dei sistemi di assemblaggio dei preparati osteologici);
  • la maturità (la carriera scolastica all’Istituto “Costa”; il discorso in occasione della festa degli alberi del 1928; la cava di bauxite; il Gruppo Speleologico Salentino);
  • la morte, i funerali, la tomba di famiglia;
  • personaggi che conobbe o con cui fu in contatto (Pasquale De Lorentiis, Salvatore Panareo, Augusto Stefanelli, Geremia D’Erasmo, Giulio Cotronei, Francesco Bassani, Paolo Emilio Stasi, Gian Alberto Blanc, Ulderigo Botti) ;
  • foto di Liborio Salomi a diverse età, ritratti e schizzi.

Non finirò mai di ringraziare Teresa sia per questa sia per un’altra op­portunità, altrettanto importante, che mi ha offerto, ossia il dono, che ha voluto fare proprio a me, di un diario manoscritto di Cosimo De Giorgi del 1866 (va dall’1 gennaio al 22 agosto), conservato gelosamente per oltre 30 anni da suo padre Liborio e per oltre 60 da lei. De Giorgi aveva, allora, 24 anni, e si trovava a Firenze, capitale d’Italia, per specializzarsi in Chirurgia. Ho appena finito di trascriverlo in vista del suo studio sistematico e della sua pubblicazione. È una vera e propria miniera[8], con un pezzo di storia d’Italia; vi si riconosce integralmente il De Giorgi maturo e si comprende da dove vengano tante conoscenze e tanti interessi dell’illustre salentino.

Ma questa è un’altra storia.

(dalla prefazione del libro)

 

[1] Del Dipartimento di Biologia, Complesso Universitario di Monte S. Angelo, Università degli Studi di Napoli Federico II. Edificio 7, via Cinthia, 21 – 80126 Napoli. I suoi contri­buti sono stati di recente pubblicati nel volume numero 12, settembre 2014, della “Rivista Museologia scientifica – Memorie”, dal titolo Le collezioni di cetacei dei musei italiani, parte prima, cetacei attuali, di L. Cagnolaro, N. Maio e V. Vomero, a cura dell’Associa­zione Nazionale Musei Scientifici

[2] A. Rossi, L. Ruggiero (a cura di), Collezioni Didattiche Scientifico-Tecnologiche in Pro­vincia di Lecce. Un patrimonio da conoscere e valorizzare. Edizioni del Grifo, Lecce 2003, pp. 136.

[3] Fa parte del volume “Le collezioni di cetacei dei musei italiani. Parte prima (cetacei attua­li)”, a cura di L. Cagnolaro, N. Maio, V. Vomero, cit.

[4] T. Salomi, I Salomi, antica famiglia della Grecìa salentina, Lecce 2013.

 

[5] Docente Geologia stratigrafica e sedimentologica – Università del Salento.

[6] Botanico, in servizio presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Am­bientali dell’Università del Salento.

[7] Docente a contratto presso l’Università di Milano Bicocca, Dipartimento di Bioscienze e Biotecnologie.

[8] Nei 234 giorni del diario, scritto a caratteri minutissimi su una piccola agenda (due giorni per pagina, normalmente da 11 a 15 righi per gli avvenimenti di ciascuna giornata), sono citati oltre 650 nomi ed oltre 400 tra località e luoghi geografici. Nello stesso periodo De Giorgi assistette ad oltre 50 tra opere teatrali, opere liriche e balletti.

 

Da punta Palascia a Pisa, ovvero l’ultimo viaggio di un capodoglio.

di Armando Polito

 

Nel Museo di storia naturale e del territorio dell’Università di Pisa, sito nella Certosa di Calci, è custodito nella galleria dei cetacei lo scheletro di un capodoglio … salentino.

Ecco come si presenta nella foto d’epoca pubblicata il 14 giugno u. s.  in https://www.facebook.com/pages/Salento-Come-Eravamo/546048392120110, un sito che si avvia ad essere, a mio avviso, una preziosa banca dati di natura iconografica  del nostro territorio,  grazie al contributo spontaneo di chi, e fa bene, lo segue soprattutto collaborando con l’invio di materiale di gran lunga più importante (e non solo perché testimonianza del passato) di qualsiasi selfie, tanto per citare solo l’ultimo simbolo della dannata voglia di apparire (non essere …) a tutti i costi. In tal senso l’inflazione iconografica consentita dalla tecnologia abbasserà, paradossalmente, la percentuale di immagini che entreranno nella storia: se fino a pochi decenni fa se ne salvava una su mille, ora lo farà solo una su miliardi di miliardi.

La didascalia recita: Il Salentino Liborio Salomi nella foto, ricompose lo scheletro di un capodoglio di 20 metri arenatosi nei pressi di Otranto nel 1902 il mese di Gennaio. Poi acquistato dal museo zoologico di Pisa.

Cerchiamo (non è un nos maiestatis …) di saperne di più, non solo sul capodoglio …

Liborio Salomi (Capignano salentino, 1882- Lecce, 1952), nell’immagine che segue tratta da http://scienzasalento.unile.it/biografie/liborio_salomi.htm , laureatosi a Napoli in Scienze naturali, lavorò presso la Cattedra ambulante per le malattie dell’olivo di Lecce e, quando fu soppressa (alla luce del recente caso della xylella fastidiosa non sarebbe il caso di ripristinarla? …), succedette a Cosimo De Giorgi nell’insegnamento di storia naturale presso l’istituto tecnico O. G. Costa di Lecce, istituto nel quale continuò l’opera di realizzazione di un museo interno avviata dal suo predecessore, del quale provvide a pubblicare la Descrizione geologica e idrografica della Provincia di Lecce per i tipi di Spacciante a Lecce nel 1922.

E a proposito di questo museo non “ufficiale”  non posso perdere l’occasione di ricordare la lodevolissima recente iniziativa di alunni e docenti dell’istituto, il cui resoconto è in http://www.sagreinpuglia.it/puglia-news/news-lecce-e-provincia/39-lecce-news/4485-apertura-a-lume-di-candela-del-museo-di-cosimo-de-giorgi-e-liborio-salomi-lecce-le-25-01-2014.html.

Quando il capodoglio si arenò (così recita la didascalia ma, come vedremo, pare che le cose siano andate diversamente), dunque, il Salomi aveva circa vent’anni.

Per il resto lascio la parola alle immagini che ho tratto dal Catalogo dei cetacei attuali del Museo di storia naturale e del territorio dell’Università di Pisa, alla certosa di Calci, note osteometriche e ricerca storica, a cura di S. Braschi, L. Cagnolaro e P. Nicolosi, in Atti Società toscana di scienze naturali, Memorie,  Serie B, 144 (2007) pp. 1-22 (integralmente leggibile e scaricabile da http://www.stsn.it/images/pdf/serB114/01_braschi.pdf).

Il lettore avrà già notato, a parte il 1802 invece di 1902 nella didascalia, che si tratta dell’immagine speculare della foto precedente; è difficile dire quale sia l’originale, ma non cambia assolutamente nulla.

Nella didascalia si legge il nome scientifico del capodoglio: Physeter macrocephalus L.  (1758). Physeter è trascrizione latina del greco φυσητήρ (leggi fiusetèr)=sifone, sfiatatoio; la voce è da φυσάω=soffiare. Macrocephalus è voce del latino scientifico, dal greco μακρός/μακρά/μακρόν (leggi macròs/macrà/macròn)=grande + κεφαλή (leggi chefalè)=testa. Si direbbe che il profilo delle monoposto di formula 1 abbia tratto da qui ispirazione …

 

Ecco ora la scheda di catalogazione.

La scheda rinvia alla nota storica che di seguito riproduco.

Il Richiardi nominato nella scheda è Sebastiano Richiardi (1834-1904), professore di Anatomia comparata prima a Bologna e poi a Pisa, della cui Università fu rettore dal 1891 al 1893.  Nell’immagine che segue (tratta ed adattata da GoogleMaps) è visibile  tutto il tragitto dal punto di recupero a quello di partenza per Pisa. Debbo dire, infine, che trovo estremamente interessante la nota finale con il costo totale dell’operazione, spese di spedizione comprese, convertito, addirittura, in euro1.

 

Qualche lettore potrebbe dirmi: – Tutto ok, però come mai nel titolo il protagonista è l’animale e non l’uomo, anzi lo scienziato? -.

Risponderei:  – In tempi in cui, se non sei Belen o Balotelli, puoi anche scoprire la cura definitiva di una malattia gravissima e aspirare, tutt’al più, solo all’attenzione di chi ne è affetto e, se ci tengono a lui, dei familiari, il titolo può sembrare sparato, altra piaga del cosiddetto giornalismo di oggi, per avere qualche lettore in più. È vero, un capodoglio, bando alle ipocrisie!, suscita più interesse di Liborio Salomi, cioè della persona senza la quale il mare sarebbe stato per lui, come per tutte le creature che vi vivono, dopo la culla pure la bara. Tuttavia,  la mia scelta non è una forma di scarso rispetto  nei confronti dell’uomo e dello scienziato,  né l’ho fatto per sedurre te o altri ma perché sono certo che Liborio Salomi avrebbe condiviso la mia decisione. Se non ti ho convinto, non me ne faccio una pena, perché ora, come me, forse sai qualcosa in più su di lui avendo letto, era quello che in fondo volevo ma non in base ad un’applicazione privatistica, quella oggi tanto di moda, del machiavellico il fine giustifica i mezzi, queste quattro sgangherate righe. –

__________

1 Notizie leggermente discordanti sulla data e le modalità del ritrovamento e sul prezzo d’acquisto sono in Bollettino del Museo zoologico della regia Università di Genova,  1906, p. 145 (in basso, immagine tratta da http://www.forgottenbooks.org/readbook_text/Bollettino_del_Museo_Zoologico_Della_R_Universita_DI_Genova_1300007799/145).

 

 

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