376 anni dopo l’eccidio dei martiri di quel 20 agosto 1647. Per non dimenticare mai

20 agosto
Furono archibugiati il 20 agosto 1647 alle odierne ore 15 (anticamente ore 19) in località “Ranfa”, in un canneto dietro la chiesa dei Paolotti, ove oggi vi è Via Umberto Maddalena. Dopo archibugiati gli furono tagliate le teste. “…detti preti non mancarono, da che uscirono dal Castello, dove stavano carcerati, in sino all’ ora della morte salmeggiare e dire diverse divozioni, dandosi animo uno con l’ altro, e dicendo di continuo Pater ignosce illis quia nesciunt quid faciunt, nec statuas illis hoc peccatum, tra li quali D. Francesco Maria Gaballone, non cessò mai di dire Conceptio Tua Dei Genitrix Virgo gaudium annuntiavit Universo Mundo, ed essendo quasi morti si sentivano flebilmente dire delle parole. Questo fatto fu ad ora circa nove… Nell’ istessa notte fu ammazzato il barone Pietro Antonio Sambiasi a pugnalate, essendo questo di anni novantasette; morto che fu l’ appesero per piedi alle furche in mezzo alla piazza e le teste delli preti le misero sopra il Seggio e gli corpi distesi a terra nella Piazza, attorno allle furche…”

(cfr. De Simone, in “appunti da servire per la storia di Nardò; appunto I”, in vol.20 sez. Manoscritti Bibl. Prov. Lecce. I fatti sono tratti da un manoscritto di G.B. Biscozzi che, secondo quanto sostiene il De Simone, si conserva in casa degli eredi del Not. Francesco Bona).

“…circa le ore 20 de’ venti agosto fece appiccare ad un palo per piede sotto dell’ orologio il detto Baroncello Sambiasi, e circa le ore 23 del detto giorno fece archibugiare nella strada detta Ranfa l’ abbate Donantonio Roccamora, l’ abbate Giancarlo Colucci, l’ abbate Gianfilippo de Nuccio, don Francesco Maria e chierico Giandomenico Gaballone, alli cadaveri de’ quali erano rimasti insepolti, fu data sepoltura a ventidue del detto mese. Assisteva all’ infelici da Confalone l’ abbate Benedetto Trono; il quale quando vidde che stava per essere archibugiato l’ ultimo de’ suddetti preti, che fu l’ abbate Roccamora, alzò le voci al cielo, e piangenndo disse: Signore lava da questa terra tanto sangue innocente e sacro, e ciò dicendo, stando il cielo sereno, subito cominciò a piovere, e piovve solamente per detta sola strada di Ranfa. Avuta la notizia il Conte della morte de’ detti preti, e del Baroncello, e fatto certo del miracolo occorso con detta pioggia, fece arrestare l’ abbate

Benedetto Trono, e col medesimo fu carcerato D. Filippo de Nuccio, che d’ ordine del Conte fu legato nudo ad un palo dentro il giardino del detto Casino, esposto alli cocentissimi raggi del sole, unto di mele alle morsicature delle mosche e vespe, e da un soldato gli venivano tirati ad uno ad uno i peli della barba che portava lunga, per essere un Prete di Santa Vita, e perciò detto volgarmente il Prete peloso. All’ abbate Benedetto Trono vari e molti furono li tormenti che li si dettero sotto de’ quali a 28 agosto se ne morì.
L’ anzidetto abbate Gian Filippo de Nuccio che fu archibuggiato era fratello cugino al mentovato D. Filippo che morì esposto al sole, e questo era stato lo scrittore del detto memoriale.

L’ abbate Trono non aveva altro delitto che d’essersi concertato e scritto in casa sua lo detto memoriale. Corsero la medesima fortuna due fratelli Sacerdoti di famiglia Pomponio per aver pigliato le difese dell’ abate Trono. Il solo bombardiere fiammingo fuggì la morte, giacchè nel suo esame disse che con arte avea fatto fallire il colpo, e ne fece le pruove; poichè posto nel medesimo luogo ove stava il Conte quando il tirò la bombarda ad un uomo di paglia con in capo la berretta del Conte, il fiammingo tirò dove avea tirato la prima, e gli fe’ volare da testa la barretta; indi li tirò nel petto, li riuscì felicemente e tirata la terza volta, con la prevenzione, che dovea colpirlo in fronte, li riuscì con molta ammirazione de’ circostanti. Allora il Conte li donò la vita, lo regalò, e lo tenne sempre presso di sè, e lo casò in Nardò…”

(cfr. De Simone, in “appunti da servire per la storia di Nardò; appunto II”, in vol.20 sez. Manoscritti Bibl. Prov. Lecce).

 

L’olocausto di Nardò. Un tributo doveroso ai suoi Martiri, a 375 anni dalla loro tragica fine – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

 

20 agosto 1647. L’olocausto di Nardò (seconda parte) – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

 

20 agosto 1647. Per non dimenticare mai – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

 

Un’allucinazione collettiva ed individuale legata alla rivolta di Nardò del 1647? – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

 

Il Libro d’annali de successi accatuti nella Città di Nardò, notati da D. Gio: Battista Biscozzo – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

 

NARDÒ RIVOLUZIONARIA. Protagonisti e vicende di una tipica ribellione d’età moderna – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

 

NARDÒ RIVOLUZIONARIA. Protagonisti e vicende di una tipica ribellione d’età moderna – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

 

 

Libri| La Contea di Conversano

 

Antonio Fanizzi, La Contea di Conversano. Origini, sviluppi e dignitari, prefazione di Nicola Montesano, 2023

 

Dall’Introduzione al libro, di Antonio Fanizzi

Nel corso di molti anni, nella costante ricerca di notizie sui vari aspetti della storia della città di Conversano, ho raccolto notizie relative alla sua importante contea ed ai suoi signori feudali, con il fine di mettere ordine nella loro successione, ma, soprattutto, comprendere quello che la nostra città ha rappresentato nella storia della Puglia e dell’intero Regno di Napoli.

La storia feudale di Conversano non ha ricevuto, purtroppo, le dovute attenzioni, salvo alcuni contributi specifici su alcuni singoli conti (Goffredo di Conversano ed i suoi successori, Giulio Antonio I, Giangirolamo II e i suoi successori). Ancora comunemente il conte Goffredo viene indicato come “Goffredo Altavilla”, eppure sappiamo che la madre era una Altavilla, non il padre, tuttavia l’errore continua ad essere ripetuto, tanto da essere riportato persino su una recente targa stradale. Su di un conte, in particolare, Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona, circolano ancora, retaggio di odio antifeudale, infondate leggende che vengono spacciate per fatti autentici. Egli viene, comunemente, definito “Guercio di Puglia”, quando sappiamo per certo dalla descrizione di Francesco Capecelatro, che non era affatto guercio, ma, soprattutto, un altro, a metà Seicento, era il “Guercio di Puglia”, cioè il tarantino Fabio Carducci, ricordato da Eugenio Baffi (Saggio di effemeridi tarantine, in “Taras”, a. IV (1929, p. 61: 4 gennaio 1640, nasce a Taranto Fabio Carducci il tanto famoso Guercio di Puglia, da Ludovico e Laura di Noha; p. 65: 26 aprile 1672, reduce dalle sue grandi imprese militari compiute contro i Turchi, Fabio Carducci da Taranto, il famoso Guercio di Puglia, cavaliere di Malta e colonnello dei Dragoni di Carlo II di Spagna, è accolto trionfalmente dai suoi concittadini) e Alessandro Criscuolo (Fabio Carducci, “il Guercio di Puglia”, in “Vecchio e nuovo”. Rivista meridionale di lettere, arte, turismo, vol. 1, n. 2 (1930)).

Fabio Carducci non fu l’unico “Guercio di Puglia”, poiché nel Cinquecento visse un altro guercio, Antonio Marinario, di Grottaglie, frate carmelitano e scrittore di opere di teologia, morto nel 1574, soprannominato proprio così!

Peraltro, la definizione di “Guercio” attribuita Giangirolamo II, non risulta da nessun documento o altra fonte storica coeva: la prima notizia con la definizione di “Guelfo di Puglia”, la si trova nell’opera del canonico Gianfrancesco Cassano, del 1739, La ristretta ed erudita narrazione dell’origine e progresso della Terra delle Noci, edita a cura di Domenico Forti (Noci, Carucci, 1999, p. 8). Da “Guelfo” a “Guercio” il passo è breve, ma come si vede il secondo nomignolo si è affermato prepotentemente, tanto da essere ritenuta tuttora una verità assoluta!

Il ritratto presente nel castello di Marchione, che si ritiene comunemente raffiguri il famosissimo Giangirolamo II e dal quale alcuni hanno, molto fantasiosamente, individuato l’inesistente difetto fisico, in realtà non raffigura lui, bensì suo padre Giulio I, come scrissi, dubitativamente, già nel 1985 e come conferma una lettera  del 28 settembre 1839, inviata da Carlo seniore, a suo fratello, il conte di Conversano e duca d’Atri Giangirolamo V  e da due lettere del pittore conversanese Nicola La Volpe, residente in Napoli, dirette allo stesso conte, per il restauro dell’opera, tutte recentissimamente ritrovate tra le carte di Casa Acquaviva d’Aragona.

Assai ondeggiante è la cronotassi dei conti, ad alcuni dei quali vengono attribuiti numeri di pura fantasia, come ancora nel caso di Giangirolamo II, in realtà ottavo di Casa Acquaviva d’Aragona, come risulta dall’epigrafe conservata nel palazzo comitale di Alberobello.

Per la storia della contea di Conversano si è fatto finora ricorso all’opera dell’abate Paolo Antonio Tarsia (Historiarum Cupersanensium libri tres, Madrid 1649), agli appunti del canonico Giuseppe Antonio Tarsia Morisco (Memorie storiche della città di Conversano, Conversano 1881). Da queste fonti attinse, a piene mani, il canonico Giuseppe Bolognini nella compilazione della sua Storia di Conversano fino al 1865 (Bari 1935). Vero è che i tempi del canonico Bolognini non consentivano facili ricerche ed infatti la sua opera è carente proprio da questo punto di vista, poiché si limita a ripetere quanto già scritto dai due precedenti storici conversanesi, introducendo scarsissime novità. L’opera, tuttavia, proprio per la mancanza di altre fonti di riferimento, continua, pur a distanza di ottantasette anni ad essere ritenuta valida e così contribuisce a perpetuare notizie errate.

Una revisione delle vicende feudali della contea e quindi della storia della città di Conversano, che ha recentemente aspirato a diventare capitale della cultura italiana, è indispensabile, anche per conoscere la reale importanza dei personaggi che l’hanno posseduta e in essa hanno vissuto e gli eventi che qui si sono svolti…

 

L’olocausto di Nardò. Un tributo doveroso ai suoi Martiri, a 375 anni dalla loro tragica fine

Nardò, Piazza Salandra

di Marcello Gaballo

Per non dimenticare la nostra storia riproporrò, come negli altri anni, una sintetica cronaca delle tristi vicende che colpirono la città di Nardò, oberata dalle tasse e soggetta ai soprusi del famigerato Giangirolamo Acquaviva d’Aragona, duca di Nardò e conte di Conversano, tristemente noto come il Guercio di Puglia, uno dei più crudeli feudatari dell’epoca. Pagine terribili, di una crudeltà  che non trova eguali nella storia della città, che i suoi stessi abitanti conoscono molto poco, che nelle scuole non vengono lette e che, per noncuranza, vengono rimosse dalla memoria collettiva. 

Insisto nel riproporre il triste anniversario, consapevole di essere ripetitivo, per non lasciar cadere nel silenzio i gloriosi martiri, che neppure la chiesa locale nei secoli ha voluto riconoscere. Il torbido contesto storico in cui si svolsero i fatti, gravido di passioni, di avidità e di odio, ma soprattutto la paura dei potenti feudatari ha condizionato i pareri del coevo celebre amministrativista dell’epoca Giovan Bernardino Manieri, così come  ha chiuso la bocca allo storico locale Giovan Bernardino Tafuri, che un secolo dopo scelse di ignorare del tutto le vicende del 1647. Colpiscono anche le lodi servili alla famiglia feudataria da parte del  francescano Bonaventura da Lama, che, timido o intimidito, dimenticò anch’egli il sacrificio degli ecclesiastici e dei tanti cittadini. 

E riporto quanto Francesco Danieli ha scritto a tal proposito: “mentre inermi cittadini e convinti ecclesiastici venivano ammazzati e oltraggiati per la giustizia, seduto alla sua comoda poltrona, il vicario Giovanni Granafei non mosse un dito. Connivente col potere feudale, fece finta di niente e si adoperò come meglio riuscì per tenere nascosti quegli eventi a chi doveva prendere provvedimenti. Il vescovo di Nardò Fabio Chigi, che mai mise piede in diocesi, era troppo impegnato negli affari diplomatici per interessarsi alla “sua” gente! Di lì a qualche anno, il Granafei l’avrebbero creato arcivescovo… il Chigi papa (Alessandro VII)”. 

Troppe colpe e troppi assordanti silenzi, rotti solo nel secolo scorso dagli obiettivi e informati Ludovico Pepe, Francesco Castrignanò, Pantaleo Ingusci, Giovanni Siciliano, Emilio Mazzarella, Vittorio Zacchino.  

Fate leggere queste pagine ai vostri piccoli, ai ragazzi, ai maestri delle scuole elementari e agli insegnanti delle medie. Forse è giusto che oltre che celebrare il glorioso Pietro Micca ricordino e facciano ricordare anche i gloriosi martiri di Nardò. 

Ha scritto Ingusci: “I neretini in tutte le ore della loro vita ricordino e onorino questi martiri, che purtroppo sinora non hanno ricordato e onorato abbastanza. Li onorino, mantenendo alti gli ideali per i quali essi caddero,non vi rinuncino mai, perchè sono l’essenza della civiltà umana. E siano essi convinti come lo  furono quei martiri ed eroi, che la libertà è  così cara come sa chi per lei vita rifiuta”. 

Ha rincalzato Zacchino: “Tali semi, purtroppo, sono stati  ben presto soffocati dalle erbacce della dimenticanza, della disaffezione,

20 agosto 1647. Per non dimenticare mai

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Copertina del libretto distribuito gratuitamente il 19 agosto 2015, contenente gli Annali del Biscozzi

 

Nel 1632 il quasi ventenne Giovan Battista Biscozzi, prossimo ad essere ordinato sacerdote, decide di redigere un diario. Non un diario di pensieri e considerazioni personali; non un’annotazione di vicende relative a sé stesso o alla propria famiglia; bensì una cronaca sui principali eventi verificatisi nella propria città, Nardò. Dell’abate Biscozzi, morto nel gennaio del 1683 all’età di quasi settant’anni, poco altro è rimasto: le sue annotazioni rappresentano quindi una delle poche testimonianze della sua stessa esistenza. Dai decenni successivi alla sua morte fino ai nostri giorni, la cronaca, giunta nelle mani degli studiosi per varie vie e in varie versioni, ha rappresentato una delle principali fonti documentali per lo studio della storia neretina di metà seicento.

In occasione della pubblicazione del libro Nardò Rivoluzionaria. Protagonisti e vicende di una tipica ribellione d’età moderna, la Fondazione Terra d’Otranto ha deciso di curare la riedizione, in un piccolo opuscolo gratuito, di una sezione del Libro d’annali de successi accatuti nella Città di Nardò, notati da D. Gio: Battista Biscozzo di detta Città. Di certo, l’autorità riconosciuta dagli studiosi a tale libro può rappresentare di per sé una valida ragione per una riedizione, ma non è la sola.

Sin dalla sua nascita, la Fondazione si è riproposta non solo di incoraggiare lo studio scientifico del territorio, della sua cultura, delle sue tradizioni e della sua storia, ma anche di porre nel giusto risalto i valori, gli insegnamenti, le testimonianze di senso civico ed amore per la propria terra che da questi studi si sarebbero potuti ricavare. La pubblicazione del Libro d’annali coniuga perfettamente questi due obiettivi. Come detto, esso è una fonte storica di inestimabile valore, ma è anche la testimonianza dei valori che hanno spinto un’intera città a ribellarsi al proprio signore. L’autore è sicuramente un osservatore pacato e storicamente affidabile degli avvenimenti cittadini, ma è altrettanto sicuramente un uomo ostile al tiranno e ciò, abbandonando il garantismo storiografico, ci consente di dire che era schierato dalla parte dei “giusti”, ossia dalla parte di coloro che, stanchi di vessazioni e desiderosi di libertà, destituirono i rappresentanti del despota, serrarono le porte della città e combatterono duramente, sacrificando la proprio stessa vita, nel nome della città e della propria dignità di uomini. Il Libro d’annali è infine un’opera del proprio tempo, ma anche un monito e un insegnamento fuori dal tempo: i valori, le idee che animarono i protagonisti dei fatti narrati, rappresentano, a nostro modo di vedere, dei modelli ancora validi.

Alla luce di tutto ciò, la Fondazione Terra d’Otranto ha deciso di ristampare il Libro d’Annali rieditando parte della dettagliata versione trascritta nel 1936 da Nicola Vacca. La speranza sottesa a tale pubblicazione è che essa possa largamente diffondersi nelle aule dove si formano i nuovi cittadini, nelle case e nei luoghi di ritrovo, dove vivono ed operano i neretini di tutte le età. Le gesta dei nostri concittadini, narrate da uno di loro, possano rappresentare da un lato uno stimolo alla conoscenza della propria storia, dall’altro un invito a vivere con pienezza ed attivamente il presente, schierandosi sempre a difesa dei propri diritti e della propria identità.

                                                                            Fondazione Terra d’Otranto

Qui puoi scaricare il libretto:

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Il Guercio di Puglia (1600-1665) e una pubblicazione del 1650

di Armando Polito

Questo post ha solo lo scopo di segnalare agli storici, ai quali fosse sfuggita, una fonte, secondo me molto interessante, coeva al famigerato duca di Nardò, recante la data 1650. Il testo a stampa fa parte delle allegazioni giuridiche del collegio degli avvocati di Barcellona, nel cui sito web è integralmente leggibile, e scaricabile, all’indirizzo http://mdc.cbuc.cat/cdm/ref/collection/allegacions/id/9454 la copia digitale. Si tratta di un opuscoletto di 16 pagine non numerate. Di seguito riproduco la prima (in pratica il frontespizio)  e l’ultima.

 

In calce a quest’ultima pagina compare, a mo’ di firma, il nome di don Diego Boleroy Caxal. Per farmi parzialmente perdonare per il fatto che, frontespizio a parte, questa volta ho rinunziato a recitare la parte del traduttore (non tanto perché il testo è in spagnolo, quanto perché sono costretto a dedicare prioritariamente il mio tempo ad altri lavoretti in corso d’opera, che altrimenti non vedrebbero mai la luce) dirò solo che Diego Bolero y Caxal (1612-1681) era un giurista famosissimo ai suoi tempi, un’autentica autorità in materia fiscale, la cui opera più nota è quella della quale faccio seguire il frontespizio, augurando buon lavoro a quanti della fonte segnalata vorranno avvalersi.

Dalla parte dei giusti. Il Libro d’annali de successi accatuti nella Città di Nardò, notati da D. Gio: Battista Biscozzo

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Copertina dell’opuscolo che sarà distribuito gratuitamente il 19 agosto

Libro d’annali de successi accatuti nella Città di Nardò, notati da D. Gio: Battista Biscozzo di detta Città [*]

 

A… Luglio 1636, venne il Sig. Conte di Conversano, a pigliare possesso della città di Nardò, per la morte di sua Matre D. Catarina Acquaviva, il detto si chiama D. Geronimo.

A 26 Marzo 1638, venne avviso che nella Calabria per una scossa di tremuoto, aveva gettato a terra trenta luochi.

A 12 Agosto 1639  giorno di venerdì, la matina, ad ore 13, fu ammazzato Francesco Maria Manieri, nobile, con una archibugiata, sopra il Cemiterio della Chiesa Matrice, giusto la porta magiore, l’omicita fu un tal Prome Felice, uno che guardava la foresta del Sig. Conte, e si dice esser stato mandato da detto Sig. Conte, per causa che detto Manieri, aveva detto mentre era Sindaco che poco era che era cessato da detto officio, che il Sig. Conte non possedeva libero Nardò, mentre prima di lui, lo possedeva uno casa del Balzo, pignorata per 24 mila docati, fu levata dalla Corte, a detto Balzo, e ne investì detto Sig. Conte, per servigi avuti Sua Maestà, nella guerra, e avendo la Città detta somma di denaro, e pagandolo, restarebbe detta Città Regia; altri dicono che detta Città fu data a detto Sig. Conte, per i servigi fatti nella guerra, vita sua durante, e che se ne pigliasse carlini quindeci per fuoco, l’anno, e doppo morto, s’incorporasse al patrimonio Regio, che così li fu concessa dal Re Ferrante, in tempo che era Sindaco Roberto Sambiasi.

A… Maggio 1643, venne il Canzelliere Mugnes, per la morte di Francesco Maria Manieri, ed annullò il Governo, essendo Sindaco, Gio: Bernardino Massa, de Nobili, e Delfino Zuccaro del Popolo, e nella nuova elezzione fu fatto Sindaco de Nobili Dr. fisico Pietro Gabellone, e Cesare de Paulo del Popolo, detto Governo fu confirmato da S. E., il detto Mugnes sequestrò la giurisdizzione della Città al Sig. Conte.

A 22 Febraro 1646, andarono carcerati in Napoli, Notaro Alessandro Campilongo, Giandonato Ri, Scipione Puzzovivo, Nobile, e otto altre persone del popolo, per imposture fatteli dal Sig. Conte.

A 23 Febraro 1646, furono chiamati in Roma, Dr. Ottavio Sambiasi, D. Gio: Francesco Sambiasi, Cherico Carlo Sambiasi, D. Gio: Cola Sambiasi, Abate Gio: Filippo de Nuccio, Cherico Innocenzio de Nuccio nobili, D. Vitantonio Puzzovivo, D. Onofrio Nestore, D. Francesco Maria Gabbellone, Cherico Domenico Gabbellone, D. Diego de Vito, Cherico Pietrantonio de Vito, Abate Gabriele Nestore, Cherico Francescantonio Giullio, D. Gio: Antonio de Monte nobili; Gio: Francesco Demitri, Cherico Giuseppe Bruno, Cherico Scipione Querriero nobile, Cherico Giuseppe Manieri, Cherico Scipione de Nuccio nobile, Cherico Giullio Cesare de Pandis, Cherico Mercantonio di Vernole, Cherico Patonno Giannelli, tutti questi furono chiamati sotto pretesto che avessero levate certe esecuzioni fatte dal Governatore nelle bestiami de preti, che non volevano pagare il dazio, andarono dal Vicario Generale, che era l’Abate Giovanni Granafeo di Brindisi, il medesimo risposeli che su questo, non penzassero, che l’averebe da difendere, tutti i nominati costituirono procuratore in Roma, e non andarono.

A 21 Luglio 1647, Domenica ad ore 22 si rivoltò il popolo contro Gio: Ferrante de Noha Auditore de Nobili stando pro Sindaco, perché li Sindaci, erano in Lecce, la rivoluzione fu per mancanza del pane, quale portò pericolo della vita, si rivoltò anche contro il Governatore Dr. Geronimo Regina, per l’ingiustizie fatte nel suo governo, detto Popolo gridava che volevano per Sindici Stefano Gabellone de Nobili, e Cesare de Paulo del Popolo, e che cessino di Sindici, Gio: Bernardino Sabatino, nobile, e Francescantonio Bonvino del Popolo, tutti aderenti del Sig. Conte, condiscese detto Governatore, e firmò le scritture; in detto tempo si rivoltò Napoli, e tutto il Regno.

A 22 Luglio1647, vennero in Città detti Sindici, quali stevano rifugiati in Corigliano, essendo detto Marchese D. Giorgio delli Montii. contrario al Sig. Conte, e arrivati che furono, subito il popolo li dettero il Stendardo Reale in mano del Sindaco dei Nobili, che lo portasse nel Castello, e con tutto che detto Sindaco ricusava di farlo, fu necessitato a portarlo, mentre portava pericolo della vita.

A 22 Luglio 1647, il popolo ammazzò Giuseppe Sponziello tamborrino, havendoli scoverto, che voleva ammazzare il Sindaco de Nobili.

A 23 Luglio 1647, ruppero tutti li vasi, e cassette buttando tutte le robe che vi erano dentro della Spezieria di Antonio Corilli veneziano, per aver detto al popolo, che è ribelle del Patrone, sdegnato il Popolo di questo, s’aventarono sopra per ammazzarlo, e perché lo scampò dalle mani arrabiati di questo volevano sbarbicare detta Spezieria da fondamenti, ma perché non era da detto Corilli, si trattennero.

A 24 Luglio 1647, fu fatto capopopolo Patuano, il quale fe bando che si mettessero tutti in arme, come già si videro armati per la Città, andando in Casa di Gio: Lorenzo de Vito nobile, ed in casa di Luzio Zuccaro, Scipione Zuccaro, e dal Governatore, ed altre case, a trovare i Patroni per ammazzarli, come contrari della Città, e ad essi havendone avuto l’avviso, se ne fuggirono in Galatone, come anche fè D. Diego Acquaviva cugino del Sig. Conte.

A 26 Luglio 1647, fu ammazzato Giorgello, serviente del Sig. Conte, per aver sparlato contro la città.

A 26 Luglio 1647, volendo uscire dalla Città la Sig.ra D. Beatrice Acquaviva, con tre figlio il Popolo non la fè uscire.

A 28 Luglio 1647, passando per la vicinanza di Seclì Donatantonio Bonsegna, fu carcerato per ordine del Patrone di detto luoco D. Antonio d’Amato, come cugino del Sig. Conte, saputosi questo dalla Città, mandarono due Riformati, con imbasciate ad esso Barone, che se non scarcerava detto Bonsegna, farrebbero uscire sua sorella dal Convento di S. Chiara, e la brugiariamo, per detta imbasciata subito fu scarcerato; e la sua carcerazione fu per essere stato lui che disse, che si portasse il Stendardo a Castello.

A 29 Luglio 1647, venne ordine da Lecce, che lasciassero uscire dalla Città, D. Beatrice Acquaviva, moglie del Sig. D. Diego Acquaviva; il popolo ubitì.

A 1 Agosto 1647, ad ore diece arrivarono da settanta soldati a cavallo, che andavano scorrendo per la campagna, e attorno alla Città, pigliarono da settanta e più persone, e ne le portarono con essi, tutti questi stevano nell’aere pesando il grano, e chi guardava il fatto suo, e fra questi vi fu Pomponio Argentone nobile, D. Pietrantonio Fisio, nobile, ed altri; la gente a cavallo erano del Sig. Gio: Battista Cicinielli, e da D. Francesco Pignatelli, parenti del Sig. Conte, ed altri di Nardò aderenti del Sig. Conte, e questi andarono a Copertino ad aspettare il Sig. Conte, che veniva ad assediare la Città.

A 2 Agosto 1947, ad ore nove, di nuovo vennero li sopra detti a Cavallo, e principiarono a metter fuoco nell’aere, e fra le altre una si chiama Soleci, l’altra li Mangani, con questa occasione vennero molta gente di Galatone, e se ne portarono molto grano, scampato del fuoco; detta gente andarono per le Masserie d’intorno alla Città, e a quella di Arneo, e pigliarono tutte le bestiami, pecorine, e vaccine, le pecore furono 3000, le vaccine 200 e diverse giomente, e sommarrine, diverse altre Massarie non furono danneggiate, perché erano della partita del Sig. Conte; detta gente si avvicinarono sotto le Muraglie, e incominciarono a tirare archibugiate alla gente che steva sopra le Muraglie tutta armata, mentre avevano avuto l’avviso, che veniva il Sig. Conte, con molta gente armata, per assediare la città, in questo tempo si tirarono molte moschettate d’ambe le parti, ma non successe danno alcuno, la Città tirò un pezzo d’artigliaria, e perché l’artiglieri, non era troppo prattico, non offese nisciuno, doppo ciò la gente di fuora, nuovamente si ritirò in Cupertino.

A 2 Agosto 1647, venne avviso da Lecce, esser stato ammazzato il Dr. D. Ottavio Sambiasi, dentro il cimiterio de Patri Conventuali, perché era avvocato della Città.

A 3 Agosto 1647, ad hore nove arrivò la gente che portava il Sig. Conte con due suoi figli, D. Giulio, e D. Tommaso, e posarono mezzo miglio distante dalla Città, con questi andavano uniti il Principe di Presicce, il Duca di S. Donato, il Marchese di Cavallino, D. Gio: Battista Cicinelli, D. Tuglio di Costanzo, D. Diego Acquaviva, il Barone di Lizzaniello, il Barone di Seclì, ed altri Signori, ciascheduno con la sua gente, due compagnie di cavalli, una compagnia di fanteria, cento Picheri, trenta Gentiluomini di Lecce, con i loro servitori, ci furono anche gente d’Altamura di Monte Peluso, di Bari, di Brindisi, di Gallipoli, di Francavilla, di Casalnuovo, di Galatone, di Casarano, ed altri luochi, che in tutto furono 4000 persone, tutti bene armati, incominciarono a toccar tamburi, e trombette; inteso questo la Città, subito corse la gente alla difesa, e tirarono una cannonata verso l’inimico, proprio alla cavalleria, che li recò non picciol danno, la Città aveva trovato un artegliere inglese, molto pratico a tirare, e si vedeva che dovunque voleva tirava fra lo spazio di un quarto d’hora, vennero dietro la Porta della Città, tre cavalli, con le selle vuote; il nemico si portò vicino al Convento de Patri Paoloni, da dove ebero qualche fastidio i cittadini, quale incominciarono a tirare, quelli di fuora e quelli di dentro, portò il caso che un giovine salendo su una pergola per pigliare uva, li fu tirata una schioppettata, fu colpito nell’occhio, e se ne morì, della parte delli inimici, per relazione di quelli di fuora ne morirono 120 detta battaglia durò due giorni, e due notti, il Sig. Conte mandò due Capoccini, per l’accordio, i Cittadini rifiutarono il partito, nuovamente rimandò detti Patri, li fu risposto che mandasse il Vescovo di Lecce per necozziare, il Sig. Conte fè venire detto Vescovo, e incominciarono a trattare, la pretenzione della Città fu, che il Sig. Conte levasse tutte le gabbelle, e che la balliva sincome ab antico, era della Città, e presentemente la possiete detto Sig. Conte, la rilasciasse ad essa Cità, e in ricompenza di ciò, la Città si obbliga di pagarli 500 docati annui, mentre i cittadini sofrivano molto incommoto per detta balliva, mentre il Sig. Cote la vendeva in ogni anno docati 2000, e perché il compratore non podeva esiger tanto, accordava tutti quelli che avevano bestiami, come esso voleva, senza che nisciuno possa opponersi, e che per l’altre differenze che esistono tra la città, ed il Sig. Conte, se la vedessero di giustizia, tutto questo cercò la città, il Sig. Conte cercò, che li cittadini, nollo contrassero nelli suoi officiali, e che sia levato il Stendardo Reale dal castello, che haveva portato il Popolo.

A 7 Agosto 1647, andarono i cittadini, nelle loro Massarie, e le trovarono spogliate di bestiami, formagio, e di tutte le vettovaglie, e brugiate le case, le porte atterra, in vederle era pietà, si calculò il danno, ed arrivò alla somma di trentamila ducati.

A 9 Agosto 1647, un Massaro che steva nella Masseria nominata S. Elisa, era dell’Arciprete, ponendo fuoco alle ristocce, detto si attaccò alle rene, e abrugiò più di mille alberi, e sarebbe stato magiore il danno se non avessero corsa la gente dalla città, a smorzar detto fuoco.

A 10 Agosto 1647, venne il Sig. Gio: Battista Ciciniello, per causa che il Popolo si andava movendo, mentre si vociferava che i patti di levare le gabelle, e bagliva non si osservava, ma detto Ciciniello, queitò il popolo.

A 11 Agosto 1647, il popolo non si quietò affatto, ma diceva che per tutti i luochi non si pagava nisciuna gabella, ed in Nardò si, si pagavano due carlini a tumolo nella cartella della farina, volle il Popolo che rilevasse detta gabella, e per tal causa passò pericolo della vita il Sindaco de Nobili Gio: Bernardino Sabatino, quale fu di bisogno andare unitamente col Popolo alle Moline, è ordinare all’esattore, che lasciasse entrare tutte le persone, senza pagare cosa alcuna, così s’acquietò il Popolo.

A 13 Agosto 1647, l’aderenti del Sig. Conte, per tal mossa fatta dal Popolo, ne dietero avviso in Conversano al Sig. Conte, e usciti di notte detti aderenti, pigliarono tutta l’artigliaria della città, e dato di mano al Magazzeno della polvere, e altro, tutto trasportarono nel castello, la matina havendo inteso questo il Popolo, parte si ritirarono nelle chiese, e parte se ne uscirono dalla città ricuperandosi nei luochi circonvicini.

A 14 Agosto 1647, l’aderenti del Sig. Conte, pigliarono carcerati, il capo Popolo Patuano… Giuseppe Spatò Giov. Domenico Scopetta, e Gio: Francesco di Calignano, e li portarono carcerati nel castello, detti aderenti andavano per la città armati, intraccia di altri loro contrari, detti aderenti pigliarono informazione, benché falsamente, contro il Popolo, costandoli che volevano ammazzare tutti l’arderenti, detta informazione fu mandata in Utienza, quale la medesimo mandò due Auditori, con una compagnia di cavalli, che erano di D. Tiberio Garrafa, detta compagnia fu mandata ad allogiare nelle case de loro contrari, cioè in casa di D. Francesco Maria Gabellone nobile, Abate Gio: Filippo de Nuccio, nobile Abate Gio: Carlo Colucci, nobile, Pietro Spinelli nobile, Barone Pietr’Antonio Sambiasi, Barone Gio: Guglielmo Sambiasi, Dr. Abbate Benedetto Trono, Antonio d’Anili, ed altri, detti due Auditori dietero ordine che si esigessero le gabelle del Sig. Conte.

A 17 Agosto 1647, fu pigliato dalla chiesa di Casole territorio di Copertino, Cesare de Paolo, e li fu tagliata la testa, vicino la chiesa del Ponte, e pur anche fu pigliato Giuseppe Olivieri, che steva in Leverano, e li fu tagliata la testa, nelli patuli, e tutte due teste furono portate nel castello, dove stevano tutti l’aderenti, saputosi tal fatto dal Tenente de Cavalli, andò in castello lamentandosi, con dire che non havevan fatto bene a tagliar le teste a quelle due persone, quando che detta cavalleria, steva per ordine dell’Aditore Sarsale, per la quiete della città, promettendo, così l’aderenti, come i cittadini di posar l’arme sub fide Regia, e così si avevano acquietati, li fu risposto a detto tenente esser vero la parola data, ma questo successo, fu in campagna, e fu per inimicizie particolari de Cittadini, e perciò non sono incorsi a trasgressione d’ordine.

A 19 Agosto 1647, furono pigliati carcerati, l’abate Gio: Filippo De Nuccio, l’abate Donato Antonio Roccamora, nobili, Dr. Abate Benedetto Trono, Dr. Abate Gio: Carlo Colucci, Francesco Maria Gabellone, e il chierico Domenico Gabellone Fratelli, D. Giovanni Giorgino, Stefano Gabellone, Fratello dell’anzidetto Gabelloni, tutti questo stevano uniti in casa delli detti Gabelloni per sicurità, mentre in detta casa steva il Tenente della Compagnia, e detto Tenente li pigliò carcerati in poder suo, tutti questi furono che nella falsa informazione presa, che erano stati i fomentatori alla ribellione, e alla congiura contro l’aderenti del Sig.Conte; vetendo questo, molti del Popolo incominciarono ad uscire della città, andando per diversi luochi, ma la maggior parte in Gallipoli.

A 20 Agosto 1647, dalla gente del Sig. Conte furono tagliate tre strade, che uscivano al Castello, e incominciarono a trincerare detto castello, alzare la quarta Torrione, quale circondano tutto il castello, fecero anco il ponte, ed il restiglio nella prima entrata.

 

A 20 agosto 1647, fu tagliata la testa al Dr. Abate Gio. Carlo Colucci, d’anni 47; al Dr. Abate Benedetto Trono d’anni 70; Arciprete Gio. Filippo Nuccio, di anni 42; Abate Donato Antonio Roccamora, di anni 53; D. Francesco Maria Gabellone di anni 40; chierico Domenico Gabellone d’anni 37; prima furono archibugiati, e poi tagliate le teste, detto fatto fu dietro il convento di S. Francesco di Paola, e in quell’istante si vide oscurarsi l’aria in tal modo, che non si vedevano l’uno con l’altro, e finito che ebero tal carneficina, l’oscurità si risolse in pioggia così abondante, che era quasi un diluvio, detti sfortunati preti, dacché uscirono dal castello dove stavano carcerati, sino all’hora della loro morte, non mancavano di salmegiare, e dire diverse orazzioni, dandosi animo l’un con l’altro, e dicendo de continuo, Pater ignosce illis quia nesciunt quid faciunt, tra li quali D. Francesco Maria Gabellone, non cessò mai di dire, Conceptio tua Dei genitris Virgo gaudium annunciavit universo Mundo, e doppo morto anche flebilmente risentiva dire dette parole, questo fatto ad hore diecinnove;  nell’istessa notte fu ammazzato il Barone Pietrantonio Sambiasi a pugnalate, essendo questo d’anni 37[†], morto che fu l’appesero per piede alle furche mezzo della Piazza, e le teste delli reti furono posto su il Sedile, e li corpi de medesimi distesi nella piazza attorno le furche.

A 21 agosto 1647, entrò il Sig. Conte in città, con suoi figli, Cosmo, Giuglio, e Tommaso, e con altri Signori, in compagnia di 500 uomini.

A 22 agosto 1647, furono pigliati carcerati, il Barone Baldassarro Carignano, il Dr. Gio. Filippo Bonomi, e Gio. Lorenzo Colucci, nobili, e furono portati al castello.

 

A 22 agosto 1647, si dette sepoltura alli corpi de preti, e di Pietrantonio Sambiasi, ma non alle teste.

 

A 23 agosto 1647, furono carcerati nelle carceri del Vescovo, D. Donato Antonio Pizzuto e D. Onofrio Mastore, sotto pretesto che havessero portato polvere alla città, in tempo che stava assediata, e che havessero accompagnati alcuni gentiluomini che fugivano dalla città.

A 25 agosto 1647, fu gettato a terra lo studio, e due altre camere dell’Abate Gio. Carlo Colucci.

A dì detto si diè il sacco nelle case di Vitantonio Falconi, con dire che s’avesse trovato nella congiura.

 

A 26 agosto 1647, fu pigliato carcerato da Copertino, e portato in questo castello di Nardò il Medico Francesco Maria dell’Abate.

A dì detto si dette il sacco nella casa di Gio. Pietro Giuglio nobile per haver pigliato il stendardo di Sua Maestà dentro la chiesa ove si conservava e datolo a Stefano Gabellone Sindaco de nobili fatto dal popolo, per portarlo nel castello.

A 4 settembre 1647, mercordì all’alba partì il Sig. Conte, con sui filli, et altri signori, portando con essi mille cavalli, e cinquecento petoni, nella città di Lecce, ed entrate alcune persone per la porta falsa del castello, pigliarono D. Francesco Boccapianola mastro di campo di questa provincia insieme con la moglie e figli, e tutta la famiglia, detto Boccapianola s’aveva ritirato nel castello perché il popolo lo voleva ammazzare, con dire che era contrario a detto popolo, e unitosi col sig. Conte, e Duca di S. Donato, e perché detto Duca era stato scacciato da S. Cesario suo luogo, ed essendosi dato il sacco al suo castello di detto S. Cesario, da suoi vassalli, insieme con gente di Lecce, e di Lequile, sdegnato di questo il sig. Duca, et havendosi trovato l’ocasione di questa comitiva, ordinò che si desse il sacco a detto casale di S. Cesario, a questo replicava il sig. Conte, ma il sig. Duca sdegnato quanto più si può, si diè alla fine il sacco, non lasciandoci né meno una paglia dentro delle case, in ultime gettarono tutte le porte a terra, e tirarono di queste anche li chiodi che in vederlo era una pietà, il sig. Duca havendolo visto ne restò molto mortificato, e questo lo visto io proprio mentre andavo a Lequile per vedere certi miei parenti per coriosità volsi andare a vedere detto luogo; in detto luogo fecero residenza tutta quella gente cinque giorni, trattando se andavano a dare il sacco alla città di Lecce, per haver commessa ribellione, havendo il popolo ammazzato il conzelliere Aracca, essendo venuto per aquietare il popolo, perché tumultuava, e perché li cittadini havevano inteso, che avesse venuto per mettere le gabelle, che serano levate, e perciò l’amazzarono. Tra pochi giorni venne ordine da Napoli da S. E., che siano aggraziati tutti i cittadini di Lecce per l’omicidio fatto in persona del detto conzelliere, e che detta città ricevesse per mastro di campo Boccapianola, quale non lo voleva ricevere, ma in luogo suo voleva il sig. Giacomo Spinola genovese, e perciò il sig. Conte, e detto Boccapianola si ritirarono in Nardò per consultare questo fatto.

A 5 settembre 1647, fu pigliato carcerato Andrea Zuccaro, e portato al castello.

A 7 settembre 1647, fu pigliato carcerato cherico orlando Spina di Gallipoli, e cherico Antonio Monittola di detta città, quali passando da S. Cesario per andare in Lecce, per loro affari, ed essendo stati visti dalla gente del Sig. Conte furono pigliati, il Monittola fu lasciato, ma il detto Orlando fu carcerato, per aver fatto imbarcare in Gallipoli il marchese della Caia, D. Francesco delli Monti per haver fuggito dal Regno.

A 8 settembre 1647, Orlando Spina fu trasportato dal castello di Nardò al castello di Taranto.

A 10 settembre 1647, Boccapianola, assieme col Sig. Conte, mandò in Lecce per provista del castello, duoteci carrette di grano, oglio, formaggio, e pietre di moline, i cittadini di Lecce riceverono dette carrette, ma non le consegnarono al castello, perché i cittadini stavano inimici, con quelli del castello, e detta città voleva essa darli la provista, quale il castello non voleva ricevere cosa alcuna dalla città, protestandosi che non voleva altro provveditore, che Boccapianola, saputosi questo da detto Boccapianola, spedì molti corrieri per la provincia, a tutti li Baroni che si conferiscano in Nardò, per andare ad assediare la città di Lecce, per aver incorso al ribeglione, negando di dare al castello quella provista, che si mandò dal Governatore dell’armi.

A 14 settembre 1647, fu carcerato Tomaso Spano nel castello, perché portava le lettere da Lecce in Nardò, mandate dal Dr. D. Ottavio Sambiasi avvocato della città.

A 15 settembre 1647, fu pigliato carcerato Gio. Francesco Bisci, villano, e portato al castello, per testimonio, tutti quelli che sono pigliati carcerato sono per costare il ribellione, per li preti morti, ed altri cittadini.

A 19 settembre 1647, furono pigliati carcerati dentro Gallipoli, avendono fuggiti da Nardò, Pietro Antonio Fiazzi, e Giuseppe Scopetta, detti sono stati presi da uno di Gallipoli, affezionato del Sig. Conte, per nome l’alfiero Annibale Calò, furono trasportati al castello di Nardò.

A 20 settembre 1647, partì per Conversano il Sig. Conte, portando con sé tutti li carcerati, quali furono, il Barone Baldassarre Carignano, il Dr. Gio. Filippo Bonomi, il Dr. fisico Francesco Maria dell’Abate, Gio. Lorenzo Colucci, e Stefano Gabellone il capi popolo Patuano, Giuseppe Spata, Andrea Zuccaro, Pietro Antonio Facci, Giuseppe e Gio. Domenico Scopetta fratelli, D. Giovanni Giorgino, ed un altro villano.

A dì detto fu pigliato il Barone Totino, per ordine di Boccapianola, e fu carcerato nel castello di Nardò, e dopo fu portato nel castello di Gallipoli.

A 23 settembre 1647, partì da Nardò Boccapianola per ordine di sua eccellenza e andò a Munopoli, o a Trani, per far residenza, portando con sé due compagnie di cavalli.

A 26 settembre 1647, fu fatto il bando che tutti quelli che si trovavano fuori dalla città fuggitivi, che venissero a farsi il decreto del Governatore, e che passeggiassero per la città eccettuatone alcune persone, e quelli che non erano eccettuati, nemmeno venivano, perché si vedeva, che il Governatore, mastro d’atti, ed altri aderenti del Sig. Conte, mettevano nella lista tutti indifferentemente, la causa era per abuscar li decreti, o regali e per odi particolari, nuovamente si fe bando, che ognuno venisse liberamente senza decreto, riserbando però tutti quelli eccettuati, quali sono li sottoscritti.

Barone Gio. Guglielmo. e Gio. Francesco Sambiasi, padre e figlio, notaro Alessandro, e Muzzio Campilongo padre e figlio, Mariantonio e Gio. Lelio de Vito, padre e figlio, Antonio e Giuseppe Nociglia fratelli, Matteo e Luca Giorgini fratelli, Gio. Donato e Giacomo dell’Ardita fratelli, Vitantonio delli Falconi nobile, Geronimo Matera nobile, Giuseppe Gabellone nobile, Alessandro Zuccaro, Francesco Luzziano nobile, Virgilio Massafra, Francescantonio Biscozzo nobile, Lupantonio della Fontana, Antonio d’Anili, Aloisio Zuccaro, Donato Antonio Bonsegna, Ottavio Bruno, Gio. Pietro Giuglio nobile, il nome di tutti questi furono  fissati nella piazza.

Altra nota de preti, ma questa non fu fissata in piazza e sono i sottoscritti:

D. Gio. Bernardino Sambiasi nobile, D. Gio. Antonio de Monte nobili, D. Gio. Francesco Cristallo nobile, D. Giuseppe e D. Carlo Piccione fratelli, cherico Gio. Geronimo Carignano nobile, Abate Stefano Conca nobile, D. Alessandro Sambiasi nobile, D. Gio. Francesco Sambiasi nobile D. Alfonso Campilongo nobile, tutti questi notati, sì preti, come laici, si dice che siano incorsi nella ribeglione.

A 11 ottobre 1647, ad hore quattro della notte si levarono le teste delli preti dal Setile, e solamente restarono la testa di Cesare de Paulo, e di Giuseppe Olivieri; si dice che fusse venuto ordine dalla Congregazione al Vicario, che le desse sepoltura, ma detto Vicario prima di far questo, ne scrisse al Sig. Conte; e perciò si levarono dette teste.

A 15 ottobre 1647, venne ordine al Governatore da Sua Eccellenza che mandi il battaglione in Napoli, per soccorso di Sua Altezza D. Giovanni d’Austria, che era venuto per quietare la città di Napoli, per il tumulto accorso, e perché detta città voleva certi patti prima che entrasse Sua Altezza, e non volendo concederli, per tal causa la città si pose in armi, e non lo fece entrare, sdegnato di questo Sua Altezza unito con li tre castelli, esso per la porta del mare, con l’armata navale, sincominciaro a tirarsi con la città, e perciò Sua Eccellenza spedì ordine per tutte l’Università e baroni de luochi, che andassero in Napoli con le loro genti.

A 19 ottobre 1647, venne in Nardò il Sig. Gio. Francesco Basurto, il Sig. Gio. Francesco Pignatelli, il Sig. D. Fulgenzio di Costanzo, detti signori andarono uniti con il Duca di S. Donato, e il sig. D. Diego Acquaviva, che stavano in Nardò, ciascheduno di questi andava con la sua gente chiamati da S. E. in Napoli, come anche furono chiamati tutti li Baroni e cavalieri del regno, e anche la fanteria e cavalleria ordinando a tutte l’Università, che ciascheduno provvedesse li suoi soldati, con darli e i petoni un carlino il giorno, e alli cavalli tre carlini al giorno, e che li pagassero per un mese anticipato.

A 22 novembre 1647, fu pigliato carcerato D. Filippo Demetrio, per haver detto, che l’aterenti del Sig. Conte, toccava fuggire, perché si diceva che il Sig. Conte fusse stato ammazzato, nella guerra di Napoli, con tutti i suoi figli.

A 29 novembre 1647, venne avviso da Conversano della sig.ra contessa, al suo Perceptore, che facesse l’esequie per la morte del Si.g D. Emiglio Acquaviva suo figlio, essendo morto nella guerra di Napoli, a Frattamaggiore.

A 4 marzo 1648, avviso da Conversano che li carcerat che stevano in Conversano, stati ammazzati per ordine del Sig. Conte.

A 5 dicembre 1647, fu pigliata una donna dalla gente del Sig. Conte, e fu posta nel Segio, attaccata alla berlina, per lo spazio di mezz’ora, per haver detto che il Sig. Conte sia morto nella guerra di Napoli.

A 7 marzo 1648, sabato mattina si videro nel Segio le teste di quelle che stavano carcerati in Conversano, e furono il Barone Badassarro Carignano, il Dr. Gio. Filippo Bonomi, Stefano Gabellone Gio. Lorenzo Colucci, Patuano capipopolo, Gio. Domenico e Giuseppe Scopetta fratelli, Giuseppe Spata, Andrea Zuccaro, Pietro Antonio Facci, Archilio, Gio. Francesco di Calignano; venne avviso, che detti morti furono strangolati da due schiavi, e dopo tagliate le teste.

D. Giovanni Giorgino ed il medico Francesco Maria dell’Abate, restarono carcerati, se bene furono passati al Civile, si dice che havessero havuto la grazia per mezzo di D. Francesco Pignatelli il sopra detto Stefano Gabellone s’aveva trattato di darli libertà con pagare mille docati, come già rimandarono in Conversano, e dopo ricevuti, in cambio di mandarlo libero in Nardò gli mandò la testa a sua madre.

A 25 maggio 1648, si levarono le teste che stavano al Sedile, cioè del Barone Baldassarro Carignano, del Dr. Gio. Filippo Bonomi, di Gio. Lorenzo Colucci e di D. Stefano Gabellone e li fu data sepoltura.

A 26 detto furono levate le altre teste, e furono sepolte.

 

[*] Tratto da «Rinascenza Salentina», A.4, n. XIV , 1936, pp. 7-26, pp. 9 -21. Trascrizione di Alessio Palumbo

[†] Si tratta di un errore: Pietrantonio Sambiasi aveva 87 anni

20 agosto 1647. L’olocausto di Nardò (seconda parte)

di Marcello Gaballo

Filippo II re di Spagna

Agosto 1647
Il 2 agosto 1647 il duca giunse inferocito e assetato di vendetta, portando con sé le truppe dei suoi amici, il duca di San Donato, il principe di Presicce, il marchese di Cavallino, il barone di Lizzanello e quello di Seclì, con cui era imparentato.
Con un esercito di 4000 uomini incendiò e razziò i dintorni, torturò tutti i cittadini che trovò per strada. Nella stessa giornata fu ucciso a Lecce il neritino don Ottavio Sambiasi, di nobile stirpe, da sempre antigovernativa.
Pur con diversi danni, la popolazione resistette per due giorni e due notti.

10-13 agosto
Nei giorni seguenti il popolo tornò a sollevarsi e offrì al duca l’occasione per intervenire ferocemente, arrestare i capi e seminare ovunque strage e morte.

Riporto, per chi già non lo conoscesse, quanto descritto dal neritino Francesco Castrignanò (Nardò 1857 – 1938) a proposito della strage, ordinata dal conte, dell’intero Capitolo della cattedrale di Nardò:

O coru, o scanni antichi gnuricati,
di do sieculi e cchiù! – Li sagirdoti,
santi cristiani, stianu quà ssittati,
urazziuni dicendu; li dioti
qua nnanzi eranu puru nginucchiati
e cchiù dha mmienzu ntra gindarmi moti,
stia lu Conte, cu l’uecchi spalangati
sobbra a femmine e masculi rriccoti.
Dhi canonaci tanta cumpassione
sintianu di lu populu ffamatu,
ca dissira allu a lu Conte: “no so bone
li tasse ci sta minti … ghè piccatu”
sapiti cce rispose lu birbone?
“Lu capitulu tuttu mprigiunatu!”
Papa Giuanni Culucci e Binidittu
Tronu. Nucciu Filippu e Roccamora,
do’ Gabilluni e do’ Pumpuni ancora
a ncastieddhu, di notte, cittu cittu

fora purtati. Quale mai dilittu
abbianu fattu ccu li dissunora?
Disse lu Conte “fuggillatu mora
ci a lu re, contru me, ricorsi ha scrittu!”

E di espra sunata, inti di agostu,
dretu Rranfa (lu cielu nci chiangia)
fece dhi santi nunni fuggillare.

Mone, ci ncora, passu di dhu postu,
pinsandu a ddhi nnucenti e a queddha dia,
mi sentu ncapu li capiddhi azzare!.

 

Testimone credibile dei fatti fu il neritino Giovan Battista Biscozzi, che scrisse una dettagliata cronaca degli eventi, preziosa per le notizie trasmesse, riportata da Nicola Vacca in “Rinascenza Salentina”.

Il 14 agosto da Conversano, ove si trovava il duca, giunse l’ ordine di arrestare i neritini Paduano Olivieri, Giuseppe Spada, Giovan Domenico Scopetta e Giovan Francesco Calignano.
Subito dopo lo furono anche Pietro Spinelli, i baroni Pietro Antonio e Guglielmo Sambiasi ed altri.

16-17 agosto
il 17 agosto 1647  Cesare Di Paolo venne prelevato a forza dal copertinese convento francescano di Casole,  in cui aveva trovato asilo,  e fu decapitato vicino all’attuale chiesa dei SS. Medici,  mentre Giuseppe Olivieri fu preso a Leverano e decapitato nelli  patuli e tutte due teste furono portate nel castello, per essere esposte sul Sedile della città.

Eliminato il Sindaco riempì le carceri di inermi cittadini che non erano dalla

Mostre/ Paolo Finoglio. Un maestro del Barocco napoletano

Paolo Finoglio, L’angelo appare a San Giuseppe

Tra realtà e leggenda

di Alessandra Boccuzzi

Un ambizioso progetto vede l’Italia e la Francia protagoniste del panorama culturale europeo. Si tratta di due mostre inquadrate in un’ottica di scambio artistico-culturale di altissimo livello tra la Pinacoteca “Paolo Finoglio” di Conversano e il “Palais des Beaux-Arts” di Lille, promosse dal Comune e il Polo Museale di Conversano “MUSeCO”, la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Puglia e il Palais des Beaux-Arts de Lille.
La mostra “Veronese, Tintoretto e la pittura veneta. Capolavori del Palais des Beaux Arts di Lille” – inaugurata il 9 maggio e in programma sino al 21 luglio 2010,  allestita nelle sale della Pinacoteca “Paolo Finoglio”, all’interno del prestigioso Castello Aragonese di Conversano – è stata curata da Fabrizio Vona (Soprintendente ai Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Puglia) e Saverio Pansini (Direttore dell’Area Politiche Culturali del Comune di Conversano, Direttore “MUSeCO”).

L’evento mira non solo a mettere in evidenza la consistenza e la qualità dei manufatti artistici prestati dal museo di Lille, da considerare tra i musei francesi più importanti, ma anche a ricreare percorsi e sollecitazioni utili ad operare un’efficace contestualizzazione del fenomeno tardo cinquecentesco e dei primi del Seicento in ambito pugliese. La collezione di Lille – afferma Saverio Pansini – risulta particolarmente ricca di opere venete e la sua

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