di Franco Cazzella
Basta dare uno sguardo al passato per rendersi conto dell’attenzione che lungo i secoli decine di studiosi hanno dedicato alle pecore e all’allevamento ovino. Questa non è indubbiamente la sede per ulteriori approfondimenti, ma ci corre l’obbligo di citare almeno, fra i tanti autori, Lucio Giunio Moderato Columella, poiché le indicazioni di questo agronomo vissuto ai tempi di Seneca (4 – 65 d. C.) sono per taluni aspetti di un’attualità sorprendente.
Di ovini Columella parla a lungo all’interno del suo monumentale “De re rustica”, un’opera articolata in 12 volumi, che affronta l’attività agricola sotto ogni aspetto. Alla cura del bestiame l’autore spagnolo dedica per la verità numerosi tomi (VI, VII, VIII e IX libro), ma è principalmente nel VII che il pastore diventa protagonista indiscusso della narrazione.
Le pecore – scrive Columella – vengono subito dopo il bestiame grosso, ma se si guardasse all’utile che esse generano, dovrebbero essere al primo posto. Ci offrono protezione ai rigori del freddo e sono la fonte principale di indumenti. E che dire poi dell’abbondante latte e del formaggio, alimenti che saziano non solo la gente di campagna, ma anche le delicate mense dei ricchi.
I consigli dell’Autore continuano a lungo, suggerendo, ai futuri allevatori, di acquistare solo i soggetti più adatti all’ambiente in cui si trova l’azienda. In pianura vanno bene le pecore alte, mentre in una regione non troppo ricca e collinosa (le zone marginali di oggi) occorrono pecore quadrate. Se invece il