La chiesa parrocchiale di Presicce. Lettura del monumento tra ricerche d’archivio e nuove scoperte

 

di Andrea Erroi

“Il tempio parrocchiale di questa terra di Presicce che nel giorno 10 giugno 17881 , ricorrendo la domenica della S.S. Trinità,  fu benedetto con l’acqua santa; ora arricchito con nuove magnifiche opere ornamentali e con l’altare consacrato  principalmente con le reliquie dei martiri S. Andrea Apostolo, S. Vittore Papa e S. Pacifico Martire, con la presenza dell’Illustrissimo Reverendissimo Vescovo di Ugento Giuseppe Corrado Panzini, accompagnato dai dignitari della Cattedrale e del Reverendo  Capitolo di Salve, Acquarica e Presicce e anche dei Padri Carmelitani dello stesso paese, dal tramonto fino al sorgere del sole, cantando devotamente e con salmi all’eterna gloria di Dio e perenne onore del Patrono S. Andrea Apostolo e le acclamazioni continue della popolazione, con solenni e augurali riti religiosi, con ammirevole esempio di pietà: giorno 6 luglio, domenica, dell’anno 1794”.

Questa nota, conservata nell’archivio parrocchiale della chiesa matrice di Presicce ci ricorda che il 6 luglio ricorre la data di consacrazione dell’edificio.

documento del 6 luglio 1794, conservato nell’archivio parrocchiale di Presicce

 

La chiesa matrice, intitolata a Sant’Andrea Apostolo, fu costruita nel 1778, sul vecchio edificio cinquecentesco poiché, secondo l’Arditi, quest’ultimo non era più né degno né adatto alla popolazione ricrescente e che per questo motivo si volle nuova, tanto che in diciotto mesi fu completata, benedetta e inaugurata nel 1781. In realtà, da questa nota si apprende che i lavori di completamento (gli stucchi, i marmi, le tele) durarono diversi anni dopo la costruzione del tempio.

 

La chiesa, considerata una delle più belle della provincia, ha un importante prospetto, splendido esempio di architettura tardo-barocca, scandito da paraste di ordine corinzio. Il ricco fastigio caratterizza l’edificio sacro tanto da renderlo subito individuabile da vari punti della città.

L’imponente torre campanaria è ciò che resta della vecchia chiesa cinquecentesca: si sviluppa su tre registri e presenta decorazioni fitomorfe e mascheroni di scuola neretina.

La chiesa ha un impianto a croce latina e ha il pregio di essere molto luminosa. All’interno vi sono otto altari laterali arricchiti da decorazioni in stucco e da pregevoli dipinti su tela. I quadri presenti in Chiesa sono attribuite a celebri autori locali, come il Catalano (che è l’autore del grande quadro del presbiterio rappresentante il martirio di Sant’Andrea e datato al 1601), e ancora Oronzo Tiso, Diego Pesco, Saverio Lillo, Giuseppe Sampietro, ecc.

 

L’altare maggiore, in marmi policromi, come anche la balaustra, il fonte battesimale e le pile lustrali sono di scuola napoletana: recenti ricerche, svolte da Maura Sorrone, ne hanno individuato l’autore in Baldassarre Di Lucca. Tuttavia, gli elementi figurativi (angeli, cherubini e il bassorilievo del santo patrono) provengono con tutta probabilità dalla bottega con il quale il Di Lucca collaborava frequentemente: quella del celeberrimo scultore Giuseppe Sammartino, autore fra gli altri del Cristo Velato.

Importante il complesso di statue presenti nella chiesa, tanto in cartapesta, quanto lignee. Queste ultime, come pure i preziosi manufatti di argenteria, di importazione napoletana, oltre ad essere emblematici esempi di devozione, raccontano del vivace rapporto tra l’aristocrazia locale e la capitale del Regno.

La chiesa dei morti a Presicce

 

Adiacente al lato destro dell’edificio, esiste una cappella denominata “Chiesa dei Morti”; infatti, i numerosi sepolcri ipogei hanno svolto la loro funzione fino alla fine dell’Ottocento. Il piccolo ambiente voltato a crociera è costituito da due campate e sulla parete di fondo vi è un altare in stucco, coevo alla riedificazione settecentesca di tutta la chiesa. Sull’altare è collocato un prezioso ciborio del Seicento, di scuola francescana e in legno policromo, proveniente dal precedente edificio.

I recenti restauri, preceduti da un’indagine stratigrafica delle superfici murarie, hanno riportato alla luce sia gli antichi fornici che connettevano ciascuna cappella alla navata centrale dell’antica chiesa matrice, sia consistenti porzioni di affreschi e decorazioni pittoriche che la interessavano, la cui datazione varia tra il XV ed il XVI secolo.

I dipinti conservano ancora i vivaci colori, nonostante gli strati di calce, gli intonaci e, in alcuni casi, la muraglia, che li hanno celati per secoli. La scoperta dei dipinti consente di comprendere la successione cronologica dell’intero edificio: è possibile, infatti, distinguere tre chiese, sovrapposte e stratificate l’una alle altre.

Affreschi del XVI sec. nella chiesa parrocchiale

 

Su una delle eleganti serraglie rinascimentali che chiudono le volte, è emersa la probabile firma del capo mastro

<< + SALVATORE . CARILLI . M . +  1575 >> , che realizzò le volte e probabilmente l’imponente torre campanaria.

affresco della Madonna di Loreto (XVI sec.) nella chiesa parrocchiale di Presicce

 

Risale alla fine del Cinquecento il dipinto rinvenuto nell’abside della seconda campata: Madonna col Bambino, racchiusa in una mandorla, circondata da cherubini che sormonta una grande chiesa con campanile, mentre il Bambino benedicente stringe in mano un uccellino (Madonna di Loreto). Alla stessa epoca risalgono i dipinti del vano retrostante l’altare.  Sono emerse diverse figure di santi vescovi, di S. Vito, un’abside con lacerti pittorici. Questo ciclo pittorico si stratifica su di un ciclo più antico superstite e ben visibile in un altro piccolo ambiente adiacente, in parte demolito nel Settecento; si tratta di una cappella con volta costolonata, che anticamente si connetteva al resto dell’edificio mediante un grande arco a sesto acuto. Attualmente, l’ambiente conserva una buona porzione della decorazione pittorica che interessava le pareti nella loro interezza. Nel complesso pittorico sono raffigurati San Sebastiano, San Rocco e San Pietro, una bellissima Imago Pietatis dal paesaggio surreale, e nella sommità, racchiusa in un clipeo, l’immagine di Cristo Pantocratore. Tutte le scene sono raccordate da una partitura architettonica dipinta. Al di sotto di quest’edizione pittorica, è visibile una decorazione a bicromia di gusto ancora gotico, probabilmente databile al XV sec.

A seguito degli interventi di restauro, l’altare settecentesco presentava tre grandi cornici vuote e delle antiche tele non vi era più memoria, ma per esigenze di culto si è resa necessaria la collocazione di nuovi dipinti: la visione delle ossa inaridite del profeta Ezechiele, il Cristo pantocratore e il martirio di padre Pasquale D’Addosio, sacerdote presiccese martirizzato a Pechino nel 1900.

Libri| Arte barocca nella chiesa del Rosario di Copertino

 

ARTE BAROCCA NELLA CHIESA DEL ROSARIO DI COPERTINO

di Marcello Gaballo, Giovanni Greco e Alessandra Marulli, per la collana Analecta Nerito Gallipolitana,  Grenzi Editore, Foggia (pagine 115, copertina cartonata, riccamente illustrato a colori con foto di Lino Rosponi e rilievi di Fabrizio Suppressa)

 

Questa sera 12 dicembre 2022 alle ore 19, nella chiesa del Rosario di Copertino, Via Cosimo Mariano, si terrà la presentazione del volume che illustra la scultura barocca dei due maestosi altari realizzati tra metà 600 e inizi ‘700 da Ambrogio Martinelli e Giuseppe Longo. Nel volume, dopo le vicende storico-artistiche dell’edificio anticamente officiato dai padri Domenicani, si illustrano anche le coeve emergenze pittoriche, tra le quali l’imponente tela della Madonna del Rosario dipinta dal celebre pittore Gian Domenico Catalano.

particolare di uno degli altari esaminati nel volume (foto Lino Rosponi)

 

L’iniziativa editoriale, corredata di una mostra didattica curata da Alessandra Marulli, è stata promossa dal parroco don Antonio Pinto, che nella prefazione scrive come dal lavoro, ricco di rimandi archivistici e nuove fonti documentarie, siano “emerse inaspettate e inusuali immagini e simbologie recondite che incantano per la loro resa plastica e per la delicata e incisiva policromia… Solo ora si può finalmente godere del tripudio di angeli e angioletti festanti, nelle loro mutevoli pose, che si inerpicano in ogni dove delle due barocche macchine d’altare, a solennizzare incredibile sequenza di santi e sante che proiettano efficacemente l’uomo nello spazio divino”.

Santa Caterina da Siena, particolare della tela della Madonna del Rosario dipinta da Gian Domenico Catalano (foto Lino Rosponi)

 

L’odierna presentazione del volume, sarà preceduta dai saluti istituzionali del vescovo della diocesi di Nardò-Gallipoli, mons. Fernando Filograna, dal sindaco Sandrina Schito, dal presidente della provincia di Lecce Stefano Minerva e dall’assessore regionale all’Istruzione e alla Formazione Sebastiano Leo.

Particolare della tela di San Domenico, dipinta dal Carella, nell’altare di Ambrogio Martinelli (foto Lino Rosponi)

 

Gli interventi sono affidati a mons. Giuliano Santantonio, vicario generale e direttore dell’ufficio Beni culturali della Diocesi; Luigi De Luca, funzionario della Regione Puglia e direttore del polo Bibliomuseale di Lecce; Aldo Patruno direttore generale del Dipartimento Turismo, economia della cultura  e valorizzazione del territorio. Modera il parroco don Antonio Pinto, mentre gli intermezzi musicali sono a cura del M° Maurizio Coppini.

De Domo David. 49 autori per i 400 anni della confraternita di San Giuseppe di Nardò

De domo David

Il 9 novembre 2019, nella chiesa di San Giuseppe a Nardò, è stato presentato il volume De Domo David. La confraternita di San Giuseppe Patriarca e la sua chiesa a Nardò. Studi e ricerche a quattro secoli dalla fondazione (1619-2019), Edizioni  Fondazione Terra d’Otranto 2019, 640 pagine, colore, formato A/4, circa 800 illustrazioni, a cura di Marcello Gaballo e Stefania Colafranceschi. Edizione non commerciale

INDICE

Joseph il giusto nei mosaici dell’arco di Santa Maria Maggiore a Roma

Domenico Salamino

 

La Fuga in Egitto. Suo importante significato teologico

Tarcisio Stramare

 

Dal Sogno al Transito: iconografie nella chiesa confraternale di San Giuseppe a Nardò

Stefania Colafranceschi

 

San Giuseppe e la Sacra Famiglia nel fondo antico della Biblioteca Casanatense di Roma

Barbara Mussetto

 

La pala marmorea dei Mantegazza nella chiesa di Santa Maria Assunta in Campomorto di Siziano (Pavia)

Manuela Bertola

 

Iconografie di San Giuseppe negli affreschi delle confraternite dei Battuti in diocesi di Concordia-Pordenone

Roberto Castenetto

 

La basilica di Santa Maria Maggiore di Bergamo e i suoi arazzi

Giovanni Curatola

 

Hierónimo Gracián e il suo Sommario (1597)

Annarosa Dordoni

 

Le confraternite dei falegnami in Romagna

Serena Simoni

 

La confraternita del SS. Crocifisso e S. Giuseppe nella chiesa di San Giuseppe in Cagli (PU)

Giuseppe Aguzzi

 

La confraternita di San Giuseppe dei Falegnami di Todi e la chiesa di San Giuseppe

Filippo Orsini

 

San Giuseppe in due dipinti astigiani di età moderna

Stefano Zecchino

 

La confraternita di San Giuseppe a Borgomanero

Franca Minazzoli

 

Il culto di San Giuseppe nella città di Napoli e un piccolo esempio di devozione: il quadro di Giovanni Sarnelli nell’Arciconfraternita di San Giuseppe dei Nudi

Ugo Di Furia

 

 Ite ad Joseph. San Giuseppe nella statuaria lignea tra Otto e Novecento: alcuni esempi

Francesco Di Palo

 

L’oratorio di San Giuseppe di Isola Dovarese. Una pregevole testimonianza settecentesca

Sonia Tassini

Testimonianze giuseppine nella chiesa di San Vincenzo Martire in Nole (Torino)

Federico Valle

 

L’oratorio di S. Giuseppe di Cortemaggiore (Piacenza)

Annarosa Dordoni

 

San Giuseppe a Chiusa Sclafani (Palermo) tra arte e devozione

Maria Lucia Bondì

 

San Giuseppe nell’arte. Sculture lignee di Francesco e Giuseppe Verzella tra Sette e Ottocento in ambito pugliese e campano

Antonio Faita

 

Memento mori: il Transito di San Giuseppe

Biagio Gamba

 

Storia e tecnica delle immagini devozionali a stampa

Michele Fortunato Damato

 

Dal XVI al XIX secolo, quattro secoli di pizzo su carta

Gianluca Lo Cicero

 

Stampe popolari giuseppine nel museo di Pitrè di Palermo

Eliana Calandra

 

Le confraternite di S. Giuseppe in Puglia tra storia e religiosità popolare

Vincenza Musardo Talò

 

Le Regole della confraternita di San Giuseppe Patriarca di Nardò, un esempio «moderno» del fenomeno confraternale

Marco Carratta

 

Arte e devozione ad Altamura. La cappella di San Giuseppe in cattedrale

Ruggiero Doronzo

 

Alcuni esempi di iconografia giuseppina a Taranto

Nicola Fasano

 

In margine all’iconografia di San Giuseppe: il ciclo pittorico di Girolamo Cenatempo nella cappella del Transito di San Giuseppe a Barletta

Ruggiero Doronzo

 

 Sponsus et custos. Iconografia, culto e devozione per San Giuseppe nell’arco jonico occidentale. Exempla selecta

Domenico L. Giacovell

 

La raffigurazione di San Giuseppe negli argenti pugliesi

Giovanni Boraccesi

 

Esempi di iconografia giuseppina tra Puglia e Campania. Proposte per Gian Domenico Catalano, Giovan Bernardo Azzolino, Giovanni Antonio D’Amato, Giovan Vincenzo Forlì

Marino Caringella

 

Postille iconografiche su Cesare Fracanzano. Alcuni esempi della devozione giuseppina

Ruggiero Doronzo

 

I Teatini e il culto di san Giuseppe a Bitonto

Ruggiero Doronzo

 

Esempi di antiche pitture parietali giuseppine nel leccese

Stefano Cortese

 

La figura di san Giuseppe nella pittura post tridentina in diocesi di Lecce

Valentina Antonucci

 

San Giuseppe nella pittura d’età moderna nelle diocesi di Otranto e Ugento

Stefano Tanisi

 

Da comparsa a protagonista. Giuseppe in alcune opere pittoriche e in cartapesta della diocesi di Nardò-Gallipoli

Nicola Cleopazzo

 

La devozione a san Giuseppe in Parabita (Lecce). Il culto e le raffigurazioni del santo

Giuseppe Fai

 

Integrazioni documentarie e nuove fonti archivistiche per la storia della chiesa e della confraternita di San Giuseppe a Nardò

Marcello Gaballo

 

Esemplificazioni iconografiche giuseppine a Galatone (Lecce)

Antonio Solmona

 

L’altare maggiore della chiesa di San Giuseppe a Nardò

Stefania Colafranceschi

 

Vedute di Nardò nella tela dell’altare maggiore in San Giuseppe a Nardò

Marcello Gaballo

 

Comparazioni strutturali e integrazioni architettoniche settecentesche nella chiesa di San Giuseppe a Nardò

Fabrizio Suppressa

 

L’altorilievo neritino de La Sacra Famiglia in Viaggio nella chiesa di San Giuseppe

Stefania Colafranceschi

La Madonna degli Angeli per la cappella dei d’Amato di Seclì della chiesa di San Domenico a Nardò

Riportiamo gli abstract dei saggi pubblicati sul nuovo numero de Il delfino e la Mezzaluna

 

Nicola Cleopazzo, E Napoli cominciò a fare scuola nel Salento

in Il delfino e la Mezzaluna, Periodico della Fondazione Terra d’Otranto, anno VI, n° 8, 2019, pp. 137-163

 

 ITALIANO

Nel saggio, attraverso la rilettura di un atto notarile, già pubblicato nel 1891 e collegato ora a dati storici nel frattempo emersi, viene dimostrato che il pittore napoletano Aniello Laudisello realizzò nel 1590 una grande pala con la Madonna degli Angeli per la cappella dei d’Amato di Seclì della chiesa di San Domenico a Nardò. Un arrivo da Napoli, a cui altri se ne possono aggiungere (come una pala a Racale qui attribuita a Giulio Dell’Oca), che poté avere un ascendente diretto sui maggiori pittori salentini del periodo: Donato Antonio D’Orlando e Gian Domenico Catalano. Alcuni dei caratteri stilistici dei due salentini, a cui vengono restituiti rispettivamente due dipinti a Casarano e Racale, sembrano infatti risentire del contesto culturale partenopeo del terzo quarto del Cinquecento, di cui il Laudisello fu uno dei protagonisti. Contesto, dominato dalla fortunata bottega Lama-Buono, cui sembra appartenere anche una Madonna del Soccorso a Gagliano del Capo, qui restituita a un altro pittore napoletano, Decio Tramontano, forse con la collaborazione del maddalonese Pompeo Landolfo.

 

ENGLISH

In the essay, through the analysis of a notary’s act, already published in 1891 and now connected to new historical information, it is shown that in 1590 the Neapolitan Aniello Laudisello painted a large altarpiece

with the Virgin of the Angels for the d’Amato (Seclì’s barons) chapel in the church of San Domenico in

Nardo. This arrival from Naples, to which others can be added (like an altarpiece from Racale here attributed to Giulio Dell’Oca), had probably a direct influence on the main Salento painters of the time: Donato Antonio D’Orlando and Gian Domenico Catalano. Some of the stylistic features of the two Salentines, to which two paintings from Casarano and Racale are respectively attributed, seem to be influenced by the Neapolitan cultural context of the third quarter of the sixteenth century, of which Laudisello was one of the protagonists. To this context, dominated by the successful Lama-Buono workshop, also a Madonna del Soccorso from Gagliano del Capo seems to belong. Here this painting is attributed to another Neapolitan painter, Decio Tramontano, perhaps with the collaboration of Pompeo Landolfo from Maddaloni.

 

Keyword

Nicola Cleopazzo, Aniello Laudisello, Antonio D’Orlando, Gian Domenico Catalano, Decio Tramontano, arte

Presicce, il suo patrono Sant’Andrea e la tela del suo martirio, opera del Catalano

di Andrea Erroi

Nel presbiterio della parrocchiale di Presicce campeggia la grande tela nota con il titolo di ”Il Martirio di S. Andrea”, opera del celebre pittore gallipolino Gian Domenico Catalano. Il dipinto proviene dalla vecchia chiesa matrice, che cedette il posto all’attuale, sul finire del ‘700.

Nella parte inferiore sono visibili gli stemmi del vescovo di Ugento, mons. Pedro Guerrero, lo stemma dell’università di Presicce (il cervo che si abbevera alla fonte) e lo stemma dei feudatari dell’epoca, i baroni Cito-Moles.

In prossimità dello stemma dell’università, su di un sasso, il Catalano stilò la data e la firma << IO : DOM.CO CAT.NO GALLIP.NO ME PINGEBAT 1601>>.

L’opera pare sospesa tra il manierismo e un arcaismo compositivo dal sapore popolare, risentendo della pittura spagnola, mediata da Pedro Rubiales, ma anche delle stampe nordiche.

La scena del martirio, che mostra il santo issato sulla croce decussata, è immersa in un paesaggio affollato, dove oltre alle figure di militi e astanti in primo piano, compaiono numerose altre figure, raggruppate in varie azioni, che come in un corto metraggio inscenano i racconti della Legenda Aurea di Jacopo da Varagine (1298) o degli Atti di Andrea (III sec.).

Si susseguono una serie di scene collegate con la vita del santo apostolo.

Sull’estremo margine di sinistra, lungo la marina, si colgono alcune figure che presumo rimandino alla “Chiamata dei discepoli”; si intravede una figura col braccio teso, presumibilmente Cristo, che indica in direzione delle due barche, su una delle quali sostano tre figure, una in piedi e due intente a raccogliere le reti, con evidente rimando alla ”pesca miracolosa”.

In alto tra squarci di nubi si intravedono degli angeli che reggono delle palme, simbolo di martirio, in atto di incoronare il discepolo.

Lungo il litorale è raffigurata una folla e degli uomini in acqua nei pressi di una nave sopraffatta dai flutti, che rimanda al miracolo dell’apostolo che risuscita gli annegati in un naufragio.

Sulla collina si scorge un edificio in fiamme ed illustra l’episodio del giovane di Tessalonica, Essuo, nobile e ricco, che all’insaputa dei suoi parenti, si recò da Andrea e si convertì al cristianesimo. I parenti, che lo cercavano, saputo che si trovava a Filippi con l’apostolo, andarono con doni pregandolo che si separasse da lui e rinnegasse la nuova fede, ma egli si rifiutò. Dopo aver radunata una folla, con fascine e fiaccole i parenti incominciarono a dare fuoco alla casa. Quando già le fiamme erano alte, il giovane prese un’ampolla d’acqua, e invocando il nome di Cristo sparse l’acqua dell’ampolla e subito l’incendio si spense. Potrebbe essere stato quest’episodio ad originare l’usanza del grande falò, che caratterizza la vigilia di S. Andrea a Presicce.

Stemma dei Cito – Moles

 

Nel margine destro è raffigurata la resurrezione del giovane di Nicodemia. Negli Atti di Andrea si legge : <<… si stava trasportando un morto su di una barella: il vecchio padre, sostenuto dalle braccia dei servi, solo a stento riusciva a seguire la sepoltura. Ed egli (Andrea) rivolto al morto, disse: – <<In nome di Gesù Cristo, alzati e stai dritto sui tuoi piedi>>. Subito risorse tra lo stupore del popolo.>>

Al centro, in un edificio dalla curiosa architettura, attraverso l’ espediente di un arco, vediamo dei commensali: si tratta di un vescovo, che conversando con una donna bellissima e dal pensiero acutissimo, comincia a dubitare della propria fede e mentre sta per cedere alle sue lusinghe, compare Andrea, nei panni del pellegrino; alla vista dell’apostolo la donna scompare, rivelando che si trattava del demonio.

Nell’altro edificio più grande, alla stessa altezza della crocifissione, sono raffigurate le scene della condanna da parte del proconsole Egea e la fustigazione.

In primo piano, sulla destra vi sono delle figure femminili con dei bambini; erroneamente diversi autori hanno ipotizzato si trattasse della famiglia dei principi Bartirotti, feudatari di Presicce (cosa al quanto improbabile, dato che il principe Bartirotti Piccolomini d’Aragona prenderà in sposa Maria Cito-Moles e si trasferirà a Presicce nel 1622). In realtà si tratta di due donne. E’ narrato l’episodio della donna di Corinto: una donna di nome Calliope, che rimase illecitamente incinta di un assassino. Quando giunse il momento del parto, sopraffatta dai dolori, non riusciva a partorire. Disse allora a sua sorella di invocare Diana, ma la donna, avvertita in sogno, andò dall’apostolo che intervenne prodigiosamente; per questo motivo S. Andrea è considerato anche protettore delle partorienti.

Stemma di Presicce e firma del Catalano

 

Immagini come questa erano un indispensabile ed efficace strumento di comprensione del lungo panegirico che eruditi predicatori tenevano dal pulpito in occasione della festa del santo.

Con molta probabilità, nella sua originaria collocazione, la pregevole tela era più accessibile alla vista dei fedeli, che potevano scorgerne i particolari, leggerne più facilmente i contenuti, che con la ricollocazione settecentesca si fatica ad individuare.

Stemma del vescovo Guerrero

La chiesa madre di Casarano: nuove ipotesi e brevi annotazioni

Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, interno, navata principale (ph Maura Lucia Sorrone)
Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, interno, navata principale (ph Maura Lucia Sorrone)

di Maura Sorrone

 

La chiesa madre di Casarano, dedicata a Maria Santissima Annunziata, è da annoverarsi tra i monumenti più rilevanti del barocco salentino.

Tra gli studi sulla chiesa, si ricordano soprattutto le pubblicazioni inerenti le opere pittoriche: il saggio di Mimma Pasculli Ferrara che ha analizzato le sei tele di Oronzo Tiso[1], quello di Michele Paone del 1980[2] e l’inventario dei dipinti curato da Lucio Galante nel 1993[3].

La chiesa fu edificata tra la fine del XVII e i primi decenni del secolo successivo, in seguito all’abbattimento di un edificio precedente, scelta da imputarsi probabilmente alla crescita demografica del paese.

Il progetto, o quantomeno l’esecuzione materiale dei lavori, in precedenza attribuiti ipoteticamente al clan dei Margoleo[4], sembra invece da riferirsi più correttamente alla famiglia De Giovanni, costruttori originari di Galatina. Infatti fu Angelo De Giovanni, ha lasciare il suo nome in un epigrafe ben in vista sulla facciata principale della chiesa.[5] La scelta di maestranze galatinesi ci autorizza a ritenere ancora una volta questo paese del Salento tra i centri più significativi per l’edilizia barocca della provincia[6]. Sicuramente, le tante botteghe presenti sul territorio[7] furono in grado di favorire, in modo diverso, la diffusione di modelli che dai centri principali ben presto entrarono a far parte della cultura architettonica delle periferie, facendo così diventare il barocco da leccese a salentino[8].

Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, Altare di S. Antonio, part. epigrafe dopo il restauro (ph Maura Lucia Sorrone)
Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, Altare di S. Antonio, part. epigrafe dopo il restauro (ph Maura Lucia Sorrone)

La chiesa, a croce latina, ha una pianta longitudinale. La facciata principale, alquanto semplice, presenta il portale arricchito da una decorazione a punta lanceolata, motivo utilizzato di frequente da Giuseppe Zimbalo e con lui entrato nella cultura tipica dell’arte salentina fino al Settecento inoltrato[9].

All’interno si possono ammirare opere risalenti a periodi diversi quasi a testimoniare il cambiamento di gusto e le scelte operate dai diversi committenti. Innanzitutto, come accennato in precedenza, la chiesa attuale ha sostituito quella precedente, ma alcune opere realizzate per la vecchia matrice furono trasferite nella nuova costruzione. Hanno generato maggior confusione le poche e scarne notizie su un probabile acquisto fatto a Lecce nel 1874 dal Reverendo don Giuseppe De Donatis[10] che portò a Casarano diversi altari provenienti dalla chiesa di San Francesco della Scarpa a Lecce[11]. Anche se non abbiamo forti testimonianze documentarie che ci permettano di attestare certamente quali siano le opere provenienti dalla vecchia chiesa e neppure precise carte documentarie che attestino l’acquisto del 1874, i restauri degli ultimi anni sembrano dare corpo ad alcune ipotesi, in questa sede soltanto brevemente segnalate[12].

Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, altare di S. Antonio part. epigrafe prima del restauro (ph Maura Lucia Sorrone)
Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, altare di S. Antonio part. epigrafe prima del restauro (ph Maura Lucia Sorrone)

Ponendoci di fronte all’altare maggiore è facile percorrere con lo sguardo l’intera navata. A sinistra, vicino al portale d’ingresso è collocato l’Altare di Sant’Antonio di Padova (primo decennio del XVIII secolo), nel quale vi è la statua lapidea del santo. Durante gli ultimi lavori di restauro è stata scoperta un’iscrizione prima d’ora completamente sconosciuta. Si tratta di un’epigrafe per ricordare Giuseppe Grasso che restaurò quest’altare, un tempo dedicato ai re magi, intitolandolo al santo di Padova[13]. Nessuno conosceva queste parole completamente nascoste dal responsorio latino, (si quaeris miracula), che si ripete nella preghiera dedicata al santo di Padova e trascritto in un clipeo dell’altare.

A mio avviso, Giuseppe Grasso è lo stesso benefattore che nel 1713 ha lasciato il suo nome sull’altare dell’Immacolata nella matrice di Ruffano. Com’è stato ricordato di recente[14] si tratta di un noto personaggio appartenente ad una famiglia di medici. Da Ruffano ben presto egli si trasferì a Lecce diventando, a quanto ci dicono le fonti, il medico di fiducia del vescovo Pignatelli[15].

È piuttosto insolito che un’ epigrafe in memoria di un illustre benefattore, tanto generoso da impegnarsi a finanziare un intervento di restauro, sia stata volutamente coperta mentre di solito è consuetudine ricordare gli interventi di restauro con epigrafi e iscrizioni ben visibili sulle pareti delle chiese salentine, sugli altari e sulle tele dipinte. Credo che sia più corretto leggere la scelta di modificare l’iscrizione nell’ottica di un vero e proprio riutilizzo dell’altare che, provenendo da un’altra chiesa, doveva essere adattato a un altro luogo entrando nella vita di una nuova comunità di fedeli. Inoltre, nelle carte documentarie dell’archivio parrocchiale non sembrano esserci riferimenti a questo facoltoso medico. Dunque, l’altare potrebbe essere uno di quelli provenienti dalla chiesa di San Francesco della Scarpa. Anche per quanto riguarda l’intitolazione originaria non sembra esserci stato nelle diverse chiese matrici di Casarano alcun altare dedicato ai Magi né al Presepe. Tematiche più solitamente vicine alla religiosità francescana. È possibile dunque che l’epigrafe modificata e la statua di Sant’Antonio siano state assemblate al nuovo altare dopo il 1874[16].

Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, interno, part. navata e tela di O. Tiso (ph Maura Lucia Sorrone)
Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, interno, part. navata e tela di O. Tiso (ph Maura Lucia Sorrone)

Per cercare di capire le scelte fatte, in assenza di precise carte documentarie, credo che si debba considerare la tematica del riutilizzo di parti o intere strutture d’altare che, entrate in questa chiesa devono aver integrato o rinnovato gli altari che qui già esistevano o che si scelse di creare ex novo perché segno di una particolare devozione del territorio, come abbiamo visto per Sant’Antonio.

Tornando alla nostra breve visita in chiesa, segue all’altare del Santo di Padova, quello dedicato all’Immacolata e poi ancora il pulpito ligneo del 1761 e l’organo a canne realizzato dieci anni dopo[17].

Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, Altare delle Anime Sante del Purgatorio (sin.) e altare del Rosario (d.) (ph Maura Lucia Sorrone)
Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, Altare delle Anime Sante del Purgatorio (sin.) e altare del Rosario (d.) (ph Maura Lucia Sorrone)

Nella navata destra si susseguono l’Altare dell’Incoronazione della Vergine, quello del Rosario che al centro conserva la tela omonima dipinta da Gian Domenico Catalano[18] e l’altare dedicato alle Anime del Purgatorio. Quest’opera, realizzata entro il 1660[19] fu voluta dal Chierico Giovanni D’Astore.

Sebbene realizzato per la chiesa precedente, quest’altare insieme  al dipinto posto al centro, è frutto di una scelta unitaria da parte del committente e, nonostante i diversi spostamenti subiti all’interno della chiesa, il dipinto e la struttura architettonica sono state mantenute insieme. I lavori di realizzazione furono affidati a Donato Antonio Chiarello per la scultura e a Giovanni Andrea Coppola per la tela dipinta[20].

Ricordiamo tra l’altro che lo scultore copertinese in questi stessi anni realizza a Casarano l’altare maggiore nella chiesa della Madonna della Campana.[21]

Altri tre altari sono posti nel transetto: quello dell’Annunciazione, realizzato entro il 1829 dal capomastro Vito Carlucci[22] (a destra), e a sinistra quello dedicato a San Giovanni Elemosiniere, mentre l’Altare dell’Assunta è collocato in cornu epistolae.

L’Altare dedicato al protettore del paese, è frutto di diversi adattamenti. La nicchia posta al centro è stata modificata dall’aggiunta di due colonne, accorgimento utilizzato probabilmente per adattare lo spazio, in precedenza destinato ad ospitare un dipinto, alla statua ottocentesca (fig. 7). Nelle visite pastorali e nello scrupoloso lavoro fatto da Chetry, si cita più volte un altare dedicato al Crocifisso, presente in chiesa dal primo decennio del XVIII secolo fino al 1799[23]. Quest’intitolazione certamente sembra essere più consona agli angeli scolpiti in basso che reggono i simboli della Passione.

Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, Altare di San Giovanni, part. (ph Maura Lucia Sorrone)
Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, Altare di San Giovanni, part. (ph Maura Lucia Sorrone)

L’altare dedicato all’Assunzione della Vergine, datato 1740, appartiene invece a un altro ramo della già citata famiglia D’Astore[24]. Questa struttura ha sostituito un’altra più antica attestata in chiesa fin dal 1719. L’altare, bell’esempio di scultura barocca, si caratterizza per gli angioletti scolpiti che letteralmente invadono lo spazio della scena, dipinta quasi due secoli prima dal pittore neretino Donato Antonio D’Orlando (fig. 9). La tela sicuramente fu richiesta da un’altra committenza data la discordanza degli emblemi visibili. Quello dei D’Astore presente nella macchina d’altare, precisamente  nei plinti alla base delle colonne, è diverso da quello visibile nel dipinto (fig. 10).

Al 1634 risale la tela del Miracolo di San Domenico di Soriano. Essa è parte restante di un altare documentato in questa chiesa fino al 1910. L’opera è adesso collocata nel transetto sinistro, di fronte all’altare dell’Assunta. L’anno di esecuzione e il monogramma del pittore[25] sono stati recuperati durante il recente restauro. Nel transetto destro, di fronte alla cappella novecentesca in cui è riposto il SS. Sacramento, vi è la tela raffigurante la Pentecoste, attribuita ad un pittore di cultura emiliana[26] probabilmente del XVII secolo.

Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, part. Altare di S. Giovanni Elemosiniere (ph Maura Lucia Sorrone)
Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, part. Altare di S. Giovanni Elemosiniere (ph Maura Lucia Sorrone)

A questa veloce descrizione si vuole aggiungere la segnalazione di alcune sculture e architetture attualmente collocate nel cimitero comunale. Si tratta precisamente di due trabeazioni decorate con motivi fogliati e di quattro statue. Non c’è dubbio che le due trabeazioni siano parte dell’architettura di un altare così come una delle statue, raffigurante Sant’Oronzo. Quest’ultima, come possiamo vedere dalle fotografie, sembra essere stata staccata da un altare. Infatti, la figura, anche se è molto danneggiata, mostra un intaglio carico di particolari nella parte frontale, a differenza del retro, in cui la pietra, piatta, è lasciata completamente allo stato grezzo.

Si può ipotizzare che, in seguito alle modifiche di fine Ottocento, l’altare sia stato smembrato e alcune parti siano state trasportate nel cimitero comunale edificato proprio alla fine di questo secolo.

Ad ogni modo, dopo i recenti interventi di restauro si spera che un nuovi studi possano chiarire le vicende storico – artistiche di una delle principali chiese del Settecento in Terra d’Otranto[27].

 

Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, Altare dell'Assunta, tele di D. A. D'Orlando (ph Maura Lucia Sorrone)
Casarano, Chiesa Maria SS. Annunziata, Altare dell’Assunta, tele di D. A. D’Orlando (ph Maura Lucia Sorrone)

 

Pubblicato su Il delfino e la mezzaluna n°2, cui si rimanda per la bibliografia, fonti archivistiche e sitografia

 


[1] Oltre alle sei tele conservate nella matrice, la studiosa ha analizzato quelle conservate nella chiesa confraternale dell’Immacolata e quelle della cappella della famiglia Valente. M. PASCULLI FERRARI, Oronzo Tiso, Bari 1976.

[2] M. PAONE, I Tiso di Casarano, in A. DE BERNART,  Paesi e figure del vecchio Salento, Casarano, vol. I, Galatina 1980, pp. 258 – 272.

[3] Regione Puglia Assessorato Pubblica Istruzione C.R.S.E.C. LE/46 Casarano, Pittura in Terra d’Otranto, (secc. XVI – XIX), Inventario dei dipinti delle chiese di Acquarica del Capo, Alliste, Felline (fra. di Alliste), Casarano, Matino, Melissano, Parabita, Presicce, Racale, Ruffano, Torre Paduli (fraz. di Ruffano), Supersano, Taurisano, Ugento, Gemini (fraz. di Ugento), a cura di L. Galante, Galatina 1993.

[4] Questa ipotesi probabilmente nasce per la somiglianza della chiesa casaranese con la vicina chiesa madre di Ruffano realizzata dai fratelli Ignazio e Valerio Margoleo. Sulla chiesa di Ruffano: A. DE BERNART – M. CAZZATO, Ruffano: una chiesa, un centro storico, Galatina 1989; V. CAZZATO – S. POLITANO,  Topografia di Puglia: atlante dei monumenti trigonometrici : chiese, castelli, torri, fari, architetture rurali, Galatina 2001, cit. p. 238.

[5]M. L. SORRONE, Alcune note sulla chiesa madre di Casarano, in “Fondazione Terra d’Otranto”, 23 novembre 2012 https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/11/23/annotazione-sulla-chiesa-madre-di-casarano/.

[6] M. CAZZATO, L’area galatinese: storia e geografia delle manifestazioni artistiche, in: M. CAZZATO, A. COSTANTINI, V. ZACCHINO, Dinamiche storiche di un’area del Salento, Galatina 1989, pp. 260 – 366.

[7] Si ricordano tra gli altri: l’artista neretino Giovanni Maria Tarantino che nel 1576 firma il portale della chiesa di San Giovanni Elemosiniere a Morciano, Pietro Antonio Pugliese, che lavorò alla chiesa di Santa Caterina Novella di Galatina intorno al 1619 e l’architetto leccese Giuseppe Cino, autore  di numerose opere a Lecce e nel Salento che, a quanto dicono i documenti, aveva stretti legami lavorativi con i suoi fratelli, che ricoprivano il ruolo di <<costruttori>>, cfr. M. PAONE, Per la storia del barocco leccese, estr. da “Archivio storico pugliese”, 35 (1982), fasc. 1, cit. p. 141.

[8] M. CAZZATO, L’area galatinese…, cit. p. 330.

[9] F. ABBATE, Storia dell’arte Meridionale, Il secolo d’oro, Roma 2002, p. 267.

[10] Il Reverendo Giuseppe De Donatis commissionò anche il restauro della tela di Oronzo Tiso, San Giovanni che distribuisce l’Eucarestia ai fedeli, (a sinistra, dietro il presbiterio). Intervento ricordato da un’iscrizione posta in basso a sinistra sulla tela, si veda: L. GRAZIUSO – E. PANARESE – G. PISANO’, Iscrizioni latine del Salento. Vernole e frazioni, Maglie, Casarano, Galatina 1994, p. 139.

[11] G. BARRELLA, La chiesa di San Francesco della Scarpa in Lecce, Lecce 1921, p. 28; C. DE GIORGI, La provincia di Lecce – Bozzetti di viaggio, Galatina 1975, vol. II, p. 153; A. CHETRY, Spigolature casaranesi, I, La chiesa matrice di Casarano, ed. a cura dell’Amministrazione comunale di Casarano, Casarano 1990, p. 11.

[12] Queste brevi segnalazioni vogliono essere un preambolo ad un lavoro più dettagliato che chi scrive sta svolgendo.

[13] <<DANT. O  PATAVINO/ SERAFICA FAMILIAE P.P SIDERI FULGENTISS.O/ SACELLUM OLIM REGIBUS AD PRAESEPE VENIETIB(US)/ SACRUM IOSEPH GRASSUS VETUSTATE COLLAPS(US)/ DICAVIT: UT SI ILLI QUONDAMSTELLA DUCE IAM/ DEUM HOMINEM NORUNT: TANTI NUNC/ SIDERIS LUMNEM DEUM SIBI NOSCAT/ PROPITIATOREM>>, trad. <<A Sant’Antonio di Padova astro fulgentissimo tra i presbiteri della famiglia serafica Giuseppe Grasso ha dedicato questo altare rovinato dagli anni un tempo (dedicato) ai re (magi) diretti al presepe affinché come loro un tempo guidati dalla stella hanno già conosciuto il Dio uomo, così ora alla luce del Santo Astro, Dio gli si mostri propizio>>.  Traduzione a cura di G. Pisanò, F. Danieli e don Agostino Bove. In queste sede voglio ricordare con affetto il mio prof. Gino Pisanò scomparso nei giorni di revisione di questo saggio.

[14] A. DE BERNART, I Grassi di Ruffano: una famiglia di medici, estr. da “Nuovi Orientamenti”, 12 n. 71, Cutrofiano 1981, A. DE BERNART – M. CAZZATO, Ruffano…, Galatina 1989, p. 37.

[15] S. TANISI, Visita alla chiesa della Natività della Vergine di Ruffano, in “Fondazione Terra d’Otranto”, 17 luglio 2012,

https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/07/17/visita-alla-chiesa-della-nativita-della-vergine-di-ruffano-lecce/.

[16] A Casarano è ben documentato il culto di Sant’Antonio da Padova, al quale era intitolata una cappella, cfr. ACVN, Atti delle visite pastorali, Mons. Antonio Sanfelice, anno 1711, A/52. È probabile che una volta dismessa questa, la statua in pietra del santo sia stata trasferita nella chiesa madre.

[17] Al centro si legge: D.O.M. / A. D./ MDCCLXXI.

[18] Attivo negli anni 1604 – 1628.

[19] <<[…] per sua devott.ne a sue proprie spese novam.te have eretto, et edificato una cappella sotto il titulo dell’Anime del Purgatorio dentro la Matrice chiesa di […] Casarano dalla parte destra nell’entrare dalla porta grande d’essa chiesa et proprio dove stava prima il quadro di s. Trifone, nella quale anco a sue proprie spese vi ha fatto un quadro delle dette Anime del Purgatorio…>>. ASLe, Protocolli notarili, notaio Marc’Antonio Ferocino, anno 1660, f. 138, 20/3, Archivio di Stato, Lecce.

[20] V. CAZZATO, Il Barocco leccese, Bari 2003, p. 99; V. CAZZATO – S. POLITANO, L’altare barocco nel Salento: da Francesco Antonio Zimbalo a Mauro Manieri, in Sculture di età barocca tra Terra d’Otranto, Napoli e la Spagna, Roma 2007, catalogo della mostra, pp. 107 – 129, cit. pp. 113 – 114. La tela fu inizialmente commissionata a Giovanni Andrea Coppola, ma egli non riuscì a portare a termine l’opera che dopo la sua morte fu completata dal pittore Fra’ Angelo da Copertino. Il dipinto è stato restaurato dalla dott.ssa Luciana Margari. Sulla vicenda si segnala un recente articolo di S. TANISI, La tele delle Anime del Purgatorio di Casarano: due autori per un dipinto, in “Fondazione Terra d’Otranto”, 10 gennaio 2012, https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/10/01/la-tela-delle-anime-del-purgatorio-di-casarano-due-autori-per-un-dipinto/.

[21]V. CAZZATO – S. POLITANO, L’altare…, cit. p. 114.

[22] Sull’altare si legge: Vito Carlucci e figli (Muro leccese) mentre sulla tela è presente l’anno di esecuzione: 1829.

[23] ACVN, Atti delle Visite Pastorali, mons. Antonio Sanfelice, anno 1719, b. A/77;  A. CHETRY, Spigolature…, cit. p. 27 e p. 41. Anche quest’altare, nella sua architettura originaria, fu commissionato dalla famiglia D’Astore.

[24]L. GRAZIUSO – E. PANARESE – G. PISANO’, Iscrizioni …, cit. p. 127: << Gentilicium familiae de Astore sacellu[m] hoc/ deiparae in coelum evectae dicatum ac benef[icio]/ [a] notaro qu[o]nda[m] Antonio Vergaro fu[n]d[a]tore donatum/ cl. Vitus Antonius De Astore ex matre pronep.[os]/ excitandu[m] curavit anno reparati orbis/ MDCCXL>>, <<Questo altare gentilizio della famiglia d’Astore, dedicato alla Madonna Assunta in Cielo e dotato di un beneficio dal defunto notaio Vergari, il signor Vito Antonio d’Astore, pronipote da parte di madre, fece erigere nell’anno della redenzione del mondo 1740>>.

[25]ORT. BR. NER. 1634, (Ortensio Bruno Neritonensis). Altri dipinti sono accompagnati da questo stesso monogramma, pensiamo alla tela dell’Immacolata nella chiesa di Santa Lucia a Taviano e al dipinto raffigurante il Miracolo di Soriano nella chiesa matrice di Racale. In queste opere per l’abbreviazione della provenienza si legge “N. US” e non “NER.” (neritonensis), cfr. L. GALANTE, Pittura…, cit. p. 11 e nota n. 23 a p. 20. Si veda anche: A. SERIO – G. SANTANTONIO, Racale: note di storia e costume, Galatina 1983.

[26] L. GALANTE, Pittura…, fig.74 senza numero di pagina.

[27] Ringrazio sentitamente il parroco, don Agostino Bove, per la disponibilità e per avermi permesso di fotografare la  chiesa.

Musei di Terra d’Otranto. Il museo diocesano di Gallipoli

Musei di Terra d’Otranto. Il Museo Diocesano di Nardò-Gallipoli. Sezione di Gallipoli

di Alessandro Potenza

Il museo diocesano – sezione di Gallipoli è allestito nella sede dell’antico seminario diocesano, realizzato in un lasso di tempo che va dal 1751 al 1759. Si tratta di un immobile architettonicamente pregevole, collocato alle spalle della cattedrale e in contiguità con essa; un edificio  giunto fino a noi pressoché integro e che,  attraverso alterne vicende, perdendo negli anni ’70 del secolo scorso la sua originaria destinazione a causa del calo delle vocazioni ecclesiastiche, oggi accoglie la recente istituzione.

Il museo raccoglie 553 manufatti, comprendenti sculture,  dipinti, argenteria e oreficeria liturgica, paramenti sacri e materiale archeologico.

Le opere esposte provengono in gran parte dal tesoro della basilica concattedrale e dal palazzo vescovile di Gallipoli. Vi sono anche  manufatti provenienti dall’ex-chiesa di Sant’Angelo, dalle chiese della B.V.M. del Rosario e di S. Maria dell’Alizza e dal patrimonio del seminario.

Il museo si sviluppa su tre piani e gli spazi espositivi sono costituiti da 12 sale, quattro saloni, l’ex-cappella del Seminario, l’antico refettorio, per una superficie complessiva di 900 mq circa. Vi è una sala multimediale e un punto di ristoro, collocato sulla terrazza dell’edificio, con uno spettacolare belvedere.

Al piano terra,  oltre ai servizi di accoglienza (biglietteria, bookshop) e  alla  direzione, vi sono: l’antico refettorio del seminario,  rivestito in legno  intarsiato;  un salone occupato da due grandi tele: l’Assunta, capolavoro del 1737 di Francesco De Mura e l’Immacolata del gallipolino Gian Domenico Catalano (1560c.–1624c.); la sala multimediale. Due cippi funerari di epoca imperiale fanno memoria dell’antichità della città. Due tombe bizantine, rinvenute presso la locale chiesa di S.Giuseppe picciccu, rappresentano le più antiche testimonianze monumentali cristiane del territorio. Una serie di campane rievocano l’arte dei fonditori gallipolini (tra i quali i Roscho e Patitari), attestata fin dal sec. XI.

Il primo piano raccoglie i manufatti illustrativi delle devozioni popolari del luogo. Nell’antica cappella del seminario sono esposti i busti argentei dei patroni: S. Agata (1759) e S. Sebastiano (Filippo Del Giudice, 1770), i preziosi

Una tela del Catalano a Presicce

ph Stefano Tanisi

Domenico Catalano da Gallipoli, Martirio di S. Andrea (1604), olio su tela, chiesa parrocchiale di Presicce

Gian Domenico Catalano nacque a Gallipoli ed operò tra il 1604 e il 1628. Tra le opere presenti nel Salento si ricordano, oltre il Martirio di s. Andrea nella parrocchiale di Presicce, il S. Carlo Borromeo in S. Maria degli Angeli a Lecce, il S. Francesco della chiesa di S. Nicola a Squinzano, del 1613, il Trittico della Assunta nella chiesa di S. Nicola della stessa città, datato 1614, la Madonna con s. Antonio e angeli nella chiesa dei minori di Minervino Murge (1628),  l’Assunta, nella chiesa dei teatini a Lecce.

Numerose le tele nella città natale, Gallipoli: nelle chiese del Carmine (Pietà), di S. Domenico (Annunciazione, Circoncisione, Assunta), di S. Francesco (Annunciazione, Assunzione, Circoncisione, S. Diego), di S. Chiara (Annunciazione, Natività, Crocefisso), di S. Maria degli Angeli (Madonna e angeli), la celebre Madonna coi ss. Giovanni e Andrea nella cattedrale.

Molte altre tele sono conservate in vari altri centri del Salento: Alezio, Galatina, Scorrano, Squinzano, Taviano.

Per la Bibliografia si riporta pari pari quella di Pina Belli d’Elia nella scheda dell’Autore, in:

http://www.treccani.it/enciclopedia/gian-domenico-catalano_(Dizionario-Biografico)/

sebbene molti altri studi e volumi siano stati successivamente pubblicati, tra cui Gian Domenico Catalano. Eccellente pittore della città di Gallipoli, di Lucio Galante, edito nel 2004 tra le edizioni Congedo di Galatina.

G. C. Infantino, Lecce sacra, Lecce 1634, pp. 7, 83, 94; L. Franza, Colletta istor. e trad. anticate sulla città di Gallipoli, Gallipoli 1835, pp. 57, 67, 70 s., 74 s.; B. Ravenna, Mem. ist. della città di Gallipoli, Napoli 1836, p. 330 e passim; C.Villani, Scritt. ed artisti pugliesi antichi moderni e contemp.,Trani 1904, pp. 1234 s.; G. Gigli, Il tallone dItalia, Bergamo 1912, p. 36; C. Foscarini, G.D.C., in Fede, III (1925), pp. 99 ss.; P. Marti, Architetti, pittori e scultori fino a tutto il sec. XIX, in Il Salento, XXXI(1927), p. 34; M. D’Orsi, Mostra retrospettiva degli artisti salentini (catal.), Lecce 1939, p. 11 (rec. di E. Scarfoglio Ferrara, in Rinascenza salentina, VII[1939], pp. 2 ss.); V. Liaci, Un geniale pittore salentino, in Rinascenza salent., X (1942), 2-3, pp. 123-26; M. D’Elia, Mostra dellarte in Puglia…(catal.), Roma 1964, pp. 138-141; L. G. De Simone, Lecce e i suoi monumenti, Lecce 1964, p. 116; M. Paone, Curiosità storiche salentine, in Studi salentini, XXIV(1966), pp. 292 ss.; Id., Un dipinto inedito di G.D.C. in Lecce, ibid., pp. 391-394; M. S. Calò, La pittura del Cinquecento e del primo Seicento in Terra di Bari, Bari 1969, p. 170.

Gallipoli. Nicola Malinconico (1663-1727) nella cattedrale di Gallipoli

Nicola Malinconico nella cattedrale di Gallipoli

Analogie artistiche

Da un bozzetto ritrovato ad una singolare congiunzione di tre artisti in rapporto con Gallipoli

di Antonio Faita

Chi entra nella cattedrale di Sant’Agata, sin dal primo sguardo, percepisce d’essere entrato in un tempio importante per la sua ricchissima decorazione pittorica. E’ una vera e propria galleria d’arte dove sono presenti opere di artisti locali e napoletani del ‘600-‘700 e tra le quali spiccano quelle di Giovanni Andrea Coppola, Gian Domenico Catalano, Luca Giordano, Nicola e Carlo Malinconico. Su questi ultimi due, e soprattutto su Nicola, mi vorrei soffermare e, in particolar modo, sul suo dipinto: “La cacciata dei mercanti dal Tempio” che sovrasta la porta centrale.

Recentemente, lo studioso napoletano Achille della Ragione ha ricostruito, cronologicamente e con più precisione, il percorso inerente l’attività pittorica di Nicola Malinconico, sulla scorta di numerosi documenti di pagamento che lo studioso Umberto Fiore è riuscito a reperire nell’archivio storico del Banco di Napoli e nell’archivio di Stato.

Ciò ha permesso di datare gran parte dei lavori del Malinconico, correggendo molti precedenti errori, tra i quali la data della sua morte, indicata da Bernardo De Dominici e riportata, successivamente, da vari biografi, al 1721 ed oggi spostata al 1727[1].

Nel 1700 la cattedrale di Gallipoli, grazie alla volontà del nuovo prelato mons. Oronzo Filomarini della casa dei teatini di Sant’Eligio di Capua[2], fu oggetto di abbellimento e di trasformazione in chiave barocca. L’artista, chiamato a completare il programma perseguito da mons. Filomarini[3], fu il napoletano, esponente di area giordanesca, Nicola Malinconico (Napoli 1663-1727)[4] il quale, per il gran numero di tele commissionategli, fu impegnato quasi sicuramente, anche se non ininterrottamente, dal 1715 fino al 1726, un anno prima della sua morte. Non è documentato infatti quel che molti sostengono, e cioè che il Malinconico abbia dipinto per la chiesa di Sant’Agata già a partire dal 1700, mentre è attestata la sua presenza in Gallipoli nel 1715. Infatti, dalla Visitatio ai locali della cattedrale che mons. Filomarini fece il primo agosto di

Musei di Terra d’Otranto. Il museo diocesano di Gallipoli

Musei di Terra d’Otranto. Il Museo Diocesano di Nardò-Gallipoli. Sezione di Gallipoli

di Alessandro Potenza

Il museo diocesano – sezione di Gallipoli è allestito nella sede dell’antico seminario diocesano, realizzato in un lasso di tempo che va dal 1751 al 1759. Si tratta di un immobile architettonicamente pregevole, collocato alle spalle della cattedrale e in contiguità con essa; un edificio  giunto fino a noi pressoché integro e che,  attraverso alterne vicende, perdendo negli anni ’70 del secolo scorso la sua originaria destinazione a causa del calo delle vocazioni ecclesiastiche, oggi accoglie la recente istituzione.

Il museo raccoglie 553 manufatti, comprendenti sculture,  dipinti, argenteria e oreficeria liturgica, paramenti sacri e materiale archeologico.

Le opere esposte provengono in gran parte dal tesoro della basilica concattedrale e dal palazzo vescovile di Gallipoli. Vi sono anche  manufatti provenienti dall’ex-chiesa di Sant’Angelo, dalle chiese della B.V.M. del Rosario e di S. Maria dell’Alizza e dal patrimonio del seminario.

Il museo si sviluppa su tre piani e gli spazi espositivi sono costituiti da 12 sale, quattro saloni, l’ex-cappella del Seminario, l’antico refettorio, per una superficie complessiva di 900 mq circa. Vi è una sala multimediale e un punto di ristoro, collocato sulla terrazza dell’edificio, con uno spettacolare belvedere.

Al piano terra,  oltre ai servizi di accoglienza (biglietteria, bookshop) e  alla  direzione, vi sono: l’antico refettorio del seminario,  rivestito in legno  intarsiato;  un salone occupato da due grandi tele: l’Assunta, capolavoro del 1737 di Francesco De Mura e l’Immacolata del gallipolino Gian Domenico Catalano (1560c.–1624c.); la sala multimediale. Due cippi funerari di epoca imperiale fanno memoria dell’antichità della città. Due tombe bizantine, rinvenute presso la locale chiesa di S.Giuseppe picciccu, rappresentano le più antiche testimonianze monumentali cristiane del territorio. Una serie di campane rievocano l’arte dei fonditori gallipolini (tra i quali i Roscho e Patitari), attestata fin dal sec. XI.

Il primo piano raccoglie i manufatti illustrativi delle devozioni popolari del luogo. Nell’antica cappella del seminario sono esposti i busti argentei dei patroni: S. Agata (1759) e S. Sebastiano (Filippo Del Giudice, 1770), i preziosi

Gallipoli. Una questione di patronato nella chiesa dei domenicani

Una questione di jus patronato

Vicenda storica dell’altare di San Tommaso d’Aquino nella chiesa del S.mo Rosario e di San Domenico in Gallipoli

di Antonio Faita

Considerata la grande diffusione che, soprattutto dal XV al XVII secolo, ebbero in tutto il Meridione d’Italia gli ordini monastici non meraviglia affatto che a Gallipoli si fosse fondato un convento, con annessa chiesa dell’ “ordo predicatorum” ossia dei frati predicatori, comunemente chiamati «Domenicani», prendendo il nome del loro fondatore San Domenico.

Sin dal loro arrivo a Gallipoli, nel 1517 i Reverendissimi Padri edificarono il loro convento con la chiesa ad esso attigua sotto il titolo di Maria Santissima Annunziata, sulle rovine dell’antico monastero dei Padri Basiliani[1]. Dopo quasi due secoli l’originaria chiesa mostrò le offese del tempo e si rese necessario procedere alla sua riedificazione. L’impresa della ricostruzione della nuova chiesa, avvenuta nel 1696 e terminata nel 1700, fu certamente l’episodio più espressivo della presenza dei domenicani a Gallipoli nei secoli dell’età barocca. Della vicenda relativa l’abbattimento e la successiva ricostruzione della nuova chiesa, ad opera del “magister fabbricator” di Martano, Valerio Margoleo e del suo “clan” se ne è occupato, per la prima volta, in maniera ampia e dettagliata, lo storico Mario Cazzato, nel suo saggio del 1978[2].

Fino al 1684, però, nessun elemento lasciava intravedere la necessità di una sua ricostruzione, anzi, i frati avevano programmato di ampliare la “loro” cappella, intitolata a San Tommaso d’Aquino, occupando lo spazio di quella attigua

Spigolature gallipoline e noterelle galateane

Gallipoli (ph Vincenzo Gaballo)

di Paolo Vincenti

Sulla contrada che da Gallipoli porta a Chiesanuova si trova il complesso Magettaro, un insediamento rupestre medievale.  Per quanto riguarda Torre Pizzo, un’antica masseria, così denominata dal luogo in cui essa sorge, nei pressi della torre d’avvistamento cinquecentesca, sono stati individuati dei resti di un insediamento risalente all’età romana.

Testimonianze preistoriche ha dato anche Torre Sabea, presso Rivabella, e per l’esattezza testimonianze dell’età neolitica quando questo luogo era frequentato da gente che svolgeva un’attività prevalentemente pastorale.

Un notevole complesso di importanza artistica e storica è San Pietro dei Samari, risalente al Medioevo.

La Chiesa del Sacro Cuore  risale agli inizi del Novecento.Nel 1912, il vescovo Gaetano Muller decise di elevare a parrocchia la chiesa di Santa Maria del Canneto e Monsignor Sebastiano Natali, nominato dal vescovo parroco di questa chiesa, volle edificare nel Borgo un grande centro di accoglienza per i giovani che erano a rischio di devianza ed assicurare a loro un avvenire certo. Il progetto venne elaborato dall’Ing. Luigi Pastore,  e venne approvato dalla Commissione edilizia comunale nel gennaio del 1922. I lavori per erigere la chiesa procedevano a singhiozzo in quanto, nel frattempo, era stato anche progettato l’annesso Istituto Michele Bianchi, che venne inaugurato nel 1930. Anche a causa delle indisposizioni dell’Arch. Napoleone Pagliarulo, che doveva seguire i lavori, la chiesa fu terminata e aperta al culto nel 1943. Il Vescovo trasferì la sede parrocchiale di Santa Maria del Canneto alla chiesa del Sacro Cuore di Gesù, che risulta costruita a pianta basilicale, suddivisa in tre navate, culminanti in tre absidi, da due file di colonne su cui poggiano quattro arcate a tutto sesto. Don Sebastiano Natali, principale promotore della costruzione della Chiesa del Sacro Cuore di Gesù, nel 1938 pubblicò un raro volume dal titolo “Una storia di un’opera della divina Provvidenza e di una vita di apostolato”, in cui ricordava le sue disavventure con il regime fascista che gli causarono anche il confino a Cefalonia.

Nella Chiesa del Rosario, si trova la tela del patriarca San Domenico di Guzman, recentemente restaurata, che si trova al centro del coro, opera di Giandomenico Catalano (1560-1626). In questo dipinto, San Domenico, in atto benedicente, stringe con la mano destra il Crocefisso e recita il Salmo penitenziale quaresimale “Parce Domine parce populo tuo”, mentre con la sinistra indica la città di Gallipoli chiedendone il perdono e la benedizione. Molto interessante la veduta di Gallipoli nel Seicento. Con lo stesso soggetto, il Catalano realizzò anche due tele nel Santuario dell’Alizza di Alezio, ovvero San Pancrazio e San Carlo Borromeo e un’altra tela raffigurante i Santi Eligio e Menna, un tempo nell’omonima cappella ed oggi nella sacrestia della Cattedrale gallipolina.

Queste le antiche mura fortificate della città di Gallipoli: il torrione trapezoidale nei pressi della chiesa di San Francesco di  Paola; il fortino di San Giorgio, adiacente ad una chiesetta dedicata a San Giorgio, ora distrutta; fortino di San Benedetto; torrione di San Guglielmo, anche detto delle Ghizzene o della Purità, perché situato nei pressi della chiesa della Madonna della Purità; fortino di San Francesco d’Assisi, il più importante Forte di tutta la cinta muraria, adiacente alla chiesa di San Francesco d’Assisi e attiguo convento.Questo Forte venne restaurato nel 1684 e notevolmente ampliato. Vennero apposte le armi della casa regnante e all’interno una statua raffigurante San Fausto, uno dei protettori della città, con una lapide, ora distrutta. La tradizione vuole che la chiesa sia stata fondata per volere di San Francesco che, nel XIII secolo, sbarcò nel Salento di ritorno dalla Terra Santa. Accanto a questa fortezza esisteva anche una  antichissima chiesetta dedicata a Santa Maria del Cassopo, distrutta, assieme alla costruzione fortificata, nel 1819; questa chiesetta era stata costruita in epoca bizantina sui resti di un distrutto tempio pagano e il suo nome, Cassopo, riportava all’origine bizantina del culto e ricordava Corfù con cui Gallipoli intratteneva lucrosi rapporti commerciali; in questa chiesetta era venerata un’antichissima immagine della Vergine che, secondo la leggenda, riferita da Ettore Vergole, in “Il Castello di Gallipoli” del 1933, era miracolosa. Infatti la sacra immagine era riposta in un angolo molto buio e stretto dell’edificio sacro e chiunque volesse conoscere la sorte di qualche familiare che era andato per mare e non era più tornato, si inoltrava nell’angusto passaggio per pregarela Vergine del Cassopo e chiederle se il congiunto fosse vivo o morto; dopo aver rivolto innumerevoli preghiere, sempre senza muovere la bocca ma con contrizione e raccoglimento,  il fedele si affacciava su una finestrella che dava sul mare e gridava il nome del proprio parente di cui voleva conoscere la sorte; angeli o demoni, allora, rispondevano se il parente fosse vivo, morto o gravemente ferito, ecc. ; questo era udito anche da tutti quelli che erano presenti; Torre del Ceraro, così chiamata dai lavoratorio della cera che la frequentavano nel Settecento quando fu costruita; il Forte di forma pentagonale di San Domenico o del Rosario, così chiamato dalla attigua Chiesa del Rosario o di San Domenico con l’annesso convento dei Domenicani; anticamente questo bastione era chiamato Baluardo di Santa Maria delle Servine, per un antico monastero bizantino esistente nelle vicinanze, e poi fu chiamato Torre degli Arsi, a causa di un incendio che, nel 1595, divampò in una fabbrica di polvere da sparo.

Il grande Galateo si occupò di Gallipoli nella “Descriptio urbis Callipolis”, un trattato dedicato all’amico Pietro Summonte in cui descrive Gallipoli del Cinquecento con tutte le sue bellezze ed arriva a definire Gallipoli un angolo di Paradiso, per il suo clima salutare e mite, per i suoi usi e costumi, per le sue bellissime tradizioni popolari. Galateo, medico alla corte aragonese, usava trascorrere a Gallipoli le sue vacanze estive, quando ritornava in patria da Napoli. Accenna a Gallipoli anche nella sua opera maggiore, il “De situ Japygiae”.  Inoltre il Galateo ha anche lasciato un epigramma, dedicato a Nifi, una giovane amata dal poeta, in cui canta la bellezza delle donne gallipoline.

Numerosi i contributi sul Galateo apparsi su Anxa News, rivista di storia e cultura gallipolina, arrivata al quinto anno di vita: “Il Galateo a Gallipoli”, di Vittorio Basile, marzo 2003; “Nifia, la bella gallipolina amata dal Galateo”, con una traduzione dell’epigramma galateano dedicato alla bella Nifia, fatta dall’illustre poeta gallipolino Luigi Sansò ed un’altra fatta dal prof. Gino Pisanò dell’Università di Lecce, settembre 2003; nel novembre 2003, in occasione del 490° anniversario della “Callipolis descriptio” (12-12-1513), Anxa ricorda il grande amore perla Città bella di Antonio De Ferrariis, galatonese di nascita ma gallipolino di adozione, con “Ancora su Gallipoli e sul Galateo” di Vittorio Basile e “Nifi, vamp gallipolina di 500 anni fa”, di Vittorio Zacchino; “Nifi, la bella gallipolina amata dal Galateo”, del gennaio 2004, con  traduzioni dell’epigramma latino del Galateo, da parte di alcuni alunni del Liceo Classico Quinto Ennio di Gallipoli; “Emanuele Barba per Antonio Galateo”, di Vittorio Zacchino, marzo 2004; “La presa di Gallipoli del 1484 nelle testimonianze letterarie di Antonio Galateo” di Vittorio Zacchino, maggio 2004; nel numero del luglio 2004, viene pubblicata parte dell’Introduzione curata da Vittorio Zacchino alla sua recente edizione del De situ Iapygiae, dal titolo “Orgoglio Iapigio”: si tratta di una nuova edizione del capolavoro dell’umanista salentino “Antonio Galateo De Ferrariis, Lecce e Terra d’Otranto – De Situ Iapygiae” (Edi pan 2004),  con prefazione appunto dello Zacchino e traduzione italiana a cura del prof. Nicola Biffi, dell’Università di Bari. L’opera, che presenta anche traduzioni in inglese e tedesco, è un prodotto editoriale di taglio veloce e moderno, rivolto anche ai non addetti ai lavori;  “Il De neophitis del Galateo e Benedetto Croce”, di Vittorio Zacchino, marzo 2005; inoltre Vittorio Zacchino ha recentemente raccolto insieme alcuni suoi contributi sul Galateo apparsi su vari fogli salentini, fra cui anche Anxa News, e li ha pubblicati in una miscellanea dal titolo “Noterelle galateane”, per la collana “I quaderni del Brogliaccio” , diretta da Gigi Montonato. Questo fascicolo è stato allegato come omaggio al numero del dicembre 2005 di Presenza Taurisanese, mensile di politica cultura attualità, diretto dallo stesso Montonato.

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