Porto Selvaggio, perla del Salento, gradito e consigliato da The Telegraph

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di Giuseppe Massari

I consigli di viaggio proposti dall’autorevole quotidiano inglese The Telegraph, che indica 21 destinazioni italiane, tra le quali il parco di Porto Selvaggio-Palude del Capitano di Nardò, che mantiene alta la bandiera della Puglia, insieme al Gargano, non sono da sottovalutare, considerato che, questo territorio, fortunatamente e coraggiosamente, è stato preservato da scempi urbanistici, dalle colate di cementificazioni che ne avrebbero deturpato la bellezza, lo splendore, l’originalità e la ricchezza paesaggistica, storica, culturale ed ambientale.

Oggi, possiamo dire che è una perla del Salento.

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Portoselvaggio, altrimenti definita “l’oasi più bella del Salento”, negli ultimi anni è stata già al centro di attenzioni, di considerazioni; in vetta alle classifiche più prestigiose. Sia a livello giornalistico che di tour operators, nazionali ed internazionali, tanto da diventare affollata meta estiva per le sue acque cristalline e fresche ma, anche come luogo d’attrazione culturale per la presenza di siti archeologici tra i quali la Grotta del Cavallo, “santuario della preistoria” e Serra Cicora.

La grotta del Cavallo ha restituito numerosi reperti legati all’Uomo di Neanderthal (resti macellati di animali, da cui il nome della grotta, manufatti di pietra, ecc.); nella grotta sono state rinvenute le testimonianze di una cultura, l’Uluzziano.

portoselvaggio (ph Marcello Gaballo)

L’importanza archeologica di Serra Cicora, invece, consiste nella presenza di una frequentazione del primo neolitico a ceramica impressa, seguita da uno stanziamento di neolitico recente – finale a ceramica Serra d’Alto e Diana. A quest’ultimo (V millennio a.C.) si deve l’impianto di una vera e propria necropoli che ha restituito finora circa venti individui, alcuni dei quali in strutture megalitiche che anticipano una tipologia ritenuta fino a ieri molto più recente.

Il Parco, possiamo dire che la fa da padrone. Esteso per oltre 1.000 ettari, riunifica in un’unica area il parco naturale attrezzato già istituito nel 1980 e l’area naturale protetta della Palude del Capitano, già classificata dalla L.R. 19/97. Con la Legge Regionale n. 21/1980, nella zona compresa fra la Torre dell’Alto e quella di Uluzzo, è stato istituito il Parco Naturale attrezzato di Porto Selvaggio, che ha evitato la cementificazione, prospettata dai numerosi progetti di lottizzazione già presentati e contro cui la popolazione locale si è coraggiosamente battuta.

Italy, Apulia, Salento, Porto Selvaggio natural reserve, the bay
Italy, Apulia, Salento, Porto Selvaggio natural reserve, the bay

 

La zona sottoposta a tutela copre una superficie di 424 ettari e ospita ambienti costieri tipici dell’area mediterranea. Dagli anni ‘50 si è aggiunta, poi, per effetto del rimboschimento operato dal Corpo Forestale dello Stato, una cospicua colonia di pini d’Aleppo, pianta pioniera che attecchisce perfettamente su questi terreni aridi e rocciosi. La pineta scende fino al mare e regala un’ombra profumata di resina a chi cerca un riparo alla calura estiva. La piccola insenatura di Porto Selvaggio è costituita da ciottoli e scogli bassi, che spesso tendono a formare piccole cavità che sembrano delle grotte. L’acqua cristallina permette di vedere, anche ad occhio nudo, gli splendidi fondali popolati da pesci e alghe multicolore.

Meraviglia, stupore e consenso, per la scelta dell’organo d’informazione inglese, sono stati espressi dal presidente del Gal Terre d’Arneo, Cosimo Durante. “Siamo tutti orgogliosi di questa nomina, come cittadini pugliesi oltre che salentini e di Terra d’arneo. Evidentemente si tratta di un risultato frutto dell’attuazione di principi di tutela che hanno permesso di preservare un luogo di così forte bellezza e, parallelamente, un lavoro congiunto che mette assieme attività di promozione a cura dell’ente parco competente, della civica amministrazione e della nostra agenzia di sviluppo locale, GAL Terra d’Arneo. Nella presentazione del comprensorio di Terra d’Arneo, difatti, il parco di Porto Selvaggio è uno dei nostri punti di forza per presentare il complesso sistema ambientale e culturale del comprensorio”.

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Salve. La Grotta Montani e le stalle dei Neanderta(ita)liani

Complesso di pajare con forno (foto nicola febbraro)
Complesso di pajare con forno (foto nicola febbraro)

 

 di Marco Cavalera

 

Le pietre raccontano storie millenarie di epoche remote in cui l’uomo raccoglieva i doni della terra e combatteva contro gli animali battaglie quotidiane per la sopravvivenza, mentre le donne svolgevano le faccende domestiche e, come oggi, nutrivano di amore materno la prole.

L’Uomo di Neandertal, il predecessore di Sapiens, non era molto diverso dall’uomo moderno; la corporatura più bassa e tozza gli consentiva di svolgere lavori più fisici che intellettuali.

La forza fisica l’aveva ereditata dall’Homo heidelbergensis ma, allo stesso tempo, aveva sviluppato un cervello più grande che gli permetteva di comunicare, usare il fuoco e scheggiare la dura pietra che utilizzava per molteplici attività. Aveva evoluto anche una buona capacità di pianificazione delle operazioni, ossia poteva immaginare che da un ciottolo informe di materia prima si potevano produrre tanti strumenti di più ridotte dimensioni.

Circa 70mila anni fa una lunga stagione calda stava gradualmente lasciando il posto ad una molto  fredda e rigida. Neandertal, avvezzo a non subire i mutamenti della natura, non aveva sofferto particolarmente questo cambiamento climatico. Anche la corporatura si era adattata al clima più freddo con un accorciamento degli arti superiori e inferiori.

Prima che il suo ramo evolutivo si estinguesse definitivamente, aveva convissuto una decina di migliaia di anni con il nostro predecessore Homo Sapiens. Ci fu convivenza, non promiscuità.

Sarebbe mai riuscito l’uomo moderno, autodefinitosi impropriamente Sapiens Sapiens, a convivere con i membri della stessa specie oltre 10mila anni?

Immaginiamoci se fosse esistito già 40mila anni fa: altro che 10mila anni (secolo più secolo meno) di vita in comune, sarebbe riuscito ad eliminare il suo coinquilino in pochi decenni, così come è successo – ad esempio – alle tribù indigene della foresta amazzonica o dell’Africa equatoriale.

Ma la presunta superiorità intellettuale dell’Uomo (in)Sapiens in(Sapiens) ha colpito, a distanza, anche i suoi più antichi antenati. L’arma è stata la più micidiale: l’oblio della Memoria attraverso la distruzione di interi siti archeologici in nome di un progresso che è regressione della civiltà umana, incapace di guardare al futuro (consumo sfrenato di risorse naturali) e ugualmente miope nei confronti del passato.

Facciamo un passo indietro nel tempo di 70mila anni. Nel deserto roccioso e boschivo della penisola salentina, Neandertal aveva scelto Salve.

Il territorio, infatti, presentava tutte le caratteristiche che gli garantivano una sicura sussistenza: ruscelli di acqua dolce, caverne e ripari sotto roccia con vista mozzafiato, tanta selvaggina. Elefanti, iene, rinoceronti, cervi e altre specie di mammiferi ed ungulati scorrazzavano su e giù tra canali e pianori, facendo letteralmente impazzire il povero neandertaliano. La madre dei suoi figli aspettava impaziente l’arrivo del “marito” con la succulenta cena.

grotta Montani (foto Nicola Febbraro)
grotta Montani (foto Nicola Febbraro)

Grotta Montani a Salve, così denominata in epoca moderna per il diffuso affioramento di roccia (“munti”), era nel Paleolitico Medio un ottimo rifugio per neandertaliani. Si trattava di un complesso di cavità costituito da un ambiente centrale, da cui si diramavano quattro cunicoli lunghi e stretti, all’interno dei quali il nostro ominide si riparava dal freddo e consumava i pasti.

Il primo ambiente aveva un’enorme apertura rivolta verso il mare, ampio e bene illuminato dalla luce del sole che entrava copiosa nelle ore centrali del giorno. Qui Neandertal scuoiava gli animali e scheggiava meticolosamente nuclei di selce, giunta fino all’estrema propaggine del Capo di Leuca da chissà dove attraverso chissà quali scambi e baratti, da cui ricavava strumenti di pietra di piccole e medie dimensioni che utilizzava per le sue attività quotidiane.

pietra zoomorfa (foto marco cavalera)
pietra zoomorfa (foto marco cavalera)

Rinvenire tracce, dirette o indirette, del passaggio dell’Uomo di Neandertal è come trovare un ago in un pagliaio. Nel Salento meridionale, ad esempio, sono state individuate alcune cavità frequentate dai primi uomini della Preistoria salentina: grotta del Bambino a nord – ovest di Santa Maria di Leuca, grotta del Cavallo e di Capelvenere presso Nardò.

Grotta Montani, 40 anni fa (nel 1973), fu oggetto di scavi archeologici che avevano messo in luce una notevole quantità di strumenti in selce e calcare utilizzati da Neandertal, associata ad un numero elevato di frammenti di ossa alcuni dei quali appartenenti ad elefanti, rinoceronti, iene, cinghiali e conigli. Prelibate prede che, probabilmente, insieme ad altre peculiarità come la presenza di sorgenti di acqua dolce per dissetarsi e distese boschive per la raccolta di frutti spontanei, hanno contribuito alla scelta del luogo.

Migliaia di anni dopo sono state altre caratteristiche geo-morfologiche ad attirare l’uomo: la sabbia dorata finissima e il mare turchese limpido, paragonati a celeberrime isole esotiche dell’Oceano Indiano.

stalle neandertal (1)
stalle neandertal (1)

Sul pianoro che sovrasta la grotta – recentemente – sono state realizzate delle abitazioni in funzione di “case agricole”, “stalle” per animali di grossissima mole, con vista mare mozzafiato.

stalle neandertal (2)
stalle neandertal (2)

Alcuni “ambientalisti” hanno ritenuto che le case siano state realizzate come residenze per turisti danarosi, sfruttando dei regolamenti provvisori (da 30 anni) che permettono di costruire “stalle” e depositi di attrezzi agricoli anche laddove non vi sono terreni utilizzabili a questi scopi ma, guarda caso, distanti solo un chilometro e mezzo dalla sabbia finissima e dal mare limpidissimo.

Non dubitando della buona fede dei costruttori, verrebbe a questo punto da pensare che le abitazioni di località Montani siano state realizzate per ospitare la famiglia di Neandertal, con i suoi elefanti e rinoceronti…vissuti però, a Salve, oltre 70mila anni fa.

 

stalle neandertal (3)
stalle neandertal (3)

 

Bibliografia di riferimento:

Arsuaga J. L., I primi pensatori e il mondo perduto di Neandertal, Milano 2001.

Febbraro N., Archeologia del Salento. Il territorio di Salve dai primi abitanti alla Romanizzazione, Tricase 2011.

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/11/18/grotte-nel-territorio-di-salve-lecce/

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/27/dalluomo-di-neanderthal-allhomo-insapiens-il-triste-destino-di-localita-montani-salve/

 

Preistoria/ A Nardò e dintorni sarebbe nato l’uomo moderno

di Biagio Valerio

Baia di Uluzzo (Nardò-Lecce), nella foto (portadimare.it) l’ingresso della grotta del Cavallo segnalata dalla freccia

Due denti potrebbero riscrivere la storia dell’uomo così come la conosciamo e testimoniare che la zona ionico-salentina sia stata davvero la culla dell’Homo sapiens sapiens. A Nardò e dintorni, insomma, sarebbe nato l’uomo moderno e ciò è successo molto prima di quanto si pensasse: oltre 40mila anni fa. Lo dicono i fossili umani ritrovati in Italia, a Portoselvaggio.

I resti sono stati analizzati da un gruppo internazionale di ricercatori, tra cui alcuni italiani, e i dati pubblicati sull’ultimo numero di Nature. Si tratta di due molari ritrovati della Grotta del cavallo e, inizialmente, classificati come appartenenti ad un uomo di Neanderthal.

E’ stato Stefano Benazzi, ricercatore all’Università di Vienna, ad utilizzare nuove e raffinate tecniche e datarli a circa 44mila anni fa: sono questi i resti di uomo moderno più antichi d’Europa.

Le datazioni rivelano che la diffusione dei primi uomini moderni sia avvenuta prima di quanto ipotizzato finora e che i nostri progenitori hanno coesistito con i Neanderthal, sicuramente nel meridione d’Italia, per molte migliaia di anni.

i denti che hanno consentito la scoperta (per gentile concessione di portadimare.it)

I denti da latte ritrovati nella Grotta del Cavallo sono stati sempre associati alla cultura detta Uluzziana – toponimo coniato dal professore Arturo Palma di Cesnola, dell’università di Siena, negli anni Sessanta – della quale si

Quei due denti ritrovati a Portoselvaggio (Nardò) sono i resti di uomo moderno più antichi d’Europa

Stefano Benazzi

di Biagio Valerio

E’ un giovane ricercatore italiano del dipartimento di Antropologia all’università di Vienna, il 34enne Stefano Benazzi, a riscrivere la storia dell’uomo moderno. Che avrebbe mosso i suoi primi passi nel Salento e, precisamente, nell’area di Portoselvaggio. Lì, oltre 40mila anni fa, i primi uomini della specie Sapiens sapiens, quella che avrebbe conquistato il mondo affermandosi su tutti gli altri mammiferi, cacciavano nelle praterie di quella che sarebbe diventata, millenni dopo, la baia di Uluzzo.

La particolarità di questa scoperta, legata all’indagine di due molari da latte ritrovati durante le campagne di scavo degli anni Sessanta nella Grotta del cavallo, è che l’Homo sapiens avrebbe convissuto, nello stesso spazio fisico, con gli esemplari della specie dell’uomo di Neanderthal che, secondo gli studiosi, si è estinta misteriosamente forse proprio per la concorrenza del suo “collega” più evoluto.

L’uomo moderno è nato molto prima di quanto si pensasse, dunque, oltre 40mila anni fa. Lo testimoniano i fossili umani ritrovati in Italia, nella Grotta del Cavallo, resti che sono stati analizzati da un gruppo internazionale di ricercatori, tra cui alcuni italiani, e i dati pubblicati sull’ultimo numero di Nature. Benazzi ha utilizzato raffinate tecniche di datazione facendo fermare l’orologio del tempo a 44mila anni fa: quei due denti ritrovati a Portoselvaggio sono i resti di uomo moderno più antichi d’Europa.

Intorno a quei denti, però, gravita un mistero. Ne delinea i confini Vittorio Marras che fa parte dello storico Gruppo speleologico neritino, che affiancò Arturo Palma di Cesnola e Edoardo Borzatti von Lowenstern

I denti decidui di Grotta del Cavallo i resti più antichi di uomo moderno in Europa?

I primi uomini moderni europei

Secondo i risultati di uno studio pubblicato su Nature, i membri della nostra specie (Homo sapiens) sarebbero arrivati in Europa alcuni millenni prima di quanto finora attestato. Il gruppo di ricerca, guidato dai ricercatori del Dipartimento di Antropologia dell’Università di Vienna, ha analizzato due denti decidui rinvenuti nella Grotta del Cavallo, una cavità preistorica della Puglia (prov. Lecce). Scoperti nel 1964, questi denti erano ritenuti neandertaliani dalla comunità scientifica, mentre sarebbero da attribuire a uomo anatomicamente moderno secondo i risultati di questa recente ricerca. Questa scoperta ha importanti implicazioni riguardanti le abilità cognitive dei neandertaliani e le possibili cause della loro estinzione. Nuove datazioni al radiocarbonio realizzate dall’Oxford Radiocarbon Accelerator Unit
dell’Università di Oxford, collocano i livelli di rinvenimento dei denti a ~45-43mila BP (data calibrata). I denti decidui di Grotta del Cavallo sono quindi i
resti più antichi di uomo moderno in Europa finora conosciuti.

La ricerca pubblicata su Nature è stata condotta dal Dr. Stefano Benazzi, ricercatore italiano presso il Dipartimento di Antropologia dell’Università di Vienna, Austria, con la collaborazione internazionale di 13 istituzioni europee, incluse anche l’Università di Pisa e l’Università di Siena. Questo studio si basa sulla rivalutazione di denti fossili rinvenuti nella Grotta del Cavallo scoperta nel 1960 e inizialmente studiata da Arturo Palma di Cesnola, Professore emerito dell’Università di  Siena.

Grotta del Cavallo, racchiude una serie stratigrafica di circa 7 m con più livelli di età paleolitica, che comprendono periodi di occupazione sia neandertaliana che di  uomo moderno. I due denti da latte oggetto della ricerca sono stati rinvenuti nei livelli archeologici dell’Uluzziano. La cultura uluzziana (nome che deriva dalla Baia di Uluzzo dove si apre la grotta) è diffusa in larga parte dell’Italia ed è stata rinvenuta anche in Grecia. Fra i suoi prodotti, accanto ai manufatti litici, sono presenti strumenti in osso e soprattutto oggetti ornamentali e pigmenti, elementi generalmente associati al comportamento simbolico dell’uomo moderno.

Uomo di Neanderthal

Sulla base di studi precedenti i denti uluzziani di Grotta del Cavallo erano
considerati neandertaliani dalla maggior parte degli studiosi; pertanto era
comunemente accettato dalla comunità scientifica che gli Uluzziani fossero
neandertaliani che però possedevano una cultura solitamente ritenuta tipica
dell’uomo anatomicamente moderno, e che, a seconda delle interpretazioni,
l’avessero sviluppata autonomamente o acquisita dall’uomo moderno attraverso un processo di acculturazione.

Il Dr. Benazzi e colleghi hanno potuto mettere a confronto modelli digitali 3D
(ottenuti da immagini ad alta risoluzione da microtomografia computerizzata –
µCT) dei due denti di Grotta del Cavallo con un ampio campione di denti
neandertaliani e di uomo moderno. Grazie a due metodi indipendenti, i
ricercatori hanno analizzato vari caratteri della struttura interna ed esterna
dei denti, in particolare lo spessore dello smalto e il contorno generale delle
corone dentarie. I risultati hanno dimostrato che i due denti sono attribuibili
a uomo moderno anziché a neandertaliani. Il Dr. Benazzi osserva: “I fossili
umani sono molto rari e ancora di più lo sono i denti decidui. Questo studio è
stato realizzato grazie alla collaborazione di numerose istituzioni europee che
hanno messo a nostra disposizione i fossili umani. La rivalutazione dei denti
di Grotta del Cavallo è stata possibile grazie all’uso di tecniche innovative
sviluppate nel corso dell’ultimo decennio che fanno capo alla branca
dell’Antropologia chiamata Virtual Anthropology.”

I livelli uluzziani sono stati recentemente ridatati dalla Dr. Katerina Douka, dell’Università di Oxford, Gran Bretagna, dato che le valutazioni cronologiche precedenti erano affette da contaminazione recente. Essendo i denti fossili di Grotta del Cavallo troppo piccoli per essere datati direttamente, Douka ha
utilizzato un nuovo approccio al radiocarbonio per datare le conchiglie utilizzate come ornamento e rinvenute negli stessi strati archeologici dei denti. I risultati dimostrano che questi reperti risalgono a circa 45-43mila anni fa (data calibrata).

“Queste nuove datazioni”, riassume Benazzi, “fanno dei due denti di Grotta del
Cavallo i più antichi reperti europei di uomo moderno finora conosciuti. Questa  scoperta retrodata l’arrivo dei membri della nostra specie nel continente  europeo e indica che la coesistenza di neandertaliani e uomini moderni sia avvenuta per alcune migliaia di anni. Inoltre, sulla base di queste evidenze fossili abbiamo dimostrato che gli uomini anatomicamente moderni, e non i neandertaliani, hanno prodotto la cultura uluzziana. Ciò ha importanti implicazioni per la nostra comprensione delle abilità cognitive dei neanderaliani e dello sviluppo del comportamento umano moderno: gli elementi innovativi propri della cultura uluzziana non sarebbero quindi riconducibili ai neandertaliani ed è perciò ancora da dimostrare che questi umani avessero sviluppato negli ultimi millenni prima della loro scomparsa una cultura simile  a quella dell’uomo anotomicamente moderno. La nostra scoperta dà indicazioni anche sulle modalità di popolamento del continente europeo. È plausibile supporre che gruppi umani provenienti dall’Africa e passanti per il Vicino Oriente, si siano spostati anche lungo una via mediterranea, con ingresso in Italia facilitato dalla regressione marina dell’ultimo periodo glaciale”.

 

Note dell’editore

*”The Early dispersal of modern humans in Europe and implications for
Neanderthal behaviour” di Stefano Benazzi et al. sarà pubblicato su Nature il
02 novembre 2011, 18:00 London time (GMT) / 14:00 US Eastern Time. DOI 10.1038
/nature10617

*La ricerca è stata finanziata da: NSF 01-120 Hominid Grant 2007, A.E.R.S.
Dental Medicine Organisations GmbH FA547013, Fondation Fyssen, DFG INST 37/706-
1 FUGG.

*L’Oxford Radiocarbon Accelerator Unit è finanziato in parte dal Natural
Environment Research Council (NERC). Una parte di questo progetto è stata
finanziata grazie a una borsa NERC–NRCF. Vedi : http://www.nerc.ac.uk/

Dr. Stefano Benazzi è un ricercatore (post-doctoral fellow) presso il
Dipartimento di Antropologia dell’Università di Vienna.

Cinzia Fornai è candidata PhD presso il Dipartimento di Antropologia
dell’Università di Vienna.

Dr. Katerina Douka è una ricercatrice (post-doctoral fellow) al Research
Laboratory for Archaeology and History of Art, School of Archaeology
dell’Università di Oxford.

La grotta dei Cervi di Badisco: considerazioni ed ipotesi sul pittogramma dello “sciamano”

Baia di Badisco

 di Elvino Politi*

La presenza umana nel Salento sin dall’età del Paleolitico Medio è testimoniata da rinvenimenti che costituiscono ad oggi una delle sezioni più importanti per uno studio compiuto della preistoria nell’Italia Meridionale. Ci riferiamo in particolar modo ai depositi di Maglie, relativi il sito di Cattie, che hanno restituito tra i pochissimi resti osteologici riferibili all’uomo neandertaliano. Qui sono stati rinvenuti altresì industrie di piccolo formato di tipo charentiano con accenni alle tecniche di Quinson.

Al sito magliese si aggiungono i depositi, riconducibili al Würm II, di Castro (Le) localizzati in Grotta Romanelli (da cui la facies omonima) e Nardò (Le) localizzati in Grotta del Cavallo in località Uluzzo (da cui la facies musteriana “uluzziana”).

Quest’ultima, che si colloca tra il Würm III e l’interstadio di Arcy, è il più antico sito italiano riferibile al Paleolitico Superiore e si compone di tre stadi rispettivamente arcaico (strato E III) medio o avanzato (strato E II-I) e recente (strato D).

gruppo di Neanderthal

L’importanza che ricoprono tali siti è dovuta non solo allo sviluppo di attività proprie, tali da distinguerle come facies autonome all’interno dello schema culturale di riferimento riscontrabili anche oltre l’orizzonte territoriale prettamente locale, ma anche al fatto che la scoperta delle

Sapiens e noi

di Mauro Marino

Il primo Homo sapiens europeo è salentino, pardon… pugliese, no anzi, italiano. Era molto piccolo e  non era ancora allenato ai distinguo “regionalisti” apparteneva alla Natura, era sua intima cosa nella bellezza di Uluzzo che chissà com’era in quel remoto tempo, 43 – 45mila anni fa.

Certo la Grotta del Cavallo davanti non c’aveva il mare. Una foresta forse, oh!, che foresta… o forse una palude?

I resti del pargolo, due dentini attorniati da conchiglie, vennero trovati negli anni Sessanta del Novecento, e in prima battuta vennero attribuiti all’estinto Neanderthal e per cui datati ancora più indietro. Oggi finalmente è tutto chiaro l’Uomo Moderno, il Sapiens più antico che “conosciamo”   in Europa, viveva lì, a due passi da Nardò. È Storia, una delle tante che fanno unico questo territorio, luogo di transiti, d’arrivi e partenze…

Anche dall’altra parte, dov’è Badisco, le tracce dell’Uomo ci portano a Millenni fa, ma son cose dimenticate, invisibili e preda dell’incuria. Ma che fa, le notizie durano il tempo che durano e si è sempre pronti a strillare per poi farsi muti.

Grande pompa s’è consumata in questi giorni, locandine e paginoni che inneggiano alla primogenitura e alla pubblicazione sull’autorevole rivista britannica “Nature” della ricerca guidata da Thomas Higham dell’Università di Oxford e da Stefano Benazzi dell’Università di Vienna..

Poi, battuta la news, finito lo sturbo, tutto cadrà nel dimenticatoio e nenche un pannello avvertirà che lì, due denti da latte, hanno dato la prova che un gradino dell’evoluzione della nostra “dannata” specie è passato da lì… ma chissà da quante altre parti dimenticando di far ritrovare i dentini…

Ciò che preoccupa è la modalità ormai di “moda” nel Salento di “sparare” le notizie “salentocentriche”, con un enfasi che è roba da psichiatria.

Modo “barocco” che innalza facciate e poi immediatamente dopo dimentica di nutrire la necessaria operatività per valorizzare la “ricchezza” che il territorio ha custodito. Citavo prima Badisco e la Grotta dei Cervi, che non ha alcuna “evidenza”, ma l’elenco è lungo, interminabile se ci mettiamo a guardare. È come se il tanto osannato marketing territoriale si fermasse alle parole e alla prima scrematura di denari, poi nulla diventa cultura, educazione, pratica e semenza di crescita. Usurare soltanto questo lo stile. Consumare, tanto che poi di noi, non ritroveranno neanche i dentini!

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