Due antichissime cartografie di Terra d’Otranto

Due tuffi nel passato del Salento

di Armando Polito

L’immagine del titolo non è casuale, dal momento che il mare che circonda la nostra penisola ed essa stessa nei millenni ne hanno viste di cotte e di crude.  Se penso che i tuffatori professionisti per raggiungere certi risultati in vista di manifestazioni sportive di rilievo debbono allenarsi per anni e che anche il tuffatore comune deve avere una certa esperienza per non sfracellarsi, sento che il mio destino è segnato; siccome sono un incosciente, proseguo, ma il lettore che non vuol incorrere nella fatale conclusione di questa avventura può tranquillamente rinunciare a seguirmi nella folle impresa…

La foto riproduce la penisola salentina come appare nella Tabula Peutingeriana1.

Nella parte superiore leggiamo, procedendo da sinistra a destra, i toponimi: Brundisi(um), Pastium, Balentium, Luppia(e), Ydrunte, Castra Minervae; nella parte inferiore: Scamnium, Orbius, Tarento, Manduris, Neretum, Baletium, Uzintum e Veretum.

Centellinando l’ossigeno, mi accingo ad osservarli più da vicino: Brundisi(um) è (che bravo!) Brindisi. Pastium richiede un pò più di tempo, problema non di poco conto per chi è in apnea, ma, per fortuna, ci soccorre Plinio2 a dirci che si tratta di un fiume (dunque si direbbe, a prima vista, un idronimo, non un toponimo3). Balentium è l’odierna Valesio, Luppiae  Lecce, Ydrunte Otranto, Castra Minervae è Castro.

La distanza tra i luoghi è indicata in cifre romane: così sappiamo che tra Brindisi e Valesio c’era la distanza di 10 miglia4, tra Valesio e Lecce di 15, tra Lecce e Otranto di 25, tra Otranto e Castro di 8. Lascio al lettore ogni giudizio sulla precisione delle cifre, pur tenendo conto della diversità dei percorsi viari rispetto agli attuali.

Bisogna fare in fretta perché le bolle cominciano ad uscire con una frequenza preoccupante…

Nella parte inferiore leggiamo: Tarento (Taranto), Manduris (Manduria), Neretum (Nardò), Baletium (Alezio), Uzintum (Ugento) e Veretum (nelle vicinanze dell’odierna Patù).  Distanze: tra Taranto e Manduria 20 miglia, tra Manduria e Nardò 29, tra Nardò e Alezio 10, tra Alezio e Ugento 10, tra Ugento e Patù 10.

Sono costretto a risalire per prendere una boccata d’aria, anche perché col prossimo tuffo ho intenzione di raggiungere una profondità (non in senso metaforico, visti i risultati non certo esaltanti ottenuti col primo…) enormemente maggiore. Al mio emergere qualche timido applauso di pochi amici è sovrastato dalle variopinte espressioni con cui gli altri spettatori esprimono la loro rabbiosa delusione per non essere riusciti a liberarsi per sempre di me. Poi il silenzio preoccupato degli amici e quello di nuovo speranzoso degli altri mentre iperventilo i miei magri polmoni. Mi rituffo e, questa volta dopo un tempo più lungo, ai miei occhi si presenta questo spettacolo incredibile.

È la mappa di Soleto5.

Essa reca in forma abbreviata per alcuni, estesa per altri, con lettere messapiche per alcuni, greche per altri, 13 toponimi. Passo ad esaminarli singolarmente dopo aver fatto notare agli estremi inferiori la simpatica rappresentazione del mare con due tratti zigzagati.

TARAS èTaranto6; NAR è Nardò; BAL è Alezio; BAS è Vaste; OZAN è Ugento; HYDR è Otranto; SOL sarebbe per tutti Soleto (io su questo toponimo e su altri ho un’ opinione che qui non posso esprimere perché debbo risparmiare l’aria)7. I restanti toponimi pongono non pochi problemi di identificazione: MYOS potrebbe essere Muro, STY Sternatia, GRACHA potrebbe essere conneso con il GRA di alcune monete, LIOS non trova corrispondente nella toponomatica delle fonti antiche e meno ancora in quella moderna; LIK fa pensare a Leuca ma la sua posizione contrasta con la precisione quasi satellitare degli altri; infine per l’ultimo toponimo in alto a sinistra è problematica pure la lettura essendo state le lettere parzialmente erose da un’ulteriore frattura che il frammento deve aver subito in epoca posteriore.

La bellezza toglie il fiato e io ne ho appena appena per risalire. Quando con gli occhi strabuzzati la mia testa penetra il pelo dell’acqua, lo spettacolo non cambia: i pochi amici di prima, noncuranti dello stile poco apprezzabile dei miei tuffi, si precipitano attorno a me felici perché, almeno, ho salvato la vita; per gli altri rimane la speranza che prima o poi…

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1 Si tratta della copia medioevale (probabilmente del XIII secolo) di una carta stradale risalente ad età   romana. Tale documento, attualmente conservato nella Biblioteca Nazionale di Vienna sotto il nome di Codex Vindobonensis 324, fu rinvenuto nel 1507 da Konrad Celtes, bibliotecario dell’imperatore Massimiliano I in luogo imprecisato e deve la  sua denominazione corrente al secondo proprietario, Konrad Peutinger (1465-1567), cancelliere di Ausburg. È un rotolo di pergamena lungo m. 6,80 e largo cm. 34, composto di 11 segmenti in origine incollati fra loro e successivamente (nel 1863) staccati in 11 fogli. Essa contiene una rappresentazione del mondo conosciuto dagli antichi (Europa, Asia, Africa), che si estendeva dalle colonne d’Ercole fino alle estreme regioni orientali (India, Cina, Birmania, isola di Ceylon). La mancata  raffigurazione di Britannia, Spagna e parte occidentale dell’Africa induce a supporre che una parte della Tabula sia andata perduta.

2 Naturalis Historia, III, 102: Poediculorum oppida Rudiae, Gnatia, Barium, amnes Iapyx a Daedali filio rege, a quo et Iapygia Amita, Pactius, Aufidus ex Hirpinis montibus Canusium praefluens.[(Città dei Pedicoli sono Rudie (oggi Lecce), Egnazia, Bari; fiumi lo Iapige dal re figlio di Dedalo, dal quale anche lo iapigio Amita, il Pazio, l’Aufido (oggi Ofanto), il Canusio (da cui l’odierna Canosa) che nasce dai monti dell’Irpinia. È una caratteristica di Plinio, purtroppo, il disordine topografico delle sue citazioni.

3 Ma la presenza nel testo pliniano del fiume Canusio che poi ha dato il nome a Canosa ci autorizzano ampiamente a supporre che il Pastium della Tabula (sviluppo del pliniano Pactius) sia un toponimo (anche perché solo quelli la Tabula riporta).

4 Il miglio romano corrispondeva a mille passi (un passo, che per i Romani era la distanza intercorrente tra il punto di distacco e di appoggio di uno stesso piede nel camminare, corrispondeva a m.1,48), cioè a circa 1,5 Km).

5 Si tratta di un ostrakon, cioè un piccolo frammento (cm. 5,9×2,8) di ceramica a vernice nera venuto alla luce a Soleto il 21 agosto 2003 durante gli scavi condotti da Thierry Van Compernolle dell’Università Paul Valery (Montpellier III) sul quale è graffito il profilo della costa salentina. Il frammento e i graffiti sono datati alla seconda metà del V secolo a. C. e non starò certo a tediare il lettore sullo strano destino di questo reperto (dalla maggior parte degli studiosi ritenuto autentico, da altri, con motivazioni per me molto traballanti, un falso) che, dopo essere stato oggetto di un apposito congresso internazionale tenutosi a Montpellier dal 10 al 12 marzo 2005 e la vedette unica di una mostra tenuta dal Museo Archeologico di Taranto dal 16 novembre 2005 al 14 febbraio 2006, è caduto nel dimenticatoio. Basti pensare che per motivi finanziari gli atti del congresso alla data in cui scrivo (16 luglio 2010) non sono stati ancora pubblicati…

6 Da notare la dimensione dei caratteri e il tratto piuttosto deciso e nervoso; è come se contenessero un’annotazione di ordine politico e psicologico col messaggio: Qui comanda Taranto!

7 Non è un’abile, per me meschina, scusa; la motivazione della mia tesi richiederebbe almeno una ventina di pagine.

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