Ritrovamenti messapici e greci a Sava

SAVA, 1889: I RITROVAMENTI MESSAPICI E GRECI, LA VISITA

DEL PROF. VIOLA E L’INDAGINE ARCHEOLOGICA OMESSA

 

di Gianfranco Mele

In un articolo apparso su “La Voce di Maruggio” ho parlato esaustivamente del manoscritto di Achille D’Elia “Sava e il suo feudo”, della storia antica di Sava raccontata dal D’Elia (ma anche dall’ Arditi e dal Coco), e della figura del D’Elia stesso fornendo una biografia dell’autore che mostrava la serietà e il peso culturale del personaggio.[1]

Con questo scritto intendo dimostrare come alcune annotazioni dello studioso circa l’archeologia e la storia savese siano assolutamente da rivalutare, sulla base di una serie di interconnessioni con le vicende che coinvolgono la ricerca storico-archeologica nel territorio in quegli anni ed i protagonisti di quella ricerca.

Dobbiamo prendere in considerazione due diversi aspetti dell’analisi fornita dal D’Elia in merito alla Sava antica: le certezze documentarie, e le congetture, senza accavallare e confondere tra loro questi suoi due distinti e distinguibili contributi.

Ora, il D’Elia fornisce, per ciò che concerne le certezze, una serie di dati fondamentali: 1) l’esistenza, in Sava, di quelli che egli chiama “Castelli Castrum Munitum Messapici”; 2) i rinvenimenti di “ monete della vecchia Orra, quelle di Metaponto ed altre molte primitive”; 3) l’esistenza, ancora all’epoca in cui scrive, delle “fondamenta d’epoca evidentemente ciclopica”; 4) il rinvenimento di una serie di reperti visionati anche nell’agosto del 1889 dal “chiarissimo Professore Viola del Reg. Museo di Taranto”; 5) l’esistenza di un sepolcreto messapico a 500 metri dal rione Castelli.

Vedremo più avanti, nei dettagli, per quale motivo le notizie suddette sono da considerarsi certezze. Per quanto riguarda le congetture, invece, il D’Elia finisce con l’identificare il territorio di Sava con la mitica “Sallentia urbs messapiorum”, e qui entriamo sicuramente nel campo dell’ indimostrabile, sebbene lo storico savese Gaetano Pichierri riprenda con slancio e passione nelle sue ricerche, arricchendole di ulteriori speculazioni, queste ipotesi affascinanti ma un po’ visionarie del D’Elia.[2]

A causa di queste conclusioni (che peraltro lo stesso D’Elia presenta come dato ipotetico, quasi fantasioso, e non come convinzione), sia il Coco che storici successivi non prendono troppo sul serio l’opera del D’Elia. Ma c’è di più: ciò che viene considerato veramente inspiegabile e perciò contribuisce a non dar troppo credito a tutto l’impianto del manoscritto è la notizia che il D’Elia fornisce circa le parole attribuite al professor Viola durante la sua visita a Sava: ciò che il Viola vede, lo dichiara, stando a quanto riportato dal D’Elia, “di origine remotissima qual solamente vide a Sparta e Messene“. Come mai, ci si è chiesto spesso, se Viola resta così stupefatto dei reperti rinvenuti in Sava, non ne raccoglie e diffonde documentazione, non li prende con sé esponendoli al Regio Museo, non pubblica un report, non cita e non pubblicizza la scoperta?

La risposta sta proprio nella figura del professore e nella sua biografia, costellate di imbarazzanti contenuti ed episodi. Nel corso di questa esposizione ci soffermeremo a lungo sulla storia del personaggio e su alcuni momenti-chiave del suo operato.

Andiamo ora per ordine, riportando 1) quanto esposto nel manoscritto del D’Elia, 2) i dati e le evidenze a supporto dei contenuti del manoscritto, 3) la questione della visita del Prof. Viola a Sava e della omissione della rendicontazione di quanto osservato.

Contrada Agliano, Sava: un ritrovamento dagli scavi condotti nel 2008 dalla Cooperativa Museion

 

La copertina del libro di Evans nel quale son citati i ritrovamenti numismatici avvenuti a Sava

 

Il manoscritto del D’Elia

La più esaustiva fonte descrittiva dell’ agglomerato antecendente l’attuale Sava e denominato Castieddi, sullle rovine del quale quale viene fondata Sava, consiste in un manoscritto del 1889 di Achille D’ Elia andato perduto ma del quale Primaldo Coco fornisce vari stralci nella sua opera “Cenni storici di Sava”. Il Manoscritto aveva per titolo Sava e il suo feudo, storia paesana”.

Prima del D’Elìa sarà l’Arditi a parlare, seppur fugacemente, dei “Castelli”, e successivamente, oltre al Coco, ne parleranno il Del Prete e il Pichierri che forniranno ulteriori descrizioni.

Riporto a seguire i più importanti passaggi dell’opera del D’Elia:

La storia di Sava non è gran che negli annali civili di questa provincia; essa è circoscritta alla più esigua cronaca militare di una rocca. Non potrebbe però convenevolmente parlarne chi trascurasse rifarsi e discutere dei Castelli Castrum Munitum Messapici, o Salentini ora distrutti e ridotti in un bel giardino ad Oriente della novella Sava […] Ch’essi Castelli fossero costruzione vetustissima – non ben accertato se messapica o salentina per mancanza d’ iscrizioni – lo attestano le monete della vecchia Orra quelle di Metaponto ed altre molte primitive ivi rinvenute miste con alcune della repubblica Tarentina e con quelle romane del basso impero; la irregolarità delle forme nei massi tufacei delle fondamenta ancora visibili – d’epoca evidentemente ciclopica e certi cocci di una tal terraglia pesante come ferro del color della ghisa è bastante che il chiarissimo Professore Viola del Reg. Museo di Taranto in una breve visita fattavi nell’ultimo agosto (1889) dichiarasse di origine remotissima qual solamente vide a Sparta e Messena.”[3]

Come si è visto, qui il D’Elia cita la visita in Sava del Prof. Viola, argomento sul quale torneremo nel seguito di questo scritto per chiarire cosa accadde dopo quella visita. Da notare che il manoscritto è redatto nello stesso anno della visita di Viola, presumibilmente pochi mesi dopo. Il D’Elia prosegue:

“Questi Castelli erano in comunicazione sotterranea con un piccolo fortino sito in contrada Specchiodda e forse anco con quello di Uggiano Montefusco, e di Manduria: ciò che prova che essi rappresentar dovessero un intero sistema di fortificazioni di confini dei due regni Messapico e Tarantino. […]Tale sarebbe la versione più modesta che potrebbe darsi alle dicerie corse sui nostri Castelli. Ci sarebbe dell’altro però. Dalla lunghezza della via sotterranea di forma poligonale, visibile anche oggi in casa Testa e nel giardino Melle, ci sarebbe da arguire che essa servisse alle comunicazioni segrete fra i vari forti.

Dai sepolcri messapici – con la facciata del cadavere sempre rivolto ad Oriente – trovati in gran numero a mezzo chilometro dai vecchi Castelli e ad un metro di profondità in quel tratto di terreno che va dal convento di S. Francesco sino alla via provinciale, ci sarebbe da inferirne che qui fosse un sepolcreto da quelli dipendente.”[4]

Sin qui, il resoconto obiettivo del D’Elia. Con poche righe successive e conclusive entra poi nel campo della congettura:

Ora ditemi: non potrebbe per un momento venire in mente all’erudito di vecchie cronache che qui davvero – sul confine dei tre regni Messapico, Salentino e Calabro – fosse stata edificata la città di Sallenzia Urbs Messapiorum ?” [5]

 

I dati a supporto delle tesi del D’Elia

Dell’antico casale Castelli fornisce per primo alcune notizie Giacomo Arditi:

Il territorio si appoggia sul sabbione e sul calcare di varia specie; nel predio Castelli, appo l’abitato, sogliono scavando rinvenirsi delle monete di tipo greco […] Qui d’appresso esisteva una volta il casale appellato Castelli, e ne fan fede il nome che ancora dura nella contrada, le due vecchie vie che esistono e che chiamano Vetere o Portoreale, e i ruderi e le monete accennate di sopra. Distrutto Castelli nel sec. XV, o per vecchiezza, o per incidenza delle guerre e dei conflitti allor combattuti tra Spagnuoli e Francesi, i suoi abitanti eressero vicin vicino quest’altro appellato Sava […] “ [6]

Copertina dell’opera di Arditi

 

Il Coco a sua volta riprende la maggior parte delle descrizioni dell’antica “Castelli” dal manoscritto del D’Elia, accettandone la ricostruzione dei fatti, ma rigettando l’ipotesi della identificazione di “Sava-Castelli” con la antica e leggendaria Sallenzia, però conclude :

Quanto poi riferisce l’autore circa la forma dei Castelli, la via sotterranea, i sepolcreti e le monete trovate, merita fede avendo io – le stesse cose – sentite narrare da altri testimoni oculari[7]

Del resto, sempre il Coco cita alcuni ritrovamenti avvenuti alla sua epoca:

“ Salvatore Schifone trovò in un suo podere non lungi da Sava una grande quantità di monete greche in bronzo.

Sotto l’abitazione del sig. Pietro Schifone furono rinvenuti alcuni antichi vasetti in un sepolcro scoperto a caso. Alcune tombe sono state scoperte nella contrada del paese detta “Castelli” mentre si cavavano le fondamenta di alcune case e vi si trovarono non poche monete di vaolre e oggetti preziosi. Quivi e nei dintorni della masseria di Pasano si osservano tuttora dei cunicoli e dei grandi recipienti scavati nel masso, che i proprietari adibiscono a depositi d’acqua”.

Ad Aliano poi, nel luogo ove sorgeva l’antico paese, oggi di proprietà del sig. Giovacchino Spagnolo, si osservano tuttora molti rottami di argilla, di vasi, di tegole, piccoli idoletti, amuleti, giocattoli per fanciulli, lucerne di creta di varie forme, monete, e altre cosette. Fino a poco tempo fa si osservavano anche avanzi di un antico edificio a ferro di cavallo dai grossi macigni, che divisi e suddivisi in 18 parti sono stati adibiti per nuove fabbriche.

Pare, da ciò che ne riferisce l’attuale proprietario, che dovesse essere un antico tempio pagano.

Altri avanzi di antichi edifici vi erano ai principi del secolo XVIII e furono abbattuti dal feudatario signor Giuseppe De Sinno, che, nella speranza di trovar tesori, intraprese degli scavi, che certo gli fruttarono qualche cosa.

Tutto quanto però si è trovato nei detti casali e dintorni e quanto era rimasto dell’antico è andato soggetto a vandalica distruzione per ignoranza, oper ingordigia”. [8]

Il libro di Primaldo Coco

 

Riguardo alle vie sotterranee esiste poi un resoconto di Pasquale Del Prete[9] e altre testimonianze raccolte da Gaetano Pichierri, mentre rispetto a tombe, ritrovamenti e sepolcreto c’è un’ampia ricostruzione del Pichierri stesso corredata da testimonianze, e anche da foto di reperti trovati in una tomba.[10]

Della Sava messapica parla anche lo studioso francavillese Cesare Teofilato, laddove nel suo scritto su Allianum la descrive come caratterizzata da una cinta megalitica distrutta:

“Quell’ antico braccio della Via Traiana che partendo da Taranto costeggiava il Sinus Tarantinus prende tuttora, nel tratto che attraversa gli agri di Sava e Manduria, il nome tradizionale di Via Consolare. Quivi, lungo il suo percorso, toccava tre stazioni di vita messapica: Allianum, la cinta megalitica di Sava, barbaramente distrutta o seppellita, e la più celebre muraglia di Mandurium.”[11]

Sava, via S.Filomena: Skyphos a vernice nera del IV sec. a. C. rinvenuto in una tomba (foto G. Pichierri)

 

Fondamentali, rispetto alla documentazione sulle monete ritrovate, una serie di testimonianze di Attilio Stazio e altri ricercatori che riassumo a seguire. Abbiamo già citato l’opera del 1879 dell’Arditi, nella quale, a proposito di Sava, riferisce di ritrovamenti di antiche monete “di tipo greco” nel rione Castelli; dieci anni dopo, come abbiamo visto, il D’Elia sempre parlando dei Castelli riferisce i ritrovamenti di “monete della vecchia Orra, quelle di Metaponto ed altre molte primitive ivi rinvenute, miste con alcune della repubblica Tarentina e con quelle romane del basso impero”. E’ molto probabile che entrambi gli autori siano a conoscenza e si riferiscano – tra l’altro – ad una scoperta sensazionale avvenuta alcuni decenni prima dell’uscita dei loro scritti, che fece scalpore nel mondo della ricerca archeologica e numismatica dei tempi (sino ad essere citata ancora oggi nel Notiziario del Portale Numismatico dello Stato[12] ).

Difatti, in un testo editato nel 1863 Sambon riferisce con dettagliata descrizione in merito a ritrovamenti avvenuti in Sava pochi anni prima, nel 1856: monete incuse di Sibari, Crotone, Metaponto, Siris, Taranto.[13] Il ritrovamento, di grande importanza, viene citato successivamente da Evans nel suo “The Horsemen of Tarentum” edito nel 1889[14] . Riprende la citazione della scoperta Attilio Stazio, specificando:

“Quando, sul finire del sec. VI a.C., Taranto dette inizio alle sue emissioni monetali, nella tecnica “incusa” caratteristica della Magna Grecia e secondo il sistema ponderale in uso nell’area achea di Sibari, Crotone, Metaponto e Caulonia, nessun altro centro della regione Puglia coniava moneta. Tuttavia sin dall’inizio del secolo successivo in alcune zone della Puglia è documentata la presenza di monete della Magna Grecia, giuntevi evidentemente per il tramite di Taranto, la cui costante rivalità con le popolazioni indigene confinanti non impedì certamente rapporti di scambio, come non impedì – e in un certo senso, anzi, favorì – influssi culturali spesso profondi e determinanti sul piano linguistico, religioso, artistico, ecc. “[15]

A tutt’oggi le monete rinvenute a Sava sono tra le più antiche tra quelle ritrovate. Difatti lo Stazio così prosegue:

“E a questo proposito può essere significativo ricordare che i più antichi tesoretti monetali della regione sono stati rinvenuti a Sava e a Valesio, cioè lungo quella naturale via istmica di collegamento tra il mar Ionio e il mar Adriatico, che poi, in età romana, sarà la via Appia”.[16]

La pagina del testo di Sambon che fa riferimento alle monete ritrovate in Sava nel 1856

 

Non mi dilungo, in questo scritto, con le citazioni dei ritrovamenti ben più documentati e frequenti nella contrada savese di Agliano, distante pochi km dal centro abitato di Sava,[17] nonché nella vicina altra contrada di Pasano[18] (ne ho parlato in altri scritti e a quelli, qui inseriti nelle note, rimando), e sul monte Magalastro situato tra feudo di Sava e Torricella.[19] Rispetto ad Agliano, è interessante notare come il Teofilato la inserisca all’interno di una triade insediativa comprendente Manduria, Sava e la stessa “Allianum”; in occasione di una sua indagine sul campo, lo studioso vi scorge inoltre una iscrizione messapica segnalata al Prof. Ribezzo e “al dottor Ciro Drago del R. Museo di Taranto e all’ispettore onorario di Manduria dottor Michele Greco”. Il Ribezzo parlerà difatti di questa iscrizione nel Nuovo Corpus Inscriptionum Messapicorum, citando il Teofilato, ma senza aggiungere note di rilievo e interpretazioni in quanto non aveva visionato di persona l’opera.[20]

Teofilato scorge in Agliano anche i resti di un antico tempio citato anche dal Coco, e resti di costruzioni consistenti in “ enormi massi squadrati, come quelli delle mura di Manduria”.[21]

La cosa curiosa è che gli storici locali, ad eccezione del Teofilato, hanno tenuto separati gli studi e la storia di queste località dell’agro di Sava da quelli riguardanti Sava-Castelli, attribuendo a quest’ultima presenza messapica, e a quegli altri siti magno-greca. Si tratta in realtà di siti che distano pochissimi km dal centro abitato di Sava, e che sembrano parte di una storia antica comune e coerente non solo per questioni di datazioni dei ritrovamenti e per prossimità geografica, ma anche perchè, quand’anche il territorio di Sava fosse stato spaccato in due, in un dato momento storico, da una espansione della Chora tarantina sino a queste terre, prima della presunta espugnazione di parte del territorio ad opera dei tarantini, si sarebbe trattato comunque di una unica comunità messapica insediata, appunto, tra l’attuale centro storico di Sava, la sua periferia, e le vicinissime contrade di Agliano, Pasano, Magalastro, Tima,[22] ed altre. Devono aggiungersi a questi siti anche quelli di contrada Petrose[23] e contrada S. Giovanni, ancor più prossimi al centro del paese, e si deve tener presente che la distanza tra il cosiddetto sepolcreto messapico e la zona indicata come di insediamento magnogreco non supera i 2 km.

Corredo tombale in contrada Agliano, Sava (foto G. Pichierri)

 

Monte Magalastro, frammento di vaso a figure nere e terracotta figurata (foto P. Tarentini)

 

Luigi Viola e la ricerca non divulgata

Sebbene vi siano precedenti importanti e significativi, la ricerca archeologica sistematica e continuativa in area ionico-tarantina inizia nel 1880 con l’invio in Taranto, da parte ministeriale, del professor Luigi Viola, professore di greco ed esponente della Scuola Italiana di Archeologia.[24] Già nel 1881 Viola pubblica resoconti delle sue attività in quest’area nella prestigiosa rivista “Notizie degli scavi di Antichità” della Regia Accademia dei Lincei, e dal quel momento e per una serie di anni successivi continuerà a pubblicare dettagliate relazioni. Nel 1882 viene istituito un Ufficio speciale per le Antichità e nel 1884 il comune di Taranto stipula grazie a Viola una convenzione per l’istituzione di una collezione museale tarantina. In precedenza tutti i reperti ritrovati erano stati inviati, depositati ed esposti presso il Museo Nazionale di Napoli. Tuttavia l’invio di materiali a Napoli non cessò neanche negli anni successivi, poiché tra il 1891 e il 1898 la Direzione del Museo di Napoli annesse a sé la Direzione scientifica ed amministrativa del Museo di Taranto.[25]

Luigi Viola (1851-1921)

 

Il Viola è ricordato come personaggio competentissimo ma anche assai discusso, e vedremo perchè.

Intanto è bene ricordare che a quei tempi l’acquisizione museale dei reperti era condizionata da leggi non ancora adeguate alla situazione attuale. Tutto ciò che si ritrovava nei terreni di proprietà privata, era considerato di appartenenza del proprietario del suolo, che poteva liberamente vendere qualsiasi anticaglia rinvenutavi, previo un nulla osta dello Stato, la qual clausola però era, tra l’altro, facilmente e sistematicamente elusa.[26]

Si creò il fenomeno della caccia ai reperti e del loro traffico e vendita incontrollati.

Nel 1885 Luigi Viola sposa Caterina Cacace, figlia del latifondista Carlo Cacace, il quale si ritrovava nella stessa posizione di molti altri uomini del suo status: i ricchi latifondisti dell’epoca e della zona erano tacciati di speculare sui reperti ritrovati nei numerosi suoli che possedevano. Di più, il Viola inizia a collaborare con il suocero in questo genere di attività.[27]

Difatti, Luigi Viola iniziò a subire diverse critiche all’epoca, per i suddetti motivi e perchè improvvisamente dedito più alla politica che alla professione (nel 1889 divenne anche Sindaco), ma soprattutto, per quel che ci riguarda, perchè era accusato di disattenzioni nel suo operato di archeologo: testualmente, Fedele, Alessio e Del Monaco riportano che

gli veniva infatti rimproverato non solo di non dare più notizie al mondo scientifico delle notevoli scoperte di cui era fortunato spettatore, ma anche di non documentare in maniera sufficiente gli scavi fatti, dei quali non registrava l’ubicazione, non traeva disegni dei monumenti, non teneva separati i materiali”.[28]

Questo periodo particolare e discusso del Viola coincide con la sua visita a Sava, che, come riportato dal D’Elia, risale al 1889. E’ esattamente il periodo delle “distrazioni” del professionista e della sua elusione dalla rendicontazione di osservazioni e scoperte.

A seguito di questi motivi e delle critiche e accuse subite, pare, nel 1891 il Viola viene trasferito a Napoli, ma nel frattempo il rapporto con il Ministero si inasprisce sempre di più e nel 1895 rassegna le sue dimissioni. Da questo momento diviene un dichiarato e accanito antagonista del Museo, e addirittura si dedica apertamente e ancor più intensamente, a quanto riportato, al commercio di reperti archeologici per conto del suocero e di altri privati:

Da quel momento Viola divenne un accanito antagonista del Museo, collaborando con il suocero in attività poco chiare di reperimento e di commercio di oggetti archeologici e svolgendo inoltre il ruolo di consulente di privati in contrattazioni di vendita con il Museo, nell’interesse dei quali, e per proprio tornaconto, giocava sempre al rialzo delle valutazioni”.[29]

A questo punto è chiaro il motivo per il quale pur avendo dichiarato Il Viola nella sua visita a Sava insieme al D’Elia di aver visto cose interessanti “ di origine remotissima qual solamente vide a Sparta e Messene”, non vi fu un seguito a livello di trasparenza, documentazione e ricerca archeologica ufficiale in merito a quanto osservato. E forse, a seguito di ciò si spiega anche il motivo per il quale il manoscritto del D’Elia non fu mai dato alle stampe. Il D’Elia era un autore particolarmente prolifico e proprio in quel 1889 edita difatti ben due opere per i tipi della Parodi di Taranto e Lazzaretti di Lecce, e a distanza di soli 2 anni ne edita altre tre sempre per Parodi.[30] Qualcosa o qualcuno dunque dovette indurre l’erudito a desistere dal completare e pubblicare “Sava e il suo feudo”: l’impossibilità di provare gran parte dei contenuti dello scritto, o una qualche pressione a non divulgare più di tanto?

Sta di fatto che di sicuro il Viola non compie disinteressatamente la sua visita a Sava, proprio negli anni del suo maggiore invischiamento in operazioni di ricerca non istituzionale, e sta di fatto che della visita e delle scoperte fatte in Sava da parte del Viola non viene fatta menzione alcuna in articoli, riviste, documenti. Questo riserbo certamente non è da imputare al caso, quanto alla coerenza con quell’atteggiamento di commerciante di oggetti archeologici e di consulente di privati.

Nel 1895 il Museo di Taranto è diretto dal prestigioso archeologo Paolo Orsi, il quale in una relazione dell’anno successivo pubblicata in “Notizie degli Scavi di Antichità” lancia un feroce j’accuse al Viola scrivendo:

“…E’ stata una vera jattura per l’archeologia in genere, e specialmente per la topografia tarentina, che delle frequentissime scoperte dell’ultimo ventennio non siasi tenuto un diario minuzioso ed esatto…”[31]

 

Note

[1]
Gianfranco Mele, “Sava e il suo feudo”: il contributo di Achille D’Elia alla storia antica locale, La Voce di Maruggio, sito web, febbraio 2019 https://www.lavocedimaruggio.it/wp/sava-e-il-suo-feudo-il-contributo-di-achille-delia-alla-storia-antica-locale.html

[2]    Gaetano Pichierri, I confini orientali della taranto greco-romana, in: Omaggio a Sava, raccolta postuma di saggi a cura di Vincenza Musardo talò, Edizioni Del Grifo, 1994, pp. 251-256; si veda anche: Gianfranco Mele, Sulle tracce dell’antica Sallenzia: le ipotesi di Achille D’Elia e Gaetano pichierri concernenti l’agro di Sava, La Voce di Maruggio, sito web, marzo 2019, https://www.lavocedimaruggio.it/wp/sava-e-il-suo-feudo-il-contributo-di-achille-delia-alla-storia-antica-locale.html

[3]    Achille D’Elia, Sava e il suo feudo, Storia paesana, Mss. di f.3, 1889, citato e trascritto da Primaldo Coco in Cenni Storici di Sava, Stab. Tip. Giurdignano, LE, 1915 ( ristampa a cura di G.C.S., Marzo Editore, 1984), nota (1) pp. 58-60

[4]    Ibidem

[5]    Ibidem

[6]    Giacomo Arditi, La corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’ Otranto, 1879, pp. 548-549

[7]    Primaldo Coco, Cenni storici di Sava, Stab. Tipografico Giurdignano, Le, 1915 – ried. Marzo Editore, Manduria, 1984, nota a pag. 60

[8]
Primaldo Coco, op. cit., nota 1 a pag. 16. Laddove riferisce di “Aliano”, trattasi di contrada savese altrimenti detta Agliano, a pochi chilometi dal centro di Sava. Agliano fu anche fattoria romana e casale medievale.
[9]
Pasquale Del Prete, Il Castello federiciano di Uggiano Montefusco, Archivio Storico Pugliese,Bari, Società di Storia Patria per la Puglia a. XXVI, 1973, I-II, pp. 41-42; vedi anche Gianfranco Mele, Sava: “Li Castieddi” e i camminamenti sotterranei, La Voce di Maruggio, sito web, novembre 2018, https://www.lavocedimaruggio.it/wp/sava-li-castieddi-e-i-camminamenti-sotterranei.html

[10]
Per un riepilogo dei vari e numerosi scritti di Gaetano Pichierri in merito ai camminamenti sotterranei savesi e ai ritrovamenti effettuati nell’area, si veda: Gianfranco Mele, Sava-Castelli, la città sotterranea e la necropoli. Documenti, tracce e testimonianze di un antico centro abitato precedente la Sava del XV secolo, Terre del Mesochorum, Storia, Archeologia e Tradizioni nell’ area ionico tarantina, sito web, luglio 2015, https://terredelmesochorum.wordpress.com/2015/07/19/sava-castelli-la-citta-sotterranea-e-la-necropoli-documenti-tracce-e-testimonianze-di-un-antico-centro-abitato-precedente-la-sava-del-xv-secolo/

[11]  Cesare Teofilato, Segnalazioni archeologiche pugliesi. Allianum, in Il Gazzettino – Eco di Foggia e della Provincia – Anno (24) 7- n. 38 , sabato, 21 settembre 1935 Anno XIII, pag. 2

[12]
Notiziario del portale Numismatico dello Stato – Ministero per i Beni e le Attività Culturali: “Contributi/Vetrine e Itinerari/Dossier n. 1, 2013, pag. 36: “… Sambon aveva potuto dare notizie di un ritrovamento di monete della Magna Grecia avvenuto a Sava nel 1856, fornendo l’elenco delle monete scoperte e disperse solo sulla base di una notizia ricevuta “par un tèmoin oculaire” ed entrando peraltro solo in possesso di pezzi scelti”.
[13]
Arthur Sambon, Recherches sur les anciennes monnaies de l’ Italie meridionale, Neaples, Cataneo, 1863, pag. 11

[14]
Arthur Evans , The Horsemen of Tarentum – a contribution towards the numismatic history of Great Greece, London, 1889, pag. 2, nota 4

[15]
Attilio Stazio, Per una storia della monetazione dell’antica Puglia, in Archivio Storico Pugliese, 28, 1972, pag. 42

[16]
Ibidem

[17]
Per brevità qui riporto due miei articoli, nei quali sono citati tutti gli altri studi compiuti sul sito di Agliano: Gianfranco Mele, Agliano al confine tra Magna Grecia e Messapia. Un sito ancora da indagare, in: Cultura Salentina, Rivista di pensiero e cultura meridionale, sito web, ottobre 2014, https://culturasalentina.wordpress.com/2014/10/15/agliano-al-confine-tra-magna-grecia-e-messapia-un-sito-ancora-da-indagare/ ; Gianfranco Mele, Allianum cittadella messapica, avamposto di Sava e Manduria, Fondazione Terra D’Otranto, sito web, settembre 2016, https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/09/30/allianum-cittadella-messapica-avamposto-sava-manduria/

[18]  Gianfranco Mele, Pasano e dintorni: aspetti storico-archeologici, La Voce di Maruggio, sito web, marzo 2019 https://www.lavocedimaruggio.it/wp/pasano-e-dintorni-aspetti-storico-archeologici.html ;

Gianfranco Mele, Sava: tombe e rinvenimenti in Pasano e contrade limitrofe, La Voce di maruggio, sito web, maggio 2020, https://www.lavocedimaruggio.it/wp/sava-tombe-e-rinvenimenti-in-pasano-e-contrade-limitrofe-camarda-grava-ecc.html

[19]  Paride Tarentini, Torricella. Itinerari storico-archeologici a sud-est di taranto, Museo Civico di Lizzano,Quattrocolori studio grafico, luglio 2018, pp. 14-28

[20]  Francesco Ribezzo, Nuove Ricerche per il Corpus Inscriptionum Messapicarum, Roma, 1944, pag. 105

[21]  Cesare Teofilato, op. cit.

[22]  Gianfranco Mele, Per una ricostruzione della storia della masseria Tima in agro di Sava e luoghi circostanti, La Voce di Maruggio, sito web, maggio 2020, https://www.lavocedimaruggio.it/wp/per-una-ricostruzione-della-storia-della-masseria-tima-in-agro-di-sava-e-luoghi-circostanti.html

[23]  Gianfranco Mele, Antichi insediamenti in contrada Petrose, in agro di Sava, La Voce di Maruggio, sito web, febbraio 2019, https://www.lavocedimaruggio.it/wp/antichi-insediamenti-in-contrada-petrose-in-agro-di-sava-di-gianfranco-mele.html

[24]  Biagio Fedele, Arcangelo Alessio, Orazio Del Monaco, Archeologia, civiltà e culture nell’area ionico-tarantina, Banca Popolare Jonica, Grottaglie, 1992, pag. 307 e nota (2) a pag. 326

[25]  Biagio Fedele, Arcangelo Alessio, Orazio Del Monaco, op. cit., pp. 307-308

[26]  Biagio Fedele, Arcangelo Alessio, Orazio Del Monaco, op. cit.,pp.309-310

[27]  Ibidem (pag. 310)

[28]  Ibidem

[29]  Ibidem

[30]  Gianfranco Mele, “Sava e il suo feudo”: il contributo di Achille D’Elia alla storia antica locale, op. cit.

[31]  Paolo Orsi, Relazione sopra alcune recenti scoperte nel Borgo Nuovo, Notizie degli Scavi di Antichità, 1896, pag. 107.

Leuca luogo dell’anima e del ritorno. Leuca come le colonne d’Ercole

di Antonietta Fulvio

“E tornerà

 il bianco per un attimo a brillare

 della calce, regina arsa e concreta

in questi umili luoghi dove termini, Italia, in poca rissa

 d’acque ai piedi d’un faro.

 È qui che i salentini dopo morti

 fanno ritorno col cappello in

testa”

(Finibusterrae, V. Bodini)

Il luogo dell’anima e del ritorno. Così descriveva Leuca il poeta Vittorio Bodini nella sua “Finibusterrae”. Dal greco leucos, che è bianco ma anche fantasmagorica visione, riprendendo una nota leggenda, secondo la quale se non ci si reca a Leuca da vivi, bisognerà tornarci da morti, prima di salire in cielo. Passaggio verso l’infinito. Una sorta di porta per il Paradiso.

E non può definirsi che paradisiaca la visione dell’alba a Leuca con il sole che si leva dall’Adriatico, così al tramonto quando il disco solare si inabissa lentamente nelle acque dello Jonio.

Qui dove la terrà è sospesa tra il cielo e l’antico Mare nostrum, verso il quale si protende questo lembo d’Italia, il panorama toglie il respiro, azzera il pensiero ed entra per sempre negli occhi…

Leuca è luce, la luce abbagliante che sembra aver ispiratola Metafisica a Giorgio De Chirico, è terra, pietra che corre verso il mare frastagliandosi in mille insenature che da millenni si lasciano scalfire dalle acque facendosi porto per naufraghi e pellegrini.

Ci sono luoghi che entrano dentro. Nell’anima. Che fanno vibrare il cuore come le corde di uno Stradivari e la musica è l’incantevole preludio di un sogno. Un sogno bianco come le scogliere di Leuca, della sua Marina tempestata di grotte misteriose e di atavici approdi.

Qui trovò riparo Enea, scrisse il poeta Virgilio, nel terzo libro dell’Eneide: “Dalla marina d’Oriente un seno/ curvasi in arco, e contro ai massi opposti / delle rupi, le salse onde spumose/ s’infrangono. Celato ad ogni vista/ si spazia il porto interior; di cui/ dall’un fianco e dall’altro un doppio muro/ si protende di scogli, e dentro terra/

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