Macelleria Equitalia

MACELLERIA EQUITALIA copertina jpg

di Nicola Vacca

Nella narrativa contemporanea sono davvero rari i libri che fanno rumore. E quando vengono pubblicati si fa di tutto per boicottarli. Le redazioni dei giornali che contano e la critica letteraria più benpensante e conformista sono i demiurghi   di un’operazione di ostracismo mirata a isolare nell’oblio l’autore che ha avuto il coraggio di scrivere un libro che disturba il manovratore. È il caso di Macelleria Equitalia di Giuseppe Cristaldi, da poco pubblicato per i tipi di Lupo editore. Il giovane scrittore salentino ha scritto uno dei libri più coraggiosi del momento. Un atto di denuncia nei confronti di Equitalia “ovvero l’apparato che si occupa, per conto dello Stato Italiano, di porre in esecuzione gli atti emessi  dagli uffici giudiziari”. I procedimenti di esecuzione forzata a tempi della crisi che hanno mandato sul lastrico intere famiglie. La cronaca di questi ultimi anni è piena di suicidi di piccoli imprenditori vessati e umiliati da questo Leviatano fiscale che agisce per nome e conto dello Stato. Giuseppe Cristaldi racconta tutto questo senza fare sconti a nessuno. Con una scrittura tagliente che si avvale anche di una straordinaria contaminazione tra la lingua italiana e il dialetto leccese. Attraverso il racconto di cinque drammi esistenziali,  Cristaldi descrive lo scenario sociale e economico della crisi ai tempi di Equitalia, perversa e legalizzata  macchina infernale di riscossione dei tributi autorizzata dal potere a distruggere senza pietà le vite dei cittadini. Dall’ultimo gesto di Rocco e di Enrico, che avevano deciso di ribellarsi alla morsa feroce dello Stato ritornando a un’intimità umana e carnale, fino alle complicità conniventi della criminalità organizzata con funzionari corrotti di Equitalia, Cristaldi, avvalendosi della forma romanzesca, non risparmia fendenti a questo sistema perverso che sta stritolando un popolo che kafkianamente non riesce a difendersi davanti a questo tribunale e alla  sua macelleria sociale, pronta a creare cittadini insolventi da dare in pasto al potere sempre assetato di denaro, affinché a pagare anche con la vita siano sempre e soltanto chi onestamente vive del proprio lavoro. Macelleria Equitalia è il libro scritto da un autore coraggioso che ha deciso di guardare con estrema attenzione al suo tempo e alle sue pericolose ingiustizie. Cristaldi  affonda la lama nel marcio e soprattutto  lo chiama con il suo nome senza mai nascondersi.  “Si capisce che mi considero uno scrittore politico. In effetti, non c’è scrittore che non lo sia.  Ma lo si è in due modi: o si offre la propria ‘irresponsabilità al potere o la propria ‘responsabilità’ a tutti. Io ho preferito questo secondo modo”. Cosi amava definirsi Leonardo Sciascia. Giuseppe Cristaldi appartiene a questa categoria di scrittori e con Macelleria Equitalia ha deciso di offrire la propria responsabilità a tutti. Noi abbiamo scelto di stare dalla sua parte e faremo tutto il possibile affinché il suo libro scomodo abbia numerosi lettori.

Le magie umide

ph Stefano Crety
ph Stefano Crety

di Giuseppe Cristaldi

 

In questo periodo mi schizza nel capo il ricordo delle lenzuola stese sulle volte a stella e io che mi ci imbriglio nel mezzo. Il profumo del sapone SOLE, il piccolissimo paesino di mia madre, Gemini, il capo di Leuca e i sarmenti stipati nella cantina.

La calce e la chiazza cuperta, i bastoni degli anziani e l’immobilità, l’assurda immobilità delle pelli che reagiscono alla calura facendosi pietra.

Il mio più grande orgoglio è la consapevolezza dell’aver vissuto e di continuare a vivere a margine del continente, dove nascono le magie umide.

Litanie dell’acqua

di GIUSEPPE CRISTALDI

 

E’ probabile che Daniela Liviello sia un fluido ignoto figliato dall’acqua.
Che non appartenga alla specie della carne. Al contrario, che veda nel suo stato accidentale dell’esistere, la pelle o la carta quali registro del suo trapassare la terra. Il che non è attraversare la terra, non è un passaggio superficiale sulle misture di materia cadute nell’estetica, ma un trapasso, una perforazione degli stadi o degli stati nel mezzo dei quali vorrebbe fottere tutti gli astanti, sperdendosi.

Questo è quello che si percepisce quando tesse le sue litanie dell’acqua. S’avverte un accordo segreto con la terra, una terra a cui imputa dolori laceranti, ma in fondo una terra che le si è divaricata davanti come la peggiore ninfomane, nel medesimo istante in cui rabbia da un lato e precarietà storica dall’altro si fondono nell’identità. In più subentra uno stato di disarmo, avviene la verità, ovvero il perfetto coesistere tra dire umano ed espressione del creato; la verità che ti aspetta e non ti aspetta, nel mentre che la poesia si manifesta.
E’ probabile che Daniela Liviello sia di un fluido ignoto figliato dall’acqua.
Un flusso che faccia la spola fra due luoghi al fine di assegnare, assegnarsi, una provenienza.
Se non fosse che si ha, leggendola, lo stagnare tempestivo di una nostalgia, un dolore, insomma, un sentimento che vorrebbe ricondurre tutto alla sua origine. Gli uomini agli uomini, la terra alla terra, l’acqua all’acqua. In questo scocca la sua necessità, ovvero l’annullamento del vizio onomastico: chiede di non possedere nome perché dove il suo nome nasce, ella muore. Lo fa forse per poter essere ogni cosa e se stessa allo stesso tempo e quindi consegnarsi ad un flusso creativo che non implichi inani distinzioni e categorie.
I fogli, il compromesso mal sopportato, ove avere la misura del suo viaggio, non sanno scansarla dall’essere il passero che vola tra i limoni la cui sofficità non è inferiore ad una neve settentrionale, o il fiore diruto che galleggia e passa sullo stagno muto. Daniela c’è sempre, proprio per non esserci più. Così affermandosi, il libro di assenze che annovera ogni giorno, si popola, e la solitudine che prima ne derivava ora è una folla che denuncia l’assenza della donna che scrive.
Un’assenza che ha il sapore di pubblico sacrificio, pubblica resa nella rabbia, come arrendersi per non dire l’odio verso una madre bruta, molesta, una madre che l’ha scalciata altrove, da parte a parte in luoghi più o meno voluti, una madre che le ha ammiccato di ritornare, salvo poi stravolgerla di silenzio. Silenzio e ancora silenzio; nessun saluto, nessun benvenuto, solo un calcio in culo novello, ma espresso nella modalità di una dolce prigionia, una catena attorta all’essenza ultima dell’amore.
Pensi ad un imbroglio pazzesco, per cui se prima era lei a perforare gli stadi e gli stati della terra, ora sei tu. Tu, inerme lettore, che ti ritrovi impigliato nel meccanismo, proprio quando la verità, da dietro le quinte, mette piede sul palcoscenico spietato di quello che sei. Ci vedi tutto, e non sai che definizione dare a questo spettacolo.

Io non so cosa mi leghi al comporre indomito e zitto di Daniela Liviello, non so quanto valga ciò che ho scritto, e quante volte arrivi a reiterarsi l’omicidio eppoi la resurrezione sequenziale delle identità. Non so dove finisca il nome della cosa, del luogo, e cominci quello della persona. Non conosco ancora il punto preciso in cui odio e amore facciano l’odio e l’amore, siano l’insieme perfetto. Non so quante paralisi si nascondano dietro un andare, e quanti passi costruiscano un isolamento.
Non so se quella nave e quelle centinaia di naufraghi lasciassero la terra, o la prendessero.
Di mezzo vi era qualcosa, di mezzo vi è sempre qualcosa, solo questo so.
Mi rimane di guardare la distesa mediterranea attraverso gli occhi della donna che scrive, intuire da un’alga, fare parola la salsedine, vedere le braccia che annegando salutano. Tace tutto, poi tutto è assordante.
La commozione, ecco, è la venere dei tempi nostri, la schiuma lo sa.
Il resto è il brusio della quiete scomposta, violata eppoi venerata dall’acqua stessa.

Libri/ Nefrhotel (mi hanno venduto un rene)

di Francesco Greco

Storia di Kamal, l’innocenza perduta dell’universo

Om mani padme hum… Dagli inferi danteschi, il sottosuolo dostoevskijano, il cuore di tenebra di un universo corrotto, (s)perduto, che ha rinunciato a ogni etica, incagliato nell’assenza di una qualche spiritualità, nella palude d’una solitudine cosmica dove le parole ormai non hanno più eco, ecco la voce di un bambino: ascoltiamola.

E’ quella di Kamal, bambino nepalese, solo al mondo, che narra la sua odissea scagliando parole dure come pietre, accuse a una civiltà infame, un’umanità disumana che usa i corpi per realizzare immondi profitti tra medici, intermediari, documenti falsi. Nato bene, nella casta potente dei Newari, devoto a Buddha, si ritrova a vagare come un animale ferito ai margini di Kathmandu, a lottare per avere il suo posto al mondo, riconquistare l’onore del censo perduto, un fantasma senza volto come se ne vedevano nei lager, i guilag, i laogai, bambino senza più innocenza in “un’India adultera dagli occhi di fanghiglia” col dito puntato verso di noi.

“Nefrhotel” (mi hanno venduto un rene), di Giuseppe Cristaldi, Promomusic, Corvino Meda Editore, Bologna 2011, pp. 200, € 12, è un romanzo curioso, spiazzante, insospettato. Il quarto (dopo “Storia di un metronomo capovolto”, 2007, Libellula; “Un rumore di gabbiani – Storia dei martiri del petrolchimico”, 2008, Besa; “Belli di papillon verso il sacrificio”, Edizioni Controluce, Besa 2010) del giovane scrittore pugliese.

E’ il lungo soliloquio di Kamal col suo aguzzino: il medico che gli ha chirurgicamente asportato il rene che finirà sul mercato di un Occidente che monetizza tutto, dove ormai i Lumi sono spenti, tra spraed, governi in affanno e banche che tengono in ostaggio i popoli, impotenza, suicidi, follia.

Che in India ci sia un mercato di organi è risaputo, abbiamo fatto l’assuefazione: non scandalizza nessuno, non ne parla nessuno. Lo scandalo, paradossalmente, non è qui, ma nell’aver rubato l’infanzia alle generazioni a cui per sopravvivere (a Kamal servono molte rupie per aprire un negozietto), un mondo dove tutto è mercificato non dà altre opzioni che il dolore, la rapina, la piaga in continua suppurazione.

Il romanzo procede su più livelli, che si intrecciano di continuo per poi separarsi, come fiumiciattoli che corrono verso il mare. Quello che colpisce è il furore politico scagliato contro lo status quo e i suoi orrori quotidiani, che una civiltà retta dal liberismo selvaggio ha ormai elevato ad archetipi. Notevole il piano lirico del narrare in cui la sensualità di un mantra (“Om mani padme hum…”), anzi, due (“Dottò”) inasprisce le parole di un bambino a cui è negata ogni pietas, che pure tutte le religioni invocano, per essere spinto sotto i ferri dei macellai: allegoria tremenda. L’accusa è di non aver saputo costruire un mondo diverso, di non aver avuto una, visione alternativa al reale, credere che questo sia il migliore dei mondi possibili: abbiamo coltivato il vuoto dove poi il serpente ha deposto le uova fatali. Ridotti a vegetali senza più utopie, sogni, a vivere in un mondo pieno di cicatrici dove “il silenzio è di moda” e capita di non dormire per sfinimento. Kamal siamo tutti noi, umiliati e offesi, vilipesi, saccheggiati nell’immaginario, omologati a modelli estranei e devastanti.

Del romanzo colpisce, cattura la scrittura viscerale, rapsodica, rabbiosa, che a un primo sguardo sembrerebbe sperimentale, e che invece è la modulazione scelta dallo scrittore per osservare il tutto e il particolare in una continua osmosi del senso che fluisce senza requie in un’affabulazione magnetica. Ma anche la padronanza della storia, che sconfina nella metafisica di un’universalità lacerata e purulenta, naufragata sotto il peso delle sue stesse bestemmie e orrori, delle continue abiure e dalla ridefinizione continua di valori relativizzati.

Pubblicare non vuol dire essere scrittori, oggi che il consumismo ha penetrato e corrotto l’etimo interno della scrittura piegata al marketing, all’apparire, alle scuole, al best-seller sintonizzato col gusto di lettori dalla percezione arida e formattata. La Babeleci avvolge e ci confonde, per cui trovare una propria via non è facile. Oggi anche Steinbeck o Caldwell resterebbero inediti. Benchè giovane, più mediterraneo che europeo, Cristaldi è un franco narratore che ha trovato una sua password assolutamente originale, una sorta di Sacro Graal che si regge su una melodia carsica che attraversa una koinè di parole magmatiche e ispide, portatrici di una semantica nuova, escatologica, di significati rimodulati. E’ anche qui la forza di un romanzo commovente, immaginifico, che suggerisce di cercare l’innocenza perduta per salvare il bambino in noi e richiudere una ferita che sanguina senza requie mentre altri tiranni affilano il bisturi, dottò. Om mani padme hum…   

Libri/ Storia di un metronomo capovolto

STORIA DI UN METRONOMO CAPOVOLTO: IL ROMANZO D’ESORDIO DI GIUSEPPE CRISTALDI

 di Paolo Vincenti

Storia di un metronomo capovolto è la prima prova letteraria di Giuseppe Cristaldi, giovane autore parabitano, autodidatta, già presente con alcuni articoli sul periodico “Approdo Salento”.

Il libro, edito dal Laboratorio, con una Presentazione dell’editore Aldo D’Antico ed una nota di Franco Battiato (si, proprio l’autore di “Bandiera Bianca” e “Centro di gravità permanente”) in quarta di copertina, è dedicato da Cristaldi a “Laura e Claudio Bastianutti, agli spartiti della loro esistenza, Paola e Daniela,  gemme mai schiuse per la crudeltà di questo mondo”.

Giuseppe Cristaldi, che si definisce “giovane coreutico parabitano, incorreggibile apolide, istrione di borgata”, in una breve autopresentazione nella piccola manchette del retrocopertina, è un operaio edile, autore di molte

Libri/ Porca Miseria. Storia da salumeria

Lupo Editore

NUBES – Ass. Culturale

Salumeria Cosimo Negri

22 Luglio 2011 – Ore 21,30

Piazzetta Mazzini – Copertino (LE)

“PORCA MISERIA. STORIE DA SALUMERIA”

Pane, vino e tanti racconti.

 

Special Guest: MINO DE SANTIS IN CONCERTO ACUSTICO

Venerdì 22 Luglio alle ore 21.30, presso la Piazzetta Mazzini a Copertino (LE), Lupo Editore in collaborazione con l’Associazione Culturale NUBES e la Salumeria Cosimo Negri, organizza “Porca Miseria. Storia da salumeria”, un’inedita formula che coniuga la lettura dal vivo e il racconto di storie per riflettere sul clima di austerità e di tagli alla cultura.

Lupo Editore inviterà gli scrittori presenti a raccontare la propria storia

Libri/ Storia di un metronomo capovolto

di Stefano Donno

Storia di un metronomo capovolto di Giuseppe Cristaldi (Libellula edizioni). Con una nota di Franco Battiato

Il romanzo ambientato tra gli anni ’70 e ’80, narra l’educazione politica, esistenziale, affettiva di Antonio Gardini, un giovane operaio di fabbrica alle prese sin dall’infanzia con una personale lotta contro le ingiustizie sociali e morali della sua terra e della condizione umana. Dotato di sensibilità d’animo, profondità di vedute,
spirito ribelle, generosità, coraggio, Antonio Gardini si troverà a tentare di incastrare in una visione del mondo unitaria una miriade di ‘fatti’ ed ‘eventi’ dolorosi che si dimostreranno refrattari ad essere contenuti e risolti in una lettura radicale e coerente.

L’epilogo tragico della storia dimostra l’impossibilità dell’idealismo
ideologico del protagonista a correggere il male, che quasi
ontologicamente insiste sul mondo; sullo sfondo della tragedia si
inscena il complesso, carnale, biologico, strettissimo e irrisolvibile
rapporto che lega lo stesso Antonio con la madre, figura dolente e
tipica di un certo genere di ‘donna meridionale’. Ma Storia di un

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