Dalle orecchiette alle ‘ncannulate. Salento, terra di trafilatori

di Massimo Vaglio

In più occasioni, abbiamo illustrato i formati caserecci di pasta della tradizione salentina, dalle fatidiche orecchiette, da sempre  l’emblema della cucina di questa regione, alle ormai parimenti famose sagne “ncannulate” o agli arcaici maccheroncini cavati. Tutti  formati che ormai vengono apprezzati anche fuori regione anche grazie all’opera di promozione svolta dalle tante dinamiche aziende produttrici.

Per quanto riguarda la preparazione casalinga di questi formati, ricordiamo che le farine vengono quasi sempre ricavate da grani duri coltivati localmente e moliti artigianalmente dai tanti piccoli molini sparsi un po’ in tutto il Salento, Non si tratta quindi di semole, ma di farine, con un vario grado di raffinazione a cui, spesso, chi preferisce un prodotto più rustico vi aggiunge ad arte una percentuale variabile di cruschello ricavato dall’abburattamento della farina dopo la separazione della crusca vera e propria.

Quella della preparazione casalinga della pasta è una pratica semplice che necessita principalmente di una buona materia prima, pochi rudimentali attrezzi e di una sicura manualità.

Il Salento, è però anche terra di rinomati opifici per la produzione industriale di pasta secca trafilata, un’attività che non scaturisce come si potrebbe pensare dall’evoluzione della preparazione casalinga della pasta. Enorme è infatti il divario tecnologico tra le due produzioni, che se si volesse fare un parallelo è come se si mettessero a confronto una carriola con una potente auto di ultima generazione. Un divario tecnologico che parte dalla produzione della semola, per produrre la quale occorrono macchinari imponenti, sofisticati e precisissimi quali i molini di alta macinazione. Piuttosto, la produzione industriale rappresenta il frutto della lenta evoluzione di un’attività che, iniziata

Virtù e sapori del grano “Senatore Cappelli”

di Pino de Luca

Nel ventennio, quello tragico del secolo scorso non quello comico che si conclude in questo,  nella furia autarchica e nazionalista vi fu una opera agricola straordinaria: la battaglia del grano. Le scuole agrarie della penisola che s’avvalevano di studiosi di grande valore furono messe alla frusta e incaricate di far diventare l’Italia il granaio dell’Europa. La Puglia, ed in particolare il tavoliere furono investite in pieno della missione. Nulla fu inventato, solo dato corso a ricerche già completate e conoscenze già sperimentate.

Pochi rammentano l’opera di Peppino Cuboni, membro dell’accademia dei Lincei, e grande esperto di fitopatologia. Personaggio straordinario che nel 1887 (non è un errore è proprio milleottocentoottantasette) cominciò a studiare gli effetti dell’inquinamento industriale sulle coltivazioni agricole alla Regia Stazione di Patologia Vegetale di Roma. Nel 1903 portò alla conoscenza della comunità scientifica italiana le scoperte alle quali era giunto Gregor Mendel. Scoperte alle quali era già giunto un suo allievo che si chiamava Nazareno Strampelli. Ibridare il frumento per avere specie più resistenti e produttive.

Cuboni fu un grande sostenitore dell’Aridocultura e ne promosse lo studio in Puglia, a Bari, anche se con scarso successo. Ma l’allievo Nazareno Strampelli proseguì gli studi e le applicazioni e, nonostante i tanti impedimenti per superare i quali ebbe ad accondiscendere a numerosi compromessi (divenne massone e si iscrisse al Partito fascista nel 1925 ma non firmò mai il manifesto sulla razza), portò a compimento numerosi ibridi che contribuirono alla Vittoria del grano.

Una di queste varietà destò l’interesse di Raffaele Cappelli, personaggio politico di grande prestigio nella Destra Storica e con grandi interessi in

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