Bottino di una razzia di pirati turchi sulla costa di Felline nel Salento

di Luciano Antonazzo

È tristemente nota la ferocia e la crudeltà manifestate dai turchi durante le loro scorribande lungo le coste e nell’entroterra salentino per saccheggiare e depredare, senza alcuna remora nell’uccidere chi contrastava le loro mire.

La loro efferatezza è crudamente documentata finanche nel primo libro dei morti della parrocchia di S. Francesco di Assisi di Gemini, dove si legge che il 4 agosto del 1674 fu celebrato il funerale del soldato “mastro scarparo di Alessano” ammazzato nella marina dai turchi e trasportato dai compagni nella chiesa di Gemini “con la testa separata dal busto”.

Obiettivo privilegiato delle loro scorribande erano le masserie prive di strutture di difesa ed è del saccheggio e razzia di due di queste che riporto quanto riferito in una declaratio fatta al notaio Francesco Carida, di Morciano e residente in Ugento.

Declaratio fatta per Angelum Venneri et Franciscum Venneri di Alliste

In Dei nomine amen

Die octava mensis februaris 15ae  Inditionis, Anno Domini millesimo, sexcentesimo, septuagesimo septimo

In Terra felline, et proprie in Castro dictae Terrae, Regnante …, In nostri presentia constituiti Angelus Venneri dè Alliste dicens esser massaro della massaria nominata la gisternella seù del monte, et Franciscus Venneri similiter dè Alliste dicens esser massaro nella massaria del Ninfeo feudo di felline, qui sponte, non vi, dolo, sed omni meliori modo , sponte ut supra coram Nobis asseruerunt, declararunt, et attestati sunt, pro ut predicto die declarant et attestant  in vulgari sermone pro faciliori facti intelligentia, √ʖ

Qualmente l’anno passato e propriamente nel mese di luglio et à di 17 di detto mese nel luscere il 18 di detto mese  la notte calò alla marina di felline alla cala nominata li fiumicelli seù la guardiola un fuste di Turchi, e sbarcorno una quantità di quelli e calorno per il feudo di felline e scorsero alla detta massaria nominata la Cisternella seù il Monte, e fecero preda in quella di un caccavo di Rame grande che valeva ducati diciotto, e più et anche se ne portorno tre vombri, quattro zappe et una cetta, che potevano valere da otto ducati incirca, e più se ne portorno un sacco grande di grano de trè tomoli, che col sacco valeva carlini venti, e più quattro pese de formaggio tardivo, che poteva valere ducati cinque incirca, e più uno vestito di lana del massaro e scarpe, che potevano valere ducati quatro né toccorno in detta massaria bestie minute, che stavano in quella e questo è quanto s n portorno da detta massaria; et essendono poi scorsi alla massaria nominata lo Ninfeo in quella fecero presa similmente di un caccavo, che valeva ducati venti, due vombri, trè zappe strette, et un larga, che potevano valere ducati sei, e più se ne portorno pese cinque incirca di formaggio similmente tardivo, che poteva valere ducati sei, e mezzo, e più se ne portotno un fariolo novo, e scarpe del massaro di valuta di ducati quatro, e più se ne portorno un paro di Bovi di carretta di valuta di ducati sessanta, et arrivati alla massaria, e poco distante di quella ammazzorno detti Bovi, e se li portorno ammazzati dentro il loro fuste  à vista di tutti, seù di molte genti, che dopo fatto giorno all’avviso e nova ricevuta de Turchi calorno alla marina et essi costituenti stevano nascosti dentro le fratte per non essere fatti schiavi et sic declaraverunt …..

Diario del Salento – I pomodori secchi

 

di Tommaso Esposito

Tommaso Esposito gira il Salento. Ecco le sue suggestioni


E’ un miope incapace di stupore chi nel cibo scorge oggi solo il frutto della tecnica che ha sostituito antichi attrezzi da lavoro o della scienza che ha inventato mutazioni genetiche.”
E. Bianchi, Il pane di ieri, p.37.

Ritorno da Gemini frazione di Ugento dove incontro un amico.
Un gelato non degno di nota.
Rientro e mi trovo lungo la strada per Alliste, l’antica Kallistos, “La Bellissima” in griko.
E se passo per Felline? No, sarò al “Mulino di Alcantara” un’altra sera.
Bene. La rossa campagna argillosa mi fa compagnia.
Cosa fanno laggiù?
Nooo, son pomodori stesi al sole.

L’enigma di un dipinto nel santuario della Madonna della luce ad Ugento

 

di Luciano Antonazzo

Dei trentotto affreschi che ornavano il santuario della Madonna della luce di Ugento ad oggi ne sono sopravvissuti (esclusa l’icona della Madonna sull’altare) solo diciannove, e fra questi quello della raffigurazione di un vescovo. Si trova sulla facciata di una colonna sul lato destro della navata e presenta dei particolare ai quali finora nessuno ha fatto caso.

Il personaggio dipintovi, forse per il suo abito bianco, da qualcuno è stato ritenuto rappresentasse S. Bonaventura, ma ciò non poteva essere dato che non vi è raffigurata l’aureola che è presente in tutti gli altri affreschi con l’immagine di sante e santi.

A suo tempo ci permise di risalire all’identità del vescovo effigiato lo stemma dei Mercedari che egli porta sul petto tra i cordoni con le nappe del cappello vescovile fatto scivolare dietro le spalle; si tratta di un segno distintivo di Mons. Ludovico Ximenz, il solo tra i vescovi che hanno retto nei secoli la nostra diocesi ad appartenere a quell’Ordine.[1]

Di lui ci è dato sapere dalle fonti che era di origine spagnola ma non il luogo preciso della sua provenienza.

Fu nominato vescovo di Ugento il 30 agosto del 1627 e prese possesso della diocesi il primo dicembre successivo rimanendone alla guida fino al 1636, anno della sua morte; secondo alcuni venne sepolto nella nostra cattedrale ma di ciò non abbiamo rinvenuto alcuna prova documentale.

Di lui sono disponibili (in copia) presso l’Archivio Diocesano di Ugento le relazioni delle visite ad limina del 1630 e del 1633 dalle quali è desumibile lo zelo e l’impegno che mise nel risollevare le condizioni della popolazione e della stessa cattedrale.

In quelle tra l’altro relazionò che (in ossequio ai dettami del Concilio di Trento), poco dopo esser giunto in sede visitò la diocesi e celebrò il sinodo nel giorno di S. Caterina Vergine e Martire, il 25 novembre; che si adoperò per riparare il campanile che aveva trovato semidistrutto da un fulmine e

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