di Emilio Panarese
Nei primi tre giorni della Settimana santa, giorni di preparazione, s’apparecchia la tavola della Cena e si costruisce il Sepolcro.
Presso il pulpito della chiesa di S. Nicola, una volta, in questi giorni si allestiva il palco per la rappresentazione della Passione del giovedì.
L’usanza di questa forma drammatica, assai modesta, con apparati scenici del tutto ingenui, pantomimata o a volte dialogata, degli episodi della passione era già scomparso a Maglie alla fine del secolo scorso, mentre rimase vivo sino a circa trent’anni fa nella vicina Muro.
Quest’usanza altro non era che una sopravvivenza della sacra rappresentazione, assai diffusa in molte regioni italiane nel XV secolo e nel Salento: Li giorni santi de la quarantana / cose de santi se representava / molti martíri in rima se dispiana, / in publico per l’ordinarii se cantava [ … ] (Balzino, IV, c. 54 v.).
Giovedì santo
Si entra in lutto stretto: sin dal mezzogiorno si chiude l’organo e si legano (se ttàccane) le campane, che non vengono più sonate sino al resurrexit. Per annunziare le funzioni in qualche chiesa si usa ancora la trènula, come si diceva una volta, o la tròzzula, come si dice adesso, e, invece di usare il campanello, si batte con un bastone di legno sulle panche o sui confessionali.
Anni fa in questo giorno anche i carrettieri legavano i sonagli ai cavalli, i caprai alle capre e finanche il vecchio portiere del Collegio Capece – come ricorda A. De Fabrizio – invece di dare il segnale con la campanella, picchiava forte sul portone, all’ingresso di qualcuno con un grosso martello.
Nelle chiese parrocchiali si svolge la cena: una volta nella chiesa madre i dodici apostoli, vecchi poverelli infagottati in lunghi camici azzurri con la papalina in testa e seduti su dodici scanni,