Note sul pittore Gioacchino Toma

 

di Giovanni Maria Scupola

La personalità artistica di Gioacchino Toma, originario di Galatina, ove nasce nel 1836, caratterizzata da una spasmodica ricerca del vero e delle diverse sfaccettature della psiche umana, risente molto del dolore e della malinconia legati al ricordo degli anni infausti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Rimasto orfano, a soli 6 anni, sia di padre che di madre, nel 1853 viene accolto presso il Regio Ospizio di Giovinazzo nel barese, dove frequenta un’illustre scuola d’arte sotto la guida del napoletano Nicola Ricciardi, e si avvia alla decorazione ed alla pittura.

Intorno alla metà degli anni Cinquanta del XIX secolo, ritorna nel Salento, dove inizia la sua vera e propria carriera artistica, dipingendo su committenza ritratti di aristocratici, borghesi ed opere a tema religioso.

Nel 1856 Toma si reca a Napoli, dove frequenta le botteghe di Gennaro Guglielmi e di Alessandro Fergola (per quest’ultimo realizzerà “trasparenti” ossia tende da finestre, parzialmente decorate con arabeschi, paesaggi o figure), subendo successivamente l’influenza pittorica di noti artisti come Filippo Palazzi e Domenico Morelli.

Particolarmente impegnato nelle lotte risorgimentali contro il regime borbonico di Napoli, viene arrestato per ben due volte, confinato a San Gregorio Matese presso Caserta e a Piedimonte d’Alife, poi imprigionato ad Isernia.
Una volta liberato dall’esercito garibaldino, nel 1878, viene chiamato da Domenico Morelli per insegnare disegno presso il prestigioso Istituto di Belle Arti di Napoli.

Da quest’ultima esperienza trae l’impulso ad abbandonare la pittura accademica spinto dal forte bisogno di narrare la realtà circostante: “Un prete rivoluzionario” (1861), “I figli del popolo” (1862).

Agli anni Settanta risalgono celebri ritratti di donne aristocratiche come “Luisa San Felice in carcere”, una delle principali protagoniste della rivoluzione napoletana del 1799 morta sul patibolo.

Nell’ultima fase della sua carriera, dipinge paesaggi, marine, ville e case rustiche campane, vedute di Napoli e del Vesuvio in varie ore del giorno.

In queste opere, sembra aderire alla lezione dei macchiaioli e degli impressionisti parigini della seconda metà del XIX secolo mettendo in evidenza l’interiorità e la profondità dell’animo del soggetto rappresentato.

Il pittore del grigio, tra i protagonisti dell’Ottocento napoletano, muore a Napoli nel gennaio del 1891 a soli 55 anni.

Lettere inedite tra Gioacchino Toma e Pietro Cavoti

 

di Luigi Galante

Rarissimo ritratto fotografico di GToma Foto LGalante
Rarissimo ritratto fotografico di G.Toma. Foto L.Galante
Pietro Cavoti
Pietro Cavoti

 

 

Nel convegno di studi tenutosi a Galatina da valentissimi Professori dell’Università del Salento, in chiusura del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, è stata rievocata la figura del patriota garibaldino e pittore galatinese Gioacchino Toma. Ad ogni relatore è stato concesso uno spazio per delineare la figura artistica del Nostro. Molto apprezzati sono stati gli interventi dei Professori, che hanno tracciato perfettamente chi la figura umana, chi ha descritto i dipinti, chi la sua vita napoletana, chi invece ha rievocato la triste e dolorante adolescenza, generata dai suoi stessi parenti, che è stata forse il periodo più tormentoso dell’orfano, e che lo ha spinto poi alla fuga da Galatina. Ma tutto questo è assai noto, perché descritto con precisa memoria nel suo unico libretto dei Ricordi di un orfano. Rammento che il Prof. Vallone durante il suo intervento, sollevò dei punti interrogativi. Perché vi è stato tanto silenzio del pittore sulla sua Galatina? Perché parla pochissimo del suo paese dopo la sua giovinezza? Perché dopo il suo involontario e profondo distacco da Galatina, non vi è traccia di un suo ritorno e tanto meno di una sua possibile corrispondenza con alcuni personaggi galatinesi? A queste domande posso oggi dare risposta. La curiosità di poter trovare qualche possibile traccia epistolare mi ha spinto a cercare null’unico luogo possibile: il Museo Cavoti di Galatina. Mi sembrava impossibile che due personaggi quasi del tutto coevi, entrambi artisti e concittadini non fossero in relazione. E poi Cavoti, amava Galatina in modo profondo, ne ha custodito con disegni ogni possibile memoria, come quelle fondamentali della casa Arcudi, perché non sperare in un suo legame anche al Toma? Nei primi giorni di gennaio, intento a consultare uno dei tanti raccoglitori, la mia attenzione fu attirata da un foglio con la quale Cavoti aveva annotato alcune famiglie importanti di Galatina, con relativa posizione sociale. In questo curioso appunto, figura anche il nome di “Gioacchino Toma – Belle Arti…Medico (il padre) – Onore”.

Studio in gesso del volto di G Toma custodito nel Museo  Cavoti - Galatina
Studio in gesso del volto di G. Toma custodito nel Museo Cavoti – Galatina

Quel piccolo ritrovamento accese in me la speranza, di poter trovare ancora dei documenti riconducibili al pittore. E ancora, un’altra annotazione cavotiana, riconduce sempre al pittore di Galatina “Gioacchino Toma mi scrive per ricevere la mia visita in casa sua a Napoli. Gli risposi il 14 settembre 1861”i. Di questa lettera non ho potuto trovare copia.

Museo Cavoti Nannina
Museo Cavoti Nannina
Museo Cavoti Schizzo a matita del palazzo Arcudi oggi demolito
Museo Cavoti Schizzo a matita del palazzo Arcudi oggi demolito

 

La mia convinzione che tra Cavoti e Toma ci fossero legami amichevoli, e forse anche degli incontri, era però confermata. Lo seppi ancor meglio quando in un taccuino rintracciai l’indirizzo di Gioacchino Toma a Napoli, che Cavoti aveva diligentemente annotato. “Prof. Toma Gioacchino, via della Valle 43 Napoli”.ii Da quell’istante la certezza era realtà. Ed ecco venir fuori un altro scritto di enorme interesse, perché ci racconta in pochissimi righi lo stato d’animo in cui era Gioacchino Toma nell’ottobre del 1864. Scrive Cavoti: << N.B.-Incontro. Incontrai Gioacchino Toma in Napoli il dì 18 ottobre 1864. Lo vidi assai magro e pieno di ansia, ma in ottima salute. Mi salutò piangendo e promisi di rivederlo. Lo supplicai (venire) a Firenze e poi a Galatina, ma mi rispose tosto >>iii. La conferma di quell’incontro tra i due artisti galatinesi mi portò a cercare con estrema attenzione tra le carte cavotiane, traendo da un altro taccuino lo schizzo a matita del ritratto di una giovane donna. In basso al disegno Cavoti annota <<Nannina. Mi si offrì volentieri a posare nello studio dell’amico Gioacchino Toma. Napoli 15 aprile 1863.>>iv . Una nuova conferma della loro amicizia e del loro contatto nella casa napoletana di Toma. La scoperta poi del bellissimo ritratto di Nannina eseguito dal Cavoti, fornisce con esatta precisione quel volto di donna che per molti anni aveva posato per il Toma, come confermato dallo stesso, nei Ricordi di un orfano.v Le scoperte più importanti sono arrivate nei giorni successivi. Dopo un’ accurata analisi di tutto il Fondo cavotiano, sono emerse tre lettere, dai contenuti di intensa amicizia. Una era indirizzata da Cavoti all’amico, e due del Toma a Cavoti. Il ritrovamento, fino ad oggi sconosciuto a tutti gli studiosi che si sono interessati scrupolosamente del Toma, danno luce al legame con “l’unico amico vero” rimastogli a Galatina. In una delle due intense lettere, scrive: << Ed è perciò che io piango e nell’interno sanguino sfortunatamente avermi allontanato da Galatina…..Perché turbi il cuore colla nostra Galatina? >> E ancora << Tu solo conosci il mio dolore, il mio lamento, la mia triste lontananza la mia Galatina… Mai ho dimenticato il natale a cui appartengo. >> Frasi forti, fortissime, che traboccano di immenso sentimento per Galatina che Toma non vedrà mai più. Questo segreto nascosto, ed oggi riemerso, lo dobbiamo sempre e solo al nostro Pietro Cavoti. Lascio ora ai lettori di questa rivista che spesso ospita miei saggi, il piacere di gustare le splendide ed inedite lettere tra due illustri che in passato fecero grande Galatina.

Lettera autografa di G Toma
Lettera autografa di G. Toma

 

lettera autografata di G. Toma
Museo Cavoti Ritratto di un giovanissimo Toma
Museo Cavoti Ritratto di un giovanissimo Toma
Lecce Festa e Busto al Pittore Gioacchino Toma Immagine estratta dalla rivista Illustrazione Popolare-1898
Lecce Festa e Busto al Pittore Gioacchino Toma Immagine estratta dalla rivista Illustrazione Popolare-1898
Napoli Monumento a G .Toma villa Comunale Opera di Francesco Ierace- 1922
Napoli Monumento a G .Toma villa Comunale Opera di Francesco Ierace- 1922

 

 

Lettera da Toma a Cavoti

 

viNapoli da casa 12 Gennaio 1862

Pietro Cavoti

Caro fratello mio

Di quanto sollievo, di quanta consolazione sia stata la tua amabilissima a me che vivo vita da te divisa, vorrei dirtelo con parole; ma temendo che io non possa appieno manifestare tutto quel che sento, lo lascio alla tua immaginazione. Ne’ tuoi caratteri ho veduto a chiare note scolpita la tua chiara affezione verso di me, ho ritrovato io la vera immaginazione del tuo cuore sempre tendente al bene, e mi son rallegrato moltissimo d’aver finalmente rinvenuto un caro amico che mi parlasse veramente da fratello. Oh! Pietro mio, quanto è difficile cosa ritrovar a dì nostri un’anima che a fronte aperta ti sollevasse di cuore. La vil turba dei gonzi che s’incalza e preme ha fieramente profanato il santo simulacro d’amicizia; ed è perciò che io piango e nell’interno sanguino sfortunatamente avermi allontanato da Galatina, ma fortunatamente trovato in tal epoca costà. Di qui è che se vedo un cuore il quale si confaccia alla mia tempra ardo di cuore per quello, lo desidero, lo bramo fortemente, e vorrei seco menare i miei giorni. Oh! Quanto dura mi è quindi la lontananza mio caro Pietro che mi divide in te, io avea già ritrovato il mio Duce, il mio amico, il mio tutto. Ma ciò è finito. Pazienza. Mi domando Pietro mio che fò? Perché mi turbi il cuore colla nostra Galatina? Il ritornare è morire. Meno i miei giorni con la mia tavolozza. Credi forse ch’io mi sia dimenticato de’ nostri amici? No, certo di no. Su di questo particolare parleremo a lungo di presenza. Amami come io ti amo e ricordati del

Tuo Affezionatissimo Amico e fratello

Gioacchino Toma

N.B. Gli amici napoletani Michele Simonetti, Gennaro Spasiano e Antonio Migliacci ti bramano ardentemente qui. Tutti ti salutano.

 

Napoli -1874

Mio caro Pietro

Ho ricevuto la tua ultima lettera del dì 11 novembre. Scrivente di questa mia è il caro amico Giuseppe Boschetto,viii non potendolo fare di proprio pugno perché affetto da forti dolori alle povere braccia e al costato. Pietro mio caro, tu mi fai il dono a quante volte mi torni alla mente i nostri discorsi ed i nostri lamenti soavi alla mia memoria. Tu solo conosci il mio dolore, il mio lamento, la mia triste lontananza la mia Galatina. Nelle tue letterine trabocca la mia mente al passato ai giorni giocondi di giovane fanciullo con gli amici oramai perduti. Quante fiate trafiggi la mia anima, non torturarmi ancora amico mio. Piango. Piango. Piango sempre la mia Patria. Mai ho dimenticato il natale a cui appartengo. Tu fratello mio provasti le mie stesse sofferenze, ma il debole destino ti ha riportato soave alle tue belle e dure faccende della Commissione Conservatrice di belle Arti. Le ore per me più care sono qui , quelle che io consacro allo incantesimo della mia tavolozza, dei miei colori, le mie tele adorate da me sempre, e tu che hai l’anima fatta ad amarle; e forse più che la mia , non crederai esagerato quanto ti dico? Tempo addietro in un momento di dolce ricordo menai in fretta sulla tela quello che i miei piccoli occhi videro la prima volta, la mia tanto amata casa e la bella Chiesa di Santa Caterina, ma non distò due giorni che l’animo mio era in triste subbuglio, e i ricordi diventarono inferno, e in un attimo di pazzia distrussi quello che era l’unico ricordo della mia Galatina. Oh! Caro Pietro, scrivimi, scrivimi sempre, fammi toccare le tue belle lettere che giungono da colà, ma non fare verbo con nessuno, te ne prego. Tu solo sai la nostalgia che meno. Non indebolire la mia forza. Basta, Basta, Napoli è la mia pace. Perdonami Pietruccio mio, ma sono lacerato da forti dolori. Non ti soggiungo altro. Amami molto chi ti ama assaissimo.

 

Ti abbraccio mille e mille volte e siati sempre caro

Il tuo costante Amico vero

Gioacchino Toma

ixGalatina li 15 Ottobre 1874

Gioacchino mio caro

Ebbi la tua aspettata e bella lettera il di 21 scorso. Mi dici nella tua che assai ti pesa la lontananza degli amici cari, ma che l’ami, non però. Oh quanto sei lodevole per ciò. Come dice il Pellico all’oggetto <<per esercitar bene la divina scienza della carità con tutti gli uomini, bisogna farne il tirocinio in famiglia >>. Siamo figli della stessa Patria caro Gioacchino. Qual dolcezza nell’aver trovato appena venuti al mondo gli stessi oggetti da venerare con predilezione. Ma passiamo ad altro. Leggo che sei tornato sulle tue care tele dopo lunga assenza, e di questo son contento. Non cader più allo sconforto degli anni passati, cancella dal tuo cuore i nostri ricordi che oggi ancor ti affliggono. Lavora le tele, guardati dall’egoismo; proponiti ogni giorno nelle tue fraterne relazioni desser generoso. Che debbo dirti di più? Io non vorrei finirla mai. Fratello mio, non lasciarmi privo di tue nuove ad ogni tanto che potrai. Scrivi un rigo e mettilo alla posta, che io l’avrò assai assai. Ossequia per me la tua famiglia. Che Dio benedica sempre noi nel suo amore. Accetta, o fratello un bacio di cuore, e ricorda che il tuo caro Pietro ti annovera tra i più cari al cuore. Da casa L’Amico tuo vero

 Pietro Cavoti.

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i* Per la consultazione dei testi, delle immagini riprodotte in digitale e dei doc. cavotiani, ringrazio il Comune di Galatina e tutto il personale della Biblioteca P.Siciliani e del Museo Cavoti di Galatina. Le foto sono di Luigi Galante.

** Per la prima volta in assoluto, viene pubblicata l’unica fotografia poco nota di G. Toma. Vedi G. Calò, Gioacchino Toma pittore, Biblioteca P. Siciliani Galatina, – Firenze : G. C. Sansoni, 1923, coll. D II Cart. Q / 22.

*** Il disegno cavotiano del giovane Toma, fu da me individuato nel luglio 2008 e pubblicato in copertina al Bollettino Storico di Terra d’Otranto n. 15. Si noti, al centro in basso del ritratto, oltre alla firma autografa di Cavoti, lo scritto del nome di “G. Toma”

 Album 3380, teca mobile sala 3, foglio 81

ii Racc. 4023/4262, teca blindata1 sala 2, inv.4150

iii Racc. 4023/4262, teca blindata1 sala 2, inv.499, sala 3, teca blindata 2

iv Racc. 3411, teca mobile sala 3, foglio 22

v Vedi G. Toma, Ricordi di un orfano, a cura di Aldo Vallone, Congedo Ed., Galatina 1973, pp. 91,93. <<…posai gli occhi su di una graziosa ragazza vestita tutta di nero. Pensai di fare un grazioso quadretto con quella bella figurina, e fattole domandar s’ella volesse prestarmi a farmi da modella, avendo accondisceso, dipinsi con essa un’orfana.>>

vi Racc. 1858/2063, sala 3, teca blindata 2, inv.1926. Da una attenta indagine , è stato possibile individuare l’attività degli amici di Toma che salutano a chiusura di lettera P. Cavoti. Si tratta di Michele Simonetti – architetto, Gennaro Spasiano – Dott. Fisico, e Antonio Migliacci – pittore.

vii Racc. 34(?)2/34(?)3, sala 2, teca blindata 1. La lettera è custodita nei “Documenti proprietà Cavoti e Torricelli” identificata con il n° 13

viii G. Boschetto, pittore. Napoli 1841/1918. Fu ammesso giovinetto nello studio di G. Mancinelli; seguì gli studi artistici sotto la guida di D. Morelli.

ix Racc. 955/1500 teca blindata, sala3. La lettera risulta mancante di numero di inventario perché collocata dopo 2 pagine bianche dal n° di inv. 1217.

 

Pubblicato su Il Filo di Aracne

Due garibaldini galatinesi: Gioacchino Toma e Fedele Albanese

G. Toma, O Roma o morte
G. Toma, O Roma o morte

di Vittorio Zacchino

 

Come ovunque, in Italia e nel mondo (vale la pena di leggere la superba monografia dedicatagli dal compianto Alfonso Scirocco, Garibaldi, Milano Ediz.Corriere della Sera 2005), anche in Salento e a Galatina Garibaldi fu amatissimo, addirittura idolatrato. Nonostante l’oleografia, l’agiografia e la retorica che hanno invaso e stravolto la storiografia risorgimentale, occorre ammettere che la gente non aveva saputo resiste al fascino travolgente di questo campione dal temperamento forte e deciso, indomabile, generoso, ardimentoso, Giuseppe Garibaldi da Nizza, l’esatto contrario di un carrierista della politica e delle curie.

Nell’agosto 1860 sul punto di varcare lo stretto per puntare su Napoli, dopo aver liberato “le terre sicane / dal giogo” – come cantò il brindisino Cesare Braico – e con la regia di un Giuseppe Libertini giunto apposta da Londra per far insorgere simultaneamente le province meridionali, tanti salentini, ben cinquecento, corsero a indossare la camicia rossa, ad imitazione dei molti conterranei della prima ora che avevano fatto parte dei Mille, dal Braico al Mignogna, dal Carbonelli al Trisolini. Nonostante, turbamenti e crisi di coscienza, roghi di ritratti reali, sommosse legittimiste, assalti ai conventi, istigazioni di preti retrivi e scorribande di briganti per tutta la Terra d’Otranto, i nostri giovani vennero attratti irresistibilmente dal biondo nizzardo e, qua e là, i nostri popolani cantarono: Ci passa Carribbardi / caribbardinu m’agghiu affà.

G. Toma, I figli del popolo
G. Toma, I figli del popolo

Galatina, si diceva, fu tra le città nostre che dettero un contributo rilevante alle campagne di Garibaldi: come le notizie della sua rapida vittoriosa campagna siciliana si diffusero in città, l’entusiasmo scoppiò irrefrenabile e diversi corsero ad indossare la leggendaria camicia rossa, il pittore Gioacchino Toma, il pellettiere Antonio Contaldo che dismise l’uniforme di soldato borbonico per seguire Garibaldi il quale si distinse a Gaeta guadagnandosi una medaglia, e perfino il pretino Pietro Andriani secondogenito del barone di Santa Barbara. Quest’ultimo, qualificato sovversivo e testa calda fin da quando frequentava il seminario, gettò via la tonaca e si arruolò tra i garibaldini. Dopo il 1860 fece di tutto per campare, ma premuto dalla fame e dal bisogno, fu costretto a rientrare nel gregge. Ma le figure più prestigiose restano Gioacchino Toma, pittore di notorietà nazionale, e Fedele Albanese patriota e giornalista.

Gioacchino Toma
Gioacchino Toma

Nato nel 1836, “spirito irrequieto e insofferente di qualsiasi soggezione”, rimasto orfano a soli 10 anni, dopo un’adolescenza difficile e ribelle, trascorsa per sette anni fra i cappuccini di Galatina e un orfanotrofio di Giovinazzo (a carico della Provincia di Lecce) dove lo avevano rinchiuso, Toma se ne era fuggito a Napoli in cerca di fortuna. Qui, mettendo a profitto l’inclinazione al disegno e alla pittura coltivata in collegio, il giovane aveva cercato di sbarcare il lunario. Ma come Garibaldi si affacciava sullo stretto per lanciarsi alla conquista di Napoli, eccolonostro Gioacchino diventare patriota quasi per caso e senza volerlo. Narra il Foscarini che una seravenne arrestato e tradotto nelle carceri della Vicaria ,donde uscì dopo un mese e mezzo per andare al confino in Piedimonte d’Alife. Testa calda e spirito irrequieto e talvolta turbolento, era inevitabile che venisse coinvolto nella rivoluzione in corso. Sicché allorquando Francesco II tentò di salvare il trono con la tardiva concessione delle libertà costituzionali, Toma entrò nelle file dei cospiratori e alla testa di rivoltosi assalì e distrusse la caserma borbonica. Seguì l’ arruolamento nelle file dei garibaldini, nella Legione del Matese, e dopo la presa di Benevento ottenne la nomina a sottotenente. Racconta che mentre la legione ripiegava verso Padula “venne un dispaccio ad annunziare che Garibaldi era entrato in Napoli, ed io,che ero stato un de’ primi a sentir quella notizia,corsi subito a darla ai nostri soldati, che erano alloggiati in un convento. Diventarono quasi matti per l’allegria;mi presero sulle spalle,mi sollevarono in alto ,e gettandomi addosso la paglia in cui dovevano dormire, mi fecero girar così tutti quei corridoi,fino a che stanchi, fra un diavolio da non si dire, mi buttarono a terra e là mi seppellirono di paglia.

ancora un dipinto di Gioacchino Toma
ancora un dipinto di Gioacchino Toma

In seguito Toma aveva preso parte a diversi fatti d’armi, a Santa Maria Capua Vetere, a Caserta, in Molise. Catturato a Pettoranello di Isernia il 17 ottobre, egli era stato condannato alla fucilazione, da cui riuscì a scampare per puro caso, Dai suoi Ricordi di un orfano(Galatina Congedo 1973 per la cura di A. Vallone) togliamo il brano significativo in cui dopo essere stato dato per morto, e dopo aver attraversato “tutta la lunga strada di Isernia al fianco del Generale Cialdini, va a ritrovare a Campobasso i correligionari in camicia rossa che non credono ai propri occhi “ nel vedermi vivo, mentre nella certezza che io fossi morto, avevan già, come ho detto, raccolto il denaro per farmi il funerale. Grande fu l’allegrezza loro e, servendosi di quel denaro, festeggiarono con un pranzo la mia risurrezione e mi diedero in ricordo di quel giorno, un bellissimo pugnale”. Poco dopo,sciogliendosi l’armata garibaldina, diedi anch’io le dimissioni e tornai in Napoli (…).

Compiuta l’annessione del Sud al Piemonte il nostro si dette totalmente alla pittura dipingendo alcune tele in cui rievocava episodi delle campagne garibaldine cui aveva partecipato. Garibaldini prigionieri, O Roma o morte, e Piccoli Garibaldini, sono le più celebri. Quest’ultima, con i piccoli che festeggiano i ritratti di Garibaldi e di Vittorio Emanuele, fu sicuramente ispirata dai tanti auto da fè di stemmi ed effigi sabaude infranti nelle piazze dai partigiani borbonici, dei toselli con i ritratti di Garibaldi e di Vittorio Emanuele II arsi in pubblico. Se da un lato queste scene patriottiche gli procurarono fama, dall’altro, dati i loro contenuti rivoluzionari, accentuarono il suo isolamento in una Napoli ancora sostanzialmente borbonica per cui in questi primi anni unitari egli patì l’indigenza. Ma l’Amministrazione Provinciale di Lecce corse in aiuto del figlio, sensibilizzata (a insaputa di Toma) da un manipolo di artisti napoletani – Palizzi, Morelli, Catalano ed altri – (cfr. V. ZACCHINO, Gioacchino Toma tra rinnovamento stilistico e difficoltà economiche (1865-1867) in “Il Corriere Nuovo di Galatina. Benché queste sue “bambocciate” erano un poco incerte, trasmettevano il patriottismo e le speranze di un popolo lungamente represso.

Fedele Albanese (1845-1882),è l’altro verace garibaldino galatinese, impulsivo ma di mente sveglia (il termine “garibaldino” nelle famiglie tradizionali allineate con i Borbone era sinonimo di rivoluzionario, testa calda e avventata). Già ai primi del settembre 1860, quattordicenne, con altri studenti, alla testa di un grande stendardo confezionato in casa sua, era salito su una tribuna improvvisata e aveva tentato di tenere un comizio che però era stato sciolto dalla polizia. Più fortunato di lui il cappuccino Giacomo Calignano il quale il giorno dopo, “cinto di sciabola e di sciarpa tricolore, si pose alla testa della cittadinanza , la condusse al Largo dei Cappuccini e la arringò con un sermone patriottico con scandalo dei suoi superiori. Nel 1866 il nostro interruppe gli studi per indossare la camicia rossa ed arruolarsi, appena ventenne, tra i cacciatori delle Alpi impegnati nella spedizione tirolese. Presa poi la laurea in giurisprudenza con lode, il nostro era tornato a indossare la camicia rossa nello sfortunato scontro di Mentana del 1867,insieme a diversi commilitoni leccesi (Panessa, Leone, Morone, Grande, Patera) agli ordini di Giovanni Nicotera. Presa la laurea nel 1868, Albanese si ritroverà ancora una volta il 20 settembre 1870 alla breccia di Porta Pia che varcherà tra i primi, da giornalista. Fu valoroso e onesto collaboratore di numerosi giornali , tra Napoli e Roma; ultimo di essi l’amatissimo “Monitore”, ma quando questo giornale cessò le pubblicazioni,per causa di forza maggiore, il garibaldino Albanese non riuscì a sopravvivergli e si uccise nel marzo 1882. Qualche mese prima della morte del suo eroe Garibaldi.

E’ giusto che oggi, alle soglie del 150° anniversario della pur discutibile Unità, l’Italia ,il Salento, e Galatina ritrovino lo spirito unitario che ebbero il duce di Caprera e i “garibaldini” di Galatina, Albanese e Toma, con tutti i salentini audaci che furono al suo seguito. Perché, siamo certi, passato il rigurgito retorico del 150°, sulla memoria di quegli eroi e di quegli eventi, inesorabile ripiomberà l’oblio e ritornerà “a strisciar la lumaccia”.

 

N. B. Pubblicato su Il filo di Aracne, la cui Direzione si ringrazia per aver autorizzato la pubblicazione su questo sito

 

Lo spirito unitario a Galatina tra il 1799 e il 1848

   
 

di Tommaso Manzillo

Gioacchino Toma, Piccoli patrioti (1862)

 

Il 17 marzo di quest’anno ricorre il 150mo dalla nascita del Regno d’Italia, proclamato dal re Vittorio Emanuele II di Savoia, grazie all’intesa opera diplomatica svolta da Camillo Benso conte di Cavour e alla impresa dei Mille guidata da Giuseppe Garibaldi. Mentre fervono i preparativi in tutta Italia per l’importante traguardo raggiunto (tra l’altro il 17 marzo 2011 sarà festa nazionale, onorata con il riposo dal lavoro e dalla scuola), anche Galatina ha ricordato l’evento nella serata del 4 dicembre 2010, presso la sala Fede e Cultura “Mons. Gaetano Pollio”), con la presentazione e distribuzione gratuita del libro di Tommaso Manzillo e Donato Lattarulo, “Il protagonismo di Galatina dal Risorgimento alla Costituente”, con prefazione del prof. Giancarlo Vallone, presente alla serata, insieme al sindaco, dott. Giancarlo Coluccia, al senatore Giorgio De Giuseppe, all’onorevole Ugo Lisi e alle altre personalità istituzionali locali, tutti coinvolti in un appassionante dibattito, moderato dal dott. Rossano Marra, ricordato da quel pugno duro battuto sul tavolo dallo stesso senatore De Giuseppe, segno evidente della carica ideale del suo pensiero.

Il processo di unificazione italiana ebbe un forte impulso con la nascita della Repubblica Partenopea del 1799 (22 gennaio – 13 giugno), figlia, a sua volta, della grandi rivoluzioni europee, prima fra tutte quella francese con la diffusione degli ideali della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità e la decapitazione della sorella della regina di Napoli Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, ossia Maria Antonietta. Di questa prima esperienza rivoluzionaria e libertaria, che fu rappresentata dalla Repubblica Partenopea, il nostro Gioacchino Toma ci ha lasciato due stupende raffigurazioni di Luisa Sanfelice, figlia di un generale borbonico di origine spagnolo, decapitata nel settembre del 1800 per aver smascherato la congiura dei Baccher, dopo aver diverse volte rimandato la sua esecuzione perché ella riteneva di essere incinta.

Per questo il nostro Toma la raffigura nella sua cella intenta a preparare il corredino per un bimbo che non nascerà mai. Una di queste tele trovasi presso il museo Capodimonte a Napoli, mentre la seconda presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma. Come alcuni studiosi hanno sottolineato, la grandezza del Toma si esprime proprio attraverso la sua straordinaria capacità di ridurre all’essenziale un episodio ricco di profondi sentimenti e di tragiche situazioni.

Gioacchino Toma è ancora ricordato a Napoli come il “Grande Toma”, come ho piacevolmente notato la scorsa estate, e fu coinvolto anch’egli nelle lotte rivoluzionarie del 1860, quando si aggregò alla Legione del Matese con il grado di sottotenente, partecipando all’assalto di Benevento “che prendemmo piegando poi su Padula”. Da questa esperienza trasse l’ispirazione per alcuni dipinti patriottici quali O Roma o morte del 1863.

Gli effetti della Rivoluzione napoletana si ebbero anche a Galatina quando il sindaco, Donato Vernaleone, fece issare nel febbraio del 1799 l’albero della Libertà in piazza San Pietro, segno dei tempi che stavano mutando. Difatti, l’arrivo dei napoleonidi e la legge di eversione

Tricase. La chiesa di San Domenico e il restaurato coro ligneo di Oronzo Pirti (1703)

Tricase, facciata della chiesa di san Domenico

di Marcello Gaballo

Uno dei principali monumenti di Tricase (Lecce) è senz’altro la chiesa di San Domenico con l’attiguo antichissimo convento, un tempo officiato dai padri Predicatori e dedicato ai santi Pietro e Paolo. Ubicata sulla centrale Piazza Pisanelli, la chiesa fu ultimata nel 1688, come attesta il cartiglio posto sulla facciata.

Senz’altro imponente il prospetto, sottolineato dalla grande scalinata che conduce al sagrato, decorato con ornamenti successivi e statue di santi domenicani collocate in più punti, comunque periferiche rispetto a quella centrale del santo titolare, che è inquadrata in una edicola posta sopra l’ingresso. Le due coppie di colonne con i relativi capitelli, l’architrave e l’edicola, potrebbero in parte derivare dalla preesistente chiesa, cui si accedeva da via Guidone Aymone.

Più che la facciata colpisce però l’interno della chiesa, a navata unica e con impianto rettangolare, luminosissima per la giusta disposizione delle tredici finestre sagomate a forma di lira secondo gusti chiaramente settecenteschi.

La bellezza è determinata soprattutto dalle sette cappelle laterali, compresi i due cappelloni posti ai lati di un inesistente transetto, e dall’altare maggiore collocato su un presbiterio innalzato su due gradini.  Sette belle statue di santi domenicani animano la già movimentata architettura, aggiungendosene altre due, sempre in pietra policroma, stanti sui pilastri dell’arco trionfale. Delle nove statue due sono collocate al di sotto della cantoria, che ospita l’organo settecentesco.

Tricase, chiesa di san Domenico, lato sinistro
Tricase, chiesa di san Domenico, lato destro

In ogni cappella laterale vi è un altare con colonne tortili e quasi tutte sono provviste di tela e stemma di famiglia, a ricordo della committenza o del patronato esercitato da nobili tricasini, che in esse avevano anche diritto di sepoltura.

Tricase, chiesa di san Domenico, particolare dell’altare di san Domenico con la tela del miracolo di Soriano

Senz’altro spicca tra tutti il cappellone dedicato a S. Domenico, con i sei artistici busti lignei di santi  disposti negli intercolumni, che ospita il dipinto del prodigio della tela di San Domenico di Soriano (Vibo Valentia), commissionata dai principi Gallone, come documenta l’arme dipinta alla base del discreto dipinto. Suggestiva la statua policroma dell’Eterno Padre nella parte più centrale, affiancata da quelle monocrome delle Sante Lucia e Caterina d’Alessandria poste sulla trabeazione.

E’ datato e firmato l’altare della cappella della Vergine del Carmelo e di S. Vincenzo Ferreri, realizzato nel 1711 da Antonio Maria Biasco su committenza dei facoltosi Mecchi.

Tricase, chiesa di san Domenico, particolare dell’altare della Vergine del Csrmine e san Vincenzo Ferreri

Ospita una tela di Gioacchino Toma (Mater divinae gratiae, 1854) la cappella di Santa Rosa da Lima, il cui altare del 1713 mostra un paliotto con la scultura del transito di san Giuseppe. Anche qui numerose statue di sante domenicane animano gli intercolumni.

Fuoriluogo soffermarsi sulle tante sculture e dipinti, tra cui ben quattro di Saverio Lillo,  che rendono unica questa chiesa, rimandando all’utile pubblicazione di Salvatore Cassati, La chiesa di S. Domenico in Tricase (Congedo 1977), che è stata di riferimento per redigere queste succinte note.

Un cenno comunque merita anche l’artistico soffitto che copre le capriate dell’edificio, ligneo, a lacunari ottagonali, riccamente decorato con intagli policromi.

Tricase, chiesa di san Domenico, altare di santa Rosa da Lima

E sempre in tema di scultura lignea meritano particolare menzione anche la porta maggiore a pannelli quadrati con fine intaglio, a girali e bugne, firmata dal tricasino Oronzo Pirti, che la completò nel 1700.

Lo stesso abile artigiano firmò il coro della chiesa, il cui restauro è stato completato in questi mesi e la cui inaugurazione ha ispirato queste brevi note che leggete.

Riporto su di esso quanto comunicato per l’occasione, che si celebrerà il 3 aprile 2011:

“un’opera disegnata con misurata eleganza, realizzata con sapiente conoscenza dei materiali e delle tecniche di assemblaggio, firmata e datata da Oronzo Pirti, un ennesimo “magister” del barocco leccese. Collocato in una splendida chiesa, ricca di bellezza, il grande coro sintetizza, con la sua sobria visione dell’arte, il fulcro della regola domenicana. I “Domini Canes”, guardiani della fede, sono, infatti, i committenti che campeggiano con il loro stemma sulla cimasa del seggio priorale.

Il restauro, realizzato con l’alta sorveglianza delle competenti soprintendenze, con la sua profondità e complessità, per la prima volta dopo secoli, ha permesso una rilettura del singolare e sofisticato progetto pirtiano. Nulla è scelto a caso, compresa la varietà delle essenze adoperate:

-l’olivo, robusto e durevole, anche nelle condizioni ambientali più estreme, porta con grazia il peso di tutto il piano sollevato;

-l’alpino abete rosso sostiene l’intero apparato decorativo degli schienali;

-il noce nostrano, selezionato con ragionati effetti chiaroscurali e di variegatura, riluce di forza e di austero valore.

Si rivela un mondo solo apparentemente confinato nella cultura artistica locale, ma, in realtà, ben consapevole di quanto la tecnologia e il fiorente mercato marittimo adriatico, con la sua Serenissima dominatrice, elaborava e offriva”.

particolare del coro recentemente restaurato con lo stemma dei domenicani e la firma dell’artefice (ph Giuseppe M. Costantini)

La pregevole opera è sistemata su tre dei quattro lati del presbiterio tricasino; gli stalli sono diciannove, disposti a lato del centrale riservato al priore. Quest’ultimo sulla sommità è sovrastato da una tabella su cui è incisa la data e un’abbreviazione: MOPF, che sta ad indicare l’esecuzione ad opera del maestro Oronzo; conclude il tutto un artistico e sagomato stemma con le insegne dell’ordine, sovrastato da una corona ducale.

Alla cerimonia di inaugurazione del restauro del coro ligneo, che si terrà domenica 3 aprile alle ore 19.15, presso la chiesa di S. Domenico in Tricase, presenzieranno Mons. Vito Angiuli, Vescovo della diocesi di Ugento – Santa Maria di Leuca, Don Andrea Carbone Parroco della Matrice di Tricase.

Relatori saranno il prof. Giuseppe M. Costantini, restauratore b.c. e progettista e direttore lavori, e il  dottor Roberto Borgogno, restauratore b.c. e direttore tecnico dell’impresa.

Pittori pugliesi del nostro Risorgimento

di Lucio Causo

Francesco Netti – Le-ricamatrici levantine

 

   Francesco Netti è nato a Santeramo in Colle nel1832, ha frequentato le scuole degli Scolopi e si è laureato in Giurisprudenza a Napoli, si è spento nel 1894.    A Grez, in un paesino vicino a Fontainebleau, ha studiato Camille Corot e Gustave Courbert, ha viaggiato per l’Europa fino in Turchia.

Egli ha dipinto I Gladiatori, La pioggia sul Vesuvio in gara con Gioacchino Toma, I Mietitori curvi sulle falci con il sole della sua Puglia che spacca dall’alto le pietre delle Murge.

Pietro Marino, in occasione della retrospettiva dedicatagli nel 1980 nella Pinacoteca dell’Amministrazione Provinciale di Bari, visitata dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini, mentre era in allestimento, ha scritto che le 140 opere del Netti lo pongono fra gli artisti intellettuali, in controcanto con gli artisti del Nord, come Angelo Morbelli e Giuseppe Pellizza da Volpedo, animato dal Quarto Stato.

Il Netti è ritenuto anche un grande innovatore della critica d’arte. L’illustre santeramese ha dimostrato con evidente rischio la sua solidarietà verso i popoli in conflitto, militando da volontario nella Croce Rossa Italiana durante la guerra franco-prussiana.

Giuseppe de Nittis, L’ora tranquilla (1874)

Giuseppe De Nittis  è nato a Barletta nel 1846, dopo la sua permanenza a Napoli, ha raggiunto Parigi dove ha sposato nel 1869 Léontine Gruvelle con la quale ha ricevuto nel suo salotto E. De Concourt, Dumas figlio, A. Daudet, E.

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