Il busto di San Gregorio Armeno tra i tesori in argento della diocesi di Nardò

di Marcello Gaballo

Oggetto di grande venerazione da parte della città di Nardò è il reliquiario a braccio con la reliquia di San Gregorio, copia di un precedente trafugato negli anni ’80 e poi rifatto nel 1989 dalla Ditta Catello di Napoli

Non da meno è il mezzobusto del Santo protettore della città di Nardò, già restaurato dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma nel 1986, che viene portato processionalmente la sera del 19 febbraio tra le vie principali della città, subito dopo il pontificale del vescovo in Cattedrale, accompagnato dalle confraternite cittadini, le Autorità religiose e civili ed un seguito di fedeli che stanno sempre più riscoprendo il culto del santo.

Mercoledì 12 febbraio 2020, in Cattedrale, sarà presentato al pubblico il busto argenteo, egregiamente restaurato ed ultimato nelle settimane scorse, con la presenza degli artefici dell’importante intervento (Mariana Cerfeda e Giuseppe Tritto) e di uno dei più qualificati conoscitori dei manufatti in argento presenti in Puglia, Giovanni Boraccesi, che qualche anno fa scrisse un volume sui tesori argentei della Cattedrale di Nardò, per le edizioni Congedo (Capolavori di oreficeria nella Cattedrale di Nardò, Quaderni degli Archivi Diocesani di Nardo’ e Gallipoli – Nuova Serie – Supplementi V, Congedo, Galatina 2013).

Il santo, nel busto che si presenta, indossa i paramenti vescovili e mentre con la mano sinistra stringe un libro, la palma del martirio e la croce patriarcale, con la destra impartisce la benedizione; sul petto è inserita la reliquia. Nel dito anulare destro è infilato un anello d’argento con smeraldo. E’ merito dello stesso Boraccesi aver individuato in Nicola Alvino, apprezzato argentiere napoletano, l’artefice della preziosa opera.

L’occasione è utile per riproporre quanto già scrissi diversi anni fa nel libro sui Sanfelice a Nardò (Antonio Sanfelice vescovo della diocesi di Nardò. La straordinarietà e la lungimiranza dell’uomo e del pastore attraverso i documenti di archivio, in Antonio e Ferdinando Sanfelice: il vescovo e l’architetto a Nardò nel primo Settecento, a cura di M. Gaballo, B. Lacerenza, F. Rizzo, Congedo, Galatina 2003), poiché si continuava ad avere incertezza sul prezioso busto settecentesco, allora datato con approssimazione.

Le notizie furono desunte da una serie di atti notarili conservati nell’Archivio di Stato di Lecce, attestando come l’opera fosse stata realizzata a Napoli nel 1717, come si evince pure dall’iscrizione incisa sulla stessa.

A distanza di un anno dalla consegna al clero e alla città di Nardò il busto richiedeva già  un intervento di restauro, a causa dei cedimenti di alcune delle lamine argentee che lo ricoprivano. In un atto del notaio neritino Emanuele Bonvino del 1718 si legge che il mastro argentiere Giovan Battista Ferreri di Roma era stato saldato dall’economo della cattedrale sac. Domenico Grumesi, per conto di Mons. Sanfelice (1707-1736):

Costituito personalmente avanti di noi in testimonio publico il Sig.re Gio: Batt(ist)a Ferrieri della città di Roma, al p(rese)nte in questa Città di Nardò mastro Argentiere, il quale spontaneam(en)te e per ogni miglior via, avanti di noi dichiarò come hoggi p(rede)tto giorno esso Sig. Gio: Batt(ist)a have presentato al Sig. D. Domenico Grumesi economo di questa mensa vescovile qui p(rese)nte una tratta pagabile ad esso da Mons(igno)re Il(ustrissi)mo R(everendissi)mo D. Antonio Sanfelice vescovo di questa Città sotto la data in Napoli li 15 del corrente mese di Giugno in somma di ducati quindici, come dalla suddetta tratta alla quale et havendo esso Sig. Gio: Batta richiesto detto Sig.re D. Dom(eni)co per la consegna e soddisfatione delli suddetti ducati quindici, e conoscendo il medesimo esser cosa giusta e volendo soddisfare la tratta suddetta che può hoggi p(rede)tto giorno esso Sig.re Gio: Batta presentialmente e di contanti avanti di noi numerati di moneta d’argento ricevè et hebbe detti ducati quindici dallo detto Sig.re D. Dom(eni)co p(rese)nte date et numerate di proprio denaro detto Il(ustrissi)mo e R(everendissi)mo Mons(ignor) Vescovo come disse, e sono a saldo, e complimento e fino al pagam(ento) della statua d’Argento del nostro Prò(tettore) S. Gregorio Armeno fatta fare nella Città di Napoli da detto Ill.mo R.mo Sig.re come disse, così d’Argento, metallo , oro, indoratura e manifattura e di qualsi’altra spesa vi fusse occorsa…

Nell’ atto dunque l’argentiere si dichiara soddisfatto della somma avuta, impegnandosi per il futuro di apportarvi ogni restauro, senza nulla pretendere, fatta eccezione per l’argento che gli sarebbe stato fornito per le necessarie riparazioni.

Essendo stato il busto realizzato a spese del Vescovo probabilmente egli ne restava anche proprietario, visto che con altro atto del medesimo notaio, ma del 20 febbraio 1722, il Sanfelice donò alla Cattedrale il nostro busto, il braccio d’ argento di S. Gregorio e quello, anch’ esso argenteo, col dito di S. Francesco di Sales, che tuttora si conserva nello “stipo dei santi” della Cattedrale.

Per amor di completezza occorre dire che tale donazione includeva altre suppellettili preziosissime, come alcuni “reliquiari d’ argento lavorati in Roma”, due “dossali o baldacchini”, un paliotto d’ argento, una cartagloria e la croce tempestata di smeraldi. Quasi tutti questi preziosi ora trovano posto nel Museo Diocesano di Nardò.

De Domo David. 49 autori per i 400 anni della confraternita di San Giuseppe di Nardò

De domo David

Il 9 novembre 2019, nella chiesa di San Giuseppe a Nardò, è stato presentato il volume De Domo David. La confraternita di San Giuseppe Patriarca e la sua chiesa a Nardò. Studi e ricerche a quattro secoli dalla fondazione (1619-2019), Edizioni  Fondazione Terra d’Otranto 2019, 640 pagine, colore, formato A/4, circa 800 illustrazioni, a cura di Marcello Gaballo e Stefania Colafranceschi. Edizione non commerciale

INDICE

Joseph il giusto nei mosaici dell’arco di Santa Maria Maggiore a Roma

Domenico Salamino

 

La Fuga in Egitto. Suo importante significato teologico

Tarcisio Stramare

 

Dal Sogno al Transito: iconografie nella chiesa confraternale di San Giuseppe a Nardò

Stefania Colafranceschi

 

San Giuseppe e la Sacra Famiglia nel fondo antico della Biblioteca Casanatense di Roma

Barbara Mussetto

 

La pala marmorea dei Mantegazza nella chiesa di Santa Maria Assunta in Campomorto di Siziano (Pavia)

Manuela Bertola

 

Iconografie di San Giuseppe negli affreschi delle confraternite dei Battuti in diocesi di Concordia-Pordenone

Roberto Castenetto

 

La basilica di Santa Maria Maggiore di Bergamo e i suoi arazzi

Giovanni Curatola

 

Hierónimo Gracián e il suo Sommario (1597)

Annarosa Dordoni

 

Le confraternite dei falegnami in Romagna

Serena Simoni

 

La confraternita del SS. Crocifisso e S. Giuseppe nella chiesa di San Giuseppe in Cagli (PU)

Giuseppe Aguzzi

 

La confraternita di San Giuseppe dei Falegnami di Todi e la chiesa di San Giuseppe

Filippo Orsini

 

San Giuseppe in due dipinti astigiani di età moderna

Stefano Zecchino

 

La confraternita di San Giuseppe a Borgomanero

Franca Minazzoli

 

Il culto di San Giuseppe nella città di Napoli e un piccolo esempio di devozione: il quadro di Giovanni Sarnelli nell’Arciconfraternita di San Giuseppe dei Nudi

Ugo Di Furia

 

 Ite ad Joseph. San Giuseppe nella statuaria lignea tra Otto e Novecento: alcuni esempi

Francesco Di Palo

 

L’oratorio di San Giuseppe di Isola Dovarese. Una pregevole testimonianza settecentesca

Sonia Tassini

Testimonianze giuseppine nella chiesa di San Vincenzo Martire in Nole (Torino)

Federico Valle

 

L’oratorio di S. Giuseppe di Cortemaggiore (Piacenza)

Annarosa Dordoni

 

San Giuseppe a Chiusa Sclafani (Palermo) tra arte e devozione

Maria Lucia Bondì

 

San Giuseppe nell’arte. Sculture lignee di Francesco e Giuseppe Verzella tra Sette e Ottocento in ambito pugliese e campano

Antonio Faita

 

Memento mori: il Transito di San Giuseppe

Biagio Gamba

 

Storia e tecnica delle immagini devozionali a stampa

Michele Fortunato Damato

 

Dal XVI al XIX secolo, quattro secoli di pizzo su carta

Gianluca Lo Cicero

 

Stampe popolari giuseppine nel museo di Pitrè di Palermo

Eliana Calandra

 

Le confraternite di S. Giuseppe in Puglia tra storia e religiosità popolare

Vincenza Musardo Talò

 

Le Regole della confraternita di San Giuseppe Patriarca di Nardò, un esempio «moderno» del fenomeno confraternale

Marco Carratta

 

Arte e devozione ad Altamura. La cappella di San Giuseppe in cattedrale

Ruggiero Doronzo

 

Alcuni esempi di iconografia giuseppina a Taranto

Nicola Fasano

 

In margine all’iconografia di San Giuseppe: il ciclo pittorico di Girolamo Cenatempo nella cappella del Transito di San Giuseppe a Barletta

Ruggiero Doronzo

 

 Sponsus et custos. Iconografia, culto e devozione per San Giuseppe nell’arco jonico occidentale. Exempla selecta

Domenico L. Giacovell

 

La raffigurazione di San Giuseppe negli argenti pugliesi

Giovanni Boraccesi

 

Esempi di iconografia giuseppina tra Puglia e Campania. Proposte per Gian Domenico Catalano, Giovan Bernardo Azzolino, Giovanni Antonio D’Amato, Giovan Vincenzo Forlì

Marino Caringella

 

Postille iconografiche su Cesare Fracanzano. Alcuni esempi della devozione giuseppina

Ruggiero Doronzo

 

I Teatini e il culto di san Giuseppe a Bitonto

Ruggiero Doronzo

 

Esempi di antiche pitture parietali giuseppine nel leccese

Stefano Cortese

 

La figura di san Giuseppe nella pittura post tridentina in diocesi di Lecce

Valentina Antonucci

 

San Giuseppe nella pittura d’età moderna nelle diocesi di Otranto e Ugento

Stefano Tanisi

 

Da comparsa a protagonista. Giuseppe in alcune opere pittoriche e in cartapesta della diocesi di Nardò-Gallipoli

Nicola Cleopazzo

 

La devozione a san Giuseppe in Parabita (Lecce). Il culto e le raffigurazioni del santo

Giuseppe Fai

 

Integrazioni documentarie e nuove fonti archivistiche per la storia della chiesa e della confraternita di San Giuseppe a Nardò

Marcello Gaballo

 

Esemplificazioni iconografiche giuseppine a Galatone (Lecce)

Antonio Solmona

 

L’altare maggiore della chiesa di San Giuseppe a Nardò

Stefania Colafranceschi

 

Vedute di Nardò nella tela dell’altare maggiore in San Giuseppe a Nardò

Marcello Gaballo

 

Comparazioni strutturali e integrazioni architettoniche settecentesche nella chiesa di San Giuseppe a Nardò

Fabrizio Suppressa

 

L’altorilievo neritino de La Sacra Famiglia in Viaggio nella chiesa di San Giuseppe

Stefania Colafranceschi

Santa Maria del Casale di Brindisi. Le aureole medievali ritrovate

Un “miracolo” a Santa Maria del Casale di Brindisi

Il ritrovamento delle aureole d’argento del XIV secolo

di Giovanni Boraccesi

Inaspettata e quanto mai gradita è la ricomparsa sulla scena artistica pugliese, dopo novantatré anni dalla sparizione, di due preziosissime aureole d’argento in principio sistemate sull’icona della Madonna col Bambino, del tipo Hodeghitria, conservata nella chiesa di Santa Maria del Casale di Brindisi, un edificio eretto dal principe Filippo I d’Angiò di Taranto (1294-1331) tra la fine del Duecento e gli albori del Trecento. Nel 1924 le aureole di questa immagine mariana, un affresco a suo tempo quasi certamente rimosso con la tecnica dello stacco a massello per essere sistemato su un più sontuoso altare marmoreo di gusto barocco e verosimilmente sbriciolatosi nell’ultima rimozione, furono trasferite nel Museo Archeologico di Taranto da dove si persero le tracce.

È stata l’occasione dell’inaugurazione delle nuove sale espositive del castello svevo di Bari, il 3 ottobre scorso alla presenza del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini, a portare alla conoscenza del pubblico e alla visione dei visitatori le preziose aureole, nel frattempo finite nella cassaforte della Soprintendenza tarantina. Proprio in una sala del maniero barese, in ragione di un pannello illustrativo, se ne ricostruisce l’incredibile vicenda.

Le aureole brindisine, assieme ad altri perduti elementi anch’essi d’argento come il rotulum e le mani degli effigiati, costituivano una sorta di riza soprammessa alla sacra immagine. Lavorate a sbalzo e a incisione, presentano una ricchezza e varietà di ornati fitomorfi, in particolare foglie e girali, che a suo tempo ebbi modo di confrontare con altri reperti dell’Italia settentrionale, in particolare la Copertura di evangeliario del Tesoro di San Marco a Venezia, ma anche il Reliquiario del Sacro Chiodo, sempre nel Tesoro di San Marco; la cornice di due rilievi della Pala d’oro del duomo di Caorle; il frammento di cornice della Cassetta reliquiario dei Santi Senesio e Teopompo dell’abbazia di Nonantola. Proprio la citata Copertura di evangeliario, elaborata a Tournai tra il 1230 e il 1240 e giunta nella città lagunare già nel XIII secolo, divenne subito notissima e fonte di ispirazione di molti orafi del luogo, che in particolare ne imitarono gli squisiti motivi decorativi.

L’aureola del Bambino, inoltre, si arricchisce di otto identici clipei che racchiudono due pavoni affrontati all’Arbor Vitae, a loro volta circondati da un’iscrizione che solo ora, da una visione diretta del manufatto, si riesce meglio a leggere: A QVI FLOREM TENENT, evidentemente da interpretare come allusione al fiore di giglio di casa d’Angiò, dunque al suo probabile committente Filippo principe di Taranto. Entrambe le aureole si presentano oggi piuttosto malandate, ragion per cui se ne chiede un appropriato intervento di restauro.

Sotto quest’aspetto dei recuperi delle opere d’arte, la Puglia è stata fortunata negli ultimi tempi, visto che grazie al Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale nel 2008 si è rinvenuto a Parigi il Crocifisso in avorio (XII secolo) rubato nel novembre del 1983 dalla cattedrale di Canosa mentre nel 2013 è stata la volta della medievale Stauroteca (reliquiario della Santa Croce) trafugata nel 1977 dalla chiesa di San Leonardo a San Giovanni Rotondo, quest’ultima recuperata a Firenze.

L’analisi delle due aureole brindisine sarà trattata da Giovanni Boraccesi, studioso di oreficeria pugliese. Tale intervento sarà preceduto da una relazione di Giulia Perrino, cultore della materia presso l’Università di Bari, dal titolo I principi di Taranto e la devozione per la Vergine del Casale.

L’intera manifestazione, che si svolgerà il 13 marzo alle ore 17,30 presso il Museo Archeologico “Francesco Ribezzo” di Brindisi, è stata organizzata dalla locale Associazione Amici dei Musei, nella persona della presidente Franca Mariani ed in collaborazione con il Museo stesso.

 invito

Il delfino e la mezzaluna. Numero doppio per i suoi estimatori

delfino e la mezzaluna

E’ pronto il doppio numero de “Il delfino e la mezzaluna”, ovvero gli studi della Fondazione Terra d’Otranto, diretto da Pier Paolo Tarsi.

Giunto al quarto anno, questa edizione si sviluppa in 314 pagine, per recuperare l’anno di ritardo, sempre in formato A/4, copertina a colori, fotocomposto e impaginato dalla Tipografia Biesse – Nardò, stampa: Press UP, con tematiche di vario genere inerenti le provincie di Lecce, Brindisi e Taranto.

Tanti gli Autori che ancora una volta hanno voluto offrire propri contributi inediti, e meritano tutti di essere elencati secondo l’ordine con cui appaiono nel volume, con il relativo saggio proposto:

Pier Paolo Tarsi, Editoriale

Angelo Diofano, Il fantastico mondo degli ipogei nel centro storico di Taranto

Sabrina Landriscina, La chiesa di Santa Maria d’Aurìo nel territorio di Lecce

Domenico Salamino, Prima della Cattedrale normanna, la chiesa ritrovata la città di Taranto altomedievale

Vanni Greco, Il “debito” di Dante Alighieri verso il dialetto salentino

Francesco G. Giannachi, Un relitto semantico del verbo greco-salentino Ivò jènome (γίνομαι)

Antonietta Orrico, Il Canticum Beatae Mariae Virginis di Antonio De Ferrariis Galateo, una possibile traduzione

Giovanni Boraccesi, Il Christus passus della patena di Laterza e la sua derivazione

Marcello Semeraro, Propaganda politica per immagini. Il caso dello stemma carolino di Porta Napoli a Lecce

Marino Caringella – Stefano Tanisi, Una santa Teresa di Ippolito Borghese nella chiesa delle Carmelitane Scalze di Lecce

Ugo Di Furia, Francesco Giordano pittore fra Campania, Puglia e Basilicata

Domenico L. Giacovelli, Nel dì della sua festa sempre mundo durante et in perpetuum. Il patronato della Regina del Rosario in un lembo di Terra d’Otranto

Stefano Tanisi, Il dipinto della Madonna del Rosario e santi di Santolo Cirillo (1689-1755) nella chiesa matrice di Montesardo. Storia di una nobile committenza

Armando Polito, Ovidio, Piramo e Tisbe e i gelsi dell’Incoronata a Nardò

Alessio Palumbo, Aradeo, moti risorgimentali e lotte comunali: dal Quarantotto al Plebiscito

Marcello Gaballo – Armando Polito, Dizionarietto etimologico salentino sulle malattie e stati parafisiologici della pelle, con alcune indicazioni terapeutiche presso il popolo di Nardò

Marco Carratta, Il mutualismo classico in Terra d’Otranto attraverso gli statuti delle Società Operaie (1861-1904)

Gianni Ferraris, Il Salento e la Lotta di liberazione

Gianfranco Mele, Il Papaver somniferum e la Papagna: usi magici/medicamentosi e rituali correlati dall’antichità al 1900. Dal mito di Demetra alle guaritrici del mondo contadino pugliese

Bruno Vaglio, Alle rupi di San Mauro una nuova stazione “lazzaro” di spina pollice. Considerazioni di ecologia vegetale dal punto di vista di un giardiniere del paesaggio

Riccardo Carrozzini, Il mio Eco

Pier Paolo Tarsi, L’antropologia linguistica della memoria narrata: uno sguardo filosofico all’opera di Giulietta Livraghi Verdesca Zain e Nino Pensabene

Arianna Greco, Arianna Greco e la sua arte enoica. Quando è il vino a parlare

Gianluca Fedele, Gli ulivi, la musica e i volti: intervista a Paola Rizzo

Epigraphica in Terra d’Otranto. L’epigrafe agostiniana nella chiesa dell’Incoronata di Nardò (Massimo Cala). L’epigrafe di Morciano di Leuca in via Ippolitis al civico n.6 (Armando Polito)

Segnalazioni. Il fonte di Raimondo del Balzo ad Ugento (Luciano Antonazzo). La Madonna col Bambino e sant’Anna di Gian Domenico Catalano (1560 ca. – 1627 ca.) in Ugento (Stefano Tanisi). Il pittore Aniello Letizia e le sue prime opere di committenza confraternale nella Gallipoli del ‘700 (Luciano Antonazzo – Antonio Faita). Le origini dell’oratorio confraternale di santa Maria degli Angeli, già sotto il titolo di santa Maria di Carpignano (Antonio Faita).

La foto di copertina è di Ivan Lazzari, ma numerose anche le immagini proposte all’interno, gentilmente  offerte da Stefano Crety, Khalil Forssane,  Vincenzo Gaballo, Walter Macorano, Raffaele Puce.

 

Gli interessati potranno chiederlo previo contributo di Euro 20,00 da versarsi a Fondazione Terra d’Otranto tramite bollettino di Conto corrente postale n° 1003008339 o bonifico tramite Poste Italiane IBAN: IT30G0760116000001003008339 (indicare il recapito presso cui ricevere  la copia).

Per ulteriori informazioni scrivere a: fondazionetdo@gmail.com

Liturgia e devozione negli argenti della Parrocchiale di Uggiano La Chiesa

croce Uggiano

di Giovanni Boraccesi

 

Anche nei piccoli centri di provincia, se adeguatamente indagati, è possibile talvolta rinvenire un patrimonio d’arte degno d’attenzione e in ogni caso connotato di un indiscutibile valore che prescinde dalle apparenze reali e dai costi di realizzazione.

La ricognizione degli argenti della parrocchiale di Santa Maria Maddalena a Uggiano la Chiesa è soprattutto un contributo alla secolare tradizione orafa di Napoli che ebbe un ruolo egemone nell’intero Mezzogiorno grazie ai suoi abilissimi interpreti. È anche il riscatto culturale di una cittadina, da sempre devotissima alla Maddalena e in passato ossequiosa della Mensa Arcivescovile di Otranto sua ‘utile Padrona’, per lungo tempo ai margini della storia e degli studi.

Questi argenti – databili tra Cinque e Novecento e chiara espressione della profonda religiosità della gente di Uggiano – sono una parte di quelli già in possesso: spoliazioni governative, furti, fusioni, cambiamenti di gusto, ne hanno progressivamente ridotto il numero nel corso dei secoli.

Per contro, con l’edificazione della nuova parrocchiale – in gran parte ultimatanel 1775 (la data è incisa sul timpano) con grande effetto scenografico in un tessuto edilizio di scarso interesse storico – si ebbe un inevitabile incremento di arredi sacri e di suppellettili diverse, anche in ragione delle notevoli dimensioni dell’edificio e dei vari altari innalzati al suo interno, spesso di jus patronatus. A questa magnifica stagione artistica avranno ovviamente contribuito gli ecclesiastici, gli aristocratici e i fedeli del posto, ma anche e soprattutto gli arcivescovi di Otranto.

croce uggiano1

L’ultimazione dei lavori del nuovo tempio di Maria Maddalena è per noi il riferimento obbligato, o quasi, per datare post quem la suppellettile rococò: grossomodo tra il 1780 e il 1795. Non si esclude, a tal proposito, che per rimpinguare i denari necessari alla costruzione della fabbrica si siano fusi o alienati gli oggetti metallici più antichi, perché rotti e/o obsoleti.

Esso ècostituito essenzialmente da manufatti napoletani – un artigianato da secoli particolarmente fiorente nella capitale del Regno – come denuncia il bollo camerale della città partenopea: NAP col sottostante millesimo. In un solo caso il punzone ha rivelato la firma dell’argentiere Romualdo De Rosa, mentre altri tre ne celano la paternità dietro le rispettive sigle: Ao/AP, VL e CE, quest’ultimo poi assai importante dal punto di vista documentario perché del tutto inedito.

Una veduta di Galatina in una placchetta d’argento di Matthias Melin

di Marcello Gaballo

L’amico Giovanni Boraccesi, tra i maggiori esperti di argenti del Meridione, non inusuale nelle scoperte d’archivio, ancora una volta sorprende per una interessante notizia pubblicata in un saggio apparso su “Archivio Storico Pugliese”, a. LXII, 2009: L’entrata di Gianbattista Spinola a Galatina in una placchetta d’argento di Matthias Melin.

Si è agli inizi del Seicento e il duca Giambattista Spinola, della nobile stirpe genovese, e la consorte Maria Spinola, entrano trionfalmente nel proprio possedimento di San Pietro in Galatina, in cui avrebbero dominato dal 1616 al 3 dicembre 1625, quando muore il predetto duca.

Signori anche di Soleto, Noha, Borgagne e Pasulo, Pisanello, Padulano e San Salvatore, l’aristocratica coppia dovette risiedere per un certo periodo, dal momento che almeno uno dei loro figli, Giovan Pietro, risulta esservi stato battezzato il 5 luglio 1616.

Il corposo articolo, corredato da utile e completa bibliografia, descrive una placchetta istoriata di altissima qualità (la cui foto Franco Boggero invia a Boraccesi, come si legge nella nota 1), che assieme ad altre quattro, ora conservate al Rijksmuseum di Amsterdam, impreziosivano uno smembrato cofanetto delle dimensioni press’a poco di cm 65 x 25 x 40, appartenuto alla predetta nobile famiglia genovese.

Giovan Filippo Spinola commissionò il lavoro all’argentiere fiammingo Matthias Melin (Anversa 1589-1653), a quel tempo attivo nel capoluogo ligure, che la realizzò nel 1636, in occasione delle sue nozze con Veronica Spinola, futura principessa di Molfetta.

Le scene ritratte sui lati della preziosa cassetta –come annota con estremo dettaglio l’Autore- “esaltano pubblicamente alcune imprese memorabili della potente famiglia genovese, a quel tempo sotto la tutela della Spagna: l’Assedio di Gulik, la Consegna delle chiavidi Breda ad Ambrogio Spinola, il Matrimonio di Giovan Filippo Spinola e Veronica Spinola, l’Ambrogio Spinola durante l’assedio di Casale, La presa di possesso del feudo di Borgo San Pietro in Galatina”.

Matthias Melin, La presa di possesso del feudo di Borgo San Pietro in Galatina, 1636. Amsterdam, Rijksmuseum

La scena presenta sulla destra la carrozza a padiglione, con i duchi, che si dirige verso San Pietro in Galatina. “Un popolo di soldati a piedi, a servizio del duca, si assiepa lungo la strada e intorno alla carrozza; tra questi, alcuni, come si può desumere dal loro abbigliamento, sono soldati romani, come quello in primo piano, che ha infilato nel braccio sinistro lo scudo ovale decorato nel mezzo dallo stemma degli Spinola. Sul fondo del corteo, in prossimità della massiccia cinta bastionata come pure nel margine destro, sono presenti altri uomini armati, dei Turchi, riconoscibilissimi soprattutto per il loro turbante: minuziosa è la raffigurazione dell’ufficiale a destra, colto nell’atto di ringuainare la spada… A sovrastare la scena –continua Boraccesi- appena descritta, la seguente iscrizione a lettere cubitali: OPPIDUM SANCTI PETRI INGRESSURUS DUX / IO(ANNES) BAT(IS)TA SU(M)MO CUM CIVIUM APPLAUSU / ET IUBILATIONE EXCIPITUR.

Dal punto di vista iconografico, però, quello che della placchetta interessa maggiormente è la probabile raffigurazione della città di Galatina: un tratto della cinta muraria – con merli, torricelle e un imponente torrione circolare – che racchiude l’antico borgo, ove pure riusciamo a distinguere il profilo della supposta chiesa di San Pietro che nel 1633, dunque poco prima della realizzazione della lastra in esame, si decise di riedificare a spese dell’Università e che in parte fu terminata nel 1640”.

Ancora, scrive lo stesso: “L’ipotesi che questo documento figurativo sia effettivamente la veduta di Galatina è avvalorata dal confronto con quella nota riprodotta su una tela seicentesca (post 1657-ante 1675) conservata nel palazzo vescovile di Otranto, ma direi soprattutto con l’incisione tratta dalle Memorie (1792) di Baldassar Papadia…”.

Per dovere di informazione occorre precisare che la placchetta è stata anche ripresa sulla copertina del volume di Giovanni Vincenti Galatina tra storia dell’arte e storia delle cose, pubblicato dall’editore Mario Congedo, sempre nel 2009,  ed inserito al n. 178 della collana “Biblioteca di Cultura Pugliese”.
 

Orafi e argentieri nelle province di Brindisi e Taranto


di Giovanni Boraccesi

In due precedenti contributi ho già fornito un elenco relativamente consistente di orafi e argentieri di Puglia, come pure di forestieri qui domiciliati o itineranti che, senza soluzione di continuità, operarono dal medioevo all’età moderna: in molti casi gruppi familiari di più generazioni[1].

È opportuno ricordare che proprio nella provincia storica di Terra d’Otranto, stando ai dati finora recuperati, tre furono le città che ebbero modo di utilizzare un proprio bollo camerale per la marchiatura di oggetti in oro e argento, ovvero Taranto (TAR), Lecce (LICI e poi Lec), Matera (MATA), quest’ultima entrata a far parte della contigua regione di Basilicata dal 1663[2]. Cominciano così a poco a poco ad assumere consistenza le testimonianze di variegate officine orafe in tutta l’area regionale.

L’ideale percorso attraverso l’oreficeria sacra del primo Quattrocento non può che prendere le mosse dall’unico pezzo che al momento ci consegna il più antico punzone rinvenuto in Puglia, ossia ‘TAR’ impresso sul notissimo e finissimo ostensorio di Grottaglie, del quale, pure, conosciamo il nome dell’artista: Francesco Caputo[3]. Episodio di raffinata cultura rinascimentale, dovuto alla probabile opera di un orafo del capoluogo salentino, è la corona della Madonna della Fontana (1529) conservata presso la chiesa del Rosario di Francavilla Fontana[4]. Essa è per noi di una importanza eccezionale, in quanto documenta l’assoluta novità del punzone utilizzato a Lecce a quell’epoca.

Un nuovo campo di indagini sull’argomento, in specie sull’età moderna, mi consente ora di infoltire questo già nutrito elenco, come pure di precisare le coordinate biografiche e l’arco di attività di taluni addetti. Infatti, una pletora di orafi e argentieri operosi nel territorio di cui ci stiamo occupando, ovvero le province di Brindisi e di Taranto, sono emersi dalla consultazione del fondo Matrici dei Ruoli e Stato dei Patentabili custodito presso l’Archivio di Stato di Lecce[5] oltre che dalla continua e positiva lettura dei testi a carattere locale.

Tali ultimi importantissimi rinvenimenti, sarà bene ribadire fin da ora, una volta acquisiti ed elaborati nonché filtrati da imprecisioni e inesattezze, daranno vita a una raccolta la più completa e ordinata possibile.

Un meritevole e finora poco considerato contributo offerto fin dal 1995 da alcuni funzionari dell’Archivio di Stato di Lecce, in specie da Annalisa

Gli argenti della cattedrale di Lucera

Un nuovo allestimento nel Museo Diocesano di Lucera impreziosito dagli Argenti della Cattedrale

 di Lucia Lopriore

In ricorrenza del settimo centenario della fondazione della Cattedrale di Lucera, la Diocesi Lucera-Troia, il Capitolo della Cattedrale di Lucera e l’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici hanno patrocinato il bellissimo catalogo curato da Giovanni Boraccesi dal titolo Gli argenti della Cattedrale e del Museo Diocesano di Lucera, edito per i tipi delle Edizione Claudio Grenzi di Foggia (pp. 110, ill. B/n e colori, Foggia 2005, € 32,00).

Nella elegante veste editoriale, il testo analizza, con uno studio sistematico, oltre un centinaio di argenti liturgici, proprietà del Capitolo Cattedrale e del Museo Diocesano di Lucera, che insieme evedenziano i raffinati gusti dei vescovi locali e del patriziato cittadino, grazie ai quali la città si è arricchita della presenza dei più rinomati artigiani orafi che hanno prodotto opere di grande pregio artistico.

Essendo Lucera una città universalmente nota per il suo alto valore storico ed artistico, era importante creare un catalogo che inventariasse tutti i reperti relativi al tesoro della sua Cattedrale. Notoriamente Lucera è stata una delle sedi preferite dall’Imperatore Federico II, ma d’altrettanto rilievo fu il ruolo dei sovrani angioini, che eressero una fortezza costruita sulle vestigia del castello federiciano, nonché la Cattedrale di Santa Maria, uno dei più importanti monumenti religiosi in stile gotico.

L’indagine e la catalogazione eseguita dall’Autore del volume, preludono l’urgente restauro dei reperti oltre ad una adeguata conservazione degli stessi per preservarli da frequenti furti perpetrati negli ultimi anni. A tal fine, si è pensato di custodire tali tesori nel Museo Diocesano in modo tale da poter essere sempre prelevati ma, nel contempo, custoditi nel modo migliore.

Una significativa campionatura di produzioni dell’artigianato napoletano è rappresentata da pezzi databili tra il XVI ed il XIX secolo ma non mancano, se pure in minor numero, anche preziose opere provenienti da altre zone italiane, di cui alcune mai analizzate sotto l’aspetto critico, fatta eccezione per pochi pezzi unici di grande rilievo; per citare qualche manufatto: il reliquiario a pisside, databile intorno alla metà del XIII secolo, opera di ignoto artista musulmano e la Legatura di Evangelario, della metà del XIV secolo, che ha la peculiarità di essere punzonata con il più antico bollo della città di Sulmona.

Sono presenti nella collezione anche opere attribuite a Vincenzo Guariniello, Vincenzo Buonuomo, Paolo Savoia, Angelo Prizzi, solo per citare alcuni artisti, che impreziosiscono il cospicuo patrimonio di inestimabile valore.

Secondo l’Autore all’importanza dell’estetica di questi preziosi manufatti si aggiunge la caratteristica che gli stessi siano pregnanti della profonda spiritualità della Chiesa lucerina. L’uso di tali tesori durante le celebrazioni religiose, consentiva di poter essere ammirati da tutti i fedeli, gratificando i committenti e spronando altri ad emularli.

Sempre secondo l’Autore nel Museo Diocesano di Lucera sono confluiti i maggiori e più importanti oggetti sacri scampati alla dispersione e già di pertinenza dei conventi “possidenti” della città soppressi nei primi anni dell’800 dai sovrani napoletani ed in seguito nel periodo postunitario.

Ciò che è certo è che i documenti d’archivio disponibili, esaminati nel corso dello studio, non consentono una esaustiva conoscenza dell’attività orafa lucerina, dove non è accertata la presenza di maestranze nel periodo normanno, al contrario di ciò che si registra nella vicina Troia. Qui, infatti, è attestata la fabbricazione della due porte bronzee risalenti al 1132, della Cattedrale da parte di Odorisio da Benevento, che denotano la presenza di un tale Attum aurificem.

Alla luce di quando accertato è senz’altro lecito ipotizzare che nella città esistesse una complessa realtà legata all’arte teutonica nel periodo svevo al fine di soddisfare le richieste dell’imperatore e della sua corte. Così come il cronista del tempo Nicolaus de Jamsilla tramanda che nel palazzo imperiale di Lucera si custodivano diverse suppellettili in metallo pregiato, tempestate di pietre preziose, oltre a raffinate vesti.

A conclusione della relazione scientifica, l’Autore più che fornire risposte, formula ulteriori domande dovute ai limiti contingenti della ricerca che definisce non ancora conclusa in quanto una dettagliata analisi delle fonti storiche e la conseguente scoperta di nuovi documenti potranno risolvere ciò che ad oggi non è emerso.

Il dovizioso corredo iconografico, infine, completa il testo rendendolo di agevole consultazione.

Libri/ Le suppellettili in argento del museo diocesano di Brindisi

MUSEO DIOCESANO

GIOVANNI TARANTINI

BRINDISI

 

XXI  Colloquio  sui  Beni  Culturali  

 

Presentazione del libro di

GIOVANNI BORACCESI

Le Suppellettili in argento del museo diocesano “Giovanni Tarantini” di Brindisi

Foggia, Grenzi Editore, 2011.

 

 

 

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