1740: Giuseppe Mirone e le inferriate “ritrovate”.
Ricostruzione storica sulle inferriate delle cappelle in S. Francesco d’Assisi di Gallipoli
di Antonio Faita
Ci sono momenti in cui un po’ tutti ci sentiamo “folgorati” come Saulo sulla via per Damasco. Vi sono opere indimenticabili nella storia dell’arte e l’incontro con il capolavoro diventa anche un momento importante per mettere a fuoco la nostra stessa percezione dell’arte e la capacità che abbiamo di comprenderla, anche nei suoi risvolti più misteriosi. Eppure molti di questi segni della memoria subiscono le dissennate offese dell’uomo e del suo ambiente di vita.
Ciò accadde alla nostra chiesa di San Francesco d’Assisi di Gallipoli che, dopo lunghi e travagliati anni di restauro e a due anni dall’apertura al culto, la vediamo nella sua originaria bellezza.
Una piena informazione storica sull’originario assetto architettonico e decorativo della chiesa[1] ci viene data dallo studioso e amico Elio Pindinelli, grazie ad un’attenta ricostruzione storiografica, di storia e arte, che con grande passione ha voluto tracciare nel suo libro “Francescani a Gallipoli”, offrendo a noi lettori diversi spunti notevoli di riflessione[2].
Da alcune mie recenti indagini presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli e, precisamente, consultando alcuni documenti del 1740, concernenti il Banco del Salvatore, è emersa una polizza con la “causale” riconducibile al tempio francescano di Gallipoli. Da quanto ci riferisce Pindinelli, per la chiesa di San Francesco d’Assisi iniziò un lungo e lento calvario[3], dagli anni critici del Risorgimento[4] con la soppressione generale degli ordini religiosi possidenti, fino agli anni cinquanta. In quest’ultimo periodo si vide uno “smembramento” totale di tutte le opere d’arte da parte del Genio Civile che ritenne opportuno,