Tra fede e tradizione: un volume sulle Confraternite della diocesi di Nardò-Gallipoli

 

di Alessio Stefàno

Nel noto Dizionario di erudizione storico ecclesiastica di Gaetano Moroni Romano (1842), una “Confraternita” (o Sacrum sodalitiu, Sacra sodalitas) viene definita come «società, e adunanza di persone divote stabilite in alcune chiese, o oratorii per celebrare alcuni esercizi di religione, e di pietà, o per onorare particolarmente un mistero, od un santo, non che per esercitare uffici caritatevoli»[1].

Le Confraternite, per mezzo delle quali «si ricavò gran profitto spirituale da ogni classe di persone, particolarmente dai laici», si distinguono tra loro «per colore, e per la forma dell’abito de’ confrati, pegli statuti e regole che osservano, per le chiese e i cimiteri che hanno, per le processioni e opere di pietà che eseguiscono».

Specie in alcune aree dell’ecumene cristiana occidentale, il fenomeno delle Confraternite risulta ancor oggi molto vivo, e risulta coinvolgere in parte attiva un gran numero di persone, le quali attraverso tali forme di aggregazione ricevono l’opportunità di vivere in maniera più profonda e partecipativa la vita religiosa nella propria comunità. Com’è noto, il Meridione e la Puglia, ma in particolar modo il Salento, rappresentano ancora oggi delle aree in cui tale realtà appare quanto mai diffusa e radicata, e dal fenomeno la stessa Diocesi di Nardò-Gallipoli appare essere tutt’altro che esente. Anzi, si potrebbe dire che ancora oggi, qui più che in altri luoghi, il fenomeno confraternale incide vivacemente nella vita e nelle vicende della comunità ecclesiale locale.

Mosse da tale consapevolezza – ma anche dal fatto che la funzione delle Confraternite oggi si esplica anche nell’ambito della valorizzazione del patrimonio culturale, materiale e immateriale – molte pie associazioni, specie negli ultimi decenni, hanno sentito la preoccupazione di mettere per iscritto la loro storia, con lo scopo di offrire ai propri aderenti ed alle città che le ospitano una realistica ed esaustiva narrazione delle loro origini, nonché delle peculiari forme in cui si andavano a declinare gli aspetti devozionali.

In questa rinnovata temperie di “riscoperta delle origini” mancava tuttavia un’opera organica che andasse a render conto della varietà e della ricchezza di queste associazioni di fedeli che per secoli hanno avuto un forte impatto nella vita religiosa locale. Da qui, l’esigenza di un volume che andasse a racchiudere una qualificata e organica trattazione sulla storia e sulle vicende delle confraternite della diocesi di Nardò-Gallipoli.

L’idea è stata maturata e sviluppata nel corso di ben due anni in seno all’Ufficio Diocesano delle Confraternite, con il plauso e l’incoraggiamento del Vescovo e dell’Ufficio Diocesano per i Beni culturali. Ha preso così avvio un esteso studio, che si è avvalso del contributo di ben 54 autori i quali, con rigore metodologico e attraverso l’ausilio delle fonti conservate negli archivi confraternali, parrocchiali, diocesani e dell’Archivio di Stato di Lecce, si sono preoccupati di ricostruire le vicende di ciascuna delle 55 confraternite presenti nei sedici comuni della diocesi, dalle origini sino ai nostri giorni, studiandone gli indirizzi comuni e le attività prevalenti, l’abito e il gonfalone, le azioni cultuali di rilievo. Particolare attenzione è stata inoltre data al patrimonio artistico custodito nei rispettivi oratori, documentando opere di grande pregio, molte delle quali poco note o del tutto sconosciute.

Dal paziente e corale lavoro, mirabilmente coordinato e curato da Marcello Gaballo e Fabio Cavallo, ha visto la luce un corposo e importante volume – ben 650 pagine! – intitolato “Tra fede e tradizione. Le Confraternite della diocesi di Nardò-Gallipoli”, pubblicato dall’editore Claudio Grenzi di Foggia, ed inserito come quinto numero della Collana “Analecta Nerito Gallipolitana”. Un prodotto di pregio, ricchissimo di illustrazioni e fotografie, appositamente realizzate o messe a disposizione da 24 fotografi, cui si sono affiancati vari collezionisti da ogni parte d’Italia.

Ma l’importanza del volume risiede anche nel fatto che questo costituirà un fondamentale punto di partenza, una tappa obbligata insomma, per ogni studio successivo che voglia occuparsi delle singole Confraternite e del fenomeno nel suo complesso. Con questo studio «si apre insomma un tracciato di ricerca che si presenta assai promettente e che ci si augura che possa appassionare una larga schiera di addetti ai lavori»[2].

Il volume, inoltre, si inserisce senz’altro nella vivace temperie di promozione dello spirito sinodale che la Chiesa dei nostri giorni va riscoprendo, con il recupero, in particolare, di due istanze che stanno alla radice del fenomeno confraternale, ma che restano di assoluta attualità: quella spirituale e quella sociale[3].

Alla fine del suo messaggio introduttivo al libro il Vescovo mons. Fernando Filograna esprime l’auspicio che ancora oggi le Confraternite possano rappresentare «scuole di fede popolare, fucine di santità, luoghi di recupero di identità ed autenticità, bagaglio di tradizioni» e possano rispondere, «con creatività e coraggio, alle urgenze del nostro tempo». E si può dire che sono senz’altro questi gli intenti che hanno portato allo sviluppo della ricerca e alla nascita di questo pregevole volume.

Il libro verrà presentato mercoledì 18 ottobre 2023 a Tuglie, nell’oratorio “Mons. Tramacere”, alle ore 19, da Mons. Domenico Giacovelli, Vicario episcopale per la Cultura della Diocesi di Castellaneta. Modererà Mons. Giuliano Santantonio, Vicario generale della diocesi di Nardò-Gallipoli, mentre i saluti istituzionali e le conclusioni saranno affidate al Vescovo Mons. Fernando Filograna e al Diacono Luigi Nocita, direttore dell’ufficio diocesano per le confraternite.

 

Note

[1] G. Moroni Romano, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica, Vol. XVI, Venezia, Tipografia Emiliana, 1842, pp. 117-ss.

[2] Dalla premessa al volume di Mons. Giuliano Santantonio, Vicario Generale della Diocesi di Nardò- Gallipoli e Direttore dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi.

[3] Ibid.

Libri| Racale in età feudale

 

Lunedì 12 settembre, alle ore 19.30, il prof. Mario Spedicato, con la moderazione di Paola Ria, presenterà nella biblioteca Comunale di Racale il volume di Antonio Sebastiano Serio Racale in età feudale.Territorio vassalli utili signori fra XI e XVIII secolo, a cura di Marcello Gaballo, Claudio Grenzi Editore, inserito nella Collana Analecta Nerito-Gallipolitana.

Antonio Sebastiano Serio non è nuovo a simili imprese editoriali: oltre al volume Racale. Note di storia e di costume, di cui è stato co-autore Giuliano Santonio, ha pubblicato uno studio di grande interesse sulla Chiesa di S.Maria La Nova a Racale e, di recente, Casarano nel Tardo Medioevo.

Racale in età feudale è un volume di ben 900 pagine, frutto di accurati studi tra archivi locali e nazionali, che ha richiesto buona parte della vita dell’Autore che – come scrive don Guliano Santantonio nell’Introduzione – con “questo volume offerto alla pubblica fruizione, è un atto di amore alla sua città natale, che ha dapprima servito come amministratore e che poi ha voluto conoscere fino in fondo scavando lungamente e indagando faticosamente nei meandri spesso oscuri della sua parabola storica. Ognuno si potrà facilmente rendere conto che si è trattato di un’impresa a dir poco ciclopica, che ha richiesto più di quarant’anni di ricerca e che lascia un segno indelebile nella storia di Racale e costituisce per questa città uno straordinario valore aggiunto: nessuno potrà in seguito ignorare questo basilare e imprescindibile lavoro. Lo dico non certo per piaggeria, di cui non vedo quale potrebbe essere per me il vantaggio, e senza esagerazione, ma a ragion veduta: chi ha contezza di cosa significhi raccogliere, interpretare e raccontare in modo veritiero e imparziale ciò che fa la storia di un luogo, me ne darà conferma”.

L’incredibile supporto bibliografico, il numero di note, i rimandi documentari tratti dall’Archivio di Stato di Napoli e di Lecce e l’analisi puntigliosamente scientifica delle fonti, , ne fanno un’opera davvero straordinaria e – scrive sempre Santantonio – “non sono molti i centri abitati che, al di là di improbabili e fantasiose congetture prive di riscontri e quasi sempre mosse da spirito campanilistico, possono vantare una ricostruzione della propria vicenda storica nel corso del II millennio (fino all’abolizione del feudalesimo) così completa, dettagliata e suffragata da fonti documentali di assoluta attendibilità, come quella che ci viene consegnata attraverso il poderoso volume Racale in età feudale… 

Un altro elemento di pregio che spicca in questo lavoro è che l’autore non si è accontentato di indagare le figure di rilievo sul piano socio-politico, ma ha provato a trarre fuori dall’oblio nomi, volti, vicende di quante più persone è stato possibile e che nel corso del tempo hanno costituito la comunità racalina, restituendo loro un’identità che, pur nell’umiltà del lignaggio, ha contribuito a costruire quel patrimonio immateriale di valori, di stili di vita, di esperienze, che tramandato di generazione in generazione rappresenta la tradizione peculiare e distintiva di un paese come Racale. E’ come dire che una storia fatta solo dai “grandi” mancherebbe di completezza e non basterebbe per dare piena ragione degli sviluppi che ne sono conseguiti.  Per altro canto, è un modo per certi versi nuovo e sicuramente suggestivo quello di narrare la storia non come fredda sequenza di fatti, ma come attenzione alle persone, al loro vissuto, ai loro sentimenti, alle loro relazioni e alle vicende che le hanno caratterizzate: ne viene fuori un afflato di umanità, capace di restituire sensazioni ed emozioni, che sono poi il filo rosso che collega tra loro le generazioni che si succedono, promuovendo il senso di appartenenza e di radicamento in un luogo…”.

Questo è il ricco piano dell’opera, attraverso i titoli dei 35 capitoli:

CAPITOLO I. Le origini
CAPITOLO II. L’età normanno-sveva e i feudatari della famiglia de Tallia
CAPITOLO III. Feudatari la cui Signoria è documentata da un falso della storiografia del XVII secolo (Guglielmo Bonsecolo), o da dati problematici (Guglielmo Pisanello), o da equivoci storiografici (De Monti e Malaspina)

CAPITOLO IV. Le figlie di Agnese de Tallia e l’avvento nel Regno di Carlo
d’Angiò

CAPITOLO V. L’età primoangioina e la divisione in due quote della terra dei de Tallia

CAPITOLO VI. La famiglia di Pietro de Marra

CAPITOLO VII. Risone II de Marra, II Signore di Racale

CAPITOLO VIII. Pietro II e Risone III de Marra, III e IV Signore di Racale

CAPITOLO IX. Giovannuccio de Marra, V Signore di Racale

CAPITOLO X. Giovannotto de Marra, VI Signore di Racale

CAPITOLO XI. Riccardo de Marra, VII e ultimo Signore di Racale

CAPITOLO XII. La famiglia di Riccardo de Marra

CAPITOLO XIII. Bucio Tolomei de Senis e l’insediamento su Racale di una nuova famiglia di feudatari

CAPITOLO XIV. Salvatore Tolomei de Senis e la sua famiglia

CAPITOLO XV. Racale ai tempi di Salvatore Tolomei de Senis

CAPITOLO XVI. Buccio e Marcantonio Tolomei: la conquista ottomana di Otranto e veneziana di Gallipoli

CAPITOLO XVII. Bindo Tolomei e la conquista spagnola del Regno

CAPITOLO XVIII, Alfonso Tolomei e la scomparsa dell’antica chiesa matrice
di S. Giorgio

CAPITOLO XIX. Porzia Tolomei contessa di Potenza

CAPITOLO XX. La terra ai tempi della Signoria di Porzia Tolomei

CAPITOLO XXI. La popolazione nel XVI secolo

CAPITOLO XXII. I feudatari della fine del XVI

CAPITOLO XXIII. I Cappello feudatari di Racale fra fine XVI e inizio XVII secolo

CAPITOLO XXIV. Il clero tra XVI e XVII secolo: rissosità, litigi e bravate nei regesti
dei processi del tribunale ecclesiastico diocesano

CAPITOLO XXV. Ferrante Beltrano conte di Mesagne e Signore di Racale

CAPITOLO XXVI. Racale al tempo di Ferrante Beltrano

CAPITOLO XXVII. La Signoria di Maria Beltrano e il miracolo del 1653

CAPITOLO XXVIII. 1664-1695. Racale nelle mani di diversi affittatori

CAPITOLO XXIX. L’apprezzo del 1682

CAPITOLO XXX. L’acquisto di Racale da parte di Felice Basurto e la refuta in
favore del figlio Domenico

CAPITOLO XXXI. Racale nella prima metà del XVIII secolo

CAPITOLO XXXII. Il duca Francesco Paolo Basurto senior e lo smantellamento delle opere di fortificazione della terra

CAPITOLO XXXIII. La fine del feudalesimo

CAPITOLO XXXIV. L’amministrazione della giustizia feudale

CAPITOLO XXXV. Sindaci ed eletti universali

Corredano il volume tre utilissimi indici, indispensabili per districarsi nella mole di nomi e luoghi puntaualmente menzionati tra i testi e le note: Indice delle sigle, Indice dei personaggi e Indice dei toponimi.

 

Libri| Racale e il suo clero

 

Venerdì 7 agosto 2020, alle ore 20

spazio antistante la chiesa matrice di Racale

sarà presentato il volume di Mons. Giuliano Santantonio

Racale e il suo clero

Grenzi editore.

 

Relatore

Francesco De Luca, Professore Emerito di Archivistica dell’Università del Salento

Interverrà S. E. Mons. Fernando Filograna – Vescovo di Nardò – Gallipoli

 Allieterà la serata il Trio “Santa Cecilia” con: Antonella Alemanno, soprano; Alessandro Manzolelli, clarinetto; Francesco De Solda, pianoforte.

Un convegno e un libro per i 400 anni della confraternita di San Giuseppe di Nardò

La Confraternita di San Giuseppe di Nardò per commemorare i 400 anni dalla fondazione (1619-2019) ha promosso un convegno di studi incentrato sulla chiesa e il santo titolare, che si terrà nella sua chiesa sabato 9 novembre alle ore 15.30.

Per l’occasione è stato realizzato un volume di carattere interdisciplinare che verrà presentato in coincidenza con l’evento, dal titolo “De Domo David. La confraternita di San Giuseppe Patriarca e la sua chiesa a Nardò. Studi e ricerche a quattro secoli dalla fondazione (1619-2019)”.

 

Il programma prevede, dopo i saluti del Vescovo della Diocesi di Nardò-Gallipoli Mons. Fernando Filograna e del Priore Mino De Benedittis, un primo intervento di p. Alberto Santiago della Congregazione Oblati di San Giuseppe, che presenterà i contenuti del libro, cui seguirà la prof.ssa Stefania Colafranceschi, esperta di iconografia, che illustrerà “L’iconografia di San Giuseppe, dal Sogno al Transito”. Gli altri interventi, moderati dal rettore della chiesa Mons. Giuliano Santantonio, prenderanno in esame tematiche attinenti il santo, con particolare attenzione al ciclo giuseppino e alla sua iconografia, attraverso testimonianze artistiche di Nardò e di altri centri in Italia.

Don Domenico Giacovelli, direttore dell’Ufficio Diocesano Beni Culturali della Diocesi di Castellaneta, si soffermerà in particolare sulla Fuga in Egitto, uno dei temi prevalenti nell’apparato artistico della chiesa neritina, per via del raffinatissimo altorilievo situato al di sopra dell’altare maggiore. Due storici dell’arte –Ruggiero Doronzo e Nicola Cleopazzo– svolgeranno una disamina della produzione figurativa in Puglia e nella diocesi di Nardò-Gallipoli, attestando la profonda devozione e le relative forme rappresentative del “Custode” per eccellenza.

Marcello Gaballo, curatore della pubblicazione insieme alla prof.ssa Colafranceschi, tratterà delle nuove fonti archivistiche, che consentono di inquadrare e comprendere nelle sue articolazioni la storia della Confraternita di San Giuseppe, che è una delle più antiche tra quelle ancora attive a Nardò, e una delle poche intitolate al santo, presenti nella diocesi.

Altri due interventi, dell’architetto Fabrizio Suppressa e di Stefania Colafranceschi, punteranno invece ad illustrare gli aspetti architettonici dell’edificio secentesco, e l’iconografia del suo apparato plastico e pittorico, con particolare riguardo al pregevole dipinto dell’altare maggiore e alla Fuga in altorilievo che svela, per la raffinatezza esecutiva e l’altissima qualità di ispirazione, l’opera di maestranze che qui hanno lasciato un’impronta di rilevante valore stilistico.

L’ingresso è libero, sino ad esaurimento dei posti disponibili.

Libri| Tesori e inventari della Cattedrale di Nardò (sec. XV-XIX)

Tesori e Inventari della cattedrale di Nardò

Sarà presentato lunedì 27 maggio, alle ore 19, presso la Sala “Roma”, annessa al Museo Diocesano in Piazza Pio XI – Nardò, l’ultima edizione dei Quaderni della Diocesi di Nardò – Gallipoli, “Tesori e inventari della Cattedrale di Nardò (sec. XV-XIX)”.

Del volume, edito da Mario Congedo – Galatina, ne è autore Mons. Don Giuliano Santantonio, parroco della Cattedrale e direttore dell’Ufficio Beni Culturali della medesima diocesi.

Curato da Marcello Gaballo, con foto di Lino Rosponi, ha la prefazione del Prof. Maurizio Nocera e riporta ben 13 inventari degli oggetti sacri posseduti dalla cattedrale, inclusi negli Atti delle Visite Pastorali, compiute dai vescovi che si sono succeduti nella sede neritina, a cominciare da quelli indicati nelle tre Visite Pastorali di Mons. Ludovico De Pennis (1451 – 1483) sino a quelli della prima metà del secolo scorso.

Paziente e dotto lavoro di ricognizione, ha richiesto notevole impegno a causa dell’interpretazione e trascrizione dei manoscritti, quasi tutti in latino, abilmente tradotti per facilitare la comprensione della particolare ricchezza del più importante edificio della Diocesi, accumulatasi nei secoli grazie alla munificenza di vescovi mecenati, tra i quali, a dire dell’Autore, i De Franchis, il Fortunato e il Sanfelice, il Carafa, il Lettieri.

Il volume, di grande formato, con 242 pagine, sarà presentato dai Professori Mario Spedicato e Paolo Agostino Vetrugno, dell’Università del Salento.

Tesori e inventari della Cattedrale di Nardò (sec. XV-XIX)

Tesori e Inventari della cattedrale di Nardò

Dalla prefazione di Maurizio Nocera

SUI LIBRI SACRI DEGLI INVENTARI

DELL’ARCHIVIO STORICO DIOCESANO DI NARDO’

 

Giuliano Santantonio è un dotto uomo di chiesa, e di chiesa tratta in questo volume. Trattasi infatti del patrimonio storico e sacro-oggettuale della Cattedrale di Nardò. La sua ricerca, di difficile impegno (lui stesso lo afferma nella sua introduzione), ha seguito un percorso rintracciabile nelle Visite Pastorali di differenti Vescovi succedutisi sulla cattedra della Diocesi neritina. Il suo campo d’indagine è stato il deposito del ricco Archivio Storico Diocesano di Nardò (ASDN), da lui stesso indicato in un suo precedente saggio Ecclesia Mater[1] come il luogo in cui

«oltre agli atti delle visite pastorali, conserva una grande quantità di altre fonti documentarie, come per esempio i processi benificiali».

L’autore, ovviamente, scrive pure che in quell’archivio c’è molto altro ancora. Per cui la ricerca non finisce con questo suo nuovo saggio.

A premessa di quanto qui si leggerà, va detto che sarà utile sapere che Giuliano Santantonio si è già cimentato con queste stesse fonti in occasione appunto del libro Ecclesia Mater citato nel quale, con una prosa asciutta ed eloquente, ha fatto conoscere i differenti avvicendamenti architettonici e manutentivi della costruzione della fabbrica della Matrice neretina, costruita sul sito di una più antica chiesa (sec. XI) su pianta basilicale di origine normanna, attribuita       «all’iniziativa di Goffredo l’Inclito (1035-1100), conte di Conversano e di Nardò».

Qui, a differenza della precedente ricerca, l’autore riporta gli inventari (tutti scritti in latino, ad eccezione di uno, e da lui tradotti) degli oggetti sacri posseduti dalla cattedrale a iniziare da quelli indicati nelle tre Visite Pastorali di Mons. Ludovico De Pennis (16 giugno 1451 – gennaio 1483 deceduto), la prima effettuata nel 1452, con le aggiunte redatte in una sua seconda Visita (1460), ed ancora altre aggiunte rilevate in una terza Visita (1485), quest’ultima compiuta dal suo successore Mons. Ludovico De Justinis (31 gennaio 1483 – 1492 deceduto).

Leggendo e rileggendo gli Inventari di una così importante chiesa salentina, per me laico ma sempre attento agli eventi della Chiesa, mi sono chiesto cosa sottolineare della grande massa di oggetti e paramenti sacri elencati durante le diverse Visite Pastorali in un arco di tempo così lungo (1452-1763). Sicuramente, a causa di una mia sorta di “deformazione professionale”, la curiosità mi ha portato a puntare lo sguardo sui libri posseduti dalla diocesi. Grande è stato sempre il mio interesse per i libri liturgici e in genere religiosi, soprattutto per la loro straordinaria bellezza tipografica, e penso alla grande Bibbia delle 42 linee di Gutenberg del 1454[2]. Occorre dire che da sempre la Chiesa ha dato massima importanza ai libri. Ricchissima è l’iconografia cristiana che mostra immagini di apostoli, di santi e sante, di martiri e martirizzati, di beati e beate con tra le mani codici, cartigli o Exultet. Si pensi ad esempio a san Paolo, l’apostolo delle genti, che viene raffigurato con due immancabili attributi: la spada e il codice. La spada perché antico servitore (esattore) della Giudea e il codice, contenente i suoi scritti sulla base dei quali verrà poi edificata la Chiesa di Roma…

 

Note

[1] Ecclesia Mater. La fabbrica della cattedrale di Nardò attraverso gli atti delle visite pastorali, Congedo, Galatina 2013.

[2] La biblioteca “Antonio Sanfelice” della diocesi di Nardò-Gallipoli vanta il possesso della rarissima edizione della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. In folio, fu stampata nel 1470 da Johannes Andreas, per i tipi di Conrad Sweynheim e Arnold Pannartz, prototipografi renani, allievi di Gutenberg, che, stabilendosi a Subiaco, e poi a Roma, introdussero l’arte tipografica in Italia. L’esemplare neritino, con coperta in pergamena rigida, è miniato con fregi floreali e geometrici; nelle prima pagina riporta un bellissimo stemma degli Avogadro. Oltre a numerosi capilettera miniati, contiene un’epistola a Joh. Andreae, Alariensis episcopi. Dell’esemplare sono note solo altre 14 copie, conservate in importanti biblioteche italiane ed in quella vaticana (Cfr. M. Gaballo, La biblioteca “Antonio Sanfelice” della diocesi di Nardò-Gallipoli. La restitutio ad integrum di una pregevole raccolta defraudata, in D. Levante (a cura di) Studia Humanitatis. Scritti in onore di Elio Dimitri, Barbieri Selvaggi, Mottola 2010, pp. 167-208). Sull’edizione neritina Alessandro Laporta ha scritto: “l’incunabolo posseduto dalla Biblioteca Vescovile di Nardò, esemplare che surclassa le due edizioni pliniane possedute dalla Biblioteca Innocenziana di Lecce (1483) e dalla Consorziale di Bari (1496). L’ex-libris della copia neritina recita esplicitamente Bibliothecae Episcopii Neritonensis addixit Antonius Sanfelicius Ep[iscop]us Nerit[inus], mentre in calce l’incunabolo reca l’impresa araldica degli Avogadro. Prima di passare al Sanfelice, il Plinio di Nardò appartiene verosimilmente ad uno sconosciuto discepolo di Esculapio che, al verso della carta 374, appunta alcune ricette, rendendo ancora più prezioso questo straordinario documento (A. Laporta, Il Plinio di Nardò. Un incunabolo da riscoprire, in https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/11/alessandro-laporta-il-plinio-di-nardo-un-incunabolo-da-riscoprire/ ).

Decor Carmeli. Il convento, la chiesa e la confraternita del Carmine di Nardò

decor

Venerdì 14 luglio, alle ore 20, nella chiesa del Carmine di Nardò verrà presentato il volume edito da Mario Congedo di Galatina, Decor Carmeli. Il convento, la chiesa e la confraternita del Carmine di Nardò.

Un progetto ambizioso che il sacro tempio meritava, per essere una delle chiese più note e frequentate dalla popolazione ed oggi meta preferita dei tanti turisti che stanno riscoprendo la città di Nardò.

L’edizione, di circa 400 pagine, in formato A/4, con tavole e rilievi del complesso, centinaia di illustrazioni bianco/nero e colore, in buona parte eseguite da Lino Rosponi, è l’ottavo dei Supplementi dei Quaderni degli Archivi della Diocesi di Nardò-Gallipoli, diretti da Giuliano Santantonio. Oltre la Confraternita del Carmine hanno promosso l’edizione la Diocesi di Nardò Gallipoli e la Fondazione Terra d’Otranto.

Curato da Marcello Gaballo, contiene numerosi saggi scritti da studiosi ed esperti, che hanno voluto omaggiare la nota chiesa di Nardò con ricerche e nuove fonti di archivio raccolte negli ultimi anni. Tra questi Marino Caringella, Marco Carratta, Daniela De Lorenzis, Anna Maria Falconieri, Paolo Giuri, Alessandra Greco, Maria Domenica Manieri Elia, Elsa Martinelii, Alessio Palumbo, Armando Polito, Maria Grazia Presicce, Cosimo Rizzo, Giuliano Santantonio,  Marcello Semeraro, Maura Sorrone, Fabrizio Suppressa.

Si parte dalle origini della Congregazione dell’Annunziata e insediamento dei Carmelitani Calzati, fino alla loro definitiva soppressione e l’istituzione della parrocchia, soffermandosi sulle vicende del funesto terremoto del 1743, che arrecò danni considerevoli alle strutture, in buona parte ricostruite nel decennio successivo.

Notevoli gli approfondimenti artistici, specie all’interno della chiesa e del convento, senza tralasciare le sorprese dell’insolita facciata cinquecentesca e dei suoi celebri “leoni” posti all’ingresso, che sembrano rimandare al celebre architetto Giovan Maria Tarantino, probabile autore anche dell’altare della Trinità, nella stessa chiesa. Nuove fonti anche per l’altro artista neritino, Donato Antonio d’Orlando, al quale sembra debbano attribuirsi altre opere dipinte, oltre quella firmata del S. Eligio.

Altre sorprese emergono dagli studi sull’altare della Madonna del Carmine, sulla tela dell’Annunciazione, sulla statua lignea dell’Annunziata e su un inedito corpus di manoscritti musicali, conservati nell’archivio della confraternita.

Il ricco corredo fotografico, che rende il volume ancor più interessante, documenta arredi, stemmi, reliquie e suppellettili di cui si è arricchita la chiesa nel corso dei secoli e raramente esposti.

Da ciò l’entusiasmo del priore della Confraternita, Giovanni Maglio, che ha fortemente voluto ed incoraggiato l’iniziativa, con il sostegno dei confratelli e consorelle, inserendola “di diritto nell’attività di valorizzazione del patrimonio culturale civile e religioso, che si sta particolarmente curando in questo ultimo decennio” nella città di Nardò.

Oltre gli Autori, che hanno voluto offrire pagine importanti, mettendo a disposizione di tutti vicende e fonti spesso sconosciute o inesplorate, aiutandoci a leggere nella maniera più corretta ed esaustiva, altrettanto importanti coloro che hanno offerto immagini e foto altrimenti difficili da reperire, tra cui Giovanni Cuppone e don Giuseppe Venneri, Gian Paolo Papi, Clemente Leo e Don Enzo Vergine, il parroco della chiesa matrice di Galatone don Angelo Corvo, Don Domenico Giacovelli e Rosario Quaranta, Emilio Nicolì e Raffaele Puce, Stefano Tanisi, Bruno Capuzzello. Una particolare menzione a Stefania Colafranceschi per aver messo a disposizione parte della sua collezione di santini e immagini antiche, e a Stelvio Falconieri, per due importanti e rarissimi documenti fotografici della chiesa nei primi decenni del ‘900.

All’elenco si aggiungono Pierpaolo Ingusci, Antonio Dell’Anna, Luca Fedele, Emanuele Micheli e Matteo Romano, valido aiuto nell’ordinamento dell’archivio e trascrizione di alcuni documenti. C’è stato anche un silenzioso e paziente lavoro, assolutamente importante, nell’allestimento degli arredi liturgici e nella ripulitura di molte suppellettili in parte desuete ma necessarie per una completa catalogazione. Ed ecco che devono aggiungersi, includendo nel lungo elenco anche Cosima Casciaro, Dorotea Martignano, Teresa Talciano e Anna Violino.

Infine, ma non per minore importanza bensì per sottolinearne il ruolo, la riconoscenza ad Annalisa Presicce, che ha professionalmente rivisto le bozze ed omologato le centinaia di annotazioni per un testo agile, coerente e scientificamente valido, come si spera possa essere.

Il volume sarà presentato dalla Prof.ssa Regina Poso, già docente preso la Facoltà di Beni Culturali dell’Università del Salento.

 

Museo diocesano di Nardò. Si inaugura il 7 giugno

DIOCESI DI NARDO’-GALLIPOLI

 

INAUGURAZIONE DEL MUSEO DIOCESANO

SEZIONE DI NARDO’ “Mons. Aldo Garzia”

Nardò, Basilica Cattedrale

7 giugno 2017

Ore 18

Concelebrazione Eucaristica presieduta da  S.E.Mons. Rino FISICHELLA

Ore 19

Introduzione

Mons. Giuliano SANTANTONIO, direttore dell’Ufficio Beni Culturali e del Museo

Saluti

Dott. Michele EMILIANO, presidente della Regione Puglia

Arch. Maria PICCARRETA, soprintendente ABAP per le province di Lecce-Brindisi-Taranto

Avv. Giuseppe MELLONE, sindaco della Città di Nardò

Intervento di

S.E.Mons. Rino FISICHELLA, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova  Evangelizzazione

Conclude

S.E.Mons. Fernando FILOGRANA, vescovo di Nardò-Gallipoli

 

Invito_fronte

 

Invito_retro

Una nuova edizione per la Fondazione. Nardò e i suoi

Nardò e i suoi

Con cerimonia privata, cui si accede per invito, sarà presentato e distribuito questa sera l’ultimo lavoro inserito tra le pubblicazioni della Fondazione, Nardò e i suoi. Studi in memoria di Totò Bonuso.

Un volume di 400 pagine, cartonato, in formato 24×30 cm, con saggi tutti riguardanti Nardò, a cura di Marcello Gaballo, presentazione di Luciano Tarricone. Edizione non in vendita. ISBN: 978-88-906976-5-4.

Saggi di Francesco Giannelli, Armando Polito, Maurizio Nocera, Gian Paolo Papi, Giuliano Santantonio, Fabrizio Suppressa, Paolo Giuri. Giovanni De Cupertinis, Marcello Gaballo, Stefano Tanisi, Alessandra Guareschi, Alessio Palumbo, Elio Ria, Maurizio Geusa, Pino De Luca, Letizia Pellegrini, Massimo Vaglio, Valentina Esposto, Daniele Librato, Mino Presicce, Pippi Bonsegna.

 

 

Luciano Tarricone, presentazione ……………………….……………………………………. p. 1
Francesco Giannelli, Tracce di preistoria e protostoria nel territorio di Nardò …… 5
Armando Polito, Un toponimo sulla riviera di Nardò: la Cucchiàra ………………….. 11
Maurizio Nocera, Della tipografia e dei libri salentini ……………….……………………. 15
Gian Paolo Papi, La “Madonna di Otranto” in territorio di Cascia
tra i possibili lavori del neritino Donato Antonio d’Orlando ……………………………… 29
Armando Polito, Antonio Caraccio l’Arcade di Nardò ……………………..……………… 41
Giuliano Santantonio, Ipotesi di attribuzione di alcuni dipinti
a Donato Antonio D’Orlando, pittore di Nardò ………………………………………………. 67
Fabrizio Suppressa, Torre Termite, la masseria degli olivi selvatici …………………. 81
Paolo Giuri – Giovanni De Cupertinis, Il seminario diocesano di Nardò dal xvii al xix secolo …………………………………………………………………………………………………….. 91
Marcello Gaballo, Un’architettura rurale impossibile da dimenticare.
Lo Scrasceta, dalle origini ai nostri giorni ………………………………………………………101
Stefano Tanisi, Lo scultore leccese Giuseppe Longo
e l’altare di San Michele Arcangelo nella Cattedrale di Nardò ………………….……… 117
Marcello Gaballo, Achille Vergari (1791-1875) e il suo contributo
per debellare il vajolo nel Regno di Napoli ……………………………………………………. 131
Alessandra Guareschi, L’arte “nazionale” di Cesare Maccari nella Cattedrale di Nardò ………………………………………………………………………………………………………. 147
Alessio Palumbo, Il mito di Saturno in politica: le elezioni del 1913 a Nardò ………………………………………………………………………………………………………. 185
Elio Ria, Piazza Salandra, un esempio di piazza italiana. ……………………………….. 193
Maurizio Geusa, Uno sconosciuto fotografo di Nardò al servizio dell’Aeronautica Militare ……………………………………………………………………………………………………… 199
Pino De Luca, Histoire d’(lio)……………..…………………………………………………………. 227
Letizia Pellegrini, Scritture private e documenti.
L’archivio privato di Salvatore Napoli Leone (1905-1980) ………………………………… 231
Massimo Vaglio, Olio e ulivi del Salento ………………..………………………………………. 257
Maurizio Nocera, Diario di un musico delle tarantate. Luigi Stifani di Nardò …………263
Valentina Esposto – Daniele Librato, L’archivio storico del Capitolo
della Cattedrale di Nardò. Inventario (1632-2010) ……………………..……………………. 289
Mino Presicce, Edizioni a stampa della tipografia Biesse di Nardò (1984 – 2015) …377
Pippi Bonsegna, Ricordo di Totò Bonuso una vita per il lavoro… e non solo

 

NARDÒ RIVOLUZIONARIA. Protagonisti e vicende di una tipica ribellione d’età moderna

????????????????????????

Premessa al volume di don Giuliano Santantonio

 

Nel leggere la prefazione a questo volume, a firma del dott. Marcello Gaballo, sono rimasto profondamente colpito dagli interrogativi, peraltro condivisibili, che egli solleva dinanzi all’inspiegabile e rattristante dimenticanza di un evento che, nella sua tragicità, ha invece del grandioso e dovrebbe essere motivo di orgoglio per la città di Nardò, che grazie ad esso è salita alla ribalta della grande storia con una originalità tutta sua propria, intorno alla quale occorre tuttavia stendere ancora un po’ d’inchiostro.

Non intendo minimamente sminuire le responsabilità di chi in quel preciso momento storico era a capo della Chiesa neritina, il cui comportamento è da stigmatizzare come gravemente deplorevole per più ragioni: perché in contrasto con i principi del Vangelo a cui avrebbe dovuto ispirarsi; perché lesivo della giustizia tanto umana quanto divina; perché abusivo nei confronti della suprema autorità ecclesiastica, di cui vanificò l’intervento censorio occultando il monitorio che preludeva alla scomunica dei colpevoli; perché privo, soprattutto nei confronti dei chierici, di quella paternità che è dovere primario per chi ha il compito della cura pastorale di una diocesi. Mai come in questo caso però si può dire che il pastore non espresse il sentire del gregge: ne è prova il fatto che le prime vittime delle efferatezze del conte-duca furono proprio esponenti tra i più illustri del clero locale.

Posto che è innegabile una certa contiguità, che caratterizzò il tempo di cui trattiamo, tra gli alti ranghi ecclesiastici e la nobiltà, alla quale comunque appartenevano, mi permetto di osservare che estendere la responsabilità del silenzio complice del vicario Granafei ai più alti livelli della gerarchia ecclesiastica appare francamente poco fondato: Fabio Chigi, vescovo di Nardò, risiedette in Germania quale nunzio dal 1636 al 1651 e quello che apprendeva dai suoi informatori non è detto che rispondesse alla realtà dei fatti; non sarà stato un caso se il monitorio di Innocenzo X fu emanato nel 1652, cioè pochi mesi dopo la nomina di Fabio Chigi a Segretario di Stato e il suo rientro a Roma, anzi lascia supporre che una migliore conoscenza degli eventi abbia spinto l’autorità centrale della Chiesa a compiere i passi previsti ai fini della comminazione di una eventuale censura; peraltro il monitorio non è l’atto di scomunica, ma l’ingiunzione a deporre su fatti meritevoli di scomunica, per cui la sua omessa pubblicazione di fatto impedì la resa delle deposizioni che avrebbero innescato il procedimento censorio; non vi sono prove che il Chigi, che ovviamente doveva fidarsi del suo vicario, avesse potuto sospettare comportamenti abusivi da parte dello stesso, che in tutta la vicenda si curò peraltro di apparire del tutto estraneo.

Per il resto il silenzio calato sulla vicenda si può interpretare inizialmente come espressione di comprensibile paura di fronte ad una prepotenza che sembrava non conoscere limiti: in situazioni di tal genere l’eroismo di un’opposizione esplicita non sempre è la scelta più saggia, soprattutto quando, come nel caso di cui ci stiamo interessando, poteva fomentare vendette e sofferenze ancora più atroci quanto inutili alla causa. Ma non si può tacere che qualcuno ebbe il coraggio, anzi l’ardire, di consegnare ad uno scritto, rimasto nascosto sotto la polvere del tempo, la memoria delle nefandezze vedute e patite: forse era tutto quello che in quel momento poteva essere fatto, e noi lo ringraziamo perché ci offre oggi la possibilità di apprendere da un testimone diretto e credibile i particolari e i contorni di una vicenda, che può essere così apprezzata in tutta la sua portata non solo storica, ma anche umana e cristiana.

Il silenzio successivo può essere dovuto al fatto, anch’esso istintivo e naturale, che l’uomo tende ad esorcizzare le esperienze che lo hanno ferito in profondità, stendendo un velo sopra il passato e volgendo di preferenza lo sguardo verso il futuro, in cui trovare motivi per risvegliare la speranza di un mondo migliore. Meno comprensibile invece è il silenzio dei posteri: bisogna avere il coraggio di fare sempre i conti con il proprio passato, perché solo così la storia, secondo l’insegnamento di Cicerone, diventa maestra di vita, antidoto al ripetersi delle nefandezze compiute, trampolino di lancio verso un futuro più promettente.

Questo lavoro, che compone egregiamente i fatti in maniera sufficientemente completa e critica e li rilegge in un contesto di più ampio respiro, consente ora ad un’intera Città di riappropriarsi del proprio passato, risvegliando la memoria intorpidita e soprattutto prendendo coscienza di valori imperituri, impregnati del sangue di martiri innocenti, che devono essere sventolati come una bandiera anche nel nostro tempo, esso pure insidiato da una congerie di morbose e destabilizzanti tentazioni, sempre sulla linea della prepotenza e della corruzione, da cui vengono ineluttabilmente partorite, come la storia dimostra, ingiustizie, violenze e ogni forma di prevaricazione della libertà e della dignità dell’uomo e dei popoli.

Un pensiero di gratitudine voglio indirizzare, tra le innumerevoli vittime della ferocia del Guercio di Puglia, ai sei chierici che, dopo aver intercettato il disagio popolare e guidato il tentativo di riscatto dall’insopportabile oppressione del dispotico feudatario, hanno affrontato la morte con commovente ed edificante coerenza evangelica, confermando con l’immolazione della vita la loro scelta vocazionale di dedicarsi, in nome di Dio, al servizio dei fratelli. A loro il Registro dei defunti alla data del 20 agosto 1647 dedica un laconico “morirono e si sepelirono nella Cathedrale”, naturalmente senza esequie. Mi auguro che a questo volume, dedicato al loro sacrificio, ogni neritino voglia aggiungere la propria memoria grata, che continui a farli vivere come fari luminosi di umanità e di civiltà da additare alle nuove generazioni.

 

 

20 febbraio 1743. Quel fierissimo tremuoto…

di Marcello Gaballo

E’ uscito in questi giorni l’ultimo lavoro di don Giuliano Santantonio, direttore dell’Ufficio Beni culturali della diocesi di Nardò-Gallipoli, Quel fierissimo tremuoto. Nardò e le vittime del sisma del 1743. 28 pagine, stampate dalla tipografia Biesse di Nardò, che rileggono le vicende del funesto sisma del 20 febbraio 1743, che tanti danni arrecò a molti centri di Terra d’Otranto e alla città di Nardò in particolare.

 

san gregorio armeno

Un sisma di magnitudo M=6.9 che fu avvertito in tutto il Regno di Napoli e che causò danni ingenti e centinaia di morti, tra cui anche donne e bambini, dei quali elencati in dettaglio dall’autore nella pubblicazione.

“Gran parte del tessuto urbano – scrive Santantonio – fu sconvolto e gli apprezzi dei danni, fatti da lì a qualche mese, vanno dai 260.000 ducati circa ad oltre 400.000 ducati, somma ingentissima se si tiene conto che il salario medio annuo di un bracciante agricolo all’epoca ammontava a circa 30 ducati. Il Liber mortuorum della Chiesa Cattedrale registra per quell’evento 112 vittime, due delle quali rimaste insepolte sotto le macerie: si tratta di una rilevazione assolutamente certa e attendibile, mentre alcune fonti parlano di 150 vittime e altre addirittura di 349, numeri che appaiono piuttosto inverosimili per la sola Città di Nardò, dove se vi fossero stati dei dispersi rimasti sotto le macerie sarebbero stati sicuramente individuati e citati nel Liber mortuorum, come fu per i due riportati.

La statua di S. Gregorio Armeno, che dall’alto del sedile si vide ruotare per tre volte con la mano benedicente protesa quasi a fermare il flagello, diede da subito origine al convincimento che fu la protezione del Santo Patrono ad evitare un epilogo ancora più doloroso”.

Nella prima parte del volumetto, seppur già note, si riportano le fonti notarili che descrissero l’evento:

“Tra quelle che presentano maggiore interesse vi sono gli atti e le annotazioni di alcuni notai dell’epoca, testimoni diretti dell’evento, le cui particolareggiate descrizioni ci lasciano intuire quale impressione ebbe a destare nell’animo dei contemporanei un evento così drammatico.

Scrive il notaio Oronzo Ippazio De Carlo:

“Nel giorno di mercoledì venti febbraio, giorno più tosto estivo che d’inverno, a circa ore 23 nell’occaso si suscitò un vento gagliardissimo che fece stupire ogn’uno ed intimorire, poiché pareva che per l’aria correvano centinara di carrozze unite, tale era lo strepito, s’offuscò l’aria e pareva che mandasse fuoco, l’acqua ne pozzi saltava e si riconcentrava. Si oscurò il sole, e sopra le ore 23 traballò per causa d’un tremuoto Nardò, tornò a traballare, e finalmente muovendosi la terra à guisa dell’acqua che ferve nella pignatta, operò che cascasse dalle fondamenta Nardò. Morirono dà 349 cittadini, la maggior parte però furono bambini. Tutto rovinò, ogli, grani, etc.. I mobili e suppellettili dall’ingiurie delle pietre, polveri, e de tempi che susseguirono, restarono di minor momento e valore.  La statua della Beatissima Vergine Maria del vescovado sotto il titolo dell’Assunta sudò. La statua di San Gregorio Armeno che steva sopra del publico Sedile si vidde con la mano sinistra far segno al vento di ponente che fiatava che si quietasse. Le altre statue di San Michele e Sant’Antonio cascarono. Il danno ascese ad un milione sento settantacinque mila docati. Fu inteso il tremuoto da tutta l’Europa, anzi dal mondo tutto” (ASLe, Sezione notarile, protocollo del notaio Oronzo Ippazio De Carlo)”.

sedile2

Sempre Santantonio scrive:

“Lo stesso notaio ripropone nel medesimo protocollo un’altra descrizione dell’evento, con qualche discrepanza rispetto alla prima:

“Successe un fierissimo tremuto, che durò secondo la comune, sette minuti, e ruinò dalle fondamenta la Città di Nardò [….] morirono duecentoventiotto persone, oltre centinara di figlioli e quattrocento e sette persone restarono in gran parte della persona offese e ferite. Quali morti e feriti furono tutte quasi persone basse a riserba del canonico D.Tommaso Abbate Piccione, del suddiacono Giuseppe Nociglia e del Padre fra’ Michele Talà Carmelitano. La fedelissima città di Lecce mandò per carità à detti infermi con il suo maestro di piazza settecento rotola di pane, quattro castrati e contanti. L’eccellenza del Signor marchese di Galatone ò sia il Principe di Belmonte colla sua solita pietà provedè del necessario detti poveri avendo dato ricovero alle religiose dette del Conservatorio, ed à più e più persone che erano fuggite in Galatone, dove dimora detto Eccellentissimo duca di Cerisano preside e da dove giornalmente si porta per provedere agli bisogni di detta città. Varii furono gli eventi che precedettero à detto tremuoto e frà questi il Tutelare Padre S.Gregorio Armeno, la di cui statoa di lecciso esisteva sopra del Publico Sedile nella piazza nell’atto che la terra si scoteva, invocato dal popolo si voltò visibilmente verso il ponente dà dove s’insorse il tremuoto, e la mano che prima steva in atto di benedire ora si vede tutta aperta ed in atto che impedisce il flagello: a continua a star voltata verso di detto vento di ponente, avendo perduto la mitra, che era tirata à tutto un pezzo con la statoa, ma non già lo pastorale. Cascarono poi le statoe di S.Michele, e di S.Antonio, che tenevano in mezzo detta statoa di esso S.Gregorio…” (ASLe, Sezione notarile, protocollo del notaio Oronzo Ippazio De Carlo) “.

E completa con l’altra annotazione:

“Il notaio Vincenzo Fedele, sotto la dicitura “Notizia a’ Posteri” inserita nel suo protocollo del 1742-1743, racconta circa la statua di San Gregorio posta sul Sedile:

“trè volte si vidde dal popolo che presente era in Piazza nell’atto di precipitare, e nello stesso istante li caschò la midra dà testa […] onde considera ò mio lettore che forsa hà il nostro Gran Protettore davanti Sua Divina Maestà à liberare il suo popolo dà i suoi giusti castighi per le nostre colpe. Gran Protettore Gregorio quanto ti deve la Città neretina” (ASLe, Sezione notarile, protocollo del notaio Vincenzo Fedele)”.

sedile1

Riguardo l’entità dei danni nella sola Nardò l’autore riporta quanto scrisse il notaio Nicola Bona a distanza di qualche mese in un elenco sicuramente incompleto:

la intiera chiesa del venerabile convento di S.Francesco di Paola; la mettà del venerabile monastero di S.Teresa; il quarto di quello di S.Chiara; il terzo del venerabile Conservatorio di donne monache sotto il titilo della Purità assieme colla gubola della chiesa frantumata; la chiesa del venerabile convento de Scalzi di S.Agostino sotto il titolo della Coronata divisa pe il mezzo; il vescovado tutto conquassato e parte rovinato; la catedrale tutta servata col campanile precipitato in due de suoi ordini; il campanile della chiesa dei PP.Predicatori frantumato l’ordine superiore e la chiesa minacciante rovina; le case della Città nella publica piazza colle carceri nella parte inferiore tutte tirate a terra colla morte di sette infelici carcerati…” (ASLe, Sezione notarile, protocollo del notaio Nicola Bona).

E per completezza vengono anche riportati i pareri di alcuni mastri muratori, chiamati a redigere una stima dei danni subiti dal campanile della chiesa di S.Domenico e del Seminario ricostruito da Ferdinando Sanfelice, di cui fu danneggiata “specialmente la facciata, furono ruinati da sotto le fondamenta, la scala che si sale sopra e l’ambulatorio precipitati à terra et anche la chiesa, con havere solamente rimasta in piedi lo pariete della strada, e tutta aperto, e le officine desolate…” (ASLe, Sezione notarile, protocollo del notaio Angelo Tommaso Maccagnano)”.

orologio-032

Molto interessante, ma anche questa cronaca già nota agli studiosi, la perizia giurata dei mastri muratori Nicolantonio de Angelis di Corigliano e Lucagiovanni Preite di Copertino, che quantifica nel modo seguente l’entità complessiva dei danni:

  • ducati 62.512 per gli immobili appartenenti ai benestanti;
  • ducati 50.829 per gli immobili delle persone povere;
  • ducati 108.982 per gli edifici ecclesiastici;
  • ducati 8.000 per trasportare fuori le mura i materiali degli edifici crollati e di quelli da abbattere;
  • ducati 30.000 per ricostruire le mura e le torri
  • ducati 6000 per le case del Governatore e le carceri;
  • ducati 800 per il Sedile;
  • altre somme non quantificate per riparare il cappellone di San Gregorio nella Chiesa Cattedrale e le case, appartenenti alla Città e dati in uso ai Ministri regii di passaggio (ASLe, Sezione notarile, protocollo del notaio Angelo Tommaso Maccagnano).

Liber mortuorum frontespizio

La novità della pubblicazione è data proprio dall’elenco delle 112 vittime, riportato nel Registro dei Defunti della Chiesa Cattedrale di Nardò, vol. 18 – dal 1742 al 1766 in quel “Giorno di mercordì a 20 febraro 1743 ad’ore ventiquattro meno un quarto sortì un terremoto così grande che non solamente precipitò tutta la Città ma vi morirono sotto le pietre li sottoscritti videlicet 112″.

Lo studioso non solo trascrive i nominativi, ma riporta delle utili notizie genealogiche e anagrafiche proprie di ognuno dei defunti, contribuendo così a colmare un’altra lacuna della storia cittadina.

 

Nota informativa: la pubblicazione potrà essere ritirata presso la Cattedrale di Nardò.

Studiosi a convegno per presentare l’ultimo libro sulla Cattedrale di Nardò

Locandina

di Marcello Gaballo

Verrà presentato domenica 5 ottobre 2014, alle ore 19.30 presso la Cattedrale di Nardò, l’ultima fatica sul sesto centenario della Cattedrale di Nardò,dal titolo Neritinae Sedis. Atti del convegno di studio in occasione del VI centenario  della Cattedrale (31 maggio-1 giugno 2013).

Il volume, edito dalla Diocesi di Nardò-Gallipoli con Mario Congedo Editore, è inserito nella Collana dei Quaderni degli Archivi Diocesani di Nardò-Gallipoli, con il n° 7,  ed è stato curato da Giuliano Santantonio e Mario Spedicato.

L’opera, presentata ai lettori dal vescovo della Diocesi di Nardò-Gallipoli, Mons. Fernando Filograna, offre al lettore un dignitoso e completo excursus storico sulla Cattedrale neritina, grazie al contributo di docenti, studiosi e ricercatori di varia provenienza ed estrazione, molti dei quali ben noti nel panorama della storiografia salentina e pugliese.

320 pagine in cui si analizzato le diverse fasi storiche, a partire dai monaci benedettini, con approfonditi studi delle fonti documentarie, tra le quali la Bolla dell’11 gennaio 1413, oltre a numerosi contributi che spaziano in diversi campi del sapere e comunque attinenti l’Ecclesia Mater neritina, assurta a chiesa regia con decreto del 12 ottobre 1803, poi dichiarata monumento nazionale il 20 agosto 1879, ed infine elevata dalla Santa Sede a dignità di Basilica minore il 2 giugno 1980.

Il volume apre con i saluti del Presidente della Provincia Antonio Gabellone, del Sindaco di Nardò Marcello Risi, facendo seguito un corposo Incipit del parroco    Giuliano Santantonio, che è stato anche curatore. Mario Spedicato, dell’Università del Salento e co-curatore, offre la Prefazione.

Questi i saggi, nell’ordine:

Benedetto Vetere, La Cattedra vescovile e le Bolle di Clemente VII e Giovanni XXIII.

Rosario Jurlaro, La presunta bolla di papa Paolo I dell’anno 761 nel giudizio di Annibale De Leo e la dipendenza della Chiesa di Nardò da quella metropolita di Brindisi.

Pietro De Leo, Nardò da abbazia a diocesi: una tortuosa procedura con vescovi paesani e forestieri tra XIV e XV secolo.

Giancarlo Vallone, Biografia in breve di Stefano Agricoli e non Pendinelli.

Vittorio Zacchino, A Nardò e diocesi prima e dopo Antonio Galateo.

Pasquale Corsi, Comunità ellenofone di Terra d’Otranto: un sondaggio tra le testimonianze d’archivio.

André Jacob, Nardò e Gallipoli tra greci e latini.

Anna Gaspari, Greci e francescani nel Salento tardomedievale e rinascimentale (con particolare riferimento alla diocesi di Nardò).

Roberta Durante, La Cripta di S. Antonio Abate nell’agro di Nardò.

Maria Domenica Muci, Il copista Giovanni di Nardò e la tradizione dei «Tria Syntagmata» di Nicola Nettario di Casole.

Patrizia Durante, Gaudeat ecclesia. Tradizione musicale francescana in diocesi di Nardò tra Medioevo ed Età Moderna.

Paolo Agostino Vetrugno, “Classicità e classicismo” nella scultura cinquecentesca neretina.

Francesco Danieli, Catechesi tridentine a Nardò nella pittura di Donato Antonio D’Orlando.

Donato Giancarlo De Pascalis, La Cattedrale nel tessuto urbano di Nardò: orientamento, modelli e confronti.

Giovanni Giangreco, Il futuro della Cattedrale di Nardò. La conservazione della fabbrica: manutenzione o restauro?

fronte

La chiesa e la confraternita di San Giuseppe a Nardò

chiesa di san Giuseppe Nardò

Sarà presentato Sabato 26 aprile il sesto supplemento della Collana che arricchisce la collana dei “Quaderni degli Archivi diocesani di Nardò-Gallipoli”,  La chiesa e la confraternita di San Giuseppe a Nardò, edizioni Mario Congedo, aggiungendo un altro importante tassello all’opera di ricostruzione storica del tessuto religioso, sociale e urbanistico di Nardò.

Curato da Marcello Gaballo e Fabrizio Suppressa, il volume di 154 pagine, di grande formato, vede la collaborazione di Stefania Colafranceschi, Giovanna Falco, Paolo Giuri, Salvatore Fischetti, Riccardo Lorenzini, Armando Polito, Giuliano Santantonio,  Stefano Tanisi, che hanno offerto saggi di notevole spessore sul culto, iconografia, studi storici e aspetti artistici concernenti il santo e la chiesa neritina a lui dedicata, nella quale ha sede la confraternita.

la facciata della chiesa (ph Paolo Giuri)
la facciata della chiesa (ph Paolo Giuri)

Vengono ricostruite minuziosamente le vicende dell’edificio, realizzato prima della metà del ‘600 su una preesistente chiesetta di Sant’Aniceto, nel pittagio Sant’Angelo, per espresso desiderio del sodalizio, già costituitosi nel 1621.

Tantissimi i documenti citati nel volume, in buona parte inediti e riportati da rogiti notarili e visite pastorali, grazie ai quali si riesce, finalmente, a ricostruire le vicende della bellissima chiesa, a torto ritenuta tra le “minori” della città.

Notevole il corredo pittorico in essa presente, che per la prima volta viene assegnato a valide maestranze salentine del 6 e 700, tra i quali Ortensio Bruno, Nicola Maria De Tuglie, Donato Antonio Carella e Saverio Lillo.

Centinaia di foto documentano le varie espressioni artistiche che si sono sommate nel corso dei secoli, e nel XVIII secolo in particolare, quando la chiesa fu ricostruita a seguito degli ingenti danni riportati nel terremoto del 1743. I rilievi architettonici dell’edificio e dell’annesso oratorio, la ricchissima raccolta di santini provenienti da collezioni private, le bellissime foto e gli inevitabili richiami al culto del santo nella Puglia, accrescono il valore dell’edizione, lodevolmente sostenuta ed incoraggiata dalla confraternita di San Giuseppe.

l'altare maggiore della chiesa (ph Paolo Giuri)
l’altare maggiore della chiesa (ph Paolo Giuri)

Scrive nella presentazione il direttore dell’Ufficio dei Beni Culturali della Diocesi, don Giuliano Santantonio “…Il pregio del lavoro che si pubblica è quello di offrire, in modo documentato e circostanziato, uno sguardo puntuale e dettagliato sulla Chiesa e sulla Confraternita, dalle origini al presente, capace di far apprezzare le significative peculiarità di realtà, come l’edificio sacro e la comunità che è in esso si riconosce, che nel tempo hanno finito per riorganizzare e caratterizzare anche urbanisticamente l’assetto di un intero quartiere, senza il quale la Città sarebbe altra cosa rispetto a come oggi si presenta.

Di particolare interesse è anche il suggestivo sforzo di inquadrare l’origine e lo sviluppo a Nardò del culto verso San Giuseppe nel contesto di un movimento devozionale più ampio, del quale la Città non ha mancato di cogliere i passaggi più decisivi con una tempistica che manifesta, come il tessuto sociale neritino dell’epoca non mancasse di attenzione verso ciò che andava manifestandosi fuori dalla cerchia delle proprie mura. E’ una bella lezione, che a noi, cittadini di un mondo globalizzato, pone l’interrogativo se la nostra capacità di intercettare il futuro che incombe sia ugualmente desta oppure non si sia alquanto assopita”.

particolare dell'altare maggiore (ph Paolo Giuri)
particolare dell’altare maggiore (ph Paolo Giuri)

fronte

fronte retro

Libri. La chiesa e la confraternita di San Giuseppe a Nardò

chiesa di san Giuseppe Nardò

E’ uscito in questi giorni il sesto supplemento della Collana che arricchisce la collana dei “Quaderni degli Archivi diocesani di Nardò-Gallipoli”,  La chiesa e la confraternita di San Giuseppe a Nardò, edizioni Mario Congedo, aggiungendo un altro importante tassello all’opera di ricostruzione storica del tessuto religioso, sociale e urbanistico di Nardò.

Curato da Marcello Gaballo e Fabrizio Suppressa, il volume di 154 pagine, di grande formato, vede la collaborazione di Stefania Colafranceschi, Giovanna Falco, Paolo Giuri, Salvatore Fischetti, Riccardo Lorenzini, Armando Polito, Giuliano Santantonio,  Stefano Tanisi, che hanno offerto saggi di notevole spessore sul culto, iconografia, studi storici e aspetti artistici concernenti il santo e la chiesa neritina a lui dedicata, nella quale ha sede la confraternita.

la facciata della chiesa (ph Paolo Giuri)
la facciata della chiesa (ph Paolo Giuri)

Vengono ricostruite minuziosamente le vicende dell’edificio, realizzato prima della metà del ‘600 su una preesistente chiesetta di Sant’Aniceto, nel pittagio Sant’Angelo, per espresso desiderio del sodalizio, già costituitosi nel 1621.

Tantissimi i documenti citati nel volume, in buona parte inediti e riportati da rogiti notarili e visite pastorali, grazie ai quali si riesce, finalmente, a ricostruire le vicende della bellissima chiesa, a torto ritenuta tra le “minori” della città.

Notevole il corredo pittorico in essa presente, che per la prima volta viene assegnato a valide maestranze salentine del 6 e 700, tra i quali Ortensio Bruno, Nicola Maria De Tuglie, Donato Antonio Carella e Saverio Lillo.

Centinaia di foto documentano le varie espressioni artistiche che si sono sommate nel corso dei secoli, e nel XVIII secolo in particolare, quando la chiesa fu ricostruita a seguito degli ingenti danni riportati nel terremoto del 1743. I rilievi architettonici dell’edificio e dell’annesso oratorio, la ricchissima raccolta di santini provenienti da collezioni private, le bellissime foto e gli inevitabili richiami al culto del santo nella Puglia, accrescono il valore dell’edizione, lodevolmente sostenuta ed incoraggiata dalla confraternita di San Giuseppe.

l'altare maggiore della chiesa (ph Paolo Giuri)
l’altare maggiore della chiesa (ph Paolo Giuri)

Scrive nella presentazione il direttore dell’Ufficio dei Beni Culturali della Diocesi, don Giuliano Santantonio “…Il pregio del lavoro che si pubblica è quello di offrire, in modo documentato e circostanziato, uno sguardo puntuale e dettagliato sulla Chiesa e sulla Confraternita, dalle origini al presente, capace di far apprezzare le significative peculiarità di realtà, come l’edificio sacro e la comunità che è in esso si riconosce, che nel tempo hanno finito per riorganizzare e caratterizzare anche urbanisticamente l’assetto di un intero quartiere, senza il quale la Città sarebbe altra cosa rispetto a come oggi si presenta.

Di particolare interesse è anche il suggestivo sforzo di inquadrare l’origine e lo sviluppo a Nardò del culto verso San Giuseppe nel contesto di un movimento devozionale più ampio, del quale la Città non ha mancato di cogliere i passaggi più decisivi con una tempistica che manifesta, come il tessuto sociale neritino dell’epoca non mancasse di attenzione verso ciò che andava manifestandosi fuori dalla cerchia delle proprie mura. E’ una bella lezione, che a noi, cittadini di un mondo globalizzato, pone l’interrogativo se la nostra capacità di intercettare il futuro che incombe sia ugualmente desta oppure non si sia alquanto assopita”.

particolare dell'altare maggiore (ph Paolo Giuri)
particolare dell’altare maggiore (ph Paolo Giuri)

Cinque francobolli per ricordare il sesto centenario della Cattedrale di Nardò e della civitas Neritonensis

copia-di-cattedrale-centenario

Il 7 novembre 2013 cinque preziosi affreschi riportati  nella serie dedicata all’Ecclesia Mater dalle Poste Vaticane sottolineano la fede, la storia e l’arte del vetusto monumento pugliese

 

di Marcello Gaballo

Per la prima volta nella storia la filatelia dello Stato della Città del Vaticano si occupa del massimo monumento religioso della diocesi di Nardò (ora Nardò-Gallipoli) e lo fa il 7 novembre 2013 tramite l’emissione filatelica di ben cinque valori, utili a ricordare il sesto centenario della elevazione della chiesa abbaziale benedettina di S. Maria de Nerito in Cattedrale, con l’insediamento del vescovo Giovanni De Epiphanis (1355-1425), e contestualmente dell’elevazione della “Terra” di Nardò al rango di Città.

L’anniversario è stato solennemente celebrato l’11 gennaio 2013, data in cui fu emessa  la relativa bolla dal pontefice Giovanni XXIII nell’anno 1413, documento che si conserva in originale presso l’Archivio Storico della Diocesi e dal quale è stato tratto il motto “Ecclesiam in Cathedralem, Terram in Civitatem Neritonensem” riportato sui valori bollati.

I francobolli nascono dalla proposta di Marcello Gaballo, presidente della Fondazione Terra d’Otranto, che oltre due anni fa presentò al direttore dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi don Giulano Santantonio e al Vescovo Mons. Domenico Caliandro (oggi Arcivescovo di Brindisi), quindi alla Commissione di Arte Sacra della Diocesi, la proposta, poi felicemente accolta e fatta propria dall’Ufficio filatelico della Città del Vaticano.

I bozzetti furono realizzati da Sandro Montinaro, su foto di Raffaele Puce. In pochi centimetri il grafico di Carpignano Salentino, autore anche del logo ufficiale, ha riassunto le preziose testimonianze di arte, storia e fede dell’edificio religioso, limitate a cinque particolari di preziosi affreschi del XIII-XV secolo, tra i più  antichi, significativi e leggibili che decorano le pareti e le colonne del massimo tempio cittadino.

Grazie alla professionalità e alla cortesia del Dott. Olivieri e della Dott.ssa Marica Fabris, dell’Ufficio Filatelico e Numismatico del Vaticano, finalmente la Diocesi col suo pastore Mons. Fernando Filograna potrà annoverare tra le sue importanti iniziative anche questa singolare e preziosa occasione, utile per trarre dalla memoria storica elementi sicuri per un rilancio del desiderio di futuro, sia sul piano sociale che su quello pastorale.

Copia di francobollo 0,05

Il valore di 0,05 € riporta un particolare dell’affresco di Sant’Agostino (m. 2,50×0,88), nella navata destra, sul secondo pilastro.

Il santo indossa mitra, guanti e un prezioso mantello, finemente decorato con motivi geometrici, fermato da una fibbia rotonda sul petto e sovrapposto alla tunica monastica, della quale si vedono il cappuccio e la parte superiore. Con la mano destra il Santo indica un cartiglio, ormai illeggibile, retto dall’ altra mano che stringe il pastorale. L’ iscrizione, AGUSTIN con l’US finale nascosto dal pastorale, posta ai lati del capo, attesta il Santo.

Copia di francobollo 10

Il valore di 0,10 € riporta un particolare dell’affresco di Santa Maria delle Grazie o Madonna della Sanità (m. 1,80×0,80), nella quarta cappella della navata destra.

L’ immagine è posta tra due angeli musicanti di stile quattrocentesco ma dipinti alla fine del secolo scorso, in occasione dei restauri della Cattedrale, da Pietro Loli Piccolomini da Siena, assistente di Cesare Maccari.

La Vergine, dai lineamenti dolcissimi e con mesta pensosità, aureolata, con veste bianca e mantello blu orlato d’ oro, è seduta su un elegante baldacchino e regge sulle ginocchia il Figlio, che con la mano destra sorregge un pomo e benedice con la sinistra. Il Piccolo, con il nimbo crociato, veste un abito bianco con delicata tunica rosa. In basso a sinistra si intravede un devoto genuflesso.

L’ imago Beatissimae Virginis Sanitatis, in origine ubicata in fondo alla navata sinistra, nel 1573, da mons. Salvio fu traslocata dove oggi c’è la sede vescovile “per dar più onorato luogo alla sacra immagine…, e per mirarla di continuo avendola sempre all’incontro, e perchè stesse più esposta e alla vista della venerazione de’ popoli”. Da Mons. Girolamo De Franchis (1617-1634) fu di là trasferita nel sito attuale.

Copia di francobollo 15

Il valore di 0,15 € riporta un particolare dell’affresco della Madonna del giglio (m. 2,50×0,88), sul quarto pilastro della navata destra, da ricondurre al momento angioino dell’edificio.

La Vergine, seduta su trono con schienale curvo e raggiungibile tramite tre gradini, è dipinta col volto lievemente rivolto verso il Figlio. Indossa ampia tunica rosa e manto azzurro ed ha il capo coronato avvolto da un nimbo giallo orlato di perle; con la mano sinistra regge un bianco giglio angioino e con la destra sostiene il Bambino, il cui volto è circondato da un nimbo crociato ed orlato. Indossa una tunica rossa con cingolo bianco e indica con la sinistra il giglio.

Sullo sfondo azzurro spiccano le abbreviazioni greche delle due figure, inserite sotto un arco trilobo a tutto sesto.

Copia di francobollo 25

 Il valore di 0,25 € riporta un particolare dell’affresco di San Nicola di Myra (m. 2,48×0,80), sul secondo pilastro della navata sinistra.Il santo benedicente alla maniera greca, secondo lo schema bizantino, è ritratto frontalmente e a figura intera, veste tunica bianca, mantello rosso, omoforion bianco nerocrociato e tiene nella mano sinistra un Vangelo decorato con gemme. In alto, a sinistra, la Madre di Dio porge il pallio, mentre all’ opposto il Cristo, anch’ esso a figura intera, porge il Vangelo. Le iniziali latine sono scritte in caratteri gotici e inquadra il tutto una cornice di color corallo, complementare all’azzurro dello sfondo.

 

Copia di francobollo 45

Il valore di 0,45 € riporta un particolare dell’affresco del Cristo Pantocrator (m. 2,50×0,90), sul terzo pilastro della navata destra.

Seduto su un trono, in posizione frontale e benedicente alla greca, Cristo regge con la mano sinistra un Vangelo aperto su cui si legge Ego sum lux mundi qui sequitur me non ambulat in tenebris (Io sono la luce del mondo: chi segue me non cammina nelle tenebre (Vangelo di Giovanni, I, 5).Indossa una veste rossa orlata di oro e un manto olivastro; il viso incorniciato da barba corta e scura ha un nimbo crociato orlato di perle. Interessante la forma del trono, rappresentato da uno schienale tondo abbastanza alto, che è “elemento diffuso nelle scuole artistiche bizantine della seconda metà del XIII secolo, collegato molto probabilmente al tema del <trono della Sapienza>, della Sofia <sapienza divina>, in cui Cristo è raffigurato in trono”.

nardo_cattedrale_2009

Nella parte inferiore dei valori a sinistra è riportato il logo del Vaticano, a destra quello delle celebrazioni neritine, in cui domina la croce patriarcale, che ricalca quella antichissima scolpita sulla facciata della Cattedrale, alla cui base sono opportunamente innestate le due lettere NC, compendiando la valenza nello stesso tempo laica e religiosa dell’evento, essendo abbreviazione N di Neritonensis e C di Cathedralis e di Civitas. Nell’ambito della seconda lettera trovano allocazione le due date 1413 e 2013.

Tra i due loghi è compreso il titolo dell’emissione: VI Centenario della Cattedrale di Nardò.

 

 

La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice
La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice

Caratteristiche tecniche dell’emissione:

Titolo: VI Centenario della Cattedrale di Nardò

data emissione: 7 novembre 2013

serie composta da 5 valori da € 0,05 – € 0,10- € 0,15 – € 0,25 – € 0,45

Tiratura: 150.000 serie complete

Tecnica Stampa: Offset a  quattro colori

Dentellatura 13 ¼ x 13

formato dei francobolli: 32,13 x 38

Stamperia Cartor (Francia)

Ecclesia Mater. La fabbrica della Cattedrale di Nardò attraverso gli atti delle visite pastorali

cattedrale di Nardò

di Marcello Gaballo

 

Venerdì 11 ottobre, in Cattedrale, alle ore 19, alla presenza del Vescovo Mons. Fernando Filograna e dell’editore Mario Congedo, sarà presentato l’ultimo dei Quaderni degli Archivi Diocesani di Nardò-Gallipoli: Ecclesia Mater. La fabbrica della Cattedrale di Nardò attraverso gli atti delle visite pastorali, di don Giuliano Santantonio, parroco della stessa chiesa e direttore dell’Ufficio Beni Culturali della diocesi.

Il volume, sesto della collana, di 192 pagine, in ottavo, si inserisce nel programma delle celebrazioni per i seicento anni della Cattedrale di Nardò (1413-2013).

Arricchito da numerose illustrazioni, risaltano una trentina di foto di C. Greco da Nardò, tratte dal rarissimo volume: Vedute e monumenti di Nardò, edito a Gallipoli nel 1907 per i tipi della Tipografia Stefanelli e donato alla diocesi dal barone Pasquale Personé.

Ad incrementare l’apparato iconografico anche alcune foto inedite di Paolo Giuri, tra le quali il pregevole Crocifisso, in legno policromato del sec. XVII, conservato nella sagrestia. Sempre da questo ambiente provengono i tre dipinti riportati nel volume: S. Agnese, un olio su tela degli inizi del sec. XVIII, di scuola del Solimena; San Bartolomeo apostolo, anche questo olio su tela, degli inizi del sec. XVII eseguita da maestranze salentine; il bellissimo Volto di Cristo, olio su tavola, del sec. XVI, di ignoto autore e degno di grande attenzione da parte degli storici dell’arte.

Inedite sono pure le foto di reperti lapidei erranti, quasi tutti provenienti dal giardino dell’episcopio neritino, che probabilmente troveranno collocazione nell’istituendo museo diocesano, tra i quali un Frammento della lapide posta dal Sanfelice nell’abside, sotto la tela raffigurante l’arrivo delle reliquie di S.Gregorio Armeno, su pietra leccese, datato 1718; una  Lapide di Girolamo De Franchis posta presso il nuovo sito dell’organo, su marmo, del 1619 (foto Paolo Giuri, 2013).

Ancora originale il repertorio di alcuni dei reliquiari conservati nell’altare di Tutti i Santi, nella navata sinistra della Cattedrale, minuziosamente elencati nelle diverse visite pastorali e descritti nel volume. Tra i tanti preziosi reliquiari le due urne, delle quali una  con le reliquie di S.Fausto martire e l’altra con le reliquie di S.Pio martire; i reliquiari a ostensorio con diverse reliquie di santi, quelli a forma di braccio con reliquia di S.Trifone martire e San Gregorio Armeno.

 

Ma l’importanza del libro è data soprattutto dalla mole di notizie ed informazioni in esso riportate, utili per seguire ed interpretare le vicende storiche del tempio neritino attraverso le numerose visite pastorali dei vescovi che si sono succeduti sulla Cattedra neritina, a cominciare da quelle della metà del XV secolo.

Scrive l’A. nella premessa: “…L’evidenza che emerge in questo genere di ricerche è che occorre abbandonare la tentazione di immaginare un edificio, della natura di una chiesa, come una costruzione che sia possibile fossilizzare dentro il gusto, la sensibilità e le forme di una sola epoca, magari quella della sua prima costruzione: se così fosse si snaturerebbe il suo significato, che dipende dalla sua funzione, e finirebbe per essere presto avvertita come un corpo estraneo nel quale diventa impossibile riconoscersi. Le chiese sono invece realtà vive, che dialogano con il tempo e che per rimanere se stesse hanno bisogno di cambiare in continuazione. Come la Chiesa-comunità è semper reformanda, così anche il luogo nella quale essa si riconosce e vive: è nella logica del mistero dell’incarnazione, che esige che ogni tempo e ogni generazione consegni a chi viene dopo una traccia di sé, che racconti la continuità e l’unità della fede dentro l’originalità del divenire umano.

Naturalmente questo processo è virtuoso solo se avviene in quel rispetto che consente il dialogo e non la contrapposizione nella diversità. In questo senso la cattedrale di Nardò rappresenta un formidabile libro in cui convivono armonicamente la storia, la fede, i costumi, le tradizioni delle generazioni che nell’arco di mille anni e più hanno trovato in essa un punto stabile di riferimento e di identificazione…”.

 

Di notevole ausilio sono la ricca bibliografia e l’indice analitico del volume.

 

Il catalogo degli argenti depositati nel tesoro della cattedrale di Nardò

Invito_fronte

di Giuliano Santantonio*

Il Catalogo degli argenti depositati nel tesoro della cattedrale di Nardò, che si pubblica nella collana  “Quaderni degli Archivi Diocesani di Nardò e di Gallipoli”, trae spunto dalle celebrazioni del VI Centenario dell’elevazione della chiesa abaziale di S. Maria de Nerito in cattedrale e della terra di Nardò in città, ma risponde a tutta una serie di aspirazioni, gradualmente maturate negli ultimi decenni anche in conseguenza del nuovo approccio con cui la Chiesa Italiana va affrontando il tema dei beni culturali ecclesiastici:

  • intanto, il desiderio di rendere noto in modo appropriato un importante patrimonio d’arte e di storia, per lungo tempo e per certi versi meritoriamente custodito nei depositi inaccessibili del più insigne tempio neritino, in attesa di collocarlo nel museo diocesano in via di allestimento per restituirlo alla pubblica fruizione;
  • in secondo luogo, l’opportunità di valorizzare sul piano pastorale e della educazione alla fede manufatti che nel tempo sono stati prodotti non per mero scopo funzionale o artistico, ma anche come testimonianza di un modo di rappresentare il sentire della fede;
  • in terzo luogo, il convincimento che i beni culturali, sapientemente adoperati, possono aprire spazi nuovi di promozione umana integrale e di sviluppo del senso identitario e del dialogo interculturale, oltre che generare benessere spirituale e materiale in un mondo travagliato da criticità la cui origine va ben oltre la sfera della finanza e dell’economia.

L’abbondanza e la qualità dei manufatti registrati possono appena far intuire lo spessore dei vescovi che si sono succeduti nell’arco di cinque secoli sulla cattedra neritina e alla cui committenza sono in massima parte riconducibili, talvolta superficialmente interpretate come espressione di una vanitosa e diffusa megalomania. Ma basta spulciare tra l’epistolario del vescovo Sanfelice o scorrere con cura il regolamento da lui dettato per la Biblioteca vescovile che aveva fondato e dotato per cogliere gli intendimenti e i modi di una pastorale sapiente, generosa e aderente ai tempi e ai bisogni del momento storico in cui ciascuno di loro è vissuto.

Ciò rende doppiamente prezioso il patrimonio illustrato dal Catalogo, che per questo rappresenta non un mero per quanto meritorio lavoro scientifico al servizio della cultura, ma un significativo documento della vita di una Chiesa dentro la quale il Vangelo si è fatto storia e la fede ha assunto le forme nobili della bellezza e dell’arte.

Ringrazio l’autore, la cui competenza scientifica pone un sigillo di garanzia sul lavoro svolto, e la Fondazione Terra d’Otranto che in diversi modo ha promosso e sostenuto la realizzazione di quest’opera.

 

Invito_retro

 *parroco della cattedrale, direttore dell’Uff.diocesano BBCC della diocesi di Nardò-Gallipoli

Finalmente riemerge il dipinto del Solimena nella cattedrale di Nardò

di Marcello Gaballo

 

Occorre tornare sulla determinazione del già citato don Giuliano Santantonio, parroco della Cattedrale di Nardò, che continua a recuperare le memorie artistiche dell’Ecclesia Mater neritina, magari sollecitato dall’appuntamento del 2013, atteso evento che celebrerà i 600 anni del massimo tempio religioso cittadino[1].

La facciata della cattedrale di Nardò, disegnata da Ferdinando Sanfelice

Questa volta si è restituito all’ antico splendore un dipinto raffigurante un san Bernardino da Siena[2] sul pulpito della basilica, quasi rispondendo all’appello lanciato da Milena Loiacono in un suo saggio di qualche anno fa: Un’opera da salvare: il San Bernardino da Siena attribuito a Francesco Solimena[3]. L’Autrice sottolineava “il pessimo stato di conservazione” e “al fine di arrestarne il lento ed inevitabile degrado, sarebbe auspicabile un intervento di restauro che consentisse di giungere anche ad una più approfondita conoscenza dei materiali e quindi ad una più corretta lettura del manufatto”.

Il dipinto di nostro interesse, distinto dall’altro affrescato nel 1478 sulla parete della navata sinistra e del quale si è già trattato[4],  è ubicato sul dossale del solenne pulpito, addossato al quinto pilastro della navata centrale, in cornu evangelii.

Il pulpito della cattedrale di Nardò

La presenza in questo luogo, un tempo deputato alle predicazioni più che alla proclamazione della Parola di Dio tenuta dall’ambone[5], fu scelta dal vescovo Antonio Sanfelice[6], per tramandare ai posteri, ancora una volta, che in  questo sacro tempio predicò il santo senese (*Massa Marittima, 8 settembre 1350 – +L’Aquila, 20 maggio 1444). Celebre per la straordinaria capacità oratoria e le ferventi prediche tenute in moltissime città italiane, tanto da essere ancora considerato il più illustre predicatore italiano del secolo XV, il frate Minore avrebbe predicato nella cattedrale di Nardò nel 1433, probabilmente chiamato dal vescovo dell’epoca, suo confratello, monsignor Giovanni  Barella o Barlà, in carica dal 1423 al 1435.

La tribuna, il dossale e il baldacchino del pulpito della cattedrale di Nardò

Prima di accennare al capolavoro riemerso, forse è utile qualche cenno sul pulpito che lo ospita. Poggia questo su  quattro colonne marmoree policrome, delle quali le anteriori a base circolare e le posteriori, addossate al muro, a base rettangolare. Particolarmente elaborata la tribuna, sempre in marmo policromo, con i due stemmi angolari del vescovo Sanfelice e il monogramma bernardiniano nella parte centrale, tutti e tre altorilevati. A sinistra di chi guarda una porticina d’accesso lignea, inserita nell’interruzione della tribuna,  mette in comunicazione il ridotto spazio della stessa con la scala in ferro che consente di salirvi; un elemento decorativo, anche questo ligneo, riprende il controlaterale in marmo. Il dossale su cui è posto il nostro lavoro sorregge il baldacchino, sul cui soffitto è dipinto lo Spirito Santo, sotto forma di splendida colomba ad ali spiegate al centro di una raggiera.

La scala in ferro che conduce al pulpito. In primo piano particolare del marmoreo portacereo pasquale, coevo con il pulpito
particolare con le colonne e lo stemma del vescovo Sanfelice, sempre in marmi policromi, che si ripete ai due angoli della tribuna
particolare della tribuna e spessore murario (di colore bianco) sopravvissuto nei restauri di fine Ottocento, quando di svestì la cattedrale delle opere architettoniche realizzate da Ferdinando Sanfelice
base della tribuna
porticina lignea che separa la tribuna dalla scala

L’eccezionalità dell’evento, ritenendo da più parti quella neritina come l’unica tappa del santo nella nostra regione, fu giustamente rimarcata dall’instancabile Sanfelice, che commissionò il lavoro ad uno dei più grandi artisti napoletani a lui coevi, il celeberrimo Solimena, che lo eseguì con pittura ad olio su marmo.

Un’epigrafe immortalava l’opera e l’autore: S. Bernardinus Senensis/ qui suis concionibus/ illustriorem reddidit/ basilicam hanc/ ad uiuum expressus[7]/ a celeberrimo Solimena/ Anno D(omi)ni MDCCXXXIV.

l’epigrafe sanfeliciana posta sotto il dipinto

 

lo Spirito Santo sotto forma di colomba dipinto sulla volta del baldacchino

Marina Falla Castelfranchi[8], pur non avendo potuto visionare il dipinto per il pessimo stato in cui versava, lo ha attribuito alla maturità di Francesco Solimena. Dell’artista, ben noto al vescovo e a suo fratello Ferdinando, si conservano a Nardò almeno altre due opere: la Madonna in gloria tra i Santi Pietro e Paolo (cappella privata del vescovo) e San Michele Arcangelo, sull’altare omonimo in Cattedrale, di cui si legge la paternità in una delle visite pastorali[9].

S. Bernardino da Siena (1734) di Francesco Solimena nella cattedrale di Nardò

La perizia dell’operatore Valerio Giorgino ha restituito un’opera molto interessante, che certamente sarà esaminata e descritta dagli studiosi del Solimena. Il santo, vestito di un abbondante saio minoritico e stretto in cintura dal cingolo, è raffigurato per tre quarti. Con l’indice della mano destra mostra l’oggetto, forse ligneo, che è tenuto dalla sinistra; sul fusto si innesta una cartella ottagonale su cui è inciso il trigramma IHS[10], con la croce innestata sull’asta trasversale della H e con i tre chiodi della Passione alla base delle lettere. Se nell’affresco neritino di cui si è già fatto cenno il santo viene raffigurato in età avanzata, qui invece ha una età media, con il capo leggermente volto a destra e lo sguardo verso il riguardante, quasi ad invitarlo alla contemplazione del simbolo da lui stesso ideato.

Ci auguriamo che l’azione di recupero e di restauro continui per le tante altre ricchezze di cui può gloriarsi la cattedrale neritina, così che si presenti all’appuntamento, ormai prossimo, nella sua migliore forma.


[2] Sul san Bernardino da Siena affrescato a Nardò si veda la relativa scheda di restauro pubblicata su “Il delfino e la mezzaluna”, a. I, n. 1 (luglio 2012), pp. 146-148. Cfr. inoltre R. Poso, La cultura del restauro pittorico in Puglia nella seconda metà del XIX secolo, in Storia del restauro dei dipinti a Napoli e nel Regno nel XIX secolo, Atti del Convengo Internazionale di Studi (Napoli, 14-16 novembre 1999), a cura di M.I. Catalano e G. Prisco, volume speciale 2003 del “Bollettino d’Arte”, pp. 273-286.

[3] In “Kronos”, n°4 (2003), pp. 145-146, Congedo Editore.

[5] Furono le Instructiones fabricae del cardinale Borromeo a stabilire che il pulpito dovesse trovarsi in tutte le chiese, a circa metà della navata, sopraelevato rispetto all’assemblea, così che il predicatore potesse essere visto e udito da tutti.

[6] Napoletano, XXIV vescovo della diocesi, in carica dal 2/11/1707 sino al 1/1/1736, data della sua morte. Sull’attività del presule si veda anche https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/03/il-conservatorio-della-purita-a-nardo-e-il-vescovo-antonio-sanfelice/

[7] Da leggersi ad vivum expressus = rappresentato realisticamente, al naturale. Ringrazio Armando Polito per la corretta interpretazione.

[8] M. Falla Castelfranchi, Monumenti di Nardò dal XIII al XVIII secolo, in Città e Monastero. I segni urbani di Nardò (secc. XI-XV), a cura di Benedetto Vetere, Galatina 1986, p. 253. Del dipinto ne aveva già scritto M. D’Elia in due suoi lavori: Mostra dell’Arte in Puglia dal Tardo Antico al Rococò, Roma 1964, p. 185; La Pittura Barocca, in La Puglia tra Barocco e Rococò, Milano 1982, p. 279.

[9] La tela è in restauro e si spera che questo confermi l’attribuzione.

[10] IHS, le prime tre del nome greco di Gesù, oppure forma abbreviata di “Iesus Hominum Salvator”. Il simbolo, più tardi adottato anche dai Gesuiti, conteneva la devozione al Nome di Gesù. Venne rappresentato in moltissimi luoghi religiosi e civili, pubblici e privati, e risulta che esso campeggiasse sulle antiche porte della città di Nardò. Risalta anche sulla tribuna del nostro pulpito, inserita nel sole raggiante.

San Bernardino. Un affresco del santo senese nella cattedrale di Nardò

Nardò, cattedrale, affresco di s. Bernardino da Siena (ph Marcello Gaballo)

di Marcello Gaballo

La festa del santo senese (*Massa Marittima, 8 settembre 1350 – +L’Aquila, 20 maggio 1444) è occasione utile per sottolineare ancora una volta l’operosità del parroco don Giuliano Santantonio, che ha fermamente voluto il restauro dell’affresco del santo francescano, celebre nel mondo per la devozione al santissimo nome di Gesù e per la riforma del suo ordine, della quale fu uno dei principali sostenitori.

La straordinaria capacità oratoria e le ferventi prediche tenute in moltissime città italiane ne fecero il più illustre predicatore italiano del secolo XV.

Non si riproporrà qui la biografia, trattata ampiamente in numerosissimi libri e facilmente consultabile nel web, mentre piace sottolineare come nessuno degli agiografi ufficiali faccia cenno della sua sosta in Puglia e a Nardò nello specifico. Si descrivono infatti le sue celebri prediche tenute per un trentennio in quel di Mantova, Bologna, Venezia, Ferrara, Siena, Viterbo e nell’Urbe, ma non risultano soste pugliesi.

Si è portati a considerare quelle neritina come l’unica tappa del santo nella nostra regione, e vi giunse perché chiamato dal vescovo dell’epoca, suo confratello, monsignor Giovanni  Barella o Barlà, in carica dal 1423 al 1435[1].

Il fratello Minore avrebbe predicato nella cattedrale di Nardò nel 1433 e la memoria di quel celebre atto fu immortalata qualche decennio dopo da un altro vescovo neritino, Ludovico de Pennis, in carica dal 1451 al 1484[2]. Il presule volle raffigurare l’evento ritraendo il santo nell’atto di predicare dal pergamo di questa cattedrale, con un affresco del 1478, ventotto anni dopo la santificazione. La presenza dello stemma episcopale[3], replicato nei due angoli superiori, consente di fornire veridicità sulla datazione dell’opera.

Molti secoli dopo ancora un vescovo neritino, Antonio Sanfelice[4], volle rimarcare quel giorno facendo dipingere a celeberrimo Solimena il santo con in mano il turibolo. Ciò avvenne nel 1734, con pittura ad olio sul marmo del lastrone posteriore del pergamo, addossato alla quinta colonna della medesima cattedrale[5]. L’inusuale tecnica e l’usura del tempo hanno cancellato buona parte del dipinto e confidiamo sempre nella sensibilità del parroco a che si recuperi quanto gravemente danneggiato.

Ma torniamo al nostro prezioso affresco, che originariamente si trovava su di un pilastro della navata sinistra, inserito in una più ampia decorazione pittorica che solo in minima parte sopravvive.

I rifacimenti e rimaneggiamenti del provato edificio sacro, in origine basiliano, poi benedettino, ampiamente rivisto nel XVI secolo, quindi da Ferdinando Sanfelice (Napoli, 18 febbraio 1675  – Napoli 1 aprile 1748) ed infine dagli importanti lavori di restauro e ripristino della fine dell’800, probabilmente causarono diverse traslazioni del nostro, come avvenne per altri pregevoli  affreschi eseguiti nello stesso edificio.

L’affresco, su incarico del Ministero, venne separato nel 1893 dal muro con la tecnica dello “strappo” dal pittore-restauratore romano Pietro Cecconi Principi e montato su una rete metallica trattata adeguatamente, per essere collocato dove si trova attualmente[6].

Alto 270 cm e largo 130, l’affresco è stato restaurato quest’anno da Januaria Guarini e Gaetano Martignano, che lo hanno ultimato nell’aprile 2011[7]. Eccellente il lavoro da essi effettuato, anche perché non facile era la rimozione meccanica del cemento utilizzato dal Cecconi Principi e dell’altro del 1980, quando con esso si vollero colmare delle lacune. Diligentemente rimosse anche le scialbature a calce e le scolature di colore utilizzato nella ridipintura delle pareti. Tutte le complesse fasi di restauro hanno restituito un’opera tra le più belle della cattedrale, la cui iconografia merita dei cenni.

l’affresco restaurato nel 2011

Il santo è raffigurato in piedi, inquadrato in un’edicola ottagonale, leggermente rivolto a sinistra. Indossa un saio grigio con cappuccio e cordone intorno alla vita da cui pende un sacchetto. Con la mano destra regge una tavoletta circolare col trigramma JHS, con la quale benediva i fedeli al termine della sua predicazione, e nella sinistra ha un antifonario aperto su cui si legge Pater/ mani/ festa/ vi no/ men/ tuum/ homi/ nibus. In alto, agli angoli, sono dipinti i citati due scudi con lo stemma del vescovo; ai lati del capo si legge il nome del santo (S. BER – NAR. OM[8].).

A parte la rarità del soggetto in Puglia, occorre anche rimarcare che il nostro è uno dei più antichi ritratti, probabilmente conforme al  calco mortuario eseguito a L’Aquila, comunque assai vicino ai prototipi delle rappresentazioni rinascimentali di Bernardino che lo raffigurano calvo, con il volto scarno e mento prominente[9].
Qualche nota merita anche il trigramma JHS, il simbolo ideato dal nostro santo, che per questo motivo è ritenuto patrono dei pubblicitari.

Consiste in un sole raggiante in campo azzurro, al centro del quale vi sono le lettere dorate IHS, le prime tre del nome greco di Gesù, oppure forma abbreviata di “Iesus Hominum Salvator”. L’asta sinistra della H è chiaramente tagliata in alto per farne una croce.
Il sole è chiara allusione a Cristo e i dodici suoi raggi a serpentina rappresenterebbero  i dodici Apostoli. Studi accreditati dei secoli scorsi attribuiscono ai raggi un preciso significato teologico: il primo raggio starebbe per “rifugio dei penitenti”; il secondo per “vessillo dei combattenti”; il terzo per “rimedio degli infermi; il quarto-conforto dei sofferenti, il quinto-onore dei credenti, il sesto-gioia dei predicanti, il settimo-merito degli operanti, l’ottavo-aiuto degli incapaci, il nono-sospiro dei meditanti, il decimo-suffragio degli oranti, l’undicesimo-gusto dei contemplanti, il dodicesimo-gloria dei trionfanti.

Nella nostra tavoletta non figurano altri otto raggi che in altre raffigurazioni si intercalano ai precedenti, che rappresenterebbero le beatitudini.

Il simbolo, più tardi adottato anche dai Gesuiti[10], dunque conteneva la devozione al Nome di Gesù. Venne rappresentato in moltissimi luoghi religiosi e civili, pubblici e privati, e risulta che esso campeggiasse sulle antiche porte della città di Nardò. Sempre in città sopravvive ancora sulla facciata della chiesa dei SS. Medici, sull’architrave d’accesso al palazzo di città (nella piazza), sul pergamo della cattedrale e in diversi altri luoghi che sarebbe troppo lungo elencare.

Ci piace esprimere gratitudine al citato don Giuliano per la sensibilità e l’impegno dimostrato, ancora una volta, a salvaguardare il notevole patrimonio artistico di cui la città di Nardò può gloriarsi.

Per approfondire e sulla vita del santo:

http://it.wikipedia.org/wiki/Bernardino_da_Siena#Le_prediche

http://www.paginecattoliche.it/modules.php?name=News&file=article&sid=1506

http://www.santiebeati.it/dettaglio/27300


[1] Nato a Galatina nel 1359, nato da nobile famiglia, francescano, deceduto a Nardò nel 1435, nominato dal pontefice Martino V.

[2] Nato a Napoli nel 1393, di nobile schiatta, deceduto a Nardò nel gennaio 1485, nominato dal pontefice Niccolò V.

[3] ”d’azzurro a tre penne di struzzo d’ argento disposte in palo” (cf. M. Gaballo, Araldica civile e religiosa a Nardò, p. 88).

[4] Napoletano, XXIV vescovo della diocesi, in carica dal 2/11/1707 sino al 1/1/1736, data della sua morte.

[5] Cf. V. De Martini-A. Braca (a cura di), Angelo e Francesco Solimena, due culture a confronto, Fausto Fiorentino Ed. 1994, pp. 83-84.

[6]A. Tafuri, Ripristino e restauro della Cattedrale di Nardò, Roma 1944, p.66; C. Gelao, Chiesa Cattedrale, in Insediamenti benedettini in Puglia, II/2, p.439.

[7] La relazione dei lavori di restauro è datata 22 aprile 2011.

[8] OM sta per Ordinis Minorum.

[9] Una delle prime raffigurazioni di Bernardino pervenutaci, datata 1447, tre anni prima della sua canonizzazione, è data da un affresco strappato e riportato su tela proveniente dalla chiesa di San Francesco di Vercelli e conservato al Museo Borgogna. Nel 1460 (vale a dire 16 anni dopo la sua morte) s. Bernardino viene affrescato nel Santuario della Madonna del Carmine in s. Felice del Benaco (Brescia), come risulta dal libro “1952-2002 – Cinquantesimo anniversario dal ritorno dei Padri Carmelitani nel Santuario della Madonna del Carmine a s. Felice del Benaco” (da wikipedia).

[10] Pur con delle variazioni. A volte c’è la figura di Gesù al posto della croce che sormonta la lettera H (Iesus per crucem Hominum Salvator) e i tre chiodi della passione sono infissi in un cuore.

Riemerge un Sant’Onofrio tra gli affreschi medievali della Cattedrale di Nardò

 

Un Sant’Onofrio tra le iconae depictae della Cattedrale di Nardò.

Il santo eremita egiziano riemerge nel corso degli ultimi restauri

di Marcello Gaballo

Non si può che plaudire la determinazione e la costanza con le quali don Giuliano Santantonio, parroco della Cattedrale di Nardò, ha dato impulso – da oltre un anno a questa parte – ai lavori di restauro degli affreschi dell’Ecclesia Mater neritina. I recenti interventi, effettuati dai restauratori Januaria Guarini e Gaetano Martignano, hanno restituito al loro antico splendore gli affreschi raffiguranti il san Bernardino da Siena[1] su uno dei pilastri della navata sinistra, il Cristo alla Colonna sul lato destro del presbiterio, e il meraviglioso trittico con san Nicola, la Vergine col Bambino e la Maddalena, conservato nella navata sinistra, in corrispondenza della base del campanile.

Attualmente il paziente lavoro di recupero sta interessando alcune porzioni di affresco collocate sulla parete meridionale della Cattedrale, in direzione della piazza principale della città. Uno di questi affreschi (l’ultimo in ordine di restauro) occupa lo spazio della parete destra compreso tra la cappella di San Michele Arcangelo e la porta laterale.

Posto sull’originario muro perimetrale, il dipinto ha suscitato particolare interesse per il soggetto rappresentato, finora inedito, reso tuttavia quasi illeggibile sia per le cadute di colore, sia per uno strato d’intonaco con tracce di affreschi che lo ricopre nella zona intermedia. In aggiunta a questo, l’affresco reca danni evidenti anche a causa delle manomissioni subìte dal tempio nel corso dei secoli, soprattutto durante l’episcopato di mons. Fabio Fornari (1583-1596); periodo al quale risale la demolizione di numerosi altari – alcuni dei quali collocati in ogni angolo e a ridosso dei pilastri – e con essi la distruzione delle iconae depictae che li ornavano, poi riemerse in buona parte a fine Ottocento, durante i lavori di restauro finalizzati a rimuovere le strutture settecentesche realizzate da Ferdinando Sanfelice.

L’affresco in oggetto ritrae un santo olosomo, in piedi con le mani giunte, inserito in una cornice lineare ocra su una campitura blu. Il soggetto – raffigurato nudo, con il capo circondato da un nimbo giallo – esibisce una folta barba e una lunga e fluente capigliatura. Meglio leggibili gli arti inferiori, ugualmente privi di indumenti e caratterizzati dalla presenza di tre steli di un elemento vegetale (forse una palma) che, dai piedi, si innalzano fino alle cosce del santo, culminando in tre ampie foglie.

Ai lati della figura si intravedono alcuni caratteri di una duplice iscrizione disposta in senso verticale, all’altezza del volto: a destra si legge “[…] F […] YS”;  a sinistra la sola lettera “S”.

Il riquadro con l’effigie del santo era originariamente accostato ad una seconda riquadratura (all’interno della quale sopravvivono pochi brani), come si evince da una porzione di cornice ornata da girali vegetali, che sovrasta entrambi i riquadri.

La perizia degli operatori ha restituito un’interessante iconografia che si presta a diversi spunti di riflessione sui quali è utile soffermarsi. La nudità del soggetto farebbe pensare ad un santo anacoreta, vissuto nel deserto sull’esempio di san Giovanni Battista e del profeta Elia, i cui attributi iconografici, assenti nell’affresco neritino, autorizzano ad escluderli da un’ipotesi interpretativa.

Le poche lettere sopravvissute e soprattutto l’irsutismo della figura[2] permettono di identificarvi sant’Onofrio, un eremita vissuto nel V secolo che, per oltre settant’anni, si ritirò in solitudine nel deserto, nutrendosi di erbe e riposando nelle grotte presenti attorno al suo eremo di Calidiomea, il luogo dei palmizi. La leggenda narra che, quando i suoi abiti diventarono lisi al punto da ridursi a pochi brandelli, il Signore fece crescere su tutto il corpo del santo un abbondante pelo, per proteggerlo dalla rigidità del clima, mentre un angelo, ogni giorno, si recava da lui per portargli del pane come unico alimento.

Le vicende del santo anacoreta furono narrate da Pafnuzio, un monaco vissuto nel V secolo in Egitto, che lo incontrò più volte e ne scrisse nella Vita greca, asserendo che l’eremita morì l’11 giugno (anche se il santo è celebrato il 12 giugno nei sinassari bizantini)[3].

Alla luce di questi pochi elementi, l’iscrizione potrebbe dunque essere completata e letta come “[ONO]F[R]YS”; più ardua, invece, l’interpretazione dell’apparentemente singola lettera “S”, che potrebbe essere la lettera finale di Onofrius o di Sanctus.

Riuscire a decifrare il significato di questi caratteri è, dunque, di estrema importanza ai fini dell’esatta datazione dell’affresco che, in ogni caso, merita uno studio approfondito da parte degli specialisti di arte medievale e bizantina, sia per la comparazione di questo con i restanti affreschi, sia per una migliore definizione dell’intero ciclo pittorico.

L’identificazione del santo egiziano rimanda ad un inusuale culto neritino nel Medioevo, del quale non si conosce nulla, sebbene l’eremita fosse ben noto nel Salento, considerata l’esistenza di numerose altre sue rappresentazioni in questa terra, tra le quali si citano quelle di Santa Maria di Cerrate a Squinzano (in cui era dipinto su uno degli archivolti nella chiesa), dell’abbazia di San Mauro sul litorale ionico (dove l’anacoreta è affrescato sull’intradosso di uno degli archi), nella basilica di Castro[4]. Più celebre il bel sant’Onofrio dipinto nella chiesa galatinese di Santa Caterina, dov’è raffigurato con i canonici attributi iconografici che lo caratterizzeranno nel corso dei secoli[5].

s. onofrio

Alla luce di questo importante rinvenimento e dei numerosi affreschi tuttora conservati nel massimo edificio religioso neritino, ci si augura che la sensibilità del sacerdote – evidentemente supportata da generosi offerenti – possa proseguire nella meritoria opera di recupero di queste importanti testimonianze pittoriche, anche in vista dell’eccezionale evento che ricorrerà il prossimo 2013, quando la Diocesi di Nardò celebrerà il secentenario dell’istituzione della cattedra episcopale (11 gennaio 1413) ad opera di papa Giovanni XXIII (il pontefice scismatico Baldassarre Cossa), il quale nominò primo vescovo l’abate Giovanni de Epifanis.

 


[1] Sul san Bernardino da Siena si veda la relativa scheda di restauro pubblicata su “Il delfino e la mezzaluna”, a. I, n. 1 (luglio 2012), pp. 146-148. Cfr. inoltre R. Poso, La cultura del restauro pittorico in Puglia nella seconda metà del XIX secolo, in Storia del restauro dei dipinti a Napoli e nel Regno nel XIX secolo, Atti del Convengo Internazionale di Studi (Napoli, 14-16 novembre 1999), a cura di M.I. Catalano e G. Prisco, volume speciale 2003 del “Bollettino d’Arte”, pp. 273-286.

[2] Con tale aspetto “santu ‘Nufriu u pilusu” è raffigurato nella Cappella Palatina di Palermo, dov’è annoverato tra i comprotettori della città ed oggetto di un culto molto intenso. Come riferisce il Pitrè, il santo era anticamente invocato da parte delle fanciulle in cerca di marito, diversamente da quelle salentine che, invece, rivolgevano le loro preci a san Nicola di Myra.

[3] Su sant’Onofrio cfr. A. Borrelli, in http://www.santiebeati.it/dettaglio/56850; M.C. Celletti, Sant’Onofrio, in Bibliotheca Sanctorum, Roma 1967, IX, coll. 1187-1099.

[4] Mi comunica a tal proposito l’amico Emanuele Ciullo: “il S. Onofrio della basilica bizantina di Castro è stato rinvenuto nel corso dei recenti restauri cui è andata soggetta la basilica, che è la chiesa cattedrale di Castro, è una figura stante ubicata nel sottarco dell’arcone centrale della navata destra (l’unica porzione in elevato dell’edificio) al centro di altre due figure per complessivi sei santi (tre da un lato e tre dall’altro, il disegno è perfettamente “>speculare) divisi da una fascia a fregio vegetale al centro dell’arco. La figura naturalmente è completamente nuda e ha il nome iscritto affianco. Datazione incerta (X-XI?)”.

Ringrazio per la segnalazione l’altro amico Angelo Micello.

[5] Qui il santo, barbuto e con fluente capigliatura che ricopre buona parte del corpo, si appoggia con la mano sinistra su un bastone che termina in una croce a “T” (Tau) nella parte superiore; con la mano destra stringe un singolare rosario, i cui grani (circa 35), di colore marrone, sembrerebbero ghiande. Ai piedi del santo una corona rammenta agli astanti la rinuncia di Onofrio alla sua probabile stirpe regale e, comunque, alla gloria terrena, in favore di quella celeste attraverso l’eremitaggio.

“Itineraria”, guide brevi monotematiche dedicate ai principali monumenti del Salento

Un viaggio attraverso le eccellenze artistiche, architettoniche e ambientali del territorio salentino è quello che intende presentare la Fondazione Terra d’Otranto con la pubblicazione della collana “Itineraria”, serie di guide brevi monotematiche dedicate ai principali monumenti del Salento.

Per ogni opuscolo – aggiornato rispetto a contenuti, fonti, bibliografia e iconografia – la collana propone un identico schema: si parte da una breve introduzione storica, volta a contestualizzare l’analisi delle singole opere (delle quali sono sinteticamente delineate le vicende costruttive e artistiche, fino ai più recenti restauri), per poi passare alla visita guidata vera e propria, dove ad essere illustrati sono i singoli elementi costitutivi del monumento, dell’opera o del luogo trattato, quasi fossero tappe virtuali di un itinerario. L’apparato iconografico accompagna costantemente il testo, focalizzando l’attenzione su manufatti, dettagli e decori di particolare pregio, mentre una planimetria dettagliata del monumento consente di seguire agevolmente la guida in loco.

Il primo numero della collana è dedicato alla Cattedrale di Nardò, eccezionale

La Cattedrale di Nardò

Titolo collana: Itineraria

Direttore: Paolo Giuri

Titolo n. 1: La Cattedrale di Nardò

Testi: Giovanna Falco, Marcello Gaballo, Giuliano Santantonio

Referenze fotografiche: Mino Presicce, Raffaele Puce

Impaginazione e grafica: Luca Manieri

Editore: Fondazione Terra d’Otranto

2012

Formato A5, 148 × 210 mm,

pp. 20, con illustrazioni a colori

Codice ISBN: 978-88-906976-0-9

 

Un viaggio attraverso le eccellenze artistiche, architettoniche e ambientali del territorio salentino è quello che intende presentare la Fondazione Terra d’Otranto con la pubblicazione della collana “Itineraria”, serie di guide brevi monotematiche dedicate ai principali monumenti del Salento.

Per ogni opuscolo – aggiornato rispetto a contenuti, fonti, bibliografia e iconografia – la collana propone un identico schema: si parte da una breve introduzione storica, volta a contestualizzare l’analisi delle singole opere (delle quali sono sinteticamente delineate le vicende costruttive e artistiche, fino ai più recenti restauri), per poi passare alla visita guidata vera e propria, dove ad essere illustrati sono i singoli elementi costitutivi del monumento, dell’opera o del luogo trattato, quasi fossero tappe virtuali di un itinerario. L’apparato iconografico accompagna costantemente il testo, focalizzando l’attenzione su manufatti, dettagli e decori di particolare pregio, mentre una planimetria dettagliata del monumento consente di seguire agevolmente la guida in loco.

Il primo numero della collana è dedicato alla Cattedrale di Nardò, eccezionale palinsesto architettonico dove si accordano inaspettatamente l’edificio romanico-normanno, i restauri settecenteschi di Ferdinando Sanfelice e gli affreschi eseguiti da Cesare Maccari sul finire dell’Ottocento.

La Fondazione Terra d'Otranto, senza fini di lucro, si è costituita il 4 aprile 2011, ottenendo il riconoscimento ufficiale da parte della Regione Puglia - con relativa iscrizione al Registro delle Persone Giuridiche, al n° 330 - in data 15 marzo 2012 ai sensi dell'art. 4 del DPR 10 febbraio 2000, n° 361.

C.F. 91024610759
Conto corrente postale 1003008339
IBAN: IT30G0760116000001003008339

Webdesigner: Andrea Greco

www.fondazioneterradotranto.it è un sito web con aggiornamenti periodici, non a scopo di lucro, non rientrante nella categoria di Prodotto Editoriale secondo la Legge n.62 del 7 marzo 2001. Tutti i contenuti appartengono ai relativi proprietari. Qualora voleste richiedere la rimozione di un contenuto a voi appartenente siete pregati di contattarci: fondazionetdo@gmail.com.

Dati personali raccolti per le seguenti finalità ed utilizzando i seguenti servizi:
Gestione contatti e invio di messaggi
MailChimp
Dati Personali: cognome, email e nome
Interazione con social network e piattaforme esterne
Pulsante Mi Piace e widget sociali di Facebook
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Servizi di piattaforma e hosting
WordPress.com
Dati Personali: varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio
Statistica
Wordpress Stat
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Informazioni di contatto
Titolare del Trattamento dei Dati
Marcello Gaballo
Indirizzo email del Titolare: marcellogaballo@gmail.com

error: Contenuto protetto!