Marcinelle, 8 agosto del 1956. Per non dimenticare…

di Gianni Ferraris

Ero a Casarano un pomeriggio. Un cartello indicava il “museo del minatore”. Entro, un grande salone che è un circolo ricreativo. 4 signori giocano a carte, altri stanno a guardare. Battute fra loro, risate. Vita da SOMS insomma.  Uno mi avvicina, “siete minatori?” “No, ho visto e sono entrato per il museo” “Avete parenti minatori?” “veramente no “ . Scoprirò poi che lui è stato minatore in Belgio. “Solo 7 anni però, mi sono salvato per questo” “Si, la pensione è buona, chi ha fatto più anni arriva anche a 3000 euro al mese. Sono pochi però, sono tutti morti. La miniera non era solo dura, era l’inferno”. Ho letto che quando entravi là sotto dovevi scegliere una posizione. Di schiena o di pancia nel cunicolo, quella era l’unica possibile per tutto il giorno, non ci si poteva girare perché era troppo angusto. Poi mi accompagna a vedere le centinaia di foto appese ai muri. Minatori neri in volto, fieri in posa spesso. Ogni tanto altre fotografie: i re del Belgio, San Pio da Pietrelcina, Ciampi. Una statua a grandezza naturale raffigura Santa Barbara con un piccolo minatore con il casco. Un bambino come quelli che spesso lavoravano in miniera. “La statua di Santa Barbara era con coi sempre laggiù”  Una fotografia con 4 loculi, sono i morti di Marcinelle che riposano a Racale.

Partirono in molti da queste terre. Troppi non tornarono. Un bellissimo recital di Perrotta dice del postino del suo paese. Quando riceveva un telegramma che annunciava la morte di un minatore non aveva il coraggio di consegnarlo. Andava dalla signora e diceva “ci hanno comunicato che tuo marito non sta molto bene.” Poi lo faceva peggiorare di giorno in giorno fino ad annunciarne la morte. Era poco, però evitava uno choc improvviso. Ci si arrangia come si può nel  mondo dell’assurdo, quello in cui una vita vale quanto un sacco di carbone: 200 kg al giorno.

“Approfittate degli speciali vantaggi che il Belgio accorda ai suoi minatori. Il viaggio dall’Italia al Belgio è completamente gratuito per i lavoratori  italiani firmatari di un contratto annuale di lavoro per le miniere. Il viaggio dall’Italia al Belgio dura in ferrovia solo 18 ore. Compiute le semplici formalità d’uso, la vostra famiglia potrà raggiungervi in Belgio”.

Terminava con queste parole il manifesto rosa affisso sui muri di tutta Italia per convincere le persone ad emigrare. Era il frutto di un accordo fra il governo italiano e quello belga conosciuto come  “patto uomo – carbone” del  23 giugno 1946. L’Italia doveva inviare persone come merci nel numero di 50.000 con una media di 2000 a settimana, in cambio avrebbe  ricevuto 200 kg di carbone al giorno per ogni uomo inviato . C’era la ricostruzione, era indispensabile il carbone. E uomini in buona salute o in massacrante miseria se ne contavano a migliaia. E funzionò quel patto sciagurato.Partirono 140’000 lavoratori.  18’000 donne e 29’000 bambini. Al loro arrivo trovavano immediatamente i “vantaggi che il Belgio accorda ai suoi minatori”. In particolare in quei cartelli appesi fuori dalle case da affittare che dicevano: “ni animaux, ni étranger”: né animali, né stranieri. E senza casa quale famiglia avrebbero potuto chiamare? Però servivano, erano indispensabili. Ci pensò il governo belga a loro. Vennero stipati negli ex campi di concentramento. Nelle identiche  situazioni dei russi prigionieri di guerra. Un gabinetto per 200, 300 persone. Freddo glaciale in inverno, caldo torrido in estate.

…  Uomini giovani, 35 anni al massimo, e in buona salute “deportati” nel fondo di miniere mai ammodernate per permettere all’Italia di acquistare energia e di allentare disoccupazione e tensione sociale. Il reclutamento in Italia cerca di favorire l’ingaggio di lavoratori  raccomandati dalla Chiesa cattolica e quindi cristiani, “considerati più sottomessi e meno esigenti” osserva Anne Morelli. E aggiunge: Dall’annuncio dell’accordo nel 1946 il sindacato cattolico belga Csc (Confédération des Syndicats Chrétiens) prende contatto con le Acli per organizzare i nuovi arrivati. Un accordo è firmato nel 1947 tra i due enti «per evitare che gli emigrati italiani siano attratti da organizzazioni  sindacali straniere». I patronati Acli ed i missionari italiani sono gli unici  autorizzati dal patronato belga ad accogliere i minatori italiani. Nel 1947 viene edito un settimanale cattolico, fortemente anticomunista, “Sole d’Italia” con il finanziamento delle Acli, del sindacato cattolico belga, dello Stato belga, dello Stato italiano e di benefattori che avevano capito l’importanza politica di sostenere una tale iniziativa […] Una trentina di missionari italiani sono inviati in Belgio per «inquadrare» gli emigranti in parrocchie italiane distinte di quelle belghe, in stretta collaborazione con i diplomatici italiani e la Democrazia cristina 8 . Tra i più attivi animatori  religiosi della comunità italiana va ricordato il sacerdote missionario  scalabriniano Giacomo Sartori. Nato a Possagno il 17 aprile 1922, venne ordinato sacerdote nel luglio 1945. Padre Sartori insistette per andare in missione e fu destinato al Belgio, a La Louvière, Maurage e poi a MarchienneauPont dove costruì la prima Chiesa italiana del Belgio, dedicata a Santa Maria Goretti. Collaboratore attivo del settimanale per gli emigrati “Sole d’Italia”, fu assistente nazionale in Belgio delle Acli dal 1956 al 1961, anno in cui lascia il paese per iniziare il suo apostolato in Francia, prima ad Havange nella Mosella e poi a Parigi dove muore il 22 marzo 1967 .”

 

Cfr. Anne Morelli, Gli italiani del Belgio. Storia e storie di due secoli di migrazioni, Foligno, Editoriale Umbra –

Alle otto e dieci del mattino dell’ 8 agosto del 1956 dalla miniera di Marcinelle si alza una colonna di fumo. A 975 metri sotto terra è strage. Muoiono 262 minatori. Di questi 136 erano italiani. Il nucleo  più numeroso, seguiti da 95 belgi. Nell’inferno hanno provato a scendere ancora per cercare salvezza. Li trovarono il 23 agosto, a 1035 metri di profondità. Abbracciati fra loro. Forse cercando un gesto di solidarietà.
Il processo identificherà come unico responsabile  l’italiano Antonio Ianetta, 27 anni. Non comprendeva il francese, Antonio. Ciò nonostante fu assegnato a mansioni che esigevano comunicazione: addetto ai carrelli. Al processo, nel maggio 1959, Ianetta non ci sarà. .”Latitante” in Canada.
I morti di quella tragedia rappresentano l’Italia quasi intera, con punte decisamente più numerose nelle regioni del sud: Molise 7 morti, Abruzzo  60,  Calabria 4, Campania 2, Emilia 5, Friuli 7, Lombardia 3, Marche 12,  Puglia 22, Sicilia 5, Toscana 3, Trentino Alto Adige 1, Veneto 5.  Tutti svenduti per un sacco di carbone al giorno.

i soccorsi sul luogo del disastro (questa e le altre foto sono tratte da http://vergaelen.michel.ibelgique.com/Marcinelle.htm)

 

Tra il 1946 e il 1963 i morti ufficial­mente furono 867 nelle profondità, più di 20 mila si ammalarono gravemen­te e circa 150 finirono la loro vita in manicomio.

Di questa tragedia della miseria e dell’uso delle persone come merce tutto forse è già stato detto, però un ricordo a 53  anni dalla strage serve e ci può insegnare ancora molto. “ni animaux, ni étranger” fa il paio con altri cartelli “non si affitta a meridionali”. E oggi possiamo ricondurlo alla paura del diverso, dell’altro che alcuni ci vorrebbero inculcare. La storia dovrebbe insegnare. Il Salento è terra di emigranti, ogni famiglia ha parenti al nord, moltissimi ragazzi si spostano per cercare lavoro, magari precario. E capita magari ad una giovane professoresa, di andare nel nord più remoto, vicino alle Dolomiti ad insegnare al suo primo incarico. Orgogliosa per il posto guadagnato, certamente con un po’ di timori. Succede che il preside la accolga con queste parole: “Lei è di Lecce, è sicura che i ragazzi la capiranno?”  La risposta non poteva essere che quella data allo sciagurato: “Guardi, a Lecce si parla  un buon italiano, sono certa che i ragazzi avranno un’opportunità in più”  Non ci sono più patti “uomo – carbone” da rispettare, oggi c’è solo il miraggio di una vita normale, magari di un posto di lavoro non precario, Magari la ricerca del rispetto della Costituzione , ma soprattutto del buon senso, siamo tutti uguali. Almeno, dovremmo.

La tragedia è stata  ricordata con molti strumenti: Film, teatro, libri, canzoni.  Voglio riportarne qui una di Ivan Della Mea. “Mangia el carbun e tira l’ultim fiaa”:
Sont in vial Monza, visin a l’ABC gh’è on cartelon 
della benzina Shell,
distributor, garage e gente in tuta,
l’è on gran vosà: sterza, inanz, indree
Gh’è vun che spèta e intant legg el giornal:
«Dusent vint mort» gh’è scritt «a Marcinelle».
 
‘Sti chi lauren, quij là intant a moeuren;
sora dusent, cent trenta hinn italian,
gh’era el paes, el laurà e poeu la vita,
la famm col pan bagnà matina e sera:
ciapa el bigliett, teron, forsa, gh’è ‘l treno!
e va a crepà ind el fumm de la minera…
 
Mangia el carbon e tira l’ultim fiaa
e sara i oeucc e slarga pian i man,
e spera sempre: Nenni e Saragat
s’hin incontraa, silensi a Pralognan…*
Gh’è anmò speransa e fiada, fiada fort
e crepa svelt, che ti te set già mort.

(Sono in viale Monza, vicino all’ABC

C’è un cartellone della benzina Shell

Distributore, garage e gente in tuta,

è un gran parlare: sterza, avanti, indietro

c’è uno che aspetta e intanto legge il giornale:

“220 morti” c’è scritto “a Marcinelle”.

“Questi lavorano, quelli intanto muoiono;

su 200, 130 sono italiani,

c’era il paese, il avoro e poi la vita,

la fame con il pane bagnato mattina e sera:

prendi il biglietto, terrone, forza, c’è il treno:

e va a crepare nel fumo della miniera…

Mangia il carbone e tira l’ultimo respiro

E chiudi gli occhi, e allarga piano le mani,

e spera sempre: Nenni e Saragat

si sono incontrati, silenzio a Pralognan… *
C’è ancora speranza e respira, respira forte

E crepa in fretta, perchè sei già morto).

* Il 26 agosto dello stesso anno a Pralognan (Savoia) si incontrano Nenni e Saragat, con l’intento di fondere PSI e PSDI per contrastare la forza del PCI. L’incontro è auspicato dall’internazionale socialista.

 

Elenco dei salentini morti a Marcinelle

Pompeo Bruno, Racale (LE)

02/04/1928 – celibe

Salvatore Capoccia, Salice Salentino (LE)

– Roberto Corvaglia, Racale (LE)

– Salvatore Cucinell i, Gagliano Del Capo (LE)

11/05/1926 – moglie in Italia

– Santo Martignano, Tuglie (LE)

20/04/1929 – moglie e 3 figli

– Cosimo Merenda, Tuglie (LE)

25/07/1924 – moglie e 3 figli

– Francesco Palazzo, Salice Salentino (LE)

07/05/1913 – moglie e 3 figli in Italia

– Cosimo Ruperto, Alezio (LE)

18/04/1913 – moglie e 4 figli

– Natale Santantonio, Brindisi

08/01/1928 – celibe

– Carmelo Serrone, Serrano (LE)

17/11/1911 – celibe

– Ernesto Spiga, Martina Franca

25/05/1904 – moglie e 2 figli

– Abramo Tamburrana, Crispiano (TA)

26/03/1916 – celibe

– Vito Verneri, Racale (LE)

26/03/1925 – celibe

– Salvatore Ventura, Tuglie (LE)

16/01/1920 – moglie e 3 figl i

– Rocco Vita, Racale (LE)

16/08/1929 – moglie e 2 figli

– Cesario Perdicchia, Melissano (LE)

02/03/1909 – moglie e 2 figli

– Osmano Ruggirei, Martina Franca (TA)

26/03/1923 – moglie

– Donato Santantonio, Racale (LE)

05/01/1927 – moglie e 1 figlio

– Vito Larizza, Laterza (TA)

15/11/1924 – moglie e 4 figli

– Pasquale Sifani, Taurisano (LE)

01/04/1924 – moglie e 2 figli.

  
 
Lunedì 13 agosto si svolgono le esequie dei morti recuperati

 

 

Se avete foto o documenti pertinenti vi chiediamo di inviarceli, per inserirli in questo sito.  

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