di Armando Polito
Sull’origine del griko rinvio per brevità a https://www.fondazioneterradotranto.it/2018/03/07/la-grecia-salentina-nellatlante-del-pacelli-1803/, dove il lettore troverà pure notizie su Giuseppe Morosi (1844-1891), il grecista milanese che raccolse leggende, canti, proverbi e indovinelli in griko nella prima sezione della sua pubblicazione Studi sui dialetti greci della Terra d’Otranto, Tipografia editrice salentina, Lecce, 18701.
Il nostro indovinello, proveniente da Sternatia, è a p. 80, da cui lo riproduco in formato immagine.
Ho pensato di ricostruire il testo come sarebbe stato se scritto in greco classico. Tutto scorrevolissimo, (tant’è che non c’è stato neppure bisogno di consultare il relativo vocabolario), meno una parola: icaturi. Nessun aiuto mi ha fornito il Vocabolario dei dialetti salentini (Congedo, Galatina, 1976) di Gerard Rohlfs e nemmeno il Vocabolario griko-italiano di Mauro Cassoni (Argo, Lecce, 1999). Dirò di più: la voce è assente pure nel repertorio lessicale che nel volume del Morosi occupa la seconda parte. A quel punto mi è venuto il sospettoche fossero due parole, trascritte come se si trattasse di una parola composta. Icaturi, perciò, andrebbe diviso in i e caturi. La prima parola (i) corrisponderebbe al greco classico attico εἷ, mentre la seconda (caturi) è voce del verbo griko caturò, questo sì registrato dal Morosi a p. 177, dal Cassoni a p. 120 e dal Rholfs a p. 916 del terzo volume).
Ἒχω μίαν μάνδραν πρόβατα· εἷ κατουρεῖ μία, εἷ κατουροῦσιν ὅλα.
(leggi: Echo mian mandran pròbata: ei caturuei mia, ei caturusin ola; traduzione letterale della trascrizione in greco classico: ho una sola mandria; pecore; dove orina una, dove orinano tutte).
Il dubbio sollevato da icaturi pone il problema dell’attendibilità della fonte orale e della fedeltà della registrazione grafica; quest’ultima oggi è superabile dalle moderne tecniche di registrazione, mentre l’attendibilità della fonte dev’essere oggetto di attento studio da parte del ricercatore che, direttamente, o servendosi di informatori all’altezza, deve anche saper mettere a suo agio il soggetto-fonte perché non risulti incrinata in un modo o nell’altro la sua spontaneità.
Molto probabilmente anche i pochi che a Sternatia ancora parlano il griko non conoscono questo indovinello; tuttavia sarebbe interessantissimo avere un riscontro positivo e negativo. A distanza di due anni dal volume del Morosi Giuseppe Pitrè pubblicava Studi di poesia popolare, Pedone-Lauriel, Palermo2, dove, a p. 343, citando il Morosi e il testo in griko dell’indovinello, ne riportava la variante siciliana.
Risulta aggiunto un particolare determinante per tentare di risolvere l’indovinello: l’inusitato colore rosso delle pecore. Debbo essere onesto: la mia fervida fantasia, che spesso mi porta a creare ardite metafore (ma capire quelle degli altri è più complicato …), probabilmente non sarebbe bastata a risolvere esattamente l’indovinello e probabilmente mi sarei tormentato invano per più giorni, se l’occhio nel leggere il testo non fosse stato obbligato quasi a leggere pure la soluzione, che nell’immagine precedente ho volontariamente tagliato per non togliere pure a voi il gusto. Niente da fare= Allora eccovi l’immagine prexcedente col dettaglio che avevo omesso.
Una forma più arguta e gentile per sottolineare la presunta dabbenaggine della pecora rispetto al proverbio salentino: Ci la prima pecura si mena intra ‘llu puzzu, totte l’addhe la sècutanu (Se la prima pecora si butta nel pozzo, tutte le altre la seguono), usato metaforicamente, per fortuna, per stigmatizzare il spirito di emulazione, purtroppo solo della peggiore umanità …
_____________
1 Integralmente consultabile e scaricabile in https://books.google.it/books?id=J_EGAAAAQAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false
2 Integralmente consultabile e scaricabile in https://books.google.it/books?id=sDD0ljFaHjoC&pg=PA343&dq=Giuseppe+Morosdi&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwj93JDaocnbAhXFjiwKHYaOCPsQ6AEIPjAE#v=onepage&q=Giuseppe%20Morosdi&f=false