Alla ricerca dell’ anagrafe dei fichi del Salento

Investigazione sulla collezione Guglielmi

“Fichi del leccese” (Ficus carica L.)

 

di Antonio Bruno

fichi

Il fico era molto importante nel Salento leccese tanto che il segretario perpetuo della Società economica di Terra d’Otranto, signor Gaetano Stella, nel suo rapporto letto nella adunanza generale del 30 maggio dell’anno 1841 afferma: “ ….L’industria dei fichi secchi nella Provincia di Lecce è molto diffusa, ed è oggetto di esteso commercio, cosicché somma è la cura che dell’albero di fico bisogna avere. Laonde di molta utilità è stata una memoria dello stesso signor segretario perpetuo tendente a dimostrare, non esser necessaria la caprificazione, come volgarmente credesi, per molte varietà di fichi, imperocchè coloro i quali vorranno seguire i suoi precetti, conformi a quelli dei migliori agronomi di tutta Europa, otterranno non solamente risparmio di spese e fatica, ma innestando anche a fichi gentili il gran numero di caprifichi che il pregiudizio conserva, si verrebbe di molto a crescere la raccolta di questo frutto.

Che curiosità! A quale pratica si riferisce il segretario perpetuo della Società economica di Terra d’Otranto, signor Gaetano Stella?

Mi viene in soccorso il Rendiconto della adunanze e de’ lavori della Reale Accademia delle Scienze di Napoli di quatto anni dopo ovvero del 1845. In queste adunanze Vincenzo Semmola a proposito della maturazione del fico cita Teofrasto e Plinio i quali scrissero: “i fichi piantati accosto le vie non aver bisogno di caprificazione” E a questo proposito cita “la pratica tenuta da que’ di Lecce che spargono a bel proposito sopra i fichi immaturi la polvere delle strade ove sia passata la processione del Corpus Domini”.

Insomma la mia curiosità ha avuto soddisfazione perché la mia ricerca ha trovato dei documenti che contenevano una risposta.

Ma sempre a proposito di fichi ho una curiosità che non ha trovato soddisfazione perché rimasta senza risposta; riguarda la citazione da parte del prof. Giacinto Donno, degli studi di Giuseppe Guglielmi. Donno riferisce che il Guglielmi ha studiato il fico nel leccese e riporta i dati di produzione, che si presume facciano parte di una pubblicazione curata dallo stesso Guglielmi, e che riporto qui di seguito

 Produzione in Kg per ogni albero

Varietà           Produzioni annuali     5anni Kg      20 anni Kg     da 20 anni in poi Kg

Fico Nero     due per ogni albero       8                        50                      100

Fico Pazzo     una per ogni albero       9                        55                    75 – 80

Fico ottato     una per ogni albero       8                        45                       80

Fico peloso    una per ogni albero      10                      40                        80

 

Ho cercato nella Biblioteca Provinciale la pubblicazione succitata senza successo. Ma soprattutto ho cercato di sapere chi sia Giuseppe Guglielmi, perché avesse intrapreso lo studio del Fico nel leccese ma non ho trovato davvero nulla e, nessuno dei colleghi che ho interpellato ne ha mai sentito parlare, anche se una parziale risposta viene da un brano del prof. Donno riportato in un’altra pubblicazione. Il prof Donno a proposito di Giuseppe Guglielmi scrive: “Il Guglielmi, che si prefigge lo studio della coltivazione industriale (del fico n.d.r) del leccese, trascura di mettere in evidenza il biferismo delle varietà studiate”.

La parola biferismo deriva da bìfero che a sua volta deriva dal latino Biferum che è composto  dalla parola bis (due volte)  e dalla parola fèr-re (portare) . Dicesi di pianta che produce il frutto due volte l’anno come nel caso di alcune varietà di fico che oltre  alla produzione dei fichi ha anche quella dei fioroni.

Sempre continuando nella lettura delle note del prof. Donno in esse si trova scritto che Giuseppe Guglielmi ha studiato il Fico Fracazzano Bianco, il Fico Nero, il Fico Ottato, il Fico Albanega, il Fico Borsamele, il fico Coppa, il Fico dell’Abate e il Fico Fara. Ma lo stesso Donno non riporta gli studi del Guglielmi sul fico pazzo e sulla varietà fico peloso.

Ho fatto una ricerca e leggendo la pubblicazione Herbarium Porticense (Erbario della Facoltà di Portici Real Scuola Superiore di Agricoltura) redatta da Antonino De Natale, ho appreso che solo una parte della collezione Guglielmi, denominata Fichi del leccese e datata 1908, è a Portici, mi chiedo chi abbia la parte mancante, inoltre nella pubblicazione curata dalla facoltà di Agraria dell’università di Napoli si legge:

Della collezione di Giuseppe Guglielmi non si possiedono indicazioni, né riguardo alla data di acquisizione da parte della Regia Scuola di Agricoltura di Portici, né sull’autore delle erborizzazioni.

La collezione Guglielmi dovrebbe risalire agli inizi del 1900, a quel periodo risalgono anche altri studi condotti dai botanici di estrazione agronomica della Regia Scuola di Agricoltura, come lo studio sulla storia, la filogenesi e la sistematica delle razze del Fagiolo comune di Orazio Comes, i cotoni di Angelo Aliotta, le razze di olivo coltivate nel meridione d’Italia di Mario Marinucci, i fieni delle praterie naturali del Mezzogiorno d’Italia di Alfredo Pugliese, lo studio sul frumento e quello sulle varietà di mandorlo italiane di Vincenzo Barrese.

La collezione dei Fichi del leccese è sicuramente parte integrante di uno studio teso a definire le caratteristiche anatomiche delle varie cultivar di fico presenti nel territorio di Lecce. Per ogni campione, oltre all’essiccato, è riportato il disegno dei contorni di una foglia tipo e della sezione longitudinale del frutto con le relative misure, come ad esempio la larghezza massima della foglia e dei lobi fogliari. Il nome della pianta coltivata non segue le regole di nomenclatura scientifica, ma è espresso in italiano, come ad esempio Fico napoletano. D’altra parte in passato soprattutto per le piante coltivate, che non rappresentano delle entità specifiche, molto spesso si adoperava il nome italiano. Lo stesso Francesco Dehnhardt, capo-giardiniere del Real Orto Botanico di Napoli, direttore dei Reali Giardini di Capodimonte, della Villa Floridiana e del giardino botanico del Conte di Camaldoli al Vomero (Villa Ricciardi), nella stesura del catalogo delle piante che venivano coltivate nell’ Horti Camaldulensis riporta i nomi delle cultivar in italiano.

Orazio Comes annovera (1906) inoltre, tra le varie collezioni presenti nell’erbario, quella di Giuseppe Celi riguardante le varie cultivar di fichi coltivati nel meridione d’Italia. Attraverso un confronto tra i reperti della Collezione Guglielmi con il lavoro scientifico pubblicato dal Celi (1908) si è accertato che, il fascicolo custodito nell’Erbario Comes, costituisce una parte dei campioni che Celi esaminò ed utilizzò per la stesura della suddetta pubblicazione scientifica. La collezione Guglielmi è, quindi, l’unica porzione superstite dei reperti appartenenti alla ben più grande collezione delle razze dei fichi che si coltivavano nell’Italia meridionale.”

So che ci sono tanti scienziati che leggono le mie note e a cui chiedo umilmente di illuminarmi, lo faccio perché in questo modo la mia curiosità avrà finalmente soddisfazione. Se la mia curiosità è destinata a rimanere insoddisfatta è perché, così come l’autore Antonio De Natale, anche gli scienziati del Salento leccese e della Facoltà di Agraria di Bari non possiedono indicazioni, né riguardo alla Collezione Guglielmi delle Razze di fico del leccese visionabile presso la facoltà di Agraria di Portici, né sullo stesso Giuseppe Guglielmi autore delle erborizzazioni.

In quest’ultimo caso mi auguro che, l’aver messo nero su bianco le risultanze delle mie ricerche su Giuseppe Guglielmi, sia un incitamento agli studiosi per “andare a cercare laddove io non saprei dove andare a cercare” al fine di ottenere le risposte a tutte queste domande che sono sparse in questo mio scritto che definirei “investigativo”.

Ma come dicono i miei amici avvocati vi è di più. Ricordo a me stesso che la giunta regionale pugliese, su proposta dell’allora Assessore alle risorse agroalimentari, Dario Stefano, ha approvato  il disegno di legge “Tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario, forestale e zootecnico” che potrebbe dare agli scienziati dell’Università del Salento le risorse finanziarie necessarie per poter trovare e studiare la Collezione delle varietà di Fichi del Leccese fatta da Giuseppe Guglielmi nel 1908.

La riscoperta dell’ anagrafe dei fichi del Salento leccese fatta da Giuseppe Guglielmi costituirà un baluardo importante contro la progressiva erosione della biodiversità del fico e sarà uno strumento fondamentale per la ricostituzione di boschi di fico delle varietà autoctone del Salento leccese!

Sarebbe interessante il confronto tra la collezione Guglielmi e il lavoro svolto dall’Orto Botanico dell’Università del Salento che ha individuato 100 (cento) cultivar di Fico (Ficus carica L.).

A questo proposito ho un’altra curiosità che spero di soddisfare presto, che è quella di visionare il documentario “La via delle fiche” a cura di Carlo Cascione e Francesco Minonne, dove il termine fiche rinvia alla variante dialettale che il prelibato frutto del “fico” assume nella parlata salentina. Il film è la storia di un viaggio in bicicletta attraverso il Salento che parte da Casarano alla scoperta delle numerose varietà di fico presenti sul territorio. Ce n’è lavoro da fare, vero? E allora che aspettiamo? Rimbocchiamoci le maniche e ….cominciamo!

 

Bibliografia

Annali Civili del Regno delle Due Sicilie Fascicolo XLIX Gennaio e Febbraio 1841

Rendiconto della adunanze e de’ lavori della Reale accademia delle scienze di Napoli numero 24 del 1845

Giacinto Donno, Il Fico nel Salento

Giacinto Donno, Alcune varietà bifere di fico coltivate in Provincia di Lecce

Giacinto Donno, Alcune varietà unifere di fico coltivate in Provincia di Lecce

Antonino De Natale, I musei delle scienze agrarie – Herbarium Porticense (Erbario della Facoltà di Portici Real Scuola Superiore di Agricoltura)

Rita Accogli, Un Orto Botanico a Lecce per la difesa della biodiversità del Salento – Il Bollettino n. 9; 2 febbraio 2009

Alberto Nutricati,Tanti giovani filmano «la via delle fiche, Gazzetta del Mezzogiorno del 8/09/2009.

Il destino del carrubo

di Antonio Bruno

Sono davvero tanti i proprietari di terra che vanno in giro alla ricerca della pianta dei loro sogni, la vogliono nuova, esotica, bella, una pianta che possa in alcuni casi rimboschire i terreni nudi.
Io consiglio il carrubo, pensate che ce ne sono addirittura nella piazza del mio paese avendo preso il posto delle precedenti, onnipresenti, Palme oggi bersagliate dalla causa della depressione cronica da insuccesso del Dottore Agronomo: un rosso insetto africano di nome punteruolo. Lo si utilizza per la sua resistenza elevata alla siccità, la resistenza all’inquinamento atmosferico dei centri urbani ed alla resistenza alle principali avversità patologiche.
La Ceratonia siliqua, ovvero il Carrubo, è un albero della famiglia delle Fabaceae, originario del bacino meridionale del Mediterraneo.
Naturalmente per coltivare una pianta ci sono da superare sempre delle difficoltà che nel caso del carrubo sono rappresentate dalla crisi di trapianto e dall’improduttività.
Nel carrubeto oltre alla pianta con fiori femminili ci devono esser anche un sufficiente numero di piante a fiori maschili per consentire la fecondazione.

Il Carrubo annovera diverse varietà di cui si è persa conoscenza e si è assistito al progressivo abbandono della coltura e di tutte le varietà un tempo diffuse. Il carrubo è presente nella saggezza, dalle favole della nonna con le misteriose regole della natura stigmatizzate attraverso arcani enigmi: quale il destino del carrubo «di avere il frutto successivo quando non sarà ancora maturo quello dell’anno precedente».
Giacinto Donno è uno degli ultimi autori ad aver censito e descritto la biodiversità delle specie frutticole tradizionali del Salento. I suoi principali lavori, sul carrubo sono relativi agli anni ’50-’70.
In un bel lavoro dei colleghi Dottori Agronomi della Sicilia per ogni varietà descritta sono stati valutati caratteri della pianta, delle foglie, dei fiori e dei frutti e in questi oltre alla determinazione di alcuni parametri morfologici del baccello è stata effettuata l’analisi qualitativa.

Tutto ritorna, anche i soprannomi. Quando mi dissero che un mio compagno di classe si chiamava “mangia cornule” non capivo cosa fossero queste benedette “cornule“. Fu durante un avventura che mi vide a cavallo della Bianchi di mio padre, io ai pedali e sul manubrio l’inseparabile compagno di giochi Sandro con il quale, senza avvisare, scorrazzavo per campagne alla ricerca della sorpresa, della meraviglia, che nei pressi del cimitero del mio paesello San Cesario di Lecce, subito dopo il passaggio a livello che in questi giorni fa discutere di se, vidi per la prima volta questo cibo di cui si nutriva il mio compagno di classe e che era appunto la carruba. Le carrube erano ben attaccate all’albero che le produce che come tutti sappiamo si chiama Carrubo.

Gli studiosi hanno accertato che l’ultimo periodo glaciale ha eliminato la maggior parte della flora originaria dell’Europa centro-settentrionale, mentre meno è stata avvertita l’influenza negativa nell’area mediterranea meno fredda lungo la fascia costiera, per cui sopravvivono indenni molte specie di antichissima origine, come per esempio il carrubo usato dall’uomo in tutti gli stadi della civiltà.
Sono davvero tanti i proprietari di terra che vanno in giro alla ricerca della pianta dei loro sogni, la vogliono nuova, esotica, bella, una pianta che possa in alcuni casi rimboschire i terreni nudi.

Ho sentito parlare di castagno, ma non è adatto alla nostra provincia sia perché, come sanno quelli che a ottobre vanno in gita per la castagnata, i boschi di castagno stanno nei climi montani, che sono più freddi del nostro Salento leccese e sia perché il castagno non cresce bene nei terreni calcarei che, invece, sono prevalenti nel nostro territorio. A proposito di castagnata, quest’anno la scuola di mia figlia ne ha organizzata una in località San Severino, eravamo tutti entusiasti ma all’arrivo di castagni e di castagneti nemmeno l’ombra. Poi ci hanno detto una mattina che ci avrebbero portato in un castagneto.
Io e la mia piccola Sara, ci siamo diretti verso il sentiero che si inerpicava verso quote più alte e abbiamo preso atto della presenza di una manto di ricci di castagne presenti sotto gli alberi, solo che mia figlia insieme a me e alle tante mamme, papà e cuccioli di uomo presenti, ha dovuto constatare che erano tutti vuoti. Indomiti abbiamo cercato anche tra i ricci vuoti e dopo due ore di ricerca abbiamo portato a casa un bottino di 5 castagne piccole e grinzose, immangiabili perché aggredite dalle muffe, ma abbiamo avuto la soddisfazione di aver fatto anche noi la castagnata.

Ci sono tante piante che nel nostri Salento leccese sono rare, e questo fatto le rende preziose agli occhi di chi vorrebbe averle nel suo fondo o nella sua azienda, ma costoro dovrebbero riflettere che tale rarità è frutto della mancanza delle condizioni più propizie per il loro sviluppo. Sono rari gli eschimesi nel polo nord, sono rari gli igloo in quella terra piena di ghiaccio, perché le condizioni di vita per una persona umana al polo nord non sono molto propizie alla crescita demografica. Ecco risolto il problema di chi non vuole avere molti figli, basta trasferirsi al polo nord e tutto è risolto!

Il carrubo è a foglie sempre verdi, vegeta vigorosamente nei terreni rocciosi, è anche una ottima pianta da frutto il cui prodotto che aveva fatto soprannominare il mio compagno di classe è assolutamente non trascurabile. La Ceratonia siliqua, ovvero il Carrubo, è un albero della famiglia delle Fabaceae, originario del bacino meridionale del Mediterraneo. La pianta di Carrube è tipica della macchia mediterranea a clima temperato, la troviamo coltivata in Grecia, Spagna ed Italia. Ha una crescita piuttosto lenta e può arrivare fino a 500 anni di vita. Non ama l’acqua tanto che in Piccolo Mondo antico si può leggere “Uno di questi giorni mi udì sgridar la Veronica perché ha la cattiva abitudine di buttar dalla cucina l’acqua sporca sul carrubo che n’è intristito“.
Naturalmente per coltivare una pianta ci sono da superare sempre delle difficoltà che nel caso del carrubo sono rappresentate dalla crisi di trapianto e dall’improduttività.
Ma tutto è possibile superare! Infatti seminando il carrubo sul posto si evita di trapiantarlo. Il carrubo si riprende difficilmente dal trapianto perché è una pianta fittonante che predilige luoghi asciutti e quindi è necessario rispettare quanto più è possibile il fittone.
Il mezzo migliore per impiantare carrubeti è la semina in piccoli vasi nei quali si allevano le piantine per due anni e poi si trapiantano con il pane di terra intero.
Nell’ambito di un progetto per la valorizzazione di specie mediterranee sono state selezionate delle piante con portamento particolarmente adatto alla collocazione urbana ed è stato studiato un sistema per la loro moltiplicazione in vitro. Recentemente da D’Adamio et al. (2007) è stato definito un protocollo per la germinazione in vitro ad alta efficienza.
Nel carrubeto oltre alla pianta con fiori femminili ci devono esser anche un sufficiente numero di piante a fiori maschili per consentire la fecondazione.

I semi di carrubo sono di grandezza e peso costanti e uniforme per cui nell’ antico passato essi venivano usati come unità di misura di peso per le pietre preziose: il termine “carato”, usato in gioielleria, deriva dalla parola greca keràtion che appunto significa baccello di carrubo.
Il Carrubo annovera diverse varietà di cui si è persa conoscenza e si è assistito al progressivo abbandono della coltura e di tutte le varietà un tempo diffuse. Le carrube sono specialità coltivate soprattutto in Sicilia, sono una valida risorsa per i celiaci, poiché prive di glutine. Possono essere utilizzate in cucina in sostituzione della cioccolata.
Il carrubo è presente nella saggezza, dalle favole della nonna con le misteriose regole della natura stigmatizzate attraverso arcani enigmi: quale il destino del carrubo «di avere il frutto successivo quando non sarà ancora maturo quello dell’anno precedente».
Giacinto Dorino è uno degli ultimi autori ad aver censito e descritto la biodiversità delle specie frutticole tradizionali del Salento. I suoi principali lavori, sul carrubo sono relativi agli anni ’50-’70.
In Sicilia si è svolta un indagine al fine di conoscere e valutare la piattaforma varietale del Carrubo. Si sono descritte trentacinque varietà: trentatré a fiore femminile e due a fiore ermafrodita. In questo bel lavoro per ogni varietà descritta sono stati valutati caratteri della pianta, delle foglie, dei fiori e dei frutti e in questi oltre alla determinazione di alcuni parametri morfologici del baccello è stata effettuata l’analisi qualitativa. Io ho avuto come presidente della Commissione del mio esame di Stato il Prof. Giacinto Donno, adesso che ci penso devo ammettere che da allora è passato davvero tanto tempo, e va bene!
Andiamo avanti, scrivevo del Prof. Donno che ha lavorato nel Salento leccese e per esso pur essendo professore di Coltivazioni Arboree alla Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Bari. Il nostro bel Salento leccese ha tanti suoi figli e colleghi Dottori Agronomi che che oggi fanno parte dei Saperi della Facoltà di Agraria di Bari e che sono nati e cresciuti nel Salento leccese li invito a imitare il Prof. Donno che mai sospese di scrivere e studiare la nostra terra, perché è qui che sono le nostre radici, è qui che si è formata la nostra passione per l’ambiente che è territorio rurale, ed è qui che, con ogni probabilità, quando la nostra vita avrà svolto tutto il suo cammino, giaceranno i nostri resti.
Ecco perché tutti noi Medici della terra, in qualunque attività siamo impegnati e in qualunque posto siamo stati chiamati a dare il nostro contributo non dobbiamo mai smettere di valorizzare, conservare e difendere il nostro territorio rurale: l’ambiente del Salento leccese.

Bibliografia
Agricoltura salentina del 1904.
Francesco Minonne: I nomi e le piante: per una storia delle varietà agrarie del Salento.
Marzi V. – Tedone L.: Fattori climatici e socio-economici nell’evoluzione del paesaggio agrario e forestale in ambiente mediterraneo.

Piero Manni: Il Carrubo.
Antonio Fogazzaro: Piccolo mondo antico.
D’Adamio E., Cassetti A.,Mascarello C.,Zizzo GV e Buffoni B.: Propagazione in vitro del carrubo per la produzione di genotipi selezionali per l’arredo urbano.
Maria De Felice Mastelloni: Andamento Dell’Accrescimento Del Legno in Ceratonia Siliqua L.
Crescimanno F.G., De Michele A. , Di Lorenzo R., Occorso G. , Raimondo A.: Aspetti morfologici e carpologici di cultivar di Carrubo (Ceratonia Siliqua L.).
Francesco Minonne: Il Carrubo Dalla bilancia dei diamanti alla morsa dell’abbandono.
G. Russo, P. Uggenti, G.B. Polignano: Osmotic priming in ecotypes of Ceratonia Siliqua L. Seeds to increase germination rate and seedling uniformity.
Mario Baraldi: NUTRACEUTICI. LA PREVENZIONE E LA TERAPIA. Prodotti naturali per la nutrizione
.

Carburante dai frantoi oleari?

Da Giacinto Donno,  magister del passato, una lezione per il futuro!

 

di Antonio Bruno
 

Il patrimonio olivicolo italiano è stimato in 150 milioni di piante distribuite su una superficie di più di 1 Milione di ettari. La Puglia vanta il più alto numero di aziende olivicole, infatti sono più di 267mila. Dagli sforzi, dalla creatività e dai sacrifici di queste donne e uomini vengono fuori più di 222mila tonnellate di olio, quasi una tonnellata in media ad azienda, che rappresenta il 37% della produzione Nazionale di olio d’oliva. Le percentuali  sono il risultato di una media basata su dati ISTAT e ISMEA relative alle campagne olearie dal 2002 al 2008.
Per fare quest’olio ci vuole l’acqua che dopo essere stata a contatto o dentro le olive, diviene “Le acque di vegetazione dei frantoi oleari” che costituiscono da sempre un problema ambientale importante per le industrie molitorie, che in Italia raggiungono le 6.000 unità e rappresentano un problema per la nostra Regione perché più della metà delle acque di vegetazione dei frantoi oleari sono concentrate in Puglia.

Partecipo a tanti convegni in cui Imprenditori Agricoli Professionali si accaniscono in un piagnisteo e in lamentazioni struggenti e passionali in cui si dichiarano vittime delle norme assurde che riguardano le acque di vegetazione divenute un problema che, a loro dire, prima non esisteva, e

A proposito di alcune varietà di fico coltivate in provincia di Lecce

Investigazione sulla collezione Guglielmi “Fichi del leccese” (Ficus carica L.)

 
di Antonio Bruno


Il fico era molto importante nel Salento leccese tanto che il segretario perpetuo della Società economica di terra d’Otranto, signor Gaetano Stella, nel suo rapporto letto nella adunanza generale del 30 maggio dell’anno 1841 afferma “ ….L’industria dei fichi secchi nella Provincia di Lecce è molto diffusa, ed è oggetto di esteso commercio, cosicché somma è la cura che dell’albero di fico bisogna avere. Laonde di molta utilità è stata una memoria dello stesso signor segretario perpetuo tendente a dimostrare, non esser necessaria la caprificazione, come volgarmente credesi, per molte varietà di fichi, imperocchè coloro i quali vorranno seguire i suoi precetti, conformi a quelli dei migliori agronomi di tutta Europa, otterranno non solamente risparmio di spese e fatica, ma innestando anche a fichi gentili il gran numero di caprifichi che il pregiudizio conserva, si verrebbe di molto a crescere la raccolta di questo frutto.”

 

 

Che curiosità! A quale pratica si riferisce il segretario perpetuo della Società economica di terra d’Otranto, signor Gaetano Stella?
Mi viene in soccorso il Rendiconto della adunanze e de’ lavori della Reale Accademia delle Scienze di Napoli di quatto anni dopo ovvero del 1845. In queste adunanze Vincenzo Semmola a proposito della maturazione del fico cita Teofrasto e Plinio i quali scrissero: “i fichi piantati accosto le vie non aver bisogno di caprificazione” E a questo proposito cita “la pratica tenuta da que’ di Lecce che spargono a bel proposito sopra i fichi immaturi la polvere delle strade ove sia passata la processione del Corpus Domini”.
Insomma la mia curiosità ha avuto soddisfazione perché la mia ricerca ha trovato dei documenti che contenevano una risposta.
Ma sempre a proposito di fichi ho una curiosità che non ha trovato soddisfazione perché rimasta senza risposta; riguarda la citazione da parte del prof. Giacinto Donno, degli studi di Giuseppe Guglielmi.

Donno riferisce che il Guglielmi ha studiato il fico nel leccese e riporta i dati di produzione, che si presume facciano parte di una pubblicazione curata dallo stesso Guglielmi, e che riporto qui di seguito

Varietà      Produzioni annuali     5anni Kg     20 anni Kg     da 20 anni in poi Kg
Fico Nero  due per ogni albero       8                     50                         100
Fico Pazzo  una per ogni albero      9                     55                          75   80
Fico ottato una per ogni albero      8                     45                           80
Fico peloso  una per ogni albero    10                   40                          80

Ho cercato nella Biblioteca Provinciale la pubblicazione succitata senza successo. Per caso sei in possesso di questa pubblicazione? Ehi, dico proprio a te, mi basta sapere se l’hai letta e dove l’hai letta! Se la tua risposta è si, allora chiamami, perché sono curioso di leggerla! Ma soprattutto ho cercato di sapere chi sia Giuseppe Guglielmi, perché avesse intrapreso lo studio del Fico nel leccese ma non ho trovato davvero nulla e, nessuno dei colleghi che ho interpellato ne ha mai sentito parlare, anche se una parziale risposta viene da un brano del prof. Donno riportato in un’altra pubblicazione.

Il prof Donno a proposito di Giuseppe Guglielmi scrive: “Il Guglielmi, che si prefigge lo studio della coltivazione industriale (del fico n.d.r) del leccese, trascura di mettere in evidenza il biferismo delle varietà studiate”.
La parola biferismo deriva da bìfero che a sua volta deriva dal latino Biferum che è composto  dalla parola bis (due volte)  e dalla parola fèr-re (portare) . Dicesi di pianta che produce il frutto due volte l’anno come nel caso di alcune varietà di fico che oltre  alla produzione dei fichi ha anche quella dei fioroni.
Sempre continuando nella lettura delle note del prof. Donno in esse si trova scritto che Giuseppe Guglielmi ha studiato il Fico Fracazzano Bianco, il Fico Nero, il Fico Ottato, il Fico Albanega, il Fico Borsamele, il fico Coppa, il Fico dell’Abate e il Fico Fara. Ma lo stesso Donno non riporta gli studi del Guglielmi sul fico pazzo e sulla varietà fico peloso.
Ho fatto una ricerca e leggendo la pubblicazione Herbarium Porticense (Erbario della Facoltà di Portici Real Scuola Superiore di Agricoltura) redatta da Antonino De Natale, ho appreso che solo una parte della collezione Guglielmi, denominata Fichi del leccese e datata 1908, è a Portici, mi chiedo chi abbia la parte mancante, inoltre nella pubblicazione curata dalla facoltà di Agraria dell’università di Napoli si legge:
“Della collezione di Giuseppe Guglielmi non si possiedono indicazioni, né riguardo alla data di acquisizione da parte della Regia Scuola di Agricoltura di Portici, né sull’autore delle erborizzazioni.
La collezione Guglielmi dovrebbe risalire agli inizi del 1900, a quel periodo risalgono anche altri studi condotti dai botanici di estrazione agronomica della Regia Scuola di Agricoltura, come lo studio sulla storia, la filogenesi e la sistematica delle razze del Fagiolo comune di Orazio Comes, i cotoni di Angelo Aliotta, le razze di olivo coltivate nel meridione d’Italia di Mario Marinucci, i fieni delle praterie naturali del Mezzogiorno d’Italia di Alfredo Pugliese, lo studio sul frumento e quello sulle varietà di mandorlo italiane di Vincenzo Barrese.
La collezione dei Fichi del leccese è sicuramente parte integrante di uno studio teso a definire le caratteristiche anatomiche delle varie cultivar di fico presenti nel territorio di Lecce. Per ogni campione, oltre all’essiccato, è riportato il disegno dei contorni di una foglia tipo e della sezione longitudinale del frutto con le relative misure, come ad esempio la larghezza massima della foglia e dei lobi fogliari. Il nome della pianta coltivata non segue le regole di nomenclatura scientifica, ma è espresso in italiano, come ad esempio Fico napoletano. D’altra parte in passato soprattutto per le piante coltivate, che non rappresentano delle entità specifiche, molto spesso si adoperava il nome italiano.

Lo stesso Francesco Dehnhardt, capo-giardiniere del Real Orto Botanico di Napoli, direttore dei Reali Giardini di Capodimonte, della Villa Floridiana e del giardino botanico del Conte di Camaldoli al Vomero (Villa Ricciardi), nella stesura del catalogo delle piante che venivano coltivate nell’ Horti Camaldulensis riporta i nomi delle cultivar in italiano.
Orazio Comes annovera (1906) inoltre, tra le varie collezioni presenti nell’erbario, quella di Giuseppe Celi riguardante le varie cultivar di fichi coltivati nel meridione d’Italia. Attraverso un confronto tra i reperti della Collezione Guglielmi con il lavoro scientifico pubblicato dal Celi (1908) si è accertato che, il fascicolo custodito nell’Erbario Comes, costituisce una parte dei campioni che Celi esaminò ed utilizzò per la stesura della suddetta pubblicazione scientifica.

La collezione Guglielmi è, quindi, l’unica porzione superstite dei reperti appartenenti alla ben più grande collezione delle razze dei fichi che si coltivavano nell’Italia meridionale.”

So che ci sono tanti scienziati che leggono le mie note e a cui chiedo umilmente di illuminarmi, lo faccio perché in questo modo la mia curiosità avrà finalmente soddisfazione. Se la mia curiosità è destinata a rimanere insoddisfatta è perché, così come l’autore Antonio De Natale, anche gli scienziati del Salento leccese e della Facoltà di Agraria di Bari non possiedono indicazioni, né riguardo alla Collezione Guglielmi delle Razze di fico del leccese visionabile presso la facoltà di Agraria di Portici, né sullo stesso Giuseppe Guglielmi autore delle erborizzazioni.

In quest’ultimo caso mi auguro che, l’aver messo nero su bianco le risultanze delle mie ricerche su Giuseppe Guglielmi, sia un incitamento agli studiosi per “andare a cercare laddove io non saprei dove andare a cercare” al fine di ottenere le risposte a tutte queste domande che sono sparse in questo mio scritto che definirei “investigativo”.
Ma come dicono i miei amici avvocati vi è di più. Ricordo a me stesso che la giunta regionale pugliese, su proposta dell’Assessore alle risorse agroalimentari, Dario Stefano, ha approvato  il disegno di legge “Tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario, forestale e zootecnico” che potrebbe dare agli scienziati dell’Università del Salento le risorse finanziarie necessarie per poter trovare e studiare la Collezione delle varietà di Fichi del Leccese fatta da Giuseppe Guglielmi nel 1908.

La riscoperta dell’ anagrafe dei fichi del Salento leccese fatta da Giuseppe Guglielmi costituirà un baluardo importante contro la progressiva erosione della biodiversità del fico e sarà uno strumento fondamentale per la ricostituzione di boschi di fico delle varietà autoctone del Salento leccese!

Sarebbe interessante il confronto tra la collezione Guglielmi e il lavoro svolto dall’Orto Botanico dell’Università del Salento che ha individuato 100 (cento) cultivar di Fico (Ficus carica L.). A questo proposito ho un’altra curiosità che spero di soddisfare presto, che è quella di visionare il documentario “La via delle fiche” a cura di Carlo Cascione e Francesco Minonne, dove il termine fiche rinvia alla variante dialettale che il prelibato frutto del “fico” assume nella parlata salentina. Il film è la storia di un viaggio in bicicletta attraverso il Salento che parte da Casarano alla scoperta delle numerose varietà di fico presenti sul territorio. Ce n’è lavoro da fare, vero? E allora che aspettiamo? Rimbocchiamoci le maniche e… cominciamo!

Bibliografia

Annali Civili del Regno delle Due Sicilie Fascicolo XLIX Gennaio e Febbraio 1841
Rendiconto della adunanze e de’lavori della Reale accademia delle scienze di Napoli numero 24 del 1845
Giacinto Donno, Il Fico nel Salento
Giacinto Donno, Alcune varietà bifere di fico coltivate in Provincia di Lecce
Giacinto Donno, Alcune varietà unifere di fico coltivate in Provincia di Lecce
Antonino De Natale, I musei delle scienze agrarie – Herbarium Porticense (Erbario della Facoltà di Portici Real Scuola Superiore di Agricoltura)
Rita Accogli, Un Orto Botanico a Lecce per la difesa della biodiversità del Salento – Il Bollettino n. 9; 2 febbraio 2009
Alberto Nutricati, Tanti giovani filmano «la via delle fiche» Gazzetta del Mezzogiorno del 8/09/2009.

 

Galline e frutta. Un binomio possibile

Le uova “biologiche”

nei frutteti del Salento leccese

di Antonio Bruno

Ogni anno sul territorio dell’Unione Europea vengono allevate oltre 400 milioni di galline ovaiole, circa il’68% delle quali sono rinchiuse nelle gabbie di batteria degli allevamenti intensivi. Nel 2008 la consistenza nazionale degli allevamenti avicoli di  galline ovaiole è stata di 58 milioni di capi. Negli allevamenti in batteria, ogni gallina ha a disposizione uno spazio di soli 550 cm2, di poco inferiore a quello di un foglio a A4, nel quale è impossibile per l’animale compiere movimenti naturali, stirarsi, aprire le ali o semplicemente girarsi nella gabbia senza difficoltà. In questa nota i suggerimenti del prof. Donno per l’impianto di frutteti nei parchetti esterni di allevamenti “biologici”di galline ovaiole al fine di conciliare l’esigenza di zone d’ombra con una produzione di frutta.

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