Il carnevale a Foggia e la zeza di Peschici

di Teresa Maria Rauzino

Fino agli anni Sessanta sul Gargano si rappresentava un’antica “sceneggiata” i cui personaggi venivano interpretati sempre dagli stessi attori. Oggi la tradizione ritorna anche a Foggia

 

LA ZEZA- ZEZA (RITROVATA) DEL CARNEVALE DI PESCHICI

 

Durante il Ventennio fascista, precisamente nel 1931, in occasione della festa del Carnevale, venne  inviata a tutti i Podestà della Capitanata, da parte della Regia Questura di Foggia, una circolare che ribadiva l’assoluto divieto ai cittadini di “comparire mascherati in luoghi pubblici”; si potevano usare maschere soltanto nei teatri e in altri luoghi strettamente privati. Questa ordinanza, nel Gargano nord, non veniva rispettata. I Peschiciani, anche in tempi magri come quelli degli anni Trenta, festeggiavano il Carnevale con grande entusiasmo: gli uomini si travestivano da donna e le donne da uomo ed andavano girando per il paese, fermandosi in tutte le case dove c’erano allegre feste da ballo.

Sui fili, stesi da un lato all’altro degli stretti vicoli del borgo, venivano appesi numerosi pupazzi di paglia. Ogni quartiere preparava il suo “Carnevale”, si usava paglia, carta e abiti, i più malandati che ci fossero in circolazione; la mattina di martedì, ultimo giorno di Carnevale, tutti i fantocci, vestiti di tutto punto, con in braccio l’immancabile bottiglione di vino, venivano appesi ai crocevia, sostenuti da robuste corde. Dopo aver mangiato e bevuto, ci si mascherava e si girava in gruppo per il paese; non mancava chi si improvvisava attore e si esibiva in scenette umoristiche.

Fra le drammatizzazioni,  degna di nota era “l’operazione”, un vero e proprio intervento chirurgico cui veniva sottoposto Carnevale. Si preparava un fantoccio nella cui pancia si metteva di tutto, scarpe vecchie, cipolle, corde, patate, ecc., lo si caricava su di un asino al cui seguito c’era un chirurgo, accompagnato da un corteo di gente mascherata da madre, moglie, figli e parenti di Carnevale. Il dottore tagliava la pancia del pupazzo e ne estraeva stracci, indumenti, verdure: solo alla fine estraeva il gigantesco maccherone che aveva provocato l’indigestione di Carnevale. Durante l’operazione, la gente che si ammassava intorno cantava lo stornello “Il piede del porco”. L’operazione veniva ripetuta in  diverse strade del paese, accompagnata da urla, frastuono e risate degli astanti. All’imbrunire, l’asino con il suo carico e tutto il seguito si dirigevano verso il Castello, dove il fantoccio di Carnevale veniva gettato in mare dalla Rupe antistante. I Carnevali appesi nei vicoli, invece, venivano bruciati. Le alte fiamme illuminavano la notte, segnando l’avvento della Quaresima.

Durante il Carnevale, fino agli anni Sessanta, nella cittadina garganica si usava rappresentare anche la “Zeza Zeza” un vero pezzo di antico teatro

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