Giovanni Cosi, un’altra risorsa della storia del Salento se n’è andata

di Giacomo Cazzato

Se n’è andato Giovanni Cosi. Persona silenziosa e umile, storico attento e che ha ipotizzato e confrontato elementi scientifici diversi, oltre le pratiche compilative della storiografia, facendo parlare le pietre con i meandri più nascosti del nostro patrimonio archivistico. Poliedrico, masticante la geografia, la storia moderna, l’archivistica e l’archeologia del paesaggio, vivrà ancora per sempre negli scaffali pubblici e privati. Ha vissuto ad Arigliano, nel lembo estremo del nostro Salento, coi suoi testi fin da piccolo ho viaggiato nel tempo e guardato muri e pietre con occhi diversi. Grazie per tutto.

Tra le sue opere vanno almeno ricordate:
Torri marittime di Terra d’Otranto
Collana BCP (Biblioteca di Cultura Pugliese, n° 3)
formato 17×24, pp. 232, illustratoIl materiale inedito che il Cosi mette a disposizione, contribuisce a rendere possibile una revisione di tutta la storia dell’architettura salentina tra 500 e 600 e ad impiantare un’indagine, tutta da fare, sul lavoro e la tecnica edilizia, con le loro regole di misura, i materiali, le quotazioni salariali con le diverse gamme di retribuzione.

Anno: 1988
Codice ISBN: 8877860782

Torri marittime di Terra d'Otranto

 

Il notaio e la pandetta. Microstoria salentina attraverso gli atti notarili (secc. XVI-XVII)

formato 17x24cm, pp. 228, 230 ill in b/n.

In questi ultimi anni uno dei motivi caratterizzanti la rinascita degli studi salentini è stato certamente la scoperta – ma forse sarebbe meglio dire la riscoperta – dell’Archivio di Stato di Lecce. Infatti ad una sempre più intensa attività didattico-espositiva che ne divulga i contenuti senza dimenticare le esigenze scientifiche, si è affiancata l’operosità di una non sparuta schiera di seri e intelligenti giovani studiosi e da una sempre più abbondante messe di pubblicazioni di vario spessore culturale con potuti emergere quei prodotti che meglio danno testimonianze di questa fortunata stagione.
Attraverso gli articoli raccolti in questo volume, ricavati da documenti notarili dell’epoca, s’intende tratteggiare un profilo sociale e professionale del notaio in Terra d’Otranto nei secoli XVI e XVII.

Autore: Cosi Giovanni (a cura di Mario Cazzato)
Anno: 1992
Codice ISBN: 8877861166

notaiopandetta

(le note bibliografiche sono tratte dal sito dell’Editore Congedo:

http://www.congedoeditore.it/il-notaio-e-la-pandetta-microstoria-salentina-attraverso-gli-atti-notarili-secc-xvi-xvii.html)

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Cemento e “cuasette” sono il futuro?

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ph Forum Ambiente Salute

di Giacomo Cazzato

Quando alla fine dell’Ottocento Cosimo De Giorgi visitava il Capo di Leuca, nei suoi Bozzetti di viaggio sarebbe stato bello capire cosa percepiva di quello che oggi a brandelli rimane.

Gli effetti sensoriali di appagamento del promontorio del Calino o di Torre Sant’Emiliano ribaltiamoli nella loro dimensione interna ed agricola che appena ancora si legge nella solitaria Montesardo.

tiggiano

Forse posso provare ad immaginare cosa provasse il De Giorgi. Fermiamoci ogni tanto a riflettere che tolta l’erba e la terra, abbiamo perso per sempre un patrimonio volatilizzato per le generazioni future, “fumato”.

A chi continua a parlarci di tessile e calzaturiero manca la consapevolezza che la politica ha il dovere di migliorare la percezione, e con essa la preferenza dello spazio in cui viviamo, dandogli una connotazione particolare di luogo: è l’unica cosa su cui non si può essere liberi di spadroneggiare.

E lo si fa con la ricerca e non con la supposizione ignorante che cemento e “cuasette” siano il futuro. La strada è in salita ma ce la si può fare.

 

Tiggiano e Sant’Ippazio, tra fede, virilità, pestanache e giuggiole

tela del Santo nella parrocchiale di Tiggiano (ph Giacomo Cazzato)

Santu Pati: il santo della Fede, della fermezza e della virilità.

Il capodanno contadino nel Basso Salento

di Giacomo Cazzato

Quando si parla di feste patronali spesso ci si fossilizza sui particolari commerciali e di massa, utili per trasformare la festa in una occasione lucrosa, in contrasto con quelli che furono gli originali e sani valori cristiani, cari alla pietà popolare, motivo qui in Salento di ogni festività.

Quella genuinità originale la si può ritrovare intatta nella sua completezza, ancora in terra di Leuca e in particolare a Tiggiano, piccolo paese che si può elevare a paradigma del culto dei santi orientali e delle relative tradizioni popolari.

Sono molti i santi e le festività orientali nel capo di Leuca: Santa Sofia e San Biagio a Corsano, San Giovanni Crisostomo e San Pietro a Giuliano, San Michele Arcangelo a Castrignano, Sant’Andrea a CapraricaPresicce,  Sant’Eufemia e l’Assunta (prima Dormitio) a Tricase, Santa Marina a Ruggiano e Miggiano, San Nicola a Salve e Specchia.

Ad essere venerato a Tiggiano è invece Ippazio di Gangra (Paflagonia), vescovo del IV secolo lapidato a Luziana da eretici novaziani e padre conciliare a Nicea nel 325 d.C.

Il santo dal nome altisonante, di cui poco si conosce per via delle poche notizie desumibili dal martirologio romano, è titolare dell’unica parrocchia, la sola in tutta la chiesa cattolica, e della relativa Matrice in cui si può ammirare una bellissima tela tardo-rinascimentale  ritraente il santo in età senile, datata al 1626. Ed è proprio nel secolo XVII nel passaggio del feudo di Tiggiano dai Gallone ai Serafini che nasce il culto unico di Sant’Ippazio, il cui nome verrà portato ripetutamente da più Baroni nella dinastia ormai estinta dei Serafini-Sauli.

La processione con la statua del Santo per le vie di Tiggiano (ph Giacomo Cazzato)

Ma non è una sola la particolarità del Santo taumaturgo di Gangra; a lui è anche attribuito il potere della guarigione dall’ernia inguinale[1] e quello della fertilità, soprattutto di quella maschile. Mio padre, primogenito, così come tantissimi in paese, porta il nome del Santo Patrono in virtù della propria primogenitura, offerta poi come atto estremo di devozione e di augurio. Ad ogni modo qualsiasi nato non poteva scappare dalla pratica de “li sabbiti”: ogni sabato i bambini in fasce venivano portati sulla pietra sacra dell’altare parrocchiale per ricevere la benedizione per il patrocinio del santo.

Carovane di pellegrini e devoti giungevano e giungono a Tiggiano da ogni parte del basso Salento, molti dal casaranese, dall’idruntino e dal castrense,[2] dove ancora oggi i segni della devozione sono visibili nelle varie matrici.

La festività può essere considerata per le popolazioni del sud Salento una sorta di capodanno contadino, da contrapporre geograficamente alla festività di Sant’Antonio Abate a Novoli.

Oltre alla tradizionale fiera degli animali e alla vendita delle pestanàche e delle giuggiole, celebre è in tal senso il motto dialettale: “Pasca e Bifanìa tutte le feste porta via. Rispunne Santi Pati: e mie a ci me llassati? Se vota la Cannalora: ci su ieu e lu Biasi ‘ncora”[3]. Secondo questo detto a dare continuità diversa alle festività natalizie sarebbe Sant’Ippazio,  cui succederà di lì a breve la Candelora (Specchia) e San Biagio (Corsano).

l’altissimo stendardo viene portato in processione verso la chiesa dell’Assunta a Tiggiano (ph Giacomo Cazzato)

Le messe e l’afflusso di pellegrini si protraggono dall’alba fino alla sera, ma più di tutto è la processione ad essere il culmine della festività: dopo incessabili trattative l’asta dei portantini (che avviene ancora con il vecchio metodo del bastone) si conclude e ad aprire la processione nel suono delle campane a festa è lo stendardo del Santo Patrono, alto ben otto metri ed elevato con non poca dimostrazione di forza, dopo una lunga rincorsa su rullìo di tamburi, dal sagrato della matrice fino alla chiesa dell’Assunta. A seguire lo stendardo del Patrono è quello confraternale, alto parimenti otto metri, cui segue ancora il simulacro settecentesco di scuola napoletana. La benedizione con il reliquiario del santo conclude il tutto in un tripudio di popolo.

LA PESTANACA E LE GIUGGIOLE

Un discorso a parte meriterebbe invece la coltivazione della pestanàca, variante della daucus carota, conosciuta come pestanàca di Sant’Ippazio o carota giallo-viola di Tiggiano, prodotto di nicchia i cui semi vengono gelosamente custoditi dai nostri contadini e che viene venduto durante la festività.

Il frutto, violaceo e dolce, ricco di carotenoidi, è legato da forti fondamenti teologici alla figura del santo ed è simpaticamente ricondotto dal popolo, insieme alle giuggiole, proprio per la loro forma, all’apparato genitale maschile di cui il santo è Patrono.

La pestanàca, presente nell’iconografia bizantina soprattutto nelle cene angeliche o quelle in cui figura il Cristo con gli apostoli, è proprio il simbolo della fede nella natura umana e divina dell’Unigenito: l’inconsistente fragilità di un uomo nella cui profondità si scopre il frutto dolce e divino radicato fortemente nella terra. La tesi ariana combattuta nel Concilio di Nicea si contrappone dunque alla figura del padre conciliare Ippazio e all’immagine della pestanàca, la cui origine etimologica “pistis” indica, nonostante l’apparente espressione dialettale e contadina, il più grande insegnamento di questo santo: la tenacia del martirio per difendere la fede[4], una fede che a Tiggiano e nel Capo di Leuca trova espressione salda nella pietà popolare.


[1]    “HYPATIO SOLVANT VOTUM QVOS HAERNIA TORQVET TAMMERTLA ALTA SVA – 1621” Così recita il fastigio dell’altare a lui dedicato.

[2]    Muro, Scorrano, Andrano, Casarano, Ruffano, Taurisano, sono comuni in cui oltre alla presenza del nome nella popolazione, si conservano opere pittoriche e scultoree dedicate al santo.

[3]    Sant’Ippazio è il 19 Gennaio,La Candelora il 2 e San Biagio il 3 di Febbraio.

[4]    La difesa della  fede è raffigurata nel simulacro dal dragone che cerca di rapire “il tesoro preziosissimo della grazia divina” (dalle preghiere del sacerdote Andrea Caloro).

La statua del santo nella parrocchiale di Tiggiano, restaurata di recente da Andrea Erroi

SARAJEVO 1992-2012

di Giacomo Cazzato

 

Quando si sogna insieme, si possono fare cose straordinarie. Aldilà di quello che poteva pensare l’allora ordinario militare 1 dell’approccio pacifista di Luigi Bettazzi e Tonino Bello alla guerra di Bosnia Erzegovina, il cristianesimo militante condiviso da questi ultimi e messo in pratica dal prete padovano Albino Bizzotto ha prodotto cose straordinarie nella guerra di Bosnia Erzegovina. Tanto straordinarie da coinvolgere persone di ogni credo e di ogni provenienza (una buona metà erano atei o non praticanti).

A Sarajevo, dopo la guerra tutto è cambiato, lì dove quattro religioni convivevano tranquillamente, dove l’etnia non era mai stata un problema, ogni nazionalismo si è accentuato, tutto è stato portato agli estremi. Ci sono stato da poco proprio con don Albino che con i suoi settantaquattro anni è un esempio vivente di una prassi cristiana carica di spinte verticali, lontana dalle vuote liturgie e dai bizantinismi cui spesso ci stiamo abituando. Quest’anno ricorre il ventesimo anniversario della prima eccezionale azione che diede vita ad una interposizione civile durata dal 1992 al 1997, con il servizio della posta, degli aiuti e le innumerevoli azioni dimostrative tra cui quella tragica che coinvolse il francescano Gabriele Moreno Locatelli. Vent’anni dall’ultimo anelito di pace di Tonino Bello, contributo straordinario alla carica eversiva dei Beati Costruttoti di Pace. La gente ricorda con affetto quegli italiani, tanti, che allora si ricordarono di loro.

Dal 6 al 10 dicembre saremo a Sarajevo, italiani, bosniaci, croati, serbi, cristiani, ebrei, musulmani, per ricordare a me che un vero cristiano deve esigere la pace, e agli altri che insieme si possono fare grandi cose anche nella più grande delle tragedie. Ricordiamo a Lecce quest’anniversario, con un po’ di conferenze incontri e spettacoli di teatro civile di alto livello in collaborazione anche con l’Università del Salento ed Amnesty International. Avremo come ospiti persone straordinarie, amici, con cui proveremo a dare una base di lavoro serio per la pace, che abbia i primi frutti qui, in Terra d’Otranto – le parole diventano ciance lì dove il mercimonio dei significati impera – proveremo a dare precedenza dell’atto al misfatto, ai discorsi sul fare. Un grazie a Marcello, che riserva sempre parole d’incoraggiamento.

3 dicembre 2012

 

H 10:30

Olivetani, Via San Nicola

Islam e Bosnia Erzegovina

Alceo Smerilli / Facoltà di studi Islamici, Univ. Sarajevo

Daniele De Luca / Storia delle RR.II., Unisalento

 

H 17:30

Mon. Benedettine, Via delle benedettine

Sarajevo 1992: la marcia, l’interposizione civile

Giacomo Cazzato / Link-Lecce

Giovanni Bongo / Pacifista e filosofo

Attilio Pisanò / Diritti Umani, Unisalento

Albino Bizzotto / Fondatore Beati i Costruttori di Pace, Padova

 

4 dicembre

 

H 17:30

Benedettine, Via delle benedettine

Presentazione del libro “Mister Sei Miliardi” di Luca Leone

Michele Carducci / Preside della Facoltà di Scienze FF. PP. SS.

Luca Leone / Infinito Edizioni, Scrittore, Giornalista

Antonio Bonatesta / Assistente Storia Contemporanea, Unisalento

Modera: Federica Ferri / Amnesty International

 

H 21:30

Manifatture Knos, Via vecchia Frigole

Presentazione spettacolo teatrale “La Scelta” con Marco Cortesi e Mara Moschini

con il patrocinio di Rai Segretariato Sociale e Amnesty International

 

5 dicembre

 

H 19:00

Circolo Arci ZEI, Corte dei Chiaramonte

Storie di un fotoreporter

Mario Boccia / Fotoreporter freelance

Carlo Alberto Augieri / Critica Letteraria, Unisalento

Mostra fotografica di Lorenzo Fornari e Max De Giorgi / Spazio Sociale Arci ZEI

 

a seguire serata con musica bosniaca e degustazioni di cucina tipica bosniaca a cura di Romeo Morciano.

Lucugnano di Tricase, i giorni della vergogna

LUCUGNANO DI TRICASE,

I GIORNI DELLA VERGOGNA.

ACCORDO PER UNA TRATTORIA NEI GIARDINI DI PALAZZO COMI.

IL SIGILLO E’ DELLA PROVINCIA DI LECCE

 

di Giacomo Cazzato

La prima volta che entrai a casa Comi fu una frase di Alfonso Gatto ad accogliermi: “In questa casa, anche le ombre sono amiche”. Con queste parole di un poeta salernitano ha avuto inizio la mia storia d’amore con questo palazzo, il luogo in cui il barone-poeta Girolamo diede spazio al più grande esperimento di condivisione culturale che il Salento abbia mai potuto vivere, un luogo magico dove gli arredi e le librerie parlano ancora oggi, dove si respira ancora la poesia che trasuda da ogni dove, dagli arazzi, dalle camere da letto spartane e al tempo stesso gentili, adibite numerose, con l’unico scopo di ospitare qualche gigante della cultura italiana, che sarebbe passato in compagnia da Lucugnano. Lì puoi incontrare Alfonso Gatto, o Bodini, la Corti, o Vincenzo Ciardo, Pagano o il duo mistico Pierri-Merini. Solo lì.

Palazzo Comi, lo studio del poeta

Sono stati tanti gli incontri in questo ultimo anno, tanti gli universitari più brillanti che si sono avvicendati in quel nido fecondo che fu e che è, tanti i

Teresina di Tiggiano

Teresina di Tiggiano

quando il Magnificat si fa carne

in terra di Leuca

di Giacomo Cazzato

Ohiiii! Era il saluto urlato di quella signora dai capelli candidi che arrivava con grandi pedalate sulla sua bicicletta old style, incurante di qualsivoglia segnaletica stradale. Del resto, nata nel 1916, munita solo di biciclo, era più che legittimata a riconoscere come autostrada spaziosa e trafficata quella via che collegava la sua casa, collocata nelle ultime propaggini del centro storico, alla chiesa confraternale dell’Assunta, quella ad un tiro di schioppo dalla matrice di Sant’Ippazio.

A conoscerla erano tutti, celebre tra i bambini poiché quella sua chioma bianca raccolta da un cerchietto, spuntava su per le campane dell’Assunta durante le processioni e a fare impressione, erano le braccia,  che si dimenavano con forza lanciando il battacchio sulla campana a intervalli precisi: il tempo di una decina di rosario e si ricominciava.  L’ultima volta che Teresina ci salì fui io il collega campanaro, decisamente inesperto, confratello

Della terra salentina si possono dire cose bellissime, non roviniamo questa sognata “arca di pace”

migliaia di persone si sono ritrovate ieri a Brindisi e Mesagne (ph Alba Schina)

di Giacomo Cazzato

I simboli, lo sappiamo tutti, contano, soprattutto se ad essere vilipeso è quanto di più prezioso possa esistere in questo mondo. Anticipo a dire dunque che mi sento alquanto inadeguato a riflettere non la semplice morte di una ragazza mesagnese di soli 16 anni in una delle tante scuole intitolate a due martiri del bene comune, ma la sconfitta stessa dell’etica di ogni uomo,  della vita fragile e denudata in tutta la sua vulnerabilità, aggravata per l’emozione della collettività dal carico dell’innocenza.

La constatazione della capacità distruttiva nella psiche meschina dell’uomo è il fardello su cui si arrovellarono, si arrovellano e si arrovelleranno tutti i pensatori di ogni tempo, inutile pertanto sprecare ulteriori parole. La mancanza di un movente lascia nessuno spazio a lapidazioni mediatiche sugli aguzzini. Ma se nelle prossime ore venissimo a sapere che quanto avvenuto non è addebitabile a follia estemporanea, bensì a pensiero lucido, organizzato, allora dovremmo tutti assumerci la responsabilità dell’involuzione culturale e civile di questo paese. Ora come ora, per la pochezza circa i dettagli del crimine, indifferenti al cursus ormai finito di quella povera vita spezzata, possiamo solo biasimare secondo metodi gandhiani la vergognosa codardia, maggiore per disgusto e disprezzo, anche alla violenza.

Come per ogni esperienza, per noi che si rimane, il compito di lottare

Incontro con un Pastore

Mons. Bettazzi e Giacomo Cazzato nell’incontro a Lecce

di Rocco Boccadamo

In occasione della sua venuta a Lecce, invitato dalla locale Facoltà di Filosofia a tenere una conferenza sul tema “In che cosa crede chi non crede”, nella particolare cornice della terra di due salentini, il pensatore Giulio Cesare Vanini da Taurisano e il venerato don Tonino Bello da Alessano, mi è stato dato di incontrare e conoscere personalmente S.E. Mons. Luigi Bettazzi, già Vescovo di Ivrea e Presidente del Movimento Pax Christi.

Una figura di spicco per bagaglio culturale e di pensiero e soprattutto per radicata vocazione all’indirizzo degli altri, di solidarietà; ma anche un personaggio, per lo meno in taluni momenti ed eventi, apparso e considerato contraddittorio e scomodo, sia nel contesto della comunità civile, della politica e dei partiti, sia all’interno  dello stesso mondo cattolico e delle gerarchie ecclesiastiche.

In ogni caso, una vera e propria pietra d’angolo nel panorama del pensiero sociale formatosi, alimentato e cresciuto nel corso dell’ultimo mezzo secolo, con battiti e impulsi, giustappunto, di opzione preferenziale per i deboli, i nascosti e i reietti.

Dalla sommità del faro dei suoi quasi novant’anni, vescovo da quando ne aveva appena trentanove, una lunga serie di esperienze e contributi sia in

Salva la terra che è tua, uomo del Sud

 

Promontorio Calino

 

 

“Salva la terra che è tua, uomo del Sud”

Quando le parole di un profeta di Dio scomunicarono in anticipo i potenti vampiri della S.S.275

 di Giacomo Cazzato

Quando al pomeriggio mi metto a guardare la costa dal cucuzzolo del Calino, lì su torre Nasparo , la più alta tra tutte quelle che guardano ad est, fino al bianco faro di Palascìa, non posso non dire che tocco quasi quasi il cielo. Credo, credo di provare le stesse sensazioni che Leopardi immortalò mirabilmente in quel “e mi sovvien l’eterno” in una delle sue più celebri espressioni d’animo. Sono spinte verticali quelle del verde chiaro delle vallonee in primavera; l’azzurro che sbrilluccica col sole sul fondo bianco e roccioso al largo di quel piccolo scalo scavato quel poco che basta per tirar su le barchette, usato da mio nonno o magari dal mio bisnonno Bartolomeo;  i grandi ulivi che come monoliti mi proteggono le spalle, lì nel fondo che pur stando appena in Tiggiano si chiama “Gallone”, nome che parla già lungamente di quelli che furono i tempi di un passato tanto, tanto lontano. 

Nel preparare alcune letture per un seminario in università mi sono imbattuto in un’ode di un uomo, un poeta di Dio, che pare proprio essere stata scritta oggi e che parla dello stesso luogo in cui ogni tanto mi perdo, anche se da diversa angolazione. Un’ode che Turoldo l’ha  indirizzata a noi, noi gente del Sud, noi del Capo di Leuca.

A coloro i quali, uomini del Sud, hanno permesso e permetteranno con

Dal Salento nel Rwanda

Dal Salento nel Rwanda

 l’esperienza straordinaria di uomini e donne dell’estremo Salento

“Le prime missioni con Mons. Miglietta, l’esperienza del  genocidio ed infine Amahoro”

 

Bimbi nel centro polivalente a Bicumbi

di Giacomo Cazzato

“A che serve avere le mani pulite se le si tiene in tasca?”[1] Don Lorenzo Milani nelle sue analisi lucide e al tempo stesso passionali, era efficace nel richiamare tutti ad un impegno vero biasimando quanti additavano le ingiustizie senza però mettersi in campo e costruire nel proprio piccolo un mondo che rispondesse maggiormente a verità e a giustizia[2]. E sarebbe bello se tanti di quei borghesi illuminati, quelli con le mani in tasca, quelli dai toni degni di un predicatore luterano in piena lotta protestante (sarebbe bello anche se avessero una tale cultura), conoscessero in un clima di sana dialettica le tante belle realtà di un cristianesimo sano, sensibile ai segni dei tempi[3], che anche qui in terra salentina ha lasciato piccole ma importantissime testimonianze.

Una di queste viene proprie dall’estremo sud, ed i protagonisti sono tanti, donne e uomini, giovani e adulti. Un esercito alternativo, che non pesa sulle tasche dei cittadini, che non usa le armi e promuove la dignità umana con

Se muore un uomo buono

 piccolo tributo ad Antonio Niceforo

 di Giacomo Cazzato

 

Se muore un uomo buono, straordinario nell’ordinario, non ci sono protocolli o steli commemorative che possano lasciare su pietra o su carta ciò che invece le opere  incisero nei cuori delle persone che lo ebbero a conoscere. Era il dieci febbraio del 1980 quando in un normale martedì si ebbe la notizia della scomparsa improvvisa di Antonio Niceforo, medico condotto a Tiggiano sin dal 1946.

Quando Anna, infermiera autodidatta, mi parla di lui, ha gli occhi che le brillano. Nonostante sia vicina la soglia dei suoi novant’anni, mi parla con orgoglio di quell’esperienza di carità infinita in un’epoca di miserie materiali e di sofferenze. Un dopoguerra difficile, in cui senza impegni e senza pretese regalìe, lei e il dottore Niceforo si prestavano volentieri a curare malanni di ogni tipo a qualsiasi ora della notte e in qualsiasi periodo dell’anno.

Una esperienza che specialmente per il dottore Antonio Niceforo andò ben l’oltre l’assoluzione dei doveri di Ippocrate. Da padre e da fratello

Si deturperà uno dei paesaggi più belli e caratteristici del Salento, qual è quello del Capo di Leuca

APPELLO AI CITTADINI ED AGLI AMMINISTRATORI PUBBLICI DEL SALENTO PER LA SALVAGUARDIA DEL PAESAGGIO DEL CAPO DI LEUCA

 

delibera del Consiglio di Facoltà dei Beni Culturali dell’Università del Salento, votata all’unanimità

 

         La notizia, appresa recentemente dalla stampa locale, della definitiva approvazione da parte dell’ANAS del progetto esecutivo della superstrada a scorrimento veloce a quattro corsie Maglie-Leuca, comprensivo del cosidetto “terzo tronco” di circa 18 Km che va da Montesano a S.M. di Leuca, suscita indignazione e stupore.

         Indignazione perché viene irrimediabilmente deturpato uno dei paesaggi più belli e caratteristici del Salento, qual è quello del Capo di Leuca, stupore per la miopia politica di tanti amministratori pubblici.

         La costruzione di questa superstrada costituirà un enorme dispendio finanziario ( i costi sono lievitati, in un decennio, da 152 a ben 288 milioni di euro, corrispondenti al maggior intervento pubblico mai realizzato nel Salento) e comporterà un’alterazione e devastazione irreversibile di una zona a forte attrattività turistica e di grande valenza storico-archeologica.

         Svincoli, complanari, terrapieni, trincee, viadotti, sotto e sovrapassi, accompagneranno questa strada sino al Capo di Leuca.

E’ prevista, inoltre, la costruzione di una sezione viaria larga 22 metri, quella di un viadotto, all’altezza della frazione di San Dana,  i cui piloni saranno alti 9,5  metri, una maxi rotatoria a raso di1,2 km per il raccordo con la SS. 274 (Gallipoli-Lecce), lo svellimento di ben 3.530 alberi di ulivo: tutto ciò in aggiunta alla vecchia strada, praticamente parallela alla nuova, per cui alla fine avremo a disposizione ben sei corsie per arrivare da Montesano a Leuca e tutto questo per risparmiare non più di cinque/dieci minuti di tempo.

         Risultano, altresì, risibili le assicurazioni dei progettisti e dell’ANAS in merito alle previste opere di mitigazione ambientale quali il ripristino dei muretti a secco, delle pagghiare, dei rustici rurali, la ripiantumazione degli alberi divelti, l’uso dei rivestimenti in pietra leccese etc.., dimenticando che  il territorio, il paesaggio e i suoi caratteristici manufatti, costituiscono un “unicum” non ricostruibile artificialmente come una qualsiasi Disneyland !

Tutto  ciò avviene quando a livello europeo il tema delle nuove strade si impone come occasione per progetti di paesaggio in cui gli appalti-concorso per la realizzazione di queste opere impongono, tra i requisiti migliorativi dell’opera, il progetto paesaggistico. In altri casi, l’uso da parte dei progettisti

SS 275, la follia storicida di un ecomostro a 4 corsie

tratturo in località Serra del fico

 

UDU Lecce

 

in collaborazione con:

il Consiglio Studenti, l’associazione Archès,

Spigolature Salentine, Gaia, LeMiriadi49, Save Salento,

il Formicaio, il circolo Arci Zei,

 

organizza

“SS 275 LA FOLLIA STORICIDA DI UN ECOMOSTRO A 4 CORSIE”

 

Lunedì 9 Gennaio ore 17.00 – Rettorato Università del Salento

L’UDU incontra le 18 associazione che costituiscono il Comitato NO 275, la Facoltà di Beni Culturali, forte della sua unanime delibera di condanna, e tutte le realtà territoriali che credono ad una viabilità propositiva e ad una alternativa al progetto folle che prevede una statale a 4 corsie che vada oltre l’utile allargamento della attuale S.S. Maglie-Montesano con la distruzione, nel nuovo mostruoso tratto da Montesano a Leuca, di un patrimonio

La Fondazione Terra d'Otranto, senza fini di lucro, si è costituita il 4 aprile 2011, ottenendo il riconoscimento ufficiale da parte della Regione Puglia - con relativa iscrizione al Registro delle Persone Giuridiche, al n° 330 - in data 15 marzo 2012 ai sensi dell'art. 4 del DPR 10 febbraio 2000, n° 361.

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