di Gianni Cudazzo
La Place d’Italie sarà in festa a Parigi, dal 22 al 27 giugno, in occasione della 12a edizione della Settimana Italiana del 13°: “Italia…maintenant ?”.
Cultura, letteratura, arte, cinema (da segnalare l’eccezionale presenza del
“Italia… maintenant ?” è il tema della settimana italiana di quest’anno, esiste un Italia… “d’avant” ?
Purtroppo non può non venirmi in mente, visti anche i recentissimi fatti di cronaca… un’Italia che mi auguro di non rivivere più, ossia quella delle caste, delle mafie, della corruzione, delle stragi: un’Italia indegna della sua Storia, Cultura, e di quei Grandi italiani che hanno contribuito a “elevare” l’immagine del nostro Paese a simbolo di creatività e umanità nel mondo.
Venezia, Roma, Milano o Napoli sono le città italiane più conosciute all’estero, perchè una regione come la Puglia come simbolo di questo concerto?
Da qualche anno, noi pugliesi viviamo un momento importante per la nostra regione. Iniziamo finalmente a capire che bisogna valorizzare l’immagine del nostro territorio, adoperare al meglio le nostre risorse culturali come quelle naturali e la musica sta contribuendo molto alla diffusione di questo nuovo atteggiamento. Un esempio dunque per l’Italia intera che storicamente ha una delle più grandi tradizioni musicali del mondo ma che, da un po’ di tempo, non confida sufficientemente nell’arte dei suoi “nuovi” artisti.
Nel contesto politico e sociale così tormentato, pensi che la musica possa essere una sorta di “ambasciatrice” dell’Italia all’estero?
Potrebbe sembrare futile parlare di musica italiana davanti a questo scenario europeo, segnato da problemi più tangibili: la disoccupazione, il debito pubblico, le tasse… ma non dobbiamo dimenticare che la cultura e quindi anche la musica, hanno un ruolo fondamentale nel preservare la democrazia in momenti difficili come questo. Storicamente, basti pensare al ruolo che ha avuto Verdi in Europa durante il Risorgimento. Quindi: perchè non pensare ad
di Pino de Luca
Copertino, comune dalle probabili origini bizantine, adiacente alla più antica ed estesa città di Nardò, presenta numerose caratteristiche interessanti. Ha una storia singolare e intrigante come moltissimi centri della penisola circondata dal mare.
Cultore delle storie ispirate a Bacco, il luogo mi ha colpito perché è quello della nascita della prima Cantina Cooperativa del Salento. 1935: trentasei persone decidono di fondare una Cantina Sociale che, in qualche modo, proteggesse i contadini dal rasoio che i compratori di uve, noti per lo spessore del pelo sullo stomaco, usavano mettere alla gola di chi coltivava. Il rischio di svendere il prodotto o lasciarlo marcire sulla pianta era scongiurato. Ma quanta fatica per tenere insieme una comunità di soci in una terra nella quale la cooperazione non aveva alcuna esperienza.
E invece, negli anni, la Cupertinum s’è rafforzata, ha acquisito un ruolo produttivo e una rilevanza nazionale e internazionale valorizzando le uve prodotte delle terre di Carmiano, Arnesano, Monteroni, Galatina e Lequile oltre che di Copertino. Ora viaggia sotto la guida di Mario Petito, socio dal 1966 e Presidente dal 1985 e la supervisione tecnica dell’enologo Giuseppe Pizzolante Leuzzi, chiamato a sostituire un mostro sacro dell’Enologia, l’irpino di nascita e salentino d’adozione Severino Garofano, ormai in meritata pensione.
La Cupertinum ha storia salda e radici d’antica tradizione, ma come tutto ciò che è forte di una identità consolidata, non teme sperimentazione e
di Andrea Padova e Pier Paolo Tarsi
Partiamo dalla fine, cioè dal suo ultimo lavoro. Altrove ha affermato che in esso vi è molto della sua terra, il Salento. Potrebbe rendere in parole il senso di tale presenza, indicare cioè brevemente la natura di questo legame che ha voluto esprimere nella composizione musicale?
“Arancio Limone Mandarino” è innanzitutto un disco che nasce dal Salento. Basta scorrere i titoli dei singoli brani per ritrovare il nome di alcuni luoghi (“Verso Leuca”, “Porto Selvaggio”) o di alcune persone (come Renata Fonte), di alcune suggestioni musicali (“Pizzica Tarantata”) o per riconoscere alcuni versi di Vittorio Bodini (“La pianura di rame”, “Il cielo è bianco”). Il titolo stesso dell’album è sia l’inizio di una filastrocca popolare che i bambini associano al gioco con la corda, sia un verso che Bodini usa come refrain in una delle sue poesie più belle. Posso aggiungere che per me, come per moltissimi altri, il Salento è il luogo dove sono nato e dove sono tornato, dopo aver vissuto anche altrove. Come appunto per Bodini e tanti altri, per me è proprio questo essere stato altrove che permette di vivere in maniera diversa questa terra. Direi quasi con un progressivo lento riavvicinamento che porta ad una maggiore non vorrei dire consapevolezza, ma senz’altro intensità.
Al di là di questo amore per il Salento che impregna anche il suo ultimo lavoro, bisogna tuttavia riconoscere che, finora, i più importanti riconoscimenti, sia come interprete che come compositore, le sono giunti soprattutto dall’estero, fuori dal Salento e dall’Italia in genere, sebbene anche in ambito nazionale goda di ampio favore della critica. Sullo scenario internazionale le viene rivolta grande attenzione, sin da quando, nel 1995, si è aggiudicato la vittoria al prestigioso “J.S. Bach Internationaler Klavierwettbewerb”. Ha un ampio e attento pubblico in diverse parti d’Europa ed è fortemente apprezzato anche al di là dell’Atlantico. Negli Stati Uniti è chiamato regolarmente ad esibirsi sui palchi più importanti, la critica le ha dedicato numerosi encomi su giornali come il New York Times e il Washington Post. È apprezzato e invitato insomma nei vari angoli del globo come uno dei migliori pianisti viventi, persino in Estremo Oriente, in Giappone per citare un caso. Qualcuno – forse in un momentaccio della sua vita – disse che nessuno è profeta in patria. Lei è più ottimista in proposito? O dubita della riconoscenza di questa terra che tuttavia lei onora ampiamente celebrandola nei templi sacri della musica mondiale?
Per carattere mi interessa molto più il fare che l’apparire: intendiamoci, non si tratta di un atteggiamento ascetico o particolarmente nobile, anzi è una forma piacevole e innocua di egoismo che finisce semmai per diventare altruismo: l’altruismo di non volerci essere sempre ed a tutti i costi. Più seriamente, il poter convertire in studio e tempo per la riflessione e la creazione le energie che oggi tanti, anche nel Salento, dedicano a un tentativo di onnipresenza, è un privilegio che è più facile coltivare a Lecce che a Milano o New York. Ho iniziato a tenere regolarmente recital nel Salento attorno ai sedici anni, e dai ventitre ho suonato con una certa frequenza come solista con l’Orchestra che oggi chiamiamo ICO. Non ho nulla di cui lamentarmi e forse non mi lamenterei comunque. Sicuramente non desidero riconoscenza. Oggi, con più di trent’anni di carriera alle spalle, sono io che non sento il bisogno di suonare a Lecce ogni anno o più volte l’anno. E dato che ogni regola comporta delle eccezioni, ovviamente suonare anche nel Salento i pezzi di questo nuovo album che sono nati nel e dal Salento è una cosa che mi interessa e sarò felice di fare. Anche se la presentazione del cd e il primo concerto saranno a Londra l’8 Febbraio…
Il suo repertorio come compositore è piuttosto variegato e ampio: spazia nel paesaggio sonoro dal classico, al Jazz, senza arroccamenti nella musica colta, non mancano infatti aperture alla spontaneità della musica popular. Vorrei sapere, che rapporto ha con la musica popolare salentina, in senso ampio? E cosa pensa in particolare del fenomeno “Notte della Taranta”?
Duplice: mi fa piacere che con la “Notte della Taranta” il Salento abbia raggiunto una notorietà internazionale e soprattutto trasversale ed interessi sia fasce d’età che appassionati di generi assai diversi tra loro. Mi rattrista un po’ vedere invece che il Salento venga identificato solo con la pizzica e soprattutto mi rattrista vedere che, tra coloro che si dedicano allo studio e all’esecuzione di testi e musiche legate al fenomeno del tarantismo, i pochi bravi e seri siano una esigua minoranza. È interessante e ha un aspetto quasi comico notare come lo spirito di trance e di stordimento siano passati dal senso e dalla pratica di quella musica alla capacità di percezione del grande pubblico, che sotto l’etichetta generica di Pizzica oggi si lascia servire davvero di tutto: in larghissima parte musica molto brutta e per di più molto mal suonata.
Musica di qualità e celebrità. Che relazione sussiste tra le due in Italia, ammesso che vi sia? E all’estero, cambia qualcosa in tal senso?
Posso rispondere per quelle che sono le mie impressioni e naturalmente, quindi, la mia risposta vale soprattutto per la musica classica e contemporanea, più che per jazz, pop e rock il cui mondo mi è meno noto. L’Italia come sappiamo è un paese di individualisti inguaribili (in quanto compositore e pianista, devo inserirmi automaticamente nella lista!) e le
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