Copertino e un suo figlio marinista: Giuseppe Domenichi Fapane

di Armando Polito

Se, dato il suo cognome …, fosse stato anche un fornaio, del copertinese, probabilmente, sarebbe rimasta più longeva memoria. Eppure, come vedremo, ai suoi tempi godette di una certa considerazione, anche se non ci è dato sapere se, per restare al gioco di parola iniziale, anche lui fu vittima dell’antico adagio Carmina non dant panem1 (La poesia non dà pane). A beneficio dei lettori più giovani, figli della Buona scuola, dico solo (nell’illusione che almeno i più curiosi cedano una volta tanto alla tentazione di usare il loro smartphone per un fine meno banale del solito … ) che marinista non è un titolo onorifico assunto in giovane età in virtù di un cospicuo numero di giorni di lezioni disertate e che non vale neppure come frequentatore assiduo di marine (anche se non è da escludere che almeno una volta il Fapane abbia fatto il bagno nelle acque di S. Isidoro …).

Lasciando da parte le correnti (marine e letterarie …), essere socio di un’accademia nel XVII secolo era per un letterato un fatto scontato come lo è oggi per tanti aderenti a sodalizi più o meno culturali, con la differenza che allora non era certo il pagamento della tassa d’iscrizione la condizione per farne parte.

Molti letterati, poi, aderirono contemporaneamente a più di un’accademia e credo che l’accoglimento della loro domanda costituisse e costituisca  la prova del prestigio di cui godevano.

Giuseppe fu socio dell’accademia neretina degli Infimi, sorta fin dal 1577 sulle ceneri di quella dell’Alloro2, e di quella sorrentina dei Ripercossi, in cui ebbe il nome accademico di Furibondo3. Non sempre le accademia pubblicavano i propri atti, raramente i contributi dei loro soci e lo studioso che voglia conoscerne, almeno parzialmente, la produzione, deve operare ricerche non facili in pubblicazioni collettanee.

Per fortuna le cose stanno diversamente per il copertinese che inserì i suoi contributi all’accademia sorrentina alle pp. 307-310 del penultimo dei sei volumi della sua raccolta di epigrammi dal titolo Castaliae stillulae ducentae quae primum rivulum permissi conficiunt uscita dal 1654 al 16714.

In Antiche memorie del nulla a cura di Carlo Ossola, Edizioni di storia letteraria, Roma, 2007, a p. 91 nota 7 si legge che il Fapane fu autore anche del poema eroico La Beotica, o vero le Beotiche Acclamazioni, Napoli, Mollo, 1667; nonostante le precise indicazioni bibliografiche di questo testo non son riuscito a trovare alcun riscontro nei repertori, OPAC compresa.5 Quest’ultima, invece, del nostro, oltre alla Castaliae stillulae, registra anche, Iberi fulminis scintilla brevia poemata, Pietro Micheli, Lecce, 1654 (il fulminis della scheda, ovviamente, va corretto in fluminis). Superfluo aggiungere che tutti i testi citati sono rarissimi.

Non avrebbe senso ridurre questo post alle poche informazioni fin qui fornite senza presentare qualche assaggio del poeta copertinese.

Comincio con il primo della serie dei suoi contributi accademici pubblicati nel quinto volume delle Castaliae stillulae con, di mio, la traduzione e qualche nota. All’argomento segue un componimento formato da cinque distici elegiaci.

Ad problema in Academia Repercussorum Surrentina vulgatum. Cur in sepulchris maiorum Canis sub pedibus insculpebatur.

Parca ferox tumulat veterum tot corpora Avorum;

gaudet et in tumbis consociare feras.

Cur canis ad tumulum? Vivit nam fama superstes

et bona Virtutis non cinefacta manent.

Inclyta gesta vigent; perimunt non fata vigorem,

quem tibi defuncto dat generosus Honor.

Hinc Canis, Aegyptus facie disculpsit Anubim,

qui bene Mercurius fronte, latrator erat.

Cura igitur Virtutis opus, si marmora curas;

namque tuo vigilat nomine Fama volans.   

 

(Per un problema diffuso nell’accademia sorrentina dei Ripercossi. Perché nei sepolcri degli antenati era scolpito un cane ai piedi.

La feroce Parca seppellisce tanti corpi di vecchi avi e le piace associare animali. Perché il cane presso una sepoltura. In fatti la fama sopravvive ed i beni del valore non restano ridotti in cenere. Le gesta illustri sini piene di vita, il destino non ne annientano il vigore che a te defunto conferisce il generoso onore. Da qui l’Egitto rappresentò Anubi con l’aspetto di cane; colui che opportunamente era Mercurio nell’aspetto era un abbaiatore. Cura dunque l’esercizio della virtù, se hai cura dei monumenti; infatti la fama che vola resta sveglia per la tua reputazione).

 

Oggi, in tempi in cui i concetti di economia e perfino certa ecologia … coincidono largamente con quelli di finanza e profitto subito e per pochi,  fa sorridere più di qualcuno il problema risolto dal copertinese, ma siamo noi in difetto ed è già qualcosa conoscere il sostrato culturale messo in campo dal copertinese, sia pur sintetizzato in due soli passaggi, il primo egizio, il secondo romano. Anubi e Mercurio sono accomunati dall’essere cinocefali, dall’avere, cioè la testa di cane. In entrambi i casi l’uomo-cane (ovvero la divinità con fattezze miste di uomo e di cane) ha la valenza simbolica di tramite tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

Statuetta lignea di Anubi risalente al VII secolo a. C. conservata nel Walters Art Museum a Baltimora
Statuetta lignea di Anubi risalente al VII secolo a. C. conservata nel Walters Art Museum a Baltimora
Mercurio Cinocefalo e Arpocrate; tavola tratta da Pietro Santi Bartoli, Museum Odescalchum sive thesaurus antiquarum gemmarum, tomo II, Salomoni, Roma, 1752.
Mercurio Cinocefalo e Arpocrate; tavola tratta da Pietro Santi Bartoli, Museum Odescalchum sive thesaurus antiquarum gemmarum, tomo II, Salomoni, Roma, 1752.

 

Arpocrate era una divinità egizia, figlio di Iside ed Osiride. Anch’esso venne adottato dalla religione greca e romana rappresentando il dio del silenzio, con un dito alla bocca e con un mantello (qui mancante) ricoperto di occhi e di orecchi.

La testimonianza figurativa più suggestiva del gemellaggio Anubi/Mercurio è nell’Hermanubis custodito nei Musei Vaticani (immagine seguente).

Non è azzardato supporre che questo fosse lo sviluppo in chiave religiosa dello sbigottimento provocato dalla mostruosità; non a caso monstrum in latino ha il significato base di portento, prodigio ed è deverbale da monere che significa avvertire, ammonire. Come tanti altri dettagli pagani anche questa scelta rappresentativa passò nel Cristianesimo; basti pensare al san Cristoforo cinocefalo di tanti affreschi bizantini.

San Cristoforo Cinocefalo in affresco custodito nel Museo bizantino e cristiano di Atene
San Cristoforo Cinocefalo in affresco custodito nel Museo bizantino e cristiano di Atene

 

Tornando ora al nostro Giuseppe, va sottolineata la sobrietà stilistica della sua composizione che ben poco concede alle astrusità concettuali (in primis metafore ardita ed in alcuni casi di non immediata comprensione) tanto in voga nella produzione letteraria barocca.

Il 9 marzo del 1675 moriva il letterato grottagliese Giuseppe Battista, per il quale rinvio al link https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/01/12/leruzione-del-vesuvio-del-1631-nella-poesia-di-un-salentino-e-di-un-napoletano-con-una-sorpresa-finale/. Qui mi limito a ricordare che in occasione del triste evento venne pubblicata a Napoli per i tipi di Ludovico Cavallo una raccolta di poesie commemorative dal titolo  Musarum lessus in obitu Iosephi Baptistae, della quale il copertinese fu il curatore nonché l’autore di alcuni componimenti. Di questo volume l’OPAC registra l’esistenza di un solo esemplare custodito presso la Biblioteca Calasanziana a Campi Salentina.

Che la stima fra i due fosse reciproca lo testimoniano due sonetti che il Battista inserì a p.389 di Epicedi eroici, Bologna, Erede di Domenico Barbieri, 1669 e che di seguito riproduco. Il primo è del copertinese, il cui nome  in alcuni repertori è riportato, e qui così si legge, come Giuseppe Domenichi; il secondo, in risposta, del grottagliese.

Ora metto in atto il consueto espediente, cioè la trascrizione, per poter commentare il tutto nelle note  aggiunte.

Il Battista denota in questa risposta, come nelle altre alle poesie della stessa raccolta dedicategli da altri poeti, grande abilità formale e grande facilità di versificazione: utilizza le stesse rime e quasi sempre le stesse parole-rima (uniche eccezioni, per queste ultime, irsuta, canori, rossori e Pegaso. Da notare ancora che nel Battista ricorrono (fenomeno assente nel sonetto del Fapane) ferètro e Pegàso; ciò va considerato, vista l’abilità dell’autore,  come una sottigliezza formale, una vezzosa eleganza e non un espediente per rientrare nei canoni metrici.

Costituiscono poi un’ulteriore testimonianza della reciproca stima due lettere (che qui per brevità non rioroduco) indirizzate dal Battista al Fapane, inserite alle pp. 137 e 161 dell’epistolario del grottagliese pubblicato postumo da suo nipote Simon Antonio per i tipi di Combi e La Noù a Venezia nel 1578.

Ancora: in Notizie di Nobiltà. Lettere di Giuseppe Campanile accademico Umorista e Ozioso, Luc’Antonio di Fusco, Napoli, 1672 (le pagine non sono tutte numerate) del copertinese6 compaiono i contributi che seguono.

Alla fine della dedica della sua opera a Bartolomeo di Capua l’autore riporta, quasi ad avallo della stessa un componimento del copertinese in distici elegiaci. Il Campanile non l’avrebbe pubblicato, insieme con quello in italiani che vedremo più in là se fosse stato scritto da uno qualunque e, d’altra parte, il nostro non lo avrebbe scritto, a sua volta, per uno qualunque. Basti ricordare gli altri titoli del Campanile (visse dal 1630 al 1674): Parte prima delle poesie, Cavallo, Napoli, 1648; Lettera storica, e iuridica, s.n., s. l., 1666; Dialoghi morali dove si detestano le usanze non buone, di questo corrotto Secolo, Agostino di Tomasi, Napoli, 1666; Prose varie, Luc’Antonio di Fusco, Napoli, 1666. Siccome, poi, è meglio abbondare che essere in difetto, ecco prima il suo ritratto a corredo di Notizie di nobiltà.

Quam bene Palladia Phoebique ex arbore germen/praecingit vultus, vir venerande, tuos!/Nam sacra cum teneas Pimplei culmina montis,/teque libenter foveat casta Minerva sinu/iure quidem ingenii tibi sculpsit honores/arbore cum gemina pictor in aere sagax. Antonius Martina

(Quanto bene il germoglio dell’albero di Pallade [l’ulivo] e di Febo [l’alloro] cinge il tuo volto, uomo venerando! Infatti tenendo tu le sacre vette del monte Pimpla e volentieri accogliendoti in seno la casta Minerva, a buon diritto il perspicace pittore incise per te nel rame gli onori gemelli dell’ingegno insieme con i due alberi. Antonio Martina).

A destra, fuori dall’ovale del ritratto e della specie di cartiglio inferiore, si legge il monogramma FP, le cui difficoltà di scioglimento fanno restare sconosciuto il nome dell’incisore, mentre Antonio Martina è l’autore dei versi elogiativi ma nulla sono riuscito a trovare su di lui.

Ecco il primo pezzo del copertinese da Notizie di nobiltà.

ILLUSTRISSIMO, ET EXCELLENTIS. DOMINO BARTHOLOMAEO de Capua, Altavillae Magno Comiti, cui Ioseph Campanile Historias Familiarum dicat, Ioseph Domenichi.

Historias Ioseph texit: priscique triumphos/temporis; et nostrae stemmata Parthenopes./Haec nulli poterat scriptor monumenta dicare,/quam tibi, qui Heroum vincere facta soles./Tu calami et gladii superasti nomine famam;/tu calamo, et gladio tempora clarificas./Hinc Campanilis, pennam dat iure columba;/ut tua7 gesta sones; ut sua scripta canas.

(All’illustrissimo ed eccellentissimo don Bartolomeo di Capua, gran conte di Altavilla, al quale Giuseppe Campanile dedica le Storie di famiglie. Giuseppe Domenichi.

Giuseppe ha intessuto le storie e i trionfi del tempo antico e i titoli nobiliari della nostra Partenope. A nessuno poteva dedicare queste testimonianze se non a te, che sei solito superare le gesta degli eroi. Tu con la tua rinomanza nelle lettere e nelle armi hai superato la fama, tu con la penna e con la spada glorifichi i tempi. Perciò a buon diritto, o Campanile, la colomba dà la penna, affinché tu faccia risuonare le sue gesta e canti i suoi scritti)

A distanza di qualche pagina di questa sorta di dedica alla dedica si legge questo sonetto.

Ancora più avanti (questa volta la pagina reca il n. 133) è riportato l’epigramma in distici elegiaci che il Fapane dedicò a Matteo Cosentini (1632-1702) per la sua elezione a vescovo d’Anglona e Tursi da parte del papa Clemente IX nel 1667.

(L’infula8 che per te, presule, risplende sulla fronte non decora i capelli ma ne è stata decorata. La tua nobiltà è abbastanza nota, abbastanza noto il tuo corredo di virtù ed abbastanza noti i beni del tuo animo. La tua benefica famiglia ha partorito leoni sotto i monti9 e la pianta di Delfi10 ti rende dorata la chioma. Dunque quale sarà ora per te sarà per te il titolo di presule? Come per averlo meritato sei eccellente cosi lo meriti per essere stato eccellente).

Come testimonianza finale del prestigio goduto dal copertinese riporto tre documenti. Il primo è una lettera del 4 marzo 1669 custodita nella Biblioteca Universitaria Genovese ((Ms.E.IV.14) inviata dal poeta marinista Antonio Muscettola (1628-1679) ad Angelico Aprosio (1607-1681) per ringraziarlo dell’invio di un pacco di libri contenente, fra gli altri, la quinta stilla del Domenichi.

 

Il secondo documento è un sonetto a lui dedicato da Baldassarre Pisani, altro marinista, nelle sue Poesie liriche, Pezzana, Venezia, 1676, p. 77.

Due sonetti sono in Tommaso di S. Agostino, Strada franca al cielo per il peccatore, Mollo, Napoli, 1677

L’ultimo documento è un sonetto-invito di Pietro Casaburi Urries nel suo Le sirene: poesie liriche, Novello De Bonis, Napoli, 1676 v.II, p. 104. Al di là della formalità non solo stilistica che contraddistingue la letteratura di quell’epoca il Casaburi, che in altri componimenti elogia nomi che ho già anuto occasione di citare in questo lavoro (Giuseppe Battista, Antonio Muscettola) avrebbe rivolto il suo invito proprio al copertinese, se non avesse sentito, oltre che ammirazione (Tu, ch’Arpa hai sì chiara) per lui anche una certa affinità spirituale?

 

Giunto al momento di chiudere, pongo a me stesso ad al lettore la seguente domanda: un personaggio di tale spessore non avrebbe meritato, e da tempo, almeno l’intitolazione di una via?

_______________

1 La paternità del desolante adagio latino (del quale, attribuendo a poesia il significato estensivo di arte, la politica ha fatto il suo stendardo) è ignota, anche se in rete e precisamente all’indirizzo http://www.film-review.it/forum/showthread.php?p=2811 viene attribuita criminalmente ad Orazio. Molto probabilmente non è di origine dotta, sarà nata nell’ambiente goliardico  e già in una lettera sa Londra indirizzata al nipote in data 3 giugno 1775 Giuseppe Baretti riportava lo stesso adagio con l’integrazione sed aliquando famem (ma talora fame).

2 Archivio storico per le province mapoletane, anno III, fascicolo I, Stabilimento tipografico Giannini, Napoli, 1878, p. 294.

3 Archivio storico per le province mapoletane, op. cit., p. 310.

4 Il primo volume per i tipi di Pietro Micheli a Lecce nel 1654; il secondo per i tipi di Luca Antonio Fusco a Napoli nel 1658, il terzo per i tipi di Paolo Frambotti a Padova nel 1659; il quarto per i tipi degli Eredi di Paolo Vigna a Parma nel 1662; il quinto per i tipi di Sermantelli a Firenze nel 1667 e il sesto per i tipi di Ambrogio De Vincentiis a Genova nel 1671.

5 Nicolò Toppi nella sua Biblioteca napoletana, Bulifon, Napoli, 1678, a p. 394 a proposito di Giuseppe Domenichi (prima, a p. 172, Giuseppe Domenico Fapano) scrive: Tiene prossime da stamparsi I Tronchi di Parnasso, Foresta di poesie Italiane.La Staffetta Capricciosa.Lo Spoglio Poetico, et Istorico. Syrenum Petra Satyricon con molte altre Opere d’eruditione, così Latine, come Toscane. Chissà se almeno uno di questi manoscritti giace ancora da qualche parte.

6 Ma anche di altri letterati salentini, come Gregorio Messere di Mesagne (https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/10/23/gli-emblemata-di-gregorio-messere-1636-1708-di-torre-s-susanna-13/) e il già ricordato Giuseppe Battista.

7 Errore per sua.

8 Nella religione greca e romana era una fascia di lana, simbolo della consacrazione agli dei, che i sacerdoti cingevano attorno al capo e che ornava anche quello delle vittime; qui sta ad indicare ciascuno dei due nastri che pendono dalla mitra vescovile.
9 Subito dopo l’epigramma del nostro il Campanile aggiunge quanto segue.

10 È l’alloro (nell’antichità greco-romana e nel mondo umanistico la sua corona veniva attribuita come simbolo di sapienza, di gloria poetica o di eccellenza atletica), sacro ad Apollo, che a Delfi aveva il suo oracolo.

11 Oltre che essere stato strenuo difensore di Giambattista Marino contro Tommaso Stigliani in molte opere pubblicate con vari pseudonimi, ebbe fittissimi rapporti epistolari con moltissimi esponenti della cultura dell’epoca in tutta Europa e fu il fondatore nel 1648 nella natia Ventimiglia della biblioteca che porta il suo nome.

Iacopo Pignatelli (1625-1698) di Grottaglie e papa Alessandro VII già vescovo di Nardò

di Armando Polito

Sembra che per uno strano destino Nord sia nella storia dell’Umanità simbolo di progresso e Sud di arretratezza, quasi il primo fosse una metafora del cielo in cui innalzarsi a spiccare fantastici voli e il secondo della terra con cui sporcarsi e, andando ancora più giù, dei suoi abissi infernali …

Questa contrapposizione, fra l’altro, coinvolge diversi livelli, spesso intersecantisi, tant’è che, si parla di Sud del mondo (in cui tra poco, continuando così,  entrerà, in deroga pure alla geografia …, l’Italia) e di Sud d’Italia. Probabilmente, per quanto ci riguarda, Sud è bello resterà una pura affermazione di comodo ( ipocrita ed autoconsolatoria, alibi per l’immobilismo che ci contraddistingue prima di tutto nella stessa conoscenza e presa di coscienza della nostra bellezza), almeno fino a che non ci metteranno e, ancor più, se non ci metteremo nelle condizioni di riservare alla nostra terra (intesa in senso esclusivamente geologico) il rispetto dovuto ed alla nostra terra (intesa, questa volta, in senso culturale) la possibilità di esprimersi e valorizzarsi anche in senso economico.

La fuga dei nostri cervelli è un fenomeno antico e il personaggio di oggi ne è uno degli innumerevoli esempi. Sarebbe diventato quello che la storia registra se fosse rimasto, come già successo per il concittadino Giuseppe Battista1, a Grottaglie? Certamente no.

Comincio dalla biografia e me la cavo riportando, per fare più presto in formato immagine, quanto si legge in Comentari del canonico Giovanni Mario Crescimbeni custode d’Arcadia, intorno alla sua istoria della volgar poesia, Basegio, Venezia, 1730, v. IV, p. 2722:

integrandolo con Lorenzo Giustiniani, Memorie istoriche degli scrittori legali del Regno di Napoli, Stamperia Simoniana, Napoli, 1788, tomo III, pp. 64-653:

Da notare in questa seconda citazione che l’iniziale Grottaglie terra in provincia di Lecce fa il pari con il Terra di Grottaglie provincia di Lecce che ho già segnalato nel post su Giuseppe Battista.

Vivendo nell’odierna civiltà in cui anche il più insignificante di noi può lasciare con un selfi o altro testimonianza del suo più o meno inutile passaggio sul pianeta, come si può fare a meno di un’immagine e non approfittare della fortuna, non sempre riservata ai grandi del passato, che il ritratto del Pignatelli, carramba che sorpresa!, è qui?

È la tavola a corredo del primo tomo dell’edizione delle Consultationes canonicae uscita per i tipi di Gabriele & Samuele De Tournes a Lione nel 17184.

Da notare in basso al centro lo stemma della famiglia Pignatelli (d’oro a tre pignatte, le prime affrontate), una delle più antiche e potenti famiglie di origine napoletana. Credo che l’abbreviazione V. C. L. vada sciolta in V(IR) C(ANONICUS) L(ICIENSIS), alla lettera: illustre uomo canonico leccese. E Cryptaleis in Salentinis=Da Grottaglie tra i Salentini.

Il 7 aprile 1655 diventava papa, assumendo il nome di Alessandro VII, Fabio Chigi, appartenente ad una notissima e strapotente famiglia di banchieri. A chi volesse saperne di più sul suo conto, in particolare sul rapporto con Nardò, di cui era stato eletto vescovo nel 1635, segnalo: https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/03/02/alessandro-vii-un-papa-gia-vescovo-fantasma-di-nardo-e-il-suo-vice/, dove troverà anche alcune immagini che lo riguardano, e https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/05/14/non-ci-sono-alibi-2/.

Rientra nelle umane consuetudini (e forse debolezze …) che ogni avvenimento più o meno importante sia adeguatamente celebrato e al lettore di oggi, abituato a vedersi la casa invasa dagli amici e dalle amiche del figlio o della figlia per festeggiare pure la prima scorreggia del gatto o della gatta, credo non sarà difficile  immaginare cosa succedeva all’elezione di un papa. Tra le varie espressioni di festeggiamento un posto certamente non secondario (anche perché verba volant, scripta manent) avevano i componimenti in cui si cimentavano i letterati dell’epoca. Per Alessandro VII ce ne fu un numero cospicuo scritto dai membri dell’Accademia dei Fantastici (della quale faceva parte il Pignatelli), che due mesi dopo trovò ospitalità in un volume5 di cui riporto il frontespizio.

Il volume, le cui pagine non sono numerate, contiene un sonetto del grottagliese, il cui testo riproduco in formato immagine con, di mio,  a fronte la trascrizione e in calce qualche nota.

Non voglio nemmeno azzardarmi a giudicare se e quanto ci sia in questo sonetto di veramente sentito o ipocritamente convenzionale, mentre mi sarebbe troppo facile stigmatizzare il solito difetto (presente in tutte le religioni) dell’idea di un primato esclusivo in nome del quale da tutte le parti si continuano a commettere obbrobri di ogni tipo e la cui revisione proprio nel mondo cattolico ancora oggi deve registrare ostilità a questa o a quella apertura manifestata, addirittura, dallo stesso pontefice ….

Voglio solo ricordare al lettore, tornando al passato, che Alessandro VII improntò il suo pontificato al nepotismo e al temporalismo più spinti e voglio tenere in conto per Iacopo l’attenuante cronologica (cosa di diverso poteva augurarsi e augurare alla Chiesa e ad un papa appena eletto?).

Mi rendo conto che per la Chiesa la soluzione del conflitto di interessi è, forse, qualcosa di più complicato (proprio per la presenza della componente spirituale …) da gestire di quanto non lo sia quello che riguarda il potere politico ma non posso, integrando a modo mio il vecchio e sempre valido proverbio latino prima citato, che chiudere dicendo: verba volant, scripta manent, facta permanent testanturque (le parole volano, gli scritti restano, i fatti permangono e testimoniano).

____________

1 https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/01/12/leruzione-del-vesuvio-del-1631-nella-poesia-di-un-salentino-e-di-un-napoletano-con-una-sorpresa-finale/

2 https://books.google.it/books?id=AUkTAAAAQAAJ&pg=PA272&lpg=PA272&dq=iacopo+pignatelli+da+grottaglie&source=bl&ots=dIovtagjRB&sig=TSy8DWn8lPhFMCWFgb22CkvKErs&hl=it&sa=X&ei=f42_VOaZH8SWapnugFA&ved=0CCwQ6AEwAw#v=onepage&q=iacopo%20pignatelli%20da%20grottaglie&f=false

3 http://books.google.it/books?id=i_HdfCb7do0C&pg=PA64&dq=jacopo+pignatelli+grottaglie&hl=it&sa=X&ei=YFFBVPCnCYXIyAO-n4CQBg&ved=0CCAQ6AEwAA#v=onepage&q=jacopo%20pignatelli%20grottaglie&f=false

4 http://books.google.it/books?id=eNdFAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=editions:CNwA0QC-dHgC&hl=it&sa=X&ei=tERBVMz1NoT-ygPN-4KADw&ved=0CGgQ6AEwCQ#v=onepage&q&f=false

5 https://archive.org/details/bub_gb_E6ssEI50zhkC

Marco Antonio Delli Falconi di Nardò tiene a battesimo il Monte Nuovo

di Armando Polito

Esordisco con una mozione (manco fossi un politico …) che è più di affetto che di servizio, precisando che queste righe escono contemporaneamente su http://www.vesuvioweb.com/it/.

C’era una volta Napoli, centro culturale di eccellenza e polo d’attrazione, come oggi orgogliosamente, laddove è possibile, si dice, da ogni parte d’Italia e del mondo occidentale. Non ho la preparazione specifica e sufficiente per spiegare le ragioni di un amaro degrado che riguarda, e non da ieri, tutto il sud; e poi rischierei di rinfocolare una vecchia diatriba proprio mentre una parte politica, territorialmente vicina ad una dinastia  probabile (altro non dico …) responsabile del primo sfacelo, in una disgustosa miscela d’incoerenza e di faccia tosta tenta di fare proseliti pure al sud …

Dico solo che correva l’anno 1538 e che già da tempo chi voleva far carriera doveva giocoforza studiare a Napoli. La maggior parte degli “immigrati” non tornava, se non saltuariamente, nel paese d’origine. Tra di loro i salentini costituiscono una schiera nutrita e già mi son occupato, per restare al tema di oggi, di Giuseppe Battista di Grottaglie1,che cantò l’eruzione del Vesuvio del 1631.

Purtroppo gli eventi catastrofici hanno sempre fatto notizia, per diventare, placatasi l’onda emotiva, quasi un topos, non solo letterario, cioè un tema che un intellettuale non può esimersi dal trattare. Sotto questo punto di vista forse solo gli scritti in prosa  contemporanei all’evento hanno un valore documentario, nonostante i rischi, comprensibilissimi, di straripamenti enfatici più o meno involontari. L’evento trattato questa volta è la formazione del Monte Nuovo nei Campi Flegrei e parte del merito del ricordo immortalato in Dell’incendio di Pozzuolo Marco Antonio delli Falconi all’illustrissima signora marchesa della Padula nel MDXXXVIII va ascritto a Nardò, perché in questa città era nato l’autore dell’opuscolo appena citato, il cui frontespizio riproduco di seguito dal link in cui chi ha interesse troverà (e potrà scaricare) il testo integrale:

https://books.google.it/books?id=GZWcQN8cZu0C&pg=PT50&dq=delli+falconi+dell%27incendio+di+pozzuolo&hl=it&sa=X&ei=_oSuVN2cFo7dapLmgNgI&ved=0CEUQ6AEwBQ#v=onepage&q=delli%20falconi%20dell’incendio%20di%20pozzuolo&f=false

Il lettore noterà la data dell’evento inclusa nel titolo ma anche l’assenza della data di edizione e del nome dell’editore. Per quanto riguarda il primo punto, siccome il Monte Nuovo si formò tra il 29 settembre e il 6 ottobre del 1538, è plausibile ritenere che l’opera abbia fatto in tempo ad uscire in quell’anno. Per l’editore ci viene in soccorso il colophon che di seguito riproduco.

Marco Antonio Passaro fu editore e libraio a Napoli dal 1534 al 15692. Si servì delle tipografie di Mattia Cancer e di Giovanni De Boy. Nel 1574 fu arrestato insieme con il collega, pure lui napoletano, Marco Romano per vendita di libri proibiti3.

Dopo questa piccola parentesi per bibliofili è il caso di dire qualcosa di più sul neretino. Chi si aspettasse di trovare notizie biografiche nello storico locale Giovanni Bernardino Tafuri4 resterebbe in parte deluso e a tratti feroce è la critica mossagli da Lorenzo Giustiniani in I tre rarissimi opuscoli di Simone Porzio, di Girolamo Borgia e di Marcantonio Delli Falconi scritti in occasione della celebre eruzione avvenuta in Pozzuoli nell’anno 1538, Marotta, Napoli, 18175. In questo volume il lettore che ne abbia interesse troverà la possibilità di comparare il resoconto del neretino con quello di altri due testimoni diretti e per ognuno dei tre autori una completa e documentata scheda biografica. Quella del neretino occupa le pagine 261-283, in confronto alle quali, nonostante parecchie di esse si attardino sulla figura della dedicataria marchesa della Padula, le due paginette del Tafuri appaiono veramente striminzite.

Chiunque voglia approfondire un fenomeno del passato per comprendere meglio la sua manifestazione attuale è obbligato a ricercare e studiare le fonti, tanto più preziose quanto più esse sono il frutto di un’osservazione diretta. Non a caso, perciò, il resoconto del neretino fu tenuto in grandissimo conto da due luminari dell’epoca:  William Hamilton7 (1730-1803) e Jacques Gibelin (1744-1828), secondo quanto riportato dal Giustiniani (p. 281): Che un tale opuscolo sia poi divenuto assai raro e ricercato ancora, ne abbiamo un attestato del Signor Maty Segretario della Società Reale di Londra, col quale dice, che stando in qualità d’Inviato di quella Corte in Napoli Guglielmo Hamilton, celebre antiquario, ed indagatore delle cose naturali, avendone proccurato un esemplare, e rinvenuto ancor l’altro opuscolo del sullodato Pietro Giacomo da Toledo, che ha per titolo: Ragionamento del tremuoto del Nuovo Monte, dell’aprimento di terra in Pozzuoli nell’anno 1538, e della significazione di essi, stampato in napoli per Giovanni Sulztbac Alemanno a 22 di gennaio 1539, ne fece un dono al Museo Brittannico, dove avendogli osservati il celebre Gibelin, morto non è gran tempo, è di avviso, aver ritrovate le dette relazioni curiosissime6, e non poco ancor se ne valse nel suo Compendio delle transazioni filosofiche della Società Reale di Londra; e quindi nelle medesime riferisce in succinto, prima quello, che contiene la relazione del nostro delli Falconi, e poi quello, che si contiene nell’altra del Toledo; e finalmente descrivendo il monte, e le qualità delle materie, che lo formarono, è di sentimento, che così all’improvviso fossero surti tutti quegli altri monti, che veggonsi in tutta la regione vulcanica di Pozzuoli, e sarà molto da abbracciarsi la sua opinione.8

L’opera del neritino, poi, non poteva non essere ricordata dal napoletano  Antonio Sanfelice , che fu vescovo di Nardò dal 1707 al 1736. In Antonii Sanfelicii Campania notis illustrata cura et studio Antonii Sanfelicis junioris, Paci, Napoli, 1726, in nota 119 a p. 83  così si legge: … de quo incendio, et miris eiusdem effectibus praecipuos edidere tractatus Petrus Jacobus Toletanus, et Antonius de Falconibua, Cathedralis Ecclesiae Neritinae Canonicus, tum Episcopus Ceruntinensis … (della quale eruzione e dei suoi straordinari effetti pubblicarono eccellenti trattati Pietro Iacopo di Toledo e Antonio delli Falconi, canonico della cattedrale di Nardò, allora vescovo di Cerenzia… ).

Voglio chiudere con sei immagini che in qualche modo riassumono la vita del Monte Nuovo, dalla nascita ad oggi.

La prima è una tavola tratta dall’opuscolo del Delli Falconi, del quale prima ho riportato il frontespizio.

 

La seconda è una tavola del Theatrum illustriorum Italiae urbium tabulae cum apendice celebriorum in maris Mediterranei insulis civitatum, Ex officina Joannis Janssonii, Amsterdam, 1657 (chi ne ha interesse può fruirne in alta definizione all’indirizzo http://bdh-rd.bne.es/viewer.vm?id=0000130550; qui ho evidenziato con la circonferenza rossa il Monte Nuovo (lettera Q della didascalia).

La terza è la tavola 26 di Campi Phlegraei di William Hamilton, Fabris, Napoli, v. II, 1776 (http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k1082424.r=william+hamilton.langEN).

5

La quarta è tratta da Earthquake-Phenomena, in Popular Science Montley (marzo 1873), Appleton & C., New York, v. II, p. 515 (https://archive.org/details/popularsciencemo02newy).

La quinta è tratta da Principles of geology, di Clarles Liell, 12° edizione, Murray, Londra, 1875 (http://archive.org/stream/principlesgeolo19lyelgoog#page/n9/mode/1up). Ho evidenziato con la circonferenza rossa il Monte Nuovo (n. 5 nella didascalia). Il lettore noterà subito come questa tavola sia derivata da quella del 1776 dell’Hamilton.

La sesta, tratta da http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/04/MonteNuovoTW3028.JPG, mostra, infine, lo stato attuale dei luoghi.

___________

1 https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/01/12/leruzione-del-vesuvio-del-1631-nella-poesia-di-un-salentino-e-di-un-napoletano-con-una-sorpresa-finale/ e http://www.vesuvioweb.com/it/2015/01/leruzione-del-1631-nella-poesia-di-un-salentino-e-di-un-napoletano/

2 Lo desumo dalle date della prima e dell’ultima pubblicazione fin qui rinvenute: Giovanni Gallucci,  Utile instruttioni et documenti per qualsevoglia persona ha da eliger officiali circa il regimento de populi. E ancho per officiali serranno eletti. E Universitate che serranno da quelli gubernate e colle rite della Vicaria è (sic) pragmatice vlgare (sic), se vendono alla libraria de m. Marco Antonio Passaro allo Episcopato, Giovanni Sultzbach, Napoli, 1534; Paolo Regio, Siracusa pescatoria, Gio De Boy, ad istanza de Marcantonio Passaro, Napoli, 1569.

3 Notizie più dettagliate e documentate in Romano Canosa, Storia dell’Inquisizione in Italia: Napoli e Bologna, Sapere 2000, Roma, 1990, pp. 71-72.

4 Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, s. n., Napoli, 1752, tomo III, parte II, pp. 68-70 (https://books.google.it/books?id=-1pDjf-jXksC&printsec=frontcover&dq=editions:yDTnfHb8_WwC&hl=it&sa=X&ei=V4quVOX2E5HraPnxgtAC&ved=0CCAQ6AEwAA#v=onepage&q&f=false).

5 https://books.google.it/books?id=WIM5AAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=I+tre+rarissimi+opuscoli+di+Simone+Porzio,+di+Girolamo+Borgia+e+di+Marcantonio+Delli+Falconi&hl=it&sa=X&ei=2YquVPv-DYjZasnlgoAC&ved=0CCkQ6AEwAA#v=onepage&q=I%20tre%20rarissimi%20opuscoli%20di%20Simone%20Porzio%2C%20di%20Girolamo%20Borgia%20e%20di%20Marcantonio%20Delli%20Falconi&f=false

6 Non nel senso, oggi dominante, di strane se non ridicole, ma in quello di dettate da profonda curiosità scientifica, ricche di dettagli descrittivi e perciò interessantissime.

7 La sua pubblicazione vulcanologica più nota è Campi Phlegraei uscita a Napoli in due volumi per i tipi di Fabris nel 1776; un supplemento sull’eruzione del Vesuvio del 1779 uscì in quell’anno per lo stesso editore.  Un’immagine, tratta dal secondo volume, verrà riprodotta più avanti.

8 Chi ne abbia interesse può consultare il testo del Gibelin, Stella, Venezia,  1793, tomo I, pp. 151-170 all’indirizzo https://books.google.it/books?id=y8E3HsSYdYAC&printsec=frontcover&dq=editions:Tz8GhvL4HucC&hl=it&sa=X&ei=6JOuVILCIpbjauqZgNgI&ved=0CCoQ6AEwAg#v=onepage&q&f=false.

L’eruzione del Vesuvio del 1631 nella poesia di un salentino e di un napoletano, con una sorpresa finale …

di Armando Polito

L’eruzione del 1631 in un’incisione di Nicolas Perry; tavola tratta da Francesco Balzano, L'antica Ercolano, overo La Torre del Greco, tolta all'obblio, Paci, Napoli, 1688
L’eruzione del 1631 in un’incisione di Nicolas Perry; tavola tratta da Francesco Balzano, L’antica Ercolano, overo La Torre del Greco, tolta all’obblio, Paci, Napoli, 1688

Forse l’argomento scelto è solo un pretesto, sentimentalmente sano, per ribadire un consolidato gemellaggio1. Sui danni che il Vesuvio, croce e delizia di Napoli e suo simbolo nel bene e nel male, fece in quel fatidico anno 1631 e sull’ampia letteratura in materia rinvio il lettore al blog al quale resterò sempre affettuosamente legato perché fu il primo a tenermi a battesimo sul web, Vesuvioweb, dove questo post esce in contemporanea con il blog della Fondazione Terra d’Otranto, con la quale ho l’onore, ormai da parecchio tempo, di una stabile collaborazione. All’indirizzo http://www.vesuvioweb.com/it/?s=1631 troverà una serie di lavori, l’uno con un taglio diverso dall’altro, la cui lettura  varrà a soddisfare ogni curiosità. Prima di iniziare, però, dal momento che i creatori e responsabili non lo farebbero per pudore nemmeno sotto tortura, debbo far notare a chi ci segue che un dettaglio per me importantissimo contraddistingue l’uno e l’altro blog: l’assenza totale di qualsiasi sponsor, come di qualsiasi retribuzione per i collaboratori, il che è garanzia di totale liberazione reciproca da ogni condizionamento, anche il più innocente. Così, dopo aver messo al sicuro le gemme nella scarpa da dove  altri, se conservano un minimo di rispetto per se stessi, spesso sono costretti a togliersi il classico sassolino, comincio.

Il poeta salentino (del napoletano dirò, estesamente, dopo) è Giuseppe Battista nato a Grottaglie in provincia di Taranto l’11 febbraio 1610 e morto a Napoli il 6 marzo del 1675. Ecco due suoi ritratti.

Il primo è un’incisione di anonimo, tavola a corredo di Lettere di Giuseppe Battista, opera postuma, et ultima, estratte alla luce da Simon-Antonio Battista nipote dell’Autore, Combi & La Noù, Venezia, 1678.

Il secondo ritratto, probabilmente derivato dal primo, è una tavola a corredo di Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, tomo III, Gervasi, Napoli, 1816. Vi si legge Morghen inc., ma l’assenza del nome e la qualità del manufatto mi fanno pensare, nonostante la compatibilità cronologica, che autore non sia Raffaello Morghen (1758-1833) ma uno della sua scuola, forse il fratello  Antonio che era stato uno dei suoi allievi all’Accademia di belle arti a Firenze, della quale Raffaello era stato nominato maestro d’incisione sin dal 1803.

Da notare Terra di Grottaglie Prov. di Lecce, errore giustificabile solo in parte con la posizione di Grottaglie quasi sul confine tra le provincie di Taranto e Brindisi.

Credo, tuttavia, per motivi cronologici che entrambi abbiano assunto a modello la tavola, di anonimo, che è a corredo di Lorenzo Crasso, Elogi d’huomini letterati, Combi e La Noù, Venezia, 1666, p. 3342:

Le poesie che ora riporterò in formato immagine, con a fronte la trascrizione per agevolarne la lettura e in calce le mie note di commento, sono due sonetti facenti parte della raccolta Delle poesie meliche, quarta parte, Abbondio Manafoglio e Valentino Mortali, Venezia, 1665 (di seguito il frontespizio).

Nel 1631 il Battista aveva 21 anni ed è difficile, direi impossibile senza il supporto di qualche altro documento, per esempio una lettera, individuare la data, sia pure approssimativa, di composizione dei due sonetti nell’ampio intervallo cronologico 1631-1665. Per quel che può contare la mia opinione personale: pensando alle movenze enfatiche tipiche dello stile barocco ed al loro modico impiego da parte del grottagliese3, pensando al clima tragico (non mi azzardo a dire quanto sincero …) dominante in altri poeti che cantarono l’evento pure per loro contemporaneo (evento che, va detto, era diventato quasi un argomento da salotto, un obbligo cui nessuno di loro poteva sottrarsi …) c’è da pensare che nel momento in cui egli scrisse i due componimenti l’esperienza era stata già per gran parte metabolizzata.

6

Le due variazioni sul tema appena lette appaiono accomunate, oltre che dal consueto bagaglio mitologico in ossequio al gusto letterario dell’epoca, da uno stile ancora libero dai fragori e dagli eccessi che di lì a poco esploderanno e improntato ad un’estrema coerenza, diremmo oggi, ideologica, perché in entrambi l’evento catastrofico viene inteso (mandando, più o meno inconsapevolmente, all’aria il concetto cristiano di Dio somma bontà) come uno strumento della giustizia divina che, con l’annientamento violento, sia pure per cause naturali, fa pagare all’uomo i suoi peccati.

Siffatta interpretazione è una costante in tutti coloro che in quel periodo cantarono la catastrofe. Mi piace, però, ricordare Giambattista Basile (1566-1632) che in uno stile più sobrio (non a caso precede il Battista di una generazione abbondante) e con una visione più “laica” (non è scomodato nessun dio, né pagano né cristiano) dedicò all’evento tre sonettiche furono pubblicati in Rime d’illustri ingegni napoletani, raccolte dal dottor Gio. Domenico Agresta insieme con le sue rime, et coll’argumenti d’un verso, in fronte di ciaschedun componimento. Date in luce dal sig. D. Gioseppe Macrino, Ciera, Venezia, 1633. Del testo, stando ai dati OPAC, si conservano solo due esemplari, uno a Napoli nella Biblioteca della Società napoletana di storia patria, l’altro a  Gubbio nella Biblioteca comunale Sperelliana. La speranza di trovare in rete il testo digitalizzato è andata delusa5 ma la stessa rete mi è venuta in soccorso consentendomi dapprima di recuperare il testo di uno dei tre sonetti6. E qui la storia della letteratura s’intreccia con quella della musica ed entra in campo Michelangelo Rossi (1602-1656). Dei madrigali a cinque voci che egli compose sopravvivono solo i primi due libri  in due manoscritti (University of California, Berkeley Music Library – MS 176 e Oxford, Bodleian Library – Tenbury MS 1160). La sedicesima composizione del secondo libro dal titolo Mentre d’ampia voragine tonante ha come testo proprio quello di uno dei tre sonetti ricordati del Basile. Come faccio a saperlo? Semplice, è bastato usare il mio jet privato e fare una capatina a Berkeley. Poi, siccome sono un tipo molto pignolo, mi son recato pure ad Oxford per dare una controllatina (quella che i filologi pomposamente chiamano collazione). Naturalmente, insieme con la collazione ho fatto pure colazione nel migliore ristorante che ciascuna città potesse vantare. Non ci crede nessuno per il fatto che mi sarebbe stato più facile recarmi a Gubbio o, ancora più facile, a Napoli? Oppure per la mia innata idiosincrasia per i viaggi (esclusi, beninteso, quelli con la fantasia) o per il fatto che non mi sarei potuto permettere un jet privato neppure se in più di trent’anni di carriera (?) ad ogni mio allievo, dal più bravo al meno, avessi chiesto, proporzionalmente, del denaro in cambio della promozione? Niente di tutto questo. Con un po’ di fiuto e di quella il cui nome è usualmente e icasticamente sostituito  con quello che identifica le parti basse posteriori, ho trovato grazie alla rete ciò che cercavo in Brian Mann, The madrigals of Michelangelo Rossi, University of Chicago, 2002, v. 10, p. 527:

E siamo giunti alla sorpresa finale del titolo. Qualcuno probabilmente la considererà come il solito annuncio fatto con lo stesso intento miserabile con cui i detentori del potere fanno quasi quotidianamente da qualche anno a questa parte i loro; con la differenza, si dirà, che nel mio caso non è in ballo il consenso elettorale ma qualche lettore o, come oggi si dice, qualche contatto in più. Non perdo tempo a difendere la mia, presunta da me o reale, buonafede; rendo partecipe il lettore di quella che mi sembra una straordinaria coincidenza.

Il primo è il ritratto già visto del Battista; il secondo è quello del Basile, tavola (tratta da http://www.e-rara.ch/doi/10.3931/e-rara-8289) a corredo del poema Teagene uscito postumo nel 1637, su disegno di Giovan Battista Caracciolo (1578-1635) e incisione di Nicolas Perrey, uno dei più famosi incisori attivi a Napoli nel XVII secolo, autore, fra l’altro, delle tavole di Theatrum omnium scientiarum, Mollo, Napoli, 1650 (http://books.google.it/books?hl=it&id=CzZm0vJz8PAC&q=lll#v=onepage&q&f=false). Ricordo che del Perry è anche l’immagine di testa di questo post e anche il frontespizio di parecchi volumi di argomento religioso tra cui Vita, e miracoli di S. Gregorio arcivescovo e primate d’Armenia, Scoriggio, Napoli, 1655. Non vorrei che si pensasse che sia stato solo il campanilismo a spingermi a ricordare questo titolo, visto che San Gregorio Armeno è il patrono di Nardò, in cui risiedo da quando avevo pochi mesi, perché famosa in tutto il mondo è pure l’omonima via di Napoli, la strada degli artigiani del presepe).

Tenendo conto solo del volto non trovate, naso aquilino a parte del Battista, una certa rassomiglianza tra il grottagliese e il napoletano? Bel gemellaggio fisico-letterario, anche se più di una generazione separa i due. E che dire della coincidenza G(iuseppe) B(attista) e G(iambattista) B(asile)? Meglio smetterla qui …

________

http://www.vesuvioweb.com/it/?s=taluernu e https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/14/lu-taluernu-ovvero-dalla-lamentazione-funebre-ad-un-tipo-assillante/

http://www.vesuvioweb.com/it/?s=dal+gomitolo e https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/12/11/dal-gomitolo-alla-poesia-passando-per-la-cucina-senza-trascurare-il-parrucchiere-in-una-parola-lu-gnummarieddhu/

http://www.vesuvioweb.com/it/?s=fatti+e+misfatti e https://www.fondazioneterradotranto.it/2014/06/26/la-cupeta-tosta-fatti-e-misfatti/

2 Avvocato e letterato napoletano della seconda metà del secolo XVII. Oltre a celebrare il Battista in uno degli elogi dell’opera citata fece murare nella chiesa di S. Lorenzo Maggiore in Napoli, dove vicino la porta minore il grottagliese fu sepolto, la seguente epigrafe: IOSEPHO BAPTISTAE/PHILOSOPHO THEOLOGO ORATORI ET POETAE/NOSTRAE AETATIS CLARISSIMO/VIRO MAXIMO ET INCOMPARABILI/MAXIMUM INCOMPARABILIS AMICITIAE TESTIMONIUM/LAURENTIUS CRASSUS B. P./ANNO MDCLXXV/DIE X MARTII

3 Non condivido, perciò, ripromettendomi in un prossimo lavoro di dimostrarne, con riferimenti testuali precisi, l’eccessiva severità, il giudizio di Giovanni Mario Crescimbeni che in L’istoria della volgar poesia, Chracas, Roma, 1698, a p. 163 scrive: Tutto vago della turgidezza non fa pompa d’altro che di traslati arditissimi, d’iperboli gagliardissime, di voci nuove, e risonanti, di spessi superlativi, e di continua erudizione, di maniera che in questo affare si crede universalmente non esservi stato alcuno che l’abbia emulato, massimamente se si guardano i suoi Epicedi, ove diffuse con maggior abbondanza i suoi mentovati ornamenti.  Ma questa scuola anch’essa molto piacque al secolo; ed infiniti ingegni si perderono per farne acquisto.  La dose successivamente fu rincarata da Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, s. n., Venezia, 1796, tomo VIII, parte II, p. 757: … fu cattivo poeta, che tutti riunì in se stesso i vizi del secolo, ma fu buon precettore. 

4 Furono probabilmente gli ultimi versi che scrisse, per quanto sarà detto  in nota 6 .

5 D’altra parte Benedetto Croce a p. LXI dell’opera che cito nella nota successiva scriveva in nota 1: Due di questi sonetti furono stampati nella Scelta di poesie nell’incendio di Vesuvio fatta dal SIg. Urbano Giorgi, Segretario dell’Ecc.mo Conte di Conversano; ded.ta al cardinal Antonio Barberini (in fine: Roma, MDCXXXII), pp. 41-2. Tutti e tre nelle Rime di illustri ingegni nap., pp. 133, 135-6. Debbo l’aver potuto vedere questi rari volumetti, conservati nella Bibl. Del Club Alpino, alla cortesia del cav. Luigi Riccio.

6 In rete ho recuperato anche il testo di un altro sonetto citato da Benedetto Croce come un bello, anzi un brutto saggio del più puro seicentismo in Lo cunto de li cunti (il Pentamerone) testo conforme alla prima stampa del 1634-1636 nel volume L della Biblioteca napoletana di cultura e storia, Napoli, 1891, pp. LX-LXI:

Con vomero di foco, alto stupore/mostruoso arator solca il terreno,/e il seme degl’incendii accolto al seno/vi sparge, e ‘l riga di fervente umore./E, quindi, a fecondarlo, in rapid’hore,/di cenere ben ampio, il rende pieno;/onde, quanto circonda il mar Tirreno,/messe raccoglie di profondo horrore./Ma, se danno produce a noi mortali/cotanto aspro Vesevo; ond’ogni loco/arde, né scampo ei trova in mezzo al verno,/pur raccoglier ne giova in tanti mali/dal cener sparso, e dal versato foco,/membranza de la Morte, e dell’Inferno.

A proposito dell’eruzione del 1631 subito dopo il Croce aggiunge: Ma “erano appena terminati i flagelli dell’incendio, – dice un cronista -, quando il giusto Dio, scorgendo, che non erano ancora emendati, volle darli altra sorte di gastigo, poiché insorse un male di canna così crudele e contagioso, che parve peste, del quale in pochi dì morsero infinite genti!”. Morirono anche moltissimi dell’aristocrazia; e “tuttavia ne van morendo dì per dì, – seguita il cronista -, e ne sono morti di subito D. Giovanni d’Aquino, Principe di Pietralcina, e Giovan Battista Basile, dei primi poeti di questo tempo, e Gio. Girolamo di Tomaso, medico assai celebre”. Le due parti virgolettate rinviano ad una nota dove si legge: Bucca, Aggiunta, ms. c, sub febbr. 1632.

Sempre la rete mi ha consentito, infine, di recuperare il testo dell’ultimo sonetto, che trascrivo da una tesi (pp. 164-165) di dottorato di ricerca di Elisa Castorina (Università Federico II di Napoli), integralmente leggibile in http://www.fedoa.unina.it/3220/1/Vesuvi_Ardenti_CASTORINI.pdf, lavoro il cui pregio non è minimamente scalfito da alcuni refusi tipografici fra cui nel testo che ci interessa spicca, molto simpaticamente, Fetente per Fetonte …

Rispetto agli altrui due in quest’ultimo sonetto l’evento del 1631 rappresenta solo un pretesto per cantare la durezza del cuore di una donna che, a differenza del Vesuvio, non si è sciolta: Bella donna real, che al viso porte/le fiamme a incenerirne accese, e pronte;/fiamme, che rinovar già di Fetonte/mille volte ne’ cor l’acerba morte./Fiamme, onde fassi, e più possente, e forte/opre a mostrarne amor leggiadre, e conte/del vasto ardor, che dal sen versa un monte,/movi tremante il piè, le guance smorte./Ah dove? Ove ne vai?, che tu non spiri/foco maggior da l’amorose luci/ A far de l’alme altrui dolente gioco./ Ogni parte è Vesuvio, ove t’aggiri; temi tu le ruine, e’l rischio adduci;/l’incendio fuggi, e teco traggi il foco.

https://books.google.it/books?id=uFCwJF1MEtUC&pg=PA52&dq=mentre+d%27ampia+voragine+tonante&hl=it&sa=X&ei=aFmZVM6HOYmwUcSDgKgL&ved=0CCAQ6AEwAA#v=onepage&q=mentre%20d’ampia%20voragine%20tonante&f=false. Il testo è riportato anche da Luigi Molinaro Del Chiaro con il titolo Al peccatore nell’incendio del Vesuvio nel periodico Giambattista Basile: archivio di letteratura popolare e dialettale, Forni, Bologna, 1907, vv. 9-11, p. 194, con le seguenti varianti: al v. 4 campi per prati, al 12 temi per tremi e nei quattro versi finali assenza dei punti interrogativi. Segnalo, inoltre, a chi ne avesse interesse (e gli sarei grato se mi facesse conoscere il suo parere) il link http://grooveshark.com/#!/album/La+Poesia+Cromatica+Di+MIchelangelo+Rossi+Huelgas+Ensemble/8019343, dove è possibile ascoltare l’esecuzione del madrigale.

Pezza Petrosa e il fascino di una vexata quaestio: “Della patria di Quinto Ennio"

Quinto Ennio

 Si è tenuta il 20 aprile scorso a Villa Castelli, in una sala consiliare affollata e particolarmente interessata, la presentazione del volume di Pietro Scialpi: “Il Parco Archeologico di Pezza Petrosa a Villa Castelli” (Edizioni Pugliesi, Martina Franca 2011).

La manifestazione, organizzata dall’Assessorato  alle Politiche Culturali – Ufficio Cultura e Turismo, in collaborazione con la Pro Loco di Villa Castelli, con l’Archeoclub di Bari e il Touring Club Italiano – Corpo Consolare della Puglia,  è stata preceduta  da una visita guidata a Visita al Parco Archeologico di Pezza Petrosa e al locale Museo Civico che accoglie numerosissimi reperti del sito archeologico.

Dopo i saluti del sindaco Francesco Nigro e dell’assessore Rocco Alò e alla presenza dell’Autore, il prof.  Rosario Quaranta, della Sezione tarantina  della Società di Storia Patria, ha tenuto una relazione che qui, in parte, si riporta.

  

“PEZZA PETROSA”: L’ANTICA CITTÀ SENZA NOME TRA GROTTAGLIE E VILLA CASTELLI

 

di Rosario Quaranta

 

La Rudia Tarentina, segnata nei pressi di Grottaglie, in una carta dell’Ortelio del 1601

“Lungo la strada che da Villa Castelli porta a Grottaglie in contrada “Pezza Petrosa” riposa, ancora chiusa nel mistero archeologico, una vasta e ricca zona di ruderi che, per alcuni studiosi sarebbero i resti di RUDIA TARANTINA, patria del poeta latino Quinto Ennio. La zona, disseminata di ruderi, tombe e di frammenti ceramici, con resti di mura ciclopiche e di una

Mostra sulle Seicentine di Giuseppe Battista da Grottaglie

di Cosimo Luccarelli

Nelle sale adiacenti all’ingresso della Casa natale di San Francesco de
Geronimo in Via Spirito Santo(le vecchie  scalelle)- Centro Storico
Grottaglie – una Mostra sulle “Seicentine” del poeta grottagliese
Giuseppe  Battista
.
A Giuseppe Battista, poeta barocco, di cui ricorre il quarto centenario
della nascita, è dedicata una mostra bibliografica che raccoglie testi
pregiati in originale risalenti al 1600 e in anastatica oltre ad alcuni
libri di autori che hanno scritto e antologizzato le opere di Giuseppe
Battista. L’iniziativa è organizzata dal Centro Studi e Ricerche
Francesco Grisi e dai Padri Gesuiti di Grottaglie. Si tratta di una mostra
originale che pone in essere un preciso percorso che è quello non solo definito già nelle ricerche strutturate nel Progetto del Centro Studi “Francesco  Grisi” ma si enuclea in un modello di partecipazione sia dal punto di vista di una metodologia educativa che in una proposta rivolta alla conoscenza del poeta e della poesia del Seicento.

All’inaugurazione della mostra, fissata per Martedì 30 marzo 2010 – ore 19.00,  nelle sale adiacenti all’ingresso della casa natale del Santo Gesuita, via Santo Spirito 54 (stradina che costeggia il Santuario), interverranno Padre Salvatore Discepolo S.I. , Arcangelo Fornaro, Roberto Burano, Ciro De Roma, don Cosimo Occhibianco. La testimonianza critico – letteraria è affidata a Pierfranco Bruni mentre i lavori saranno coordinati dal giornalista della Rai Salvatore Catapano.

La mostra ha lo scopo, appunto” di “mostrare” visivamente i libri del
Battista in un itinerario di bibliografia ragionata con lo scopo di avvicinare il
pubblico a prendere contatto con il materiale.

Alcune seicentine, oltre a illustrarsi con il loro reale valore, definiscono la struttura del testo poetico, con la loro forma e la loro legatura, adottato dall’editoria “battistiana”. Importante la collaborazione, in questo senso, tra il Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi” e i Padri Gesuiti di Grottaglie, le
cui sinergie non solo hanno permesso questa manifestazione ma sancisce
l’avvio per ulteriori attività culturali. Una mostra, questa di Grottaglie, che
legge il percorso editoriale di Giuseppe Battista (1610 – 1675)
attraverso alcuni originali, le “seicentine”, che penetrano il tessuto editoriale di un Seicento che si racconta non attraverso una visione ideologica ma grazie ad una interpretazione estetica dentro la quale Giuseppe Battista
costituisce un riferimento non solo per il barocco italiano ma per il barocco tra Spagna e Francia. Nel corso della serata si potranno ascoltare musiche barocche con particolari illustrazioni di filmati oltre a trasmettere il video
realizzato dal Centro Studi “Francesco Grisi” dedicato completamente a Giuseppe Battista e il Barocco, andato in onda su RAI UNO.  In allegato la
locandina che vale come invito.

Si ringrazia la Biblioteca Comunale di Tuglie per questa ed altre segnalazioni.

La Fondazione Terra d'Otranto, senza fini di lucro, si è costituita il 4 aprile 2011, ottenendo il riconoscimento ufficiale da parte della Regione Puglia - con relativa iscrizione al Registro delle Persone Giuridiche, al n° 330 - in data 15 marzo 2012 ai sensi dell'art. 4 del DPR 10 febbraio 2000, n° 361.

C.F. 91024610759
Conto corrente postale 1003008339
IBAN: IT30G0760116000001003008339

Webdesigner: Andrea Greco

www.fondazioneterradotranto.it è un sito web con aggiornamenti periodici, non a scopo di lucro, non rientrante nella categoria di Prodotto Editoriale secondo la Legge n.62 del 7 marzo 2001. Tutti i contenuti appartengono ai relativi proprietari. Qualora voleste richiedere la rimozione di un contenuto a voi appartenente siete pregati di contattarci: fondazionetdo@gmail.com.

Dati personali raccolti per le seguenti finalità ed utilizzando i seguenti servizi:
Gestione contatti e invio di messaggi
MailChimp
Dati Personali: cognome, email e nome
Interazione con social network e piattaforme esterne
Pulsante Mi Piace e widget sociali di Facebook
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Servizi di piattaforma e hosting
WordPress.com
Dati Personali: varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio
Statistica
Wordpress Stat
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Informazioni di contatto
Titolare del Trattamento dei Dati
Marcello Gaballo
Indirizzo email del Titolare: marcellogaballo@gmail.com

error: Contenuto protetto!