Ancora su Paolo Emilio Stasi, con una sua foto

di Riccardo Carrozzini

Nel trascorso anno 2022 è caduto il centenario della morte, oltre che di Cosimo De Giorgi, anche di Paolo Emilio Stasi. Il 22 dicembre il Museo Castromediano ha inaugurato la mostra Paolo Emilio Stasi, pittore e archeologo in terra d’Otranto tra otto e novecento, che sarà visitabile fino al 31 gennaio prossimo.

Mi sono occupato di lui non come pittore, ma come ricercatore – archeologo, nel volume Liborio Salomi, un illustre salentino quasi sconosciuto, edito da Milella nel 2015, annoverandolo tra i personaggi che Salomi conobbe o con cui fu in contatto. Metto qui a disposizione di chi lo volesse utilizzare quanto è contenuto nel volume citato su Paolo Emilio Stasi.

Riporto in apertura una parte della presentazione del volume su Salomi sopra citato, scritta da Livio Ruggiero, utile come inquadramento generale, specie per i “non addetti ai lavori”:

Il patrimonio culturale di Lecce e del suo territorio sembrerebbe non pre­sentare elementi legati alle scienze in senso lato, a causa delle emergenze letterarie, artistiche e archeologiche che sembrano aver relegato nell’ombra dell’oblio tutto il resto; ma la Terra d’Otranto ha dato i natali ad una schiera piuttosto numerosa di studiosi in varie discipline scientifiche, non escluse quelle più strettamente legate allo sviluppo dell’agricoltura e alla gestione del territorio. Antonio Miglietta, Oronzo Gabriele Costa, Salvatore Trin­chese, Filippo Bottazzi sono personaggi noti a livello internazionale per i contributi determinanti dati allo sviluppo delle scienze mediche e di quelle biologiche, del presente e del lontano passato, ma il loro ricordo, vivo nei testi di specialisti italiani e stranieri, è presentato ai conterranei, che igno­rano anche che siano vissuti, solo dalla toponomastica stradale. Altri hanno fatto dono alla città del frutto dei loro studi e del loro impegno sociale, come Giuseppe Candido, il sacerdote scienziato che realizzò a Lecce, tra il 1868 e il 1874, la prima e unica rete, non solo in Italia, di orologi pubblici sincronizzati elettricamente, o come i numerosi agronomi che hanno con­tribuito allo sviluppo e all’ammodernamento dell’agricoltura locale. Anche per essi il velo dell’oblio si è steso inesorabile sulla loro vita e sulle loro opere. E non vanno dimenticati i non salentini che hanno contribuito in maniera determinante alla conoscenza del passato e del presente di questa regione, come Ulderigo Botti, scopritore di numerose testimonianze del­la presenza dell’uomo preistorico, del prezioso ricco giacimento di fossili quaternari di Cardamone e della breccia ossifera che diede a Paolo Emilio Stasi l’opportunità di scoprire la Grotta Romanelli, prezioso archivio di dati paleoclimatici, e come Pietro Parenzan, che negli anni Sessanta del Secolo scorso fondò la Stazione di Biologia Marina di Porto Cesareo, dan­do un impulso determinante per la conoscenza degli ambienti costieri e subacquei non solo del Salento.

Di uno solo non si è potuta cancellare la memoria, Cosimo De Giorgi, perché i numerosi scritti da lui lasciati, frutto di una pluridecennale attività di ricerca appassionata sulla sua terra, hanno costituito da sempre il punto di partenza obbligato per chi ha voluto interessarsi in seguito di questa parte d’Italia.

Negli ultimi decenni si è avviata, da parte di alcuni studiosi, un’azione di recupero della memoria di questi personaggi, nella speranza che l’accre­sciuto interesse per loro e per le loro opere possa suscitare, soprattutto nelle giovani generazioni, il desiderio di permetterne la valorizzazione nello svi­luppo della formazione culturale di tutti.

 

Ed ecco (con qualche piccola modifica e/o adattamento a questo contributo) quanto ho scritto nell’introduzione alla sezione del libro in cui ricordo alcuni personaggi di rilievo, tra cui Stasi, con cui Salomi fu in contatto, al fine di fornire un quadro più completo del clima e di alcune vicende, anche di rilevante importanza, in certi ambiti scientifici salentini nei primi decenni del XX secolo nonché dei rapporti e delle frequentazioni tra i personaggi culturalmente più in vista in quegli anni, che tutto sommato si riducevano, per l’ambito di nostro interesse, a una ristretta cerchia di persone.

Salomi fu per diversi anni a stretto contatto con Cosimo De Giorgi, che negli ultimi anni di vita lo prese come assistente personale e del quale prese il posto nella cattedra di Scienze naturali presso l’Istituto “Costa”. La scuola nominò Salomi, che anche in questo succedette al più illustre predecessore, direttore del Museo / Gabinetto di scienze naturali. Pochi documenti attestano le frequentazioni e la familiarità tra Salomi e Cosimo De Giorgi. Quello più noto lo troviamo nel libro di De Giorgi “Descrizione geologica e idrografica della Provincia di Lecce” pubblicato postumo a cura proprio di Salomi.

Nella presentazione dello scritto, datata 4 novembre 1922 (meno di un mese prima della sua morte), dopo l’esternazione della sua delusione nei confronti della Provincia, che dopo 5 anni non si era ancora decisa a pubblicare il suo scritto, l’autore così si esprime: “Un giorno dell’estate scorsa passeggiavo con l’amico Liborio Salomi nel bel giardino del nostro Circolo cittadino, quando questi d’un tratto si rivolse a me e disse: ‘Professore, mi assumo io la pubblicazione dell’opera sua’. Accettai commosso da questo atto spontaneo e lo ringraziai ‘Con quel tacer pudico che accetto il don ti fa’.”

Ricordo anche il contenuto della breve prefazione di Salomi, riportato in parte nelle note biografiche.

Durante la frequenza al Liceo “Capece” di Maglie Salomi ebbe come docente, tra gli altri, Pasquale De Lorentiis, padre di Decio (quest’ultimo fu il primo direttore del Museo Paleontologico di Maglie) e Salvatore Panareo.

Furono suoi compagni di corso presso l’Università di Napoli e amici carissimi, sino alla morte, Augusto Stefanelli, Geremia D’Erasmo, Giulio Cotronei. Relatore della sua tesi fu il prof. Francesco Bassani. Conobbe e frequentò un altro grande personaggio salentino: Paolo Emilio Stasi. Fu in contatto epistolare con il prof. G. A. Blanc, che lo tenne in grande considerazione e lo consultò per le sue pubblicazioni geologiche salentine; lo accompagnò, alcune volte, anche nelle esplorazioni della grotta Romanelli, a Castro.

Pur non avendolo ancora citato, ritengo necessario ricordare Ulderigo Botti. Questi fu personaggio troppo importante per il Salento della fine del XIX secolo per ignorarne l’esistenza; ebbe inoltre tanta parte nell’istituzione del Museo / Gabinetto dell’Istituto “Costa”, ed i suoi scritti furono tenuti in grande considerazione dal Salomi nella sua tesi di laurea (nella bibliografia ne sono riportati sette).

Botti, su segnalazione di C. De Giorgi, scoprì la grotta di Cardamone, tra Lecce e Novoli, oggi non più esistente, i cui abbondantissimi reperti osteologici di fauna fossile, compresi nel patrimonio del Gabinetto del “Costa”, attendono ancora che qualche studioso se ne occupi.

 

Di Stasi, che nelle sue ricerche fu coadiuvato dal paleontologo parmense Ettore Regalia (1842-1914), del Gabinetto Paleontologico di Firenze, la bibliografia della Tesi di Salomi, che ho ricopiato nel mio volume, riporta i seguenti tre scritti:

  1. LXXVIII 1904 Stasi P. E e Regalia E. Grotta Romanelli (Castro, Terra d’Otranto) stazione con faune interglaciali e di steppa (Arch. per l’Antr. e l’Etnol. vol. XXXIV, fasc. I)
  2. LXXXI 1905 Stasi P. E e Regalia E. Due risposte ad una critica (Arch. per l’Antr. e l’etnol. vol. XXXV, fasc. 2°)
  3. LXXXV 1906 Stasi P. E Grotta funeraria di Badisco (Terra d’Otranto) (Arch. per l’Antr. e l’Etnol. vol. XXXVI, fasc. I°)

 

Ecco, inoltre, quanto ho scritto nel volume su Salomi di Paolo Emilio Stasi, che insegnò disegno al liceo Capece di Maglie dal 1870 al 1911 (le notizie appresso riportate sono state – nel 2015- prese dal sito del Museo civico di Paleontologia e Paletnologia “Decio de Lorentiis” di Maglie www.maglie.cchnet.it ).

A Paolo Emilio Stasi (1840-1922), agiato pittore di Spongano, risale l’antefatto della nascita del Museo di Maglie. Appassionato di paleontologia già dalla seconda metà del 1800, grazie anche alla presenza nel Salento di uno dei capostipiti italiani di questa disciplina, Ulderigo Botti, e autore di diverse segnalazioni lungo la costa di Castro, come il deposito a fauna pleistocenica di Grotta delle Striare (i cui materiali prontamente sottopose al Botti), conobbe Pasquale de Lorentiis, padre di Decio, al Real Ginnasio Francesca Capece di Maglie, dove entrambi insegnavano, stringendo una leale amicizia che non avrà termine. Nel 1900, penetrando in una cavità presso Castro, già segnalata nel 1871 dal Botti, grotta de’ Romanelli, ne svelò al mondo la fondamentale importanza nell’ambito della preistoria italiana. I primi saggi di scavo, condotti dallo stesso Stasi, aiutato dal De Lorentiis e da altri amici fidati, tra il 1900 e il 1903 misero in luce resti di fauna pleistocenica associata a strumenti litici di epoca paleolitica, la cui esistenza in territorio italiano era allora negata dal Pigorini, la più autorevole voce in tal campo, e i primi documenti in Italia di arte preistorica in grotta. Nel 1904, insieme a Ettore Regalia, del Gabinetto Paleontologico di Firenze, pubblica la nota introduttiva alle ricerche condotte in Romanelli, attirando non solo le ire e lo sdegno del Pigorini, ma anche l’acredine di autorevoli voci salentine, come quella di Cosimo De Giorgi che, sulle pagine del Corriere Meridionale, ne stroncava la figura, rispondendo con veemenza e sarcasmo alle note di Pasquale de Lorentiis sull’importanza e il valore scientifico della scoperta realizzata dall’amico. Ne seguì una damnatio memoriae dello scopritore e della cavità, che non solo amareggiò a lungo Stasi, ma lo relegò in un ruolo quasi secondario nella vicenda di Grotta Romanelli. La sua figura fu ridimensionata, nella memoria collettiva salentina, a quella di un pittore per nulla interessato alla ricerca preistorica e che per un puro caso fortuito si imbattè in Grotta Romanelli, mentre vagava tra gli scogli di Castro alla ricerca di un anfratto suggestivo dove ritrarre una Madonna, e così è giunta fino a noi. Venivano così cancellate, fino a tempi recenti, la passione di un uomo e la trentennale attività di ricerca nel territorio precedente alla scoperta di Grotta Romanelli.

Dopo 10 anni di assoluto silenzio ufficiale, sebbene schizzi delle prime manifestazioni artistiche (prime in assoluto per l’intero territorio italiano), scoperte sulle pareti di Romanelli dallo stesso Stasi, facessero il giro dei salotti scientifici europei, nel 1914 lo scienziato di fama internazionale Barone Gian Alberto Blanc ottenne autorizzazione a scavi sistematici in Grotta Romanelli, dando così avvio al più felice e fecondo periodo di ricerche. L’anziano Paolo Emilio seguì sempre appassionatamente le campagne di scavo fino al 1922, accompagnato dal suo amico de Lorentiis, a cui presto si aggiunsero i giovani Decio de Lorentiis, Alberto Carlo Blanc, Paolo Graziosi, Antonio Lazzari ed i figli di Stasi, Gino e Giovanni. Nascevano, in quei momenti, i presupposti che avrebbero portato alla nascita del Museo di Maglie. In esso confluirono, infatti, le collezioni provenienti dalle “terre rosse” e dalle “terre brune” di Grotta Romanelli delle Famiglie Stasi e De Lorentiis, divenendone il nucleo fondamentale delle esposizioni del Museo.

 Ed infine ecco la foto che Stasi dedicò al suo carissimo amico Liborio Salomi. La foto, pubblicata nel volume citato in apertura, mi è stata fornita da Teresa Salomi, figlia di Liborio, che ha lasciato questo mondo proprio pochi giorni fa, il 4 gennaio 2023, alle soglie dei 90 anni.

A Lecce in mostra l’attività pittorica e scientifica di Paolo Emilio Stasi

 

di Marcello Gaballo

Nel centenario della scomparsa di Paolo Emilio Stasi (Spongano 16 gennaio 1840 – 4 marzo 1922), il Museo Castromediano di Lecce ha organizzato un evento per ricordare una delle personalità più importanti e poco note della cultura di Terra d’Otranto di fine Otto e inizi Novecento.

Figura eclettica e poliedrica, di lui vengono esposte per la prima volta le opere d’arte, i reperti archeologici, le fotografie, documenti e altri materiali provenienti da collezioni private e degli eredi, dalle raccolte del Museo Castromediano.

Non è vasta la bibliografia che lo riguarda, ma è sufficiente per inquadrare al meglio questo valido artista che è da ritenersi tra gli esponenti della pittura napoletana del tardo Ottocento.

Nella capitale partenopea Stasi, studente di farmacia negli anni 1865-66, si forma all’Accademia di Belle Arti di Napoli, alla scuola dei maggiori maestri di quel periodo, tra cui il salentino Gioacchino Toma.

Rientrato nel 1870 nella sua Spongano fu maestro di disegno presso il Ginnasio “Capece” di Maglie e produsse un discreto numero di dipinti a vario soggetto, prediligendo la ritrattistica e il paesaggio, con i toni dell’Impressionismo e del post-Impressionismo francese, opere tutte finora poco indagate ed apprezzate.

Per niente trascurabile la committenza proveniente dal mondo ecclesiastico, che a più riprese e da diversi luoghi del Salento richiese dipinti a tema sacro da esporre nelle chiese. Di lui ritroviamo infatti una Deposizione dalla Croce nella chiesa madre di Castrignano del Capo (dove  è anche presente una Madonna del Rosario), che l’artista replica come tema per la chiesa madre di Nociglia.

Ma oltre ad essere artista Paolo Emilio Stasi restò alla storia per aver scoperto nel 1904, in maniera del tutto casuale, la grotta Romanelli, fra Castro e Santa Cesarea Terme, dove si era recato per dipingere su commissione un quadro della Madonna di Lourdes, scorgendovi un reperto fossile e alcuni graffiti, poi indagati con l’ausilio del paleontologo Ettore Regalia del Gabinetto Paleontologico di Firenze.

Le successive esplorazioni sul territorio e il desiderio di approfondire questo particolare ed avvincente ramo della scienza, gli procurarono nuovi ritrovamenti e lo portarono a dirigere gli scavi nella grotta Zinzulusa a Castro e nei cunicoli dei Diavoli a Porto Badisco, con rinvenimento di ceramiche e numerosi frammenti vascolari. Fu sempre lui a rinvenire, nel 1910, il dolmen di Castro.

 

La mostra, coordinata da Luigi De Luca, direttore del Polo biblio-museale di Lecce, curata da Brizia Minerva, Annalucia Tempesta, Michele Afferri e Salvatore Bianco, sarà visitabile fino al 31 gennaio 2023, tutti i giorni dal martedì alla domenica, dalle 9 alle 20.

Si prevede a breve la pubblicazione di una monografia che illustrerà la sua vita, ricostruendone l’attività artistica e scientifica. Questa affiancherà un’edizione a stampa di 316 pagine, già in circolazione dal 2021: Paolo Emilio Stasi, pittore e archeologo. Arte e scienza in Terra d’Otranto tra fine ‘800 e inizi ‘900. Pagine sparse e documenti inediti sulla vita e sull’opera di Paolo Emilio Stasi scritti e raccolti da Cesare Teofilato, curata da Glauco Teofilato, con grafica di Daniele Coricciati e foto di Raffaele Puce, edita dall’Associazione Esterno Notte.

La grotta dei Cervi di Badisco: considerazioni ed ipotesi sul pittogramma dello “sciamano”

Baia di Badisco

 di Elvino Politi*

La presenza umana nel Salento sin dall’età del Paleolitico Medio è testimoniata da rinvenimenti che costituiscono ad oggi una delle sezioni più importanti per uno studio compiuto della preistoria nell’Italia Meridionale. Ci riferiamo in particolar modo ai depositi di Maglie, relativi il sito di Cattie, che hanno restituito tra i pochissimi resti osteologici riferibili all’uomo neandertaliano. Qui sono stati rinvenuti altresì industrie di piccolo formato di tipo charentiano con accenni alle tecniche di Quinson.

Al sito magliese si aggiungono i depositi, riconducibili al Würm II, di Castro (Le) localizzati in Grotta Romanelli (da cui la facies omonima) e Nardò (Le) localizzati in Grotta del Cavallo in località Uluzzo (da cui la facies musteriana “uluzziana”).

Quest’ultima, che si colloca tra il Würm III e l’interstadio di Arcy, è il più antico sito italiano riferibile al Paleolitico Superiore e si compone di tre stadi rispettivamente arcaico (strato E III) medio o avanzato (strato E II-I) e recente (strato D).

gruppo di Neanderthal

L’importanza che ricoprono tali siti è dovuta non solo allo sviluppo di attività proprie, tali da distinguerle come facies autonome all’interno dello schema culturale di riferimento riscontrabili anche oltre l’orizzonte territoriale prettamente locale, ma anche al fatto che la scoperta delle

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