Nuove scoperte sullo straordinario mondo dei Gechi (terza parte)

Del melanismo del Geco comune (o, in alcuni casi, del suo mimetismo al contrario)

di Sandro D’Alessandro

La possibilità di cambiare colore si accorda bene con le caratteristiche del Geco, che è un animale relativamente lento, corpulento a maturità ed inadatto a mantenere a lungo un incedere di una certa velocità.

La sua andatura a scatti lo rende un animale facilmente predabile da tutta una serie di organismi, per cui esso si avvantaggia non poco di una capacità come  quella  del mimetismo;  il discorso  è ovviamente  analogo  se lo  si  riferisce  all’esigenza  che  il  Geco  ha  di  non  essere  scorto  dalle  sue potenziali prede. Per contro, in modo diametralmente opposto, il Geco “non teme” di apparire ben evidente, scurendo la sua colorazione nel corso dei suoi bagni di sole che lo rendono estremamente visibile.

In ciò si potrebbe forse ravvisare un mimetismo che lo affianca ad animali velenosi, come avviene ad es, per i falsi serpenti corallo, che, imitando la colorazione del temibile “cugino”; possono godere di una relativa tranquillità da parte dei predatori. Così, mentre animali inermi hanno tutti i vantaggi nel passare inosservati, altri animali in possesso di ben altre potenzialità offensive evidenziano anzi la loro presenza con una livrea più appariscente; una terza categoria di animali, pur non essendo dotata di mezzi offensivi, assomiglia a tali animali “pericolosi”. Allo stesso modo, il Geco melanico assume la somiglianza con un Anfibio, la Salamandra, che alcuni predatori evitano di predare in quanto provvista di tossine nella sua cute.

Come ben documentato nelle foto che fanno parte integrante del paragrafo che segue, il Geco ha quindi la possibilità di adattare il proprio colore a quello dell’ambiente in cui esso si trova. E, cosa ancora più notevole, esso lo fa in maniera pressoché immediata, adattandosi all’istante al colore del substrato sul quale è l’animaletto.
A ben considerare, esistono tutti i presupposti perché un animale come il Geco sia, fra tanti animali terrestri, uno di quelli in grado di trarre maggior vantaggio da una caratteristica del genere.

Questo corpulento Geco comune al sole sul muro di una casa colonica diroccata ha assunto le tonalità del muro, riproponendo sul suo corpo, in chiazze, addirittura le sfumature e gli accostamenti di colore dei Licheni presenti (foto: S. D’Alessandro)

 

Il cambiamento di colore e quella strana funzionalità delle zampette dei Gechi (tutti)

Innanzitutto, è, insieme agli altri Gekkonidae, l’unico Vertebrato terrestre in grado di salire su superfici pressoché lisce. E mentre sale, su un muro o su un albero, il Geco è allo scoperto, pertanto è facilmente individuabile.
La possibilità di assumere una colorazione che lo renda poco appariscente o del tutto invisibile nel contesto ambientale in cui esso si trova ha pertanto un’importanza molto rilevante.
Esistono, è vero, altri Rettili che salgono sugli alberi, come ad es. alcuni Serpenti in misura maggiore o minore arboricoli, ma questi, oltre ad avere delle potenzialità offensive che il Geco non ha, hanno movimenti più fluidi, mentre il Geco, con i suoi movimenti a scatto, risulta ben più facilmente scorgibile. Poi, spesso, il Geco si ferma. Evitare di essere individuato è quindi per lui di fondamentale importanza.

Un Geco comune appeso sulla superficie di una ondulina, ahimè di eternit, all’interno di un vecchio cascinale: i suoi toni ed anche gli “stacchi” nella sua colorazione appaiono incredibilmente concordi, quasi delle prosecuzioni, con quelle che sono le caratteristiche cromatiche dell’ambiente (foto: S. D’Alessandro)

 

La duplice funzione di predatore e preda: dai rifugi oscuri ai muri privi di riparo

Ancora, il Geco compartecipa della già ricordata duplice natura di animale “da tana” e di animale che vive allo scoperto, per quanto le sue attività si esplichino ben maggiormente allo scoperto: la tana assolve alle sue esigenze di protezione nei confronti di predatori o di riparo nei confronti degli estremi termici legati ad una eccessiva insolazione. Essendo spesso allo scoperto, e pertanto facilmente visibile, diventa pertanto ben opportuno per il nostro Geco potersi celare alla vista degli altri organismi ad esso correlati ecologicamente in qualche maniera (prede, competitori, predatori…).

Un giovane Geco comune, dalle dimensioni ben inferiori di quello riportato in fig. 12, sorpreso di sera dalla luce del flash su un muro nello stesso atteggiamento del primo (foto: S. D’Alessandro)

 

Rispetto al “Cyrtodactylus”, altro Gekkonide “trasformista” a livello di colorazione, il Geco comune è un animale più tendenzialmente notturno, e nelle ore di piena insolazione tende spesso a rifugiarsi in zone al coperto o all’ombra; a differenza del primo, che è in grado di raggiungere buone velocità e di mantenerle per un certo periodo, esso è inoltre più goffo nei movimenti, con fughe si risolvono in scatti destinati a raggiungere mete poco lontane.
Allo stesso modo, la scarsa illuminazione del suo tipico periodo giornaliero di attività – che si protrae ad una fase crepuscolare o schiettamente notturna – fa sì che esso non abbia la necessità, come invece avviene in modo diametralmente opposto per il “Cyrtodactylus”, di inseguire le prede, né debba avere uno scatto  bruciante:  gli  è  sufficiente  nascondersi,  modificando  l’aspetto  del  suo  corpo  e  la  sua colorazione[1].
Alla luce di queste diverse caratteristiche, va da sè che il metodo di caccia che meglio si adatta al Geco comune è la caccia “all’agguato”, tecnica predatoria in cui l’animaletto risulta sicuramente avvantaggiato dalla possibilità di sfruttare in qualche modo il fattore sorpresa.
E la possibilità di cambiare colore, conformandosi all’ambiente circostante, è di certo un elemento che va a favore dell’animale.
Non vanno trascurate, nelle considerazioni relative alla “coerenza” di una fisiologia come quella qui descritta per il Geco comune, le correlazioni con le sue dimensioni relative: il Geco è molto più grande  degli  Insetti,  il  che  mal  si  adeguerebbe  con  un  effetto  “sorpresa”,  ma  la  sua  superficie bitorzoluta contribuisce forse a determinarne, di concerto con le proprietà mimetiche dell’animale, la scomposizione dell’immagine, che viene percepita probabilmente dagli ocelli[1] dell’entomofauna come una “montagna” inanimata e immobile.

Un massiccio Geco immobile al sole sullo scalino di una vecchia casa colonica; benché l’immagine sia bene a fuoco, appare difficoltoso distinguere il profilo del suo dorso dallo sfondo a causa dell’evidente analogia dei colori (foto S. D’Alessandro)

 

Si potrebbe ipotizzare che la superficie corporea del Geco – superficie che, come le foto documentano, si caratterizza per molteplici protuberanze variamente colorate – possa sortire una specie di “effetto confusione” nell’Insetto che il Rettile si appresta a predare. Il fatto poi che tali protuberanze possano essere variamente colorate potrebbe indurre un maggior disordine nella percezione visiva dell’Insetto stesso.
La possibilità di mimetizzarsi da parte del Geco Comune è pertanto conforme con la loro possibilità di salire su superfici verticali prive di ripari e la cui “frequentazione” richieda quindi una qualche protezione per le più piccole creature che lo percorrono abitualmente. Si tratta di ambienti che, ancorché privi di “nascondigli” che non siano le varie colorazioni dovute a Muschi e Licheni, configurano come estremamente vantaggiose le possibilità da parte alcuni organismi ivi presenti di sfruttare tali formazioni vegetali come “riparo”. E l’unica di tali possibilità è quella di potersi mimetizzare con esso, meglio ancora se la creatura che lo fa abbia la possibilità di adattare, oltre che la colorazione del corpo, anche la forma del corpo stesso tramite la presenza delle già menzionate appendici, che si prestano in modo a volte sorprendente a ricalcare le asperità del territorio.
Nel caso di organismi necessariamente legati a substrati “terrestri”, al suolo o in prossimità di questo, in un ambiente in cui le differenti colorazioni sono determinate dalla presenza di vegetazione, pietre, anfratti, ecc., la possibilità di cambiare colore non è strettamente  necessaria per nascondersi[2].

Le cose sono ovviamente diverse sulle superfici, spesso uniformi, di costoni rocciosi, muri, tronchi, ecc., di norma non offrono né rifugi né ripari per potersi occultare; se pure non appare determinante la possibilità  di  predare  nel  corso  degli  spostamenti  su  tali  superfici  (cosa  che  il  Geco  comune  è comunque in grado di fare),  è opportuno, o per lo meno vantaggioso, non rivelare in modo evidente la propria presenza nel corso dei tragitti allo scoperto. Ed il poter fruire di variazioni cromatiche può essere spesso risolutivo, al fine della mancata individuazione da parte della preda (e/o del predatore).
A conferma di quanto riferito sopra, si mette qui in evidenza che tutti gli organismi in grado di adattare il proprio colore assumendo le stesse tonalità dell’ambiente in cui vivono sono sempre in grado di spostarsi nelle tre direzioni dello spazio, o perché vivono in un ambiente acquatico (Sepia, Octopus, Solea, ecc.), o perché sono in grado di arrampicarsi su alberi o su superfici verticali (Chamaeleon, Gekkonidae spp., ecc.).

 

 Note

[1] Occhio semplice degli insetti e di altri artropodi, che consta di una lente e di uno strato cellulare sensibile (rètina); negli insetti sono tipicamente in numero di tre, situati nella regione dorsale del capo, fra gli occhi composti (http://www.treccani.it/vocabolario/ocello/)

[2] – questa possibilità non è tuttavia tale da ingenerare nell’animale un senso di protezione legata ad una illimitata fiducia nel proprio mimetismo: benché debitamente occultati dalla concordanza del proprio colore con i colori del substrato, a differenza dei ben più flemmatici Camaleonti, che confidano fino alla fine nel proprio mimetismo, i Gechi comuni sono prontissimi a fuggire ed a rifugiarsi in qualche buco del terreno o dei tronchi stessi.

 

Per la prima parte:

Nuove scoperte sullo straordinario mondo dei Gechi (prima parte)

Per la seconda parte:

Nuove scoperte sullo straordinario mondo dei Gechi (seconda parte)

Il geco salentino

Riportiamo gli abstract dei saggi pubblicati sul nuovo numero de Il delfino e la Mezzaluna

 geco

Fabio Protopapa, Il geco salentino

in Il delfino e la Mezzaluna, Periodico della Fondazione Terra d’Otranto, anno V, nn° 6-7, 2018, pp. 197-201.

 

ITALIANO

La figura del geco è radicata nella cultura del meridione,tanto da rappresentare oggigiorno un simbolo del Salento.Da tempi immemori, i rettili dominano la macchia mediterranea, nascondendosi tra le pietraie e nutrendosi di piccole prede. La salvaguardia delle tre specie che sopravvivono nel sud Italia è di fondamentale importanza per mantenere un equilibrio stabile e delicato che dura da milioni di anni. Molto spesso questi sfuggenti e timidi animali vengono travolti dalle auto nelle ore notturne. Altre volte vengono uccisi irragionevolmente dall’uomo per scarsa e confusa conoscenza tramandata nel corso dei secoli. Infine, l’utilizzo di insetticidi e diserbanti, insieme ad una antropizzazione galoppante, ha contribuito in maniera significativa alla distruzione dei loro habitat naturali. L’informazione e la giusta empatia possono essere da stimolo per osservare con occhi diversi il geco, contributo essenziale per la futura ingegneria biomedica.

 

ENGLISH

The image of gecko is so rooted in the southern culture that today it is a symbol of Salento. From oblivious times, the reptiles have been dominating the Mediterranean scrub, hiding among heaps of stones and feeding on little pries. The preservation of the three species that survive in the south of Italy is very important to maintain the stable and delicate equilibrium that goes on for millions of years. Very often these slippery and timid animals are run over by cars during the night. Sometimes they are killed unreasonably by men for a limited and vague knowledge handed down over the years. Finally, the use of insecticides and herbicides, with a galloping antropization, has helped in a significant way to destroy their natural habitat. The knowledge and the right empathy can be a stimulus to observe with different eyes the gecko, essential contribution for the future biomedical engineering.

Keyword

 

Fabio Protopapa, geco, tarantula, Askàlabotes, Stellione

Il geco

di Elio Ria

geco

Eccolo. Puntuale. Passo lento e meditato su rughe di muri a grattarsi il ventre con le zanzare intorno. Si lascia osservare. Non sfugge. Si confonde con il bianco della luce. Chissà cosa penserà. Poi un leggero avanzare e una sosta su una piega più consistente. Immobile. Sonnambulo? Riparte! Avrà fiutato qualcosa? Prediligo la nudità di questo silenzio che si è fatto attivo. Questo luogo, dimora dei miei affanni, incanta. Non so cosa gli passa per la testa al geco. Siamo diversi. Lui educato e modesto, mai un atteggiamento di posa. Io in misteri di poesia, anche nelle ore febbrili.

Geco, quale verità adombri?

Immerso nei pensieri della filosofia ravvedo una speranza di salvezza, ma non comprendo la magnificenza della ragione.

Tornerai a trovarmi, lo so.

La serenità delle linee dell’orizzonte tacitano normali tristezze che negli istanti superflui di tempo concepiscono opere di volontà.

Geco, qualche altra volta saziami della tua presenza affinché possa concludere questa mia opera di poesia.

 

http://www.elioria.com/la-lente-di-elio/il-geco/

Uno strano modo per selezionare gli amici

di Armando Polito 

Nelle sere estive, si sa, è abituale cenare all’aperto da soli o in piacevole compagnia. A me capita spesso, anzi sfrutto tutti i pretesti per non mancare all’appuntamento con la geca Natalina (non capisco perché dovrei dire geco femmina, dal momento che perfino la compagna dell’asino si chiama asina). A Nardò la bestiolina, graziosa, lo ammetto, solo per me e per pochi altri, è chiamata lucèrta fracitàna o lucerta libbròsa. L’ultima denominazione è la più chiara ed inquietante, corrispondendo alla traduzione italiana lucertola lebbrosa; alla povera bestiolina è stato, così, appioppato un nome che evoca una terribile malattia infettiva unicamente perché la conformazione della sua pelle ne ricorda vagamente gli effetti orripilanti. Meno inquietante a prima vista lucèrta fracitàna in cui lucèrta è, come nel nesso precedente, nient’altro che la denominazione italiana antica, variante del latino classico lacèrta. E fracitàna? Non è altro che una forma aggettivale ottenuta aggiungendo il relativo suffisso all’aggettivo fracido, variante regionale centrale di

La Fondazione Terra d'Otranto, senza fini di lucro, si è costituita il 4 aprile 2011, ottenendo il riconoscimento ufficiale da parte della Regione Puglia - con relativa iscrizione al Registro delle Persone Giuridiche, al n° 330 - in data 15 marzo 2012 ai sensi dell'art. 4 del DPR 10 febbraio 2000, n° 361.

C.F. 91024610759
Conto corrente postale 1003008339
IBAN: IT30G0760116000001003008339

Webdesigner: Andrea Greco

www.fondazioneterradotranto.it è un sito web con aggiornamenti periodici, non a scopo di lucro, non rientrante nella categoria di Prodotto Editoriale secondo la Legge n.62 del 7 marzo 2001. Tutti i contenuti appartengono ai relativi proprietari. Qualora voleste richiedere la rimozione di un contenuto a voi appartenente siete pregati di contattarci: fondazionetdo@gmail.com.

Dati personali raccolti per le seguenti finalità ed utilizzando i seguenti servizi:
Gestione contatti e invio di messaggi
MailChimp
Dati Personali: cognome, email e nome
Interazione con social network e piattaforme esterne
Pulsante Mi Piace e widget sociali di Facebook
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Servizi di piattaforma e hosting
WordPress.com
Dati Personali: varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio
Statistica
Wordpress Stat
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Informazioni di contatto
Titolare del Trattamento dei Dati
Marcello Gaballo
Indirizzo email del Titolare: marcellogaballo@gmail.com

error: Contenuto protetto!