Le Rose d’Acciaio

Le Rose d’Acciaio

Spettacolo-Documentario che si sofferma sull’universo femminile che vive dentro e intorno l’Ilva di Taranto

le rose d'acciaio

di Paola Bisconti

Parlare del mostro siderurgico che da anni sta distruggendo la vita dei cittadini tarantini a causa di un inquinamento senza limiti è un atto di giustizia nei confronti di tutti coloro che ogni giorno hanno a che fare con le drastiche conseguenze dovute alla produzione dell’acciaio nel più grande polo siderurgico d’Europa che sorge nel cuore della città dei due mari.

Taranto, un tempo capitale della Magna Grecia, merita di risplendere e di tornare a vivere delle proprie bellezze paesaggistiche, del suo incantevole centro storico, del suo splendido mare, delle risorse della sua terra. È da troppo tempo che il capoluogo pugliese ha smesso di sognare a causa di un’acciaieria nata come un’industria statale sotto il nome di Italsider in seguito diventata di proprietà del gruppo Riva.

Oggi Taranto, stando alle statistiche, è una delle città più inquinate d’Italia, e fra chi lotta per tenersi stretto un posto di lavoro e chi combatte ogni giorno contro le malattie tumorali c’è chi ha deciso di far parlare le donne, le “titane” di questa battaglia. L’attrice Roberta Natalini, il giornalista Maurizio Distante e la video maker Silvana Padula hanno realizzato un progetto che presta attenzione alle voci delle madri, mogli, figlie e fidanzate di coloro che lavorano all’interno della mega azienda o che vivono intorno all’impresa.

Tutto ha avuto inizio il 16 ottobre scorso proprio nell’epicentro di questo terremoto mediatico e giudiziario, dove sotto un cielo plumbeo e un’atmosfera quasi surreale sono iniziate le riprese del video. Il percorso si concluderà a marzo con la messa in scena di una pièce teatrale durante la quale i monologhi di Roberta Natalini saranno accompagnati dalla musica del pianista Danilo Leo. “Le Rose d’acciaio” è un’iniziativa che attraverso la pagina facebook: http://www.facebook.com/LeRoseDacciaio?fref=tsive , promuove i passaggi salienti di questo iter sui generis nato dalla volontà di tre ragazzi che pur non essendo originari di Taranto hanno avvertito la necessità di ascoltare le testimonianze delle donne dalle quali emerge una profonda sensibilità. Ecco perché la scelta di usare l’immagine della rosa, simbolo per antonomasia della delicatezza femminile, accostata all’acciaio, materia prima prodotta dall’Ilva.

Lo spettacolo andrà in scena il 7, il 14, il 21 aprile nei teatri delle province di Lecce, Brindisi e Taranto. Per sostenere le spese gli ideatori hanno colto un innovativo metodo di raccolta fondi, si chiama crowd funding, un processo collaborativo che invita chiunque a partecipare al progetto versando una piccola quota attraverso la piattaforma “Produzioni dal basso”: http://www.produzionidalbasso.com/pdb_1908.html. Ciascuno di noi può così diventare co-autore del documentario e ricevere una copia del cd dove comparirà il proprio nome fra i titoli di coda.

Mentre il governo e la magistratura si prodigheranno a risolvere una delle questioni più difficili affrontate fino ad ora, tra chi tenta di far riavere liquidità all’azienda, chi intende attenuare il ricorso alla cassa integrazione e chi ancora garantisce una bonifica occorre ascoltare le voci dei cittadini che attraverso “Le rose d’acciao” parlano e si raccontano per confrontarsi e non essere più vittime di ingannevoli compromessi e speculazioni fondate su “leggi ad aziendam” varate per consentire a chi di giorno fingeva di rispettare le regole e di notte inquinava senza esitazione.

 

Taranto. Breve storia del quarto polo siderurgico

 

di Alessio Palumbo

 

In questi giorni, la sentenza di chiusura di alcuni reparti dell’Ilva di Taranto e le proteste scaturitene, ha catalizzato l’attenzione di media, esperti e semplici lettori. Si è dipanato così un dibattito vasto e composito che, di volta in volta, anche su questo blog, ha posto il focus su alcuni problemi specifici: dall’inquinamento alle politiche del lavoro, dall’indotto ai danni apportati alla qualità della vita dei tarantini, etc. etc. Un rapido viaggio nella storia del centro siderurgico tarantino forse permetterà di avere una visione più vasta e completa dei problemi, dei retroscena, delle speranze e delle delusioni che per decenni si sono abbinati a questo “drago d’acciaio”.

Nel secondo dopoguerra, lo sviluppo in Italia della siderurgia pubblica si è legato, fondamentalmente, alla figura di Oscar Sinigaglia. È infatti alla sua mentalità fordista che si deve la nascita e la crescita di un’industria pubblica dell’acciaio basata sulla riduzione della dipendenza dal rottame, sulle grandi dimensioni degli stabilimenti e sulla produzione di lotti standardizzati[1]. Molteplici ragioni

L’affaire ILVA di Taranto è un ossimoro bello e buono

di Gianni Ferraris

La Costituzione parla esplicitamente del diritto alla salute e di quello al lavoro, addirittura quest’ultimo è, secondo la carta, la parte fondante della Repubblica stessa. Lo Stato ha quindi il dovere di tutelare entrambi questi diritti. Ora, a meno che non si ritenga la Carta Costituzionale alla stregua di un soprammobile inutile e da spolverare di tanto in tanto, magari giusto nelle ricorrenze, per poi scordarlo per il resto dell’anno, l’affaire ILVA di Taranto è un ossimoro bello e buono. Gli operai sono costretti a scendere in piazza per difendere il loro posto di lavoro minacciato da chi vuole difendere la loro salute e non disdegnerebbe il chiudere la fabbrica. Si rischia di camminare sui vetri facendo questo discorso, nessun attacco alla Magistratura, per carità, soprattutto quando fa il suo lavoro.

Che a Taranto si crepi di cancro più che in altri luoghi è un fatto dimostrato,

L’Ilva di Taranto, la sfida di un equilibrio fra ambiente e lavoro

Il rione Tamburi a Taranto

di Paolo Rausa

L’esplosione della rabbia operaia all’indomani della sentenza storica con la quale il giudice Patrizia Todisco ha imposto la chiusura del centro siderurgico di Taranto e l’arresto di otto dirigenti dello stabilimento industriale si è imposta all’opinione pubblica e suscita alcune osservazioni apparentemente contrastanti, di solidarietà con i 12.000 lavoratori circa che rischiano il posto di lavoro e di allarme per le condizioni ambientali in cui versa da anni il rione Tamburi, che vive, o meglio che muore, in simbiosi con l’Ilva. La sentenza di sequestro non lascia scampo perché detta i tempi e i modi degli interventi di spegnimento degli altiforni e inoltre mette sotto accusa per disastro e inquinamento ambientale la dirigenza dell’azienda, che “ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza” con la conseguenza che “l’imponente dispersione di sostanze nocive nell’ambiente urbanizzato ha

ILVA. Il pane che si guadagna avvelenandosi è a sua volta velenoso

di Pino de Luca

Senza se e senza ma mi sento solidale con Patrizia Todisco, magistrato di Taranto, che ha assunto l’onere di emettere il provvedimento di sequestro dell’Ilva e e mandati di arresto annessi.

Un onere pesantissimo che non può che far onore alla toga che la suddetta indossa.

Di fronte alle decisioni difficili si vede la scorza delle persone e questa era una decisione difficilissima, sottoposta a pressioni tanto possenti quanto contrastanti.

Già il segnale del cambio al vertice dell’Ilva ha qualcosa di inquietante.

Bruno Ferrante, da Lecce, Prefetto di Prima Classe e già Capo di Gabinetto al Ministero dell’Interno  nonché con un breve incarico di Commissario Anticorruzione. Lasciata la carriera politica dopo aver sconfitto Dario Fo e perduto con Letizia Moratti, diventa Manager di IMPREGILO e tramite essa di Fibe Campania, azienda con notevoli successi nel trattamento dei rifiuti …

Ad arricchire il curriculum anche un breve periodo di Vice Capo della Polizia.

Non si capisce bene quindi la scelta della proprietà e il mandato ad un Manager di cotal curriculo nel quale la conoscenza del mercato dell’acciaio, delle materie prime, dei cicli di produzione se esiste è d’una assoluta trasparenza.

Ed ecco quindi la Todisco, che non conosco ma immagino di altezza media e di studi altissimi, che deve decidere sapendo che ha di fronte una pletora di molossi con la bava alla bocca, travestiti da giornalisti, così avvezzi al servilismo che abbaiano al giudice anche quando non gli viene richiesto.

E lo fanno raccontando sciocchezze, distorcendo la verità, utilizzando descrizioni improbabili. Facendo confusione, creando scompiglio e innalzando polveroni. Patriza Todisco non è un Pubblico Ministero, una parte del processo che si farà, ma un Giudice. E questo Giudice previsto dall’ordinamento, emana ordinanze e lo fa in nome del popolo italiano, anche di coloro che vanno reclusi

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