Nuove scoperte sullo straordinario mondo dei Gechi (terza parte)

Del melanismo del Geco comune (o, in alcuni casi, del suo mimetismo al contrario)

di Sandro D’Alessandro

La possibilità di cambiare colore si accorda bene con le caratteristiche del Geco, che è un animale relativamente lento, corpulento a maturità ed inadatto a mantenere a lungo un incedere di una certa velocità.

La sua andatura a scatti lo rende un animale facilmente predabile da tutta una serie di organismi, per cui esso si avvantaggia non poco di una capacità come  quella  del mimetismo;  il discorso  è ovviamente  analogo  se lo  si  riferisce  all’esigenza  che  il  Geco  ha  di  non  essere  scorto  dalle  sue potenziali prede. Per contro, in modo diametralmente opposto, il Geco “non teme” di apparire ben evidente, scurendo la sua colorazione nel corso dei suoi bagni di sole che lo rendono estremamente visibile.

In ciò si potrebbe forse ravvisare un mimetismo che lo affianca ad animali velenosi, come avviene ad es, per i falsi serpenti corallo, che, imitando la colorazione del temibile “cugino”; possono godere di una relativa tranquillità da parte dei predatori. Così, mentre animali inermi hanno tutti i vantaggi nel passare inosservati, altri animali in possesso di ben altre potenzialità offensive evidenziano anzi la loro presenza con una livrea più appariscente; una terza categoria di animali, pur non essendo dotata di mezzi offensivi, assomiglia a tali animali “pericolosi”. Allo stesso modo, il Geco melanico assume la somiglianza con un Anfibio, la Salamandra, che alcuni predatori evitano di predare in quanto provvista di tossine nella sua cute.

Come ben documentato nelle foto che fanno parte integrante del paragrafo che segue, il Geco ha quindi la possibilità di adattare il proprio colore a quello dell’ambiente in cui esso si trova. E, cosa ancora più notevole, esso lo fa in maniera pressoché immediata, adattandosi all’istante al colore del substrato sul quale è l’animaletto.
A ben considerare, esistono tutti i presupposti perché un animale come il Geco sia, fra tanti animali terrestri, uno di quelli in grado di trarre maggior vantaggio da una caratteristica del genere.

Questo corpulento Geco comune al sole sul muro di una casa colonica diroccata ha assunto le tonalità del muro, riproponendo sul suo corpo, in chiazze, addirittura le sfumature e gli accostamenti di colore dei Licheni presenti (foto: S. D’Alessandro)

 

Il cambiamento di colore e quella strana funzionalità delle zampette dei Gechi (tutti)

Innanzitutto, è, insieme agli altri Gekkonidae, l’unico Vertebrato terrestre in grado di salire su superfici pressoché lisce. E mentre sale, su un muro o su un albero, il Geco è allo scoperto, pertanto è facilmente individuabile.
La possibilità di assumere una colorazione che lo renda poco appariscente o del tutto invisibile nel contesto ambientale in cui esso si trova ha pertanto un’importanza molto rilevante.
Esistono, è vero, altri Rettili che salgono sugli alberi, come ad es. alcuni Serpenti in misura maggiore o minore arboricoli, ma questi, oltre ad avere delle potenzialità offensive che il Geco non ha, hanno movimenti più fluidi, mentre il Geco, con i suoi movimenti a scatto, risulta ben più facilmente scorgibile. Poi, spesso, il Geco si ferma. Evitare di essere individuato è quindi per lui di fondamentale importanza.

Un Geco comune appeso sulla superficie di una ondulina, ahimè di eternit, all’interno di un vecchio cascinale: i suoi toni ed anche gli “stacchi” nella sua colorazione appaiono incredibilmente concordi, quasi delle prosecuzioni, con quelle che sono le caratteristiche cromatiche dell’ambiente (foto: S. D’Alessandro)

 

La duplice funzione di predatore e preda: dai rifugi oscuri ai muri privi di riparo

Ancora, il Geco compartecipa della già ricordata duplice natura di animale “da tana” e di animale che vive allo scoperto, per quanto le sue attività si esplichino ben maggiormente allo scoperto: la tana assolve alle sue esigenze di protezione nei confronti di predatori o di riparo nei confronti degli estremi termici legati ad una eccessiva insolazione. Essendo spesso allo scoperto, e pertanto facilmente visibile, diventa pertanto ben opportuno per il nostro Geco potersi celare alla vista degli altri organismi ad esso correlati ecologicamente in qualche maniera (prede, competitori, predatori…).

Un giovane Geco comune, dalle dimensioni ben inferiori di quello riportato in fig. 12, sorpreso di sera dalla luce del flash su un muro nello stesso atteggiamento del primo (foto: S. D’Alessandro)

 

Rispetto al “Cyrtodactylus”, altro Gekkonide “trasformista” a livello di colorazione, il Geco comune è un animale più tendenzialmente notturno, e nelle ore di piena insolazione tende spesso a rifugiarsi in zone al coperto o all’ombra; a differenza del primo, che è in grado di raggiungere buone velocità e di mantenerle per un certo periodo, esso è inoltre più goffo nei movimenti, con fughe si risolvono in scatti destinati a raggiungere mete poco lontane.
Allo stesso modo, la scarsa illuminazione del suo tipico periodo giornaliero di attività – che si protrae ad una fase crepuscolare o schiettamente notturna – fa sì che esso non abbia la necessità, come invece avviene in modo diametralmente opposto per il “Cyrtodactylus”, di inseguire le prede, né debba avere uno scatto  bruciante:  gli  è  sufficiente  nascondersi,  modificando  l’aspetto  del  suo  corpo  e  la  sua colorazione[1].
Alla luce di queste diverse caratteristiche, va da sè che il metodo di caccia che meglio si adatta al Geco comune è la caccia “all’agguato”, tecnica predatoria in cui l’animaletto risulta sicuramente avvantaggiato dalla possibilità di sfruttare in qualche modo il fattore sorpresa.
E la possibilità di cambiare colore, conformandosi all’ambiente circostante, è di certo un elemento che va a favore dell’animale.
Non vanno trascurate, nelle considerazioni relative alla “coerenza” di una fisiologia come quella qui descritta per il Geco comune, le correlazioni con le sue dimensioni relative: il Geco è molto più grande  degli  Insetti,  il  che  mal  si  adeguerebbe  con  un  effetto  “sorpresa”,  ma  la  sua  superficie bitorzoluta contribuisce forse a determinarne, di concerto con le proprietà mimetiche dell’animale, la scomposizione dell’immagine, che viene percepita probabilmente dagli ocelli[1] dell’entomofauna come una “montagna” inanimata e immobile.

Un massiccio Geco immobile al sole sullo scalino di una vecchia casa colonica; benché l’immagine sia bene a fuoco, appare difficoltoso distinguere il profilo del suo dorso dallo sfondo a causa dell’evidente analogia dei colori (foto S. D’Alessandro)

 

Si potrebbe ipotizzare che la superficie corporea del Geco – superficie che, come le foto documentano, si caratterizza per molteplici protuberanze variamente colorate – possa sortire una specie di “effetto confusione” nell’Insetto che il Rettile si appresta a predare. Il fatto poi che tali protuberanze possano essere variamente colorate potrebbe indurre un maggior disordine nella percezione visiva dell’Insetto stesso.
La possibilità di mimetizzarsi da parte del Geco Comune è pertanto conforme con la loro possibilità di salire su superfici verticali prive di ripari e la cui “frequentazione” richieda quindi una qualche protezione per le più piccole creature che lo percorrono abitualmente. Si tratta di ambienti che, ancorché privi di “nascondigli” che non siano le varie colorazioni dovute a Muschi e Licheni, configurano come estremamente vantaggiose le possibilità da parte alcuni organismi ivi presenti di sfruttare tali formazioni vegetali come “riparo”. E l’unica di tali possibilità è quella di potersi mimetizzare con esso, meglio ancora se la creatura che lo fa abbia la possibilità di adattare, oltre che la colorazione del corpo, anche la forma del corpo stesso tramite la presenza delle già menzionate appendici, che si prestano in modo a volte sorprendente a ricalcare le asperità del territorio.
Nel caso di organismi necessariamente legati a substrati “terrestri”, al suolo o in prossimità di questo, in un ambiente in cui le differenti colorazioni sono determinate dalla presenza di vegetazione, pietre, anfratti, ecc., la possibilità di cambiare colore non è strettamente  necessaria per nascondersi[2].

Le cose sono ovviamente diverse sulle superfici, spesso uniformi, di costoni rocciosi, muri, tronchi, ecc., di norma non offrono né rifugi né ripari per potersi occultare; se pure non appare determinante la possibilità  di  predare  nel  corso  degli  spostamenti  su  tali  superfici  (cosa  che  il  Geco  comune  è comunque in grado di fare),  è opportuno, o per lo meno vantaggioso, non rivelare in modo evidente la propria presenza nel corso dei tragitti allo scoperto. Ed il poter fruire di variazioni cromatiche può essere spesso risolutivo, al fine della mancata individuazione da parte della preda (e/o del predatore).
A conferma di quanto riferito sopra, si mette qui in evidenza che tutti gli organismi in grado di adattare il proprio colore assumendo le stesse tonalità dell’ambiente in cui vivono sono sempre in grado di spostarsi nelle tre direzioni dello spazio, o perché vivono in un ambiente acquatico (Sepia, Octopus, Solea, ecc.), o perché sono in grado di arrampicarsi su alberi o su superfici verticali (Chamaeleon, Gekkonidae spp., ecc.).

 

 Note

[1] Occhio semplice degli insetti e di altri artropodi, che consta di una lente e di uno strato cellulare sensibile (rètina); negli insetti sono tipicamente in numero di tre, situati nella regione dorsale del capo, fra gli occhi composti (http://www.treccani.it/vocabolario/ocello/)

[2] – questa possibilità non è tuttavia tale da ingenerare nell’animale un senso di protezione legata ad una illimitata fiducia nel proprio mimetismo: benché debitamente occultati dalla concordanza del proprio colore con i colori del substrato, a differenza dei ben più flemmatici Camaleonti, che confidano fino alla fine nel proprio mimetismo, i Gechi comuni sono prontissimi a fuggire ed a rifugiarsi in qualche buco del terreno o dei tronchi stessi.

 

Per la prima parte:

Nuove scoperte sullo straordinario mondo dei Gechi (prima parte)

Per la seconda parte:

Nuove scoperte sullo straordinario mondo dei Gechi (seconda parte)

Nuove scoperte sullo straordinario mondo dei Gechi (seconda parte)

di Sandro D’Alessandro

 

Piccole storie di piccoli Gechi alla ricerca di una vitamina

Ma, alla luce delle possibilità dell’affine Geco comune di cambiare colore non solo nel senso del melanismo, ma di un vero e proprio considerevole mimetismo, appare più che plausibile l’ipotesi (suffragata peraltro dalla foto riportata) che il Geco di Kotschy sia dotato anch’esso, e forse a maggior ragione, di potenzialità mimetiche di alto livello.
Nel caso del Geco verrucoso (Hemidactylus turcicus), con la cautela che accompagna chi fa delle affermazioni inedite, riportai che, più che di un melanismo che procede di pari passo all’aumento della luminosità, si potesse parlare al contrario di una riduzione della pigmentazione in concomitanza di ridotte illuminazioni (in condizioni di ridotta luminosità il corpo di questo Geco, specie se si tratta di un individuo giovane, appare quasi trasparente). Ma si trattava ragionevolmente di un eccesso di prudenza, dato che in questo Geco la depigmentazione non si limita a far assumere all’animale un colore semplicemente più chiaro, ma si spinge ben più oltre, fino a rendere evidenti gli organi interni; è poi la possibilità del piccolo Sauro di assumere una colorazione differente a rendere meno visibili i suoi organi interni. Ciò indica senza dubbio una capacità di cambiare colore di livello superiore rispetto a quella della semplice depigmentazione, per quanto in tale specie non si evidenzi una netta tendenza al mimetismo allo stesso modo che nel Geco comune.

Un Geco verrucoso, rinvenuto da chi scrive al coperto nel periodo invernale, risultò quasi privo di colorazione, al punto da rendere possibile vedere gli organi interni attraverso la pelle. Se la cosa può essere messa in relazione con le basse temperature, essa può però, forse a maggior ragione, essere connessa con le basse intensità luminose della stagione, di solito caratterizzata anche da cielo coperto, e con il fatto che l’animaletto era stato sorpreso in un pozzetto, con illuminazione pressoché assente.
Per quanto riguarda il melanismo vero e proprio, documentato per il Geco di Kotschy e rilevabile da chiunque nel Geco comune, è difficile dire se la variazione di colore sia legata in qualche modo anche alla temperatura ambientale. Di fatto, il rendersi più scuro ha fra i suoi effetti quello di assorbire maggiore radiazione calorifica, esistendo un fenomeno fisico che sancisce effettivamente una relazione diretta fra la colorazione ed il riscaldamento corporeo.
Non va però dimenticato che, almeno in apparenza, il colore scuro del Geco comune sia in relazione diretta non tanto con la temperatura ambientale, quanto con la luminosità dell’ambiente; in tal modo, la possibilità di diventare più caldo sarebbe un effetto secondario della variazione cromatica dell’animaletto.

È questa un’osservazione molto interessante, poiché non limita il discorso al solo immagazzinamento di calore (che, essendo il corpo del Geco di piccole dimensioni, oltre che dotato di numerosi elementi di dissipazione della temperatura -coda, bitorzoli, zampette, ecc.-, avrebbe effetti di breve durata e pertanto poco significativi dal punto di vista dell’efficienza metabolica dell’animale), ma si estende ad una “intelligenza di specie” che fa sì che essa adotti un comportamento avente importantissimi effetti sulla metabolizzazione della vitamina D. Il che, in un animale tendenzialmente notturno e sempre pronto a rifugiarsi all’interno di cavità oscure, è quanto di più opportuno ci possa essere.

 

Giovane Geco fotografato su uno scarpone. Si noti la concordanza fra il colore dell’animaletto ed il colore del substrato cementizio, su cui l’animale era prima di salire sullo scarpone (foto: S. D’Alessandro)

 

Sorprendenti scoperte sul più comune dei Gechi: il… Geco comune

Nel Geco comune (Tarentula mauritanica) – di seguito chiamato semplicemente “Geco” – che compartecipa sia della possibilità di diventare più scuro in funzione della luminosità ambientale   che della possibilità di cambiare colore nel senso di un vero e proprio mimetismo, la caratteristica della possibilità di variazione cromatica si annida in processi che sono forse più complessi rispetto a quanto avviene in altri Gechi ed avvicina in maniera alquanto singolare l’animaletto al ben più proverbiale Camaleonte.

Con questo il Geco condivide la capacità di assumere lo stesso colore del substrato sul quale l’animale si trova, o per lo meno un colore molto  simile,  adattando  inoltre  le  sue  tonalità  a  quelle  dell’ambiente,  del  quale  è  in  grado  di riprodurre le linee, le chiazze, le sfumature.

Un Geco comune dal colore molto scuro particolarmente appariscente sul muro chiaro di una casa diroccata. (foto: S. D’Alessandro)

 

Il colore, di norma concorde con l’ambiente, soggiace però alla regolazione cromatica del Geco in funzione della luminosità, il quale si giova, nelle giornate assolate, di un inscurimento della sua colorazione al fine dell’assorbimento di una maggior quantità di radiazioni solari, anche a scapito di un suo evidentissimo risalto sul substrato, magari molto chiaro, su cui esso si trova.

 

Mimetismo, melanismo o entrambi? Una speculazione su un interessante dilemma

E’ l’animale in grado di modulare la sua variazione di colore, optando per il melanismo anziché per il mimetismo? Difficile dirlo.
E’ un fatto che, quando l’illuminazione è molto bassa, è possibile rinvenire dei Gechi comuni il Geco comune pressoché candidi[1] nelle ore serali o notturne[2]. Ciò, che è stato rilevato da chi scrive su muri bianchi, avviene nelle ore notturne, come dimostra per contro la foto sopra che, scattata anch’essa su un muro molto chiara, evidenzia un Geco comune estremamente scuro alla piena luce del giorno.

E’ possibile presumere due meccanismi diversi, entrambi finalizzati alla conservazione dell’animale:

  1. – uno, il melanismo dovuto alle forti intensità luminose, destinato ad esplicare i suoi vantaggi nel medio e lungo termine, legato all’acquisizione di luce necessaria per il buon funzionamento della vitamina D,  che svolge un ruolo fondamentale nel regolare l’omeostasi fosfo-calcica e in particolare i processi di mineralizzazione ossea, efficace rimedio contro il rachitismo, destinato a garantire la sopravvivenza dell’animale nel corso della sua vita;
  2. un altro, il mimetismo, con effetti nell’immediato, avente la funzione di nascondere l’animale alle potenziali prede ed ai potenziali predatori;
  3. una via intermedia è quella del melanismo per motivi di mimetismo, come ad esempio si verifica su tronchi dalla corteccia scura, quali ad esempio gli alberi di Olivo; in tal caso si ottiene il massimo del vantaggio per l’animale, che si trova contemporaneamente nelle situazioni ottimali, potendo massimizzare sia il metabolismo della vitamina D che il mimetismo per motivi di predazione o di protezione.

 

Un Geco comune quasi completamente privo di pigmentazione, fotografato di notte su un muro alla luce flebile di un lampione (Foto: S. D’Alessandro)

 

 

[1] Il fenomeno è, come detto, ancora più appariscente nel Geco verrucoso, che decolora la sua pelle a tal punto da permettere quasi di vedere i suoi organi interni. Va detto a tal proposito che il corpo dell’Emidattilo è, a maturità, molto meno massiccio  di  quello  del  Geco  comune  e  che  pertanto  si  presta  a  dare  maggiore  risalto  a  ciò  che  lo  costituisce internamente, ma la sua pelle, indubbiamente molto più sottile e meno scabrosa di quello del “cugino maggiore”, gli permette di dare un ben maggiore rilievo alle differenze cromatiche (per quanto non strettamente “mimetiche”) che l’animale manifesta.

[2] La cosa va in direzione opposta a quanto rilevato in altre occasioni, in cui l’assunzione di colore da parte dell’animale risente del colore di ciò che appare nel suo campo visivo: di sera il Geco vede colori molto scuri, ma in questo caso l’animale non sembra concordare con essi.

Nuove scoperte sullo straordinario mondo dei Gechi (prima parte)

 

di Sandro D’Alessandro[1]

 

Premessa

L’osservazione appassionata della natura può permettere a volte di rilevare dei fenomeni che non sono mai stati descritti e che non ci si sarebbe aspettati di riscontrare. È sorprendente verificare come dei processi che per loro natura ed accessibilità sono alla portata di tutti siano stati così a lungo ignorati.

In un mondo come il nostro, in cui tutto sembra essere stato codificato, come dimostra un mio articolo pubblicato nel mese di maggio del 2014[2], in cui per primo rilevai la capacità del Geco comune di mimetizzarsi, c’è ancora spazio per piccole ‘scoperte’ che rendono conto dell’immensa, variegata complessità del mondo vivente.

Ad una prima, semplificata analisi, il mondo vivente si divide in due grandi categorie: il Regno vegetale ed il Regno animale, il primo dei quali fornisce le basi necessarie all’esistenza del secondo, che non potrebbe esistere senza il primo. L’esistenza delle piante è un dato di fatto, scontato se vogliamo, che verifichiamo inconsciamente ogni qualvolta compiamo un atto respiratorio; l’esistenza degli animali è pure quotidianamente accertabile dai nostri sensi, essendo le nostre giornate interessate da una miriade di animali che, piccoli e grandi, dai cieli alla terra, sono rilevabili dai nostri sensi: Insetti, Uccelli, Mammiferi, Rettili…. In particolare l’ultima delle categorie elencate è di per sé notevole, in quanto, se è frequente leggere di Mammiferi e Uccelli che “si inurbano”, questo termine non è altrettanto spesso­ utilizzato per i Rettili, anzi non lo è proprio mai. Eppure, al di là delle sistematiche persecuzioni a cui i Rettili vengono sottoposti dall’Uomo ogni volta che questo vede un Ofide -il più delle volte inoffensivo-, alcuni degli appartenenti a questa troppo bistrattata categoria di animali realizzano in determinati casi con l’Uomo una vera e propria coabitazione, che giunge fino ad arrivare per alcune specie quasi a una sorta di simbiosi. Parole del genere possono suonare inaspettate, ma già ad una prima analisi ci si rende conto che non lo sono più di tanto, se si considera che il Rettile è un animale a sangue freddo che si avvantaggia dell’esposizione alla luce solare, e che quest’ultima è disponibile in maggior quantità laddove vi siano pochi elementi in grado di ombreggiare: un campo aperto, i margini delle strade, le stesse costruzioni degli Uomini…

A tutti sarà capitato di vedere, sui muri di vecchie case coloniche, animaletti che si crogiolano al sole e che sono prontissimi a rifugiarsi in qualche cavità non appena ci si avvicina ad essi; si tratta di animali assolutamente inoffensivi, la cui superficie bitorzoluta può destare in alcuni una certa ripugnanza, animali che a lungo sono stati erroneamente considerati velenosi per via di un inveterato errore di fondo (a cui sarà forse il caso di dedicare delle considerazioni approfondite in un altro contributo).

 

Caratteristiche poco note dei Gechi: una recentissima scoperta

Mi riferisco ai gechi, ed in particolare al Geco comune, un piccolo animale con cui tutti hanno familiarità e che si è rivelato in possesso di inattese quanto sorprendenti capacità mimetiche, che consentono di collocarlo a pieno titolo fra altri organismi ben più noti per tale caratteristica. Eppure, fino al 2014, anno in cui fu pubblicato il mio articolo “Il mimetismo nel Geco comune”, tuttora disponibile online, sorprendentemente nessuno ne aveva mai fatto menzione. Era ben nota la possibilità del Geco di effettuare un viraggio della colorazione verso toni più scuri – fenomeno che va sotto il nome di melanismo e che è differente dal ben più complesso mimetismo-, ma alla sua possibilità di cambiare colore, adattandolo a quello dell’ambiente circostante, nessuno aveva mai fatto alcun riferimento. È fin troppo facile – e mi fermo qui – ricordare a tale proposito le parole “Ci sono più cosa in cielo e in terra di quante possa comprenderne la tua filosofia” rivolte a Orazio da Amleto nell’omonima opera shakespeariana. Mi limito solo ad aggiungere che la filosofia viene sviscerata, nei suoi vari significati ed aspetti, per il semplice fatto che è sufficiente aprire un libro per farlo; l’osservazione della natura, se per fini non utilitaristici, semplicemente non viene fatta, qualora non si intravedano in questo degli spunti utili per fare carriera e/o per legare il proprio nome a qualche scoperta. Salvo poi fregiarci tutti, indistintamente, della qualifica di amanti della natura e di accorte sentinelle dell’ambiente.

 

Il mimetismo nel Regno animale… e nei Gechi in particolare

Il mimetismo, processo ben noto nel Regno animale, vede rappresentanti in pressoché tutte le categorie di tale Regno; senza entrare nel linguaggio tecnico, accanto a delle livree cosiddette “eclissali”, che pur non modificandosi fanno sì che l’animale si confonda nell’ambiente (femmine di variate specie di Uccelli, Felidi di macchia e di foresta, ecc.), esiste un mimetismo per così dire “dinamico”, in cui l’animale assume la colorazione dell’ambiente circostante adattando istantaneamente la propria a quella di questo.

Accanto ad un mimetismo universalmente conosciuto come quello del Camaleonte, noto al punto da essere stato preso in passato a simbolo del trasformismo opportunista, c’è un’altra categoria di animali, ad esso affini e ben più comuni, che appare in grado di cambiare colore, assumendo toni simili a quelli dell’ambiente circostante: alcuni membri della Famiglia dei Gekkonidae.
Nell’ambito di tale Famiglia, ben quattro specie vivono in Italia; di queste, almeno tre, ossia il Geco comune (Tarentula mauritanica), il Geco verrucoso (Hemidactylus turcicus) ed il Geco di Kotschy (Cyrtopodion kotschyi o – per indicarlo con il nome, oramai desueto, che gli fu assegnato dal suo classificatore, il grande Theodor Kotschy, “Cyrtodactylus” kotschyi) sono in grado di cambiare colore.

Sulla quarta specie, il Tarantolino (Euleptes europaeus) chi scrive non ha alcuna notizia al riguardo, ma non ha nessuna difficoltà ad immaginare che non ci sia nessun motivo per cui questa specie si differenzi dalle altre tre in merito alla sua possibilità di effettuare un qualsiasi cambiamento di colore.

 

Gechi, “Tarantole”, Camaleonti….

Malgrado tutto quanto esposto prima in merito alla diffusione ed alla facile accessibilità a questi animaletti da parte dell’Uomo, a dire il vero, ed a dirlo tutto, neanche sulle altre tre specie sopra enunciate fu possibile a chi scrive reperire nei canali ufficiali la minima notizia al riguardo: era possibile, all’epoca, (parlo di soli sei anni fa) possibile rinvenire solo dei semplici accenni ad un possibile melanismo “indotto” dalle elevate luminosità nel Geco di Kotschy.
Ciò non potè che spingermi a fare l’osservazione – doverosa – che, mentre il Camaleonte era universalmente riconosciuto per le sue incredibili possibilità di mimetizzarsi, poco o niente si sapeva dei Gechi, di questi umili animaletti così strettamente ed incredibilmente associati – anche a livello etimologico – alla Tarantola, al punto da essere ancora, nella terminologia corrente, tuttora confusi con essa.
Così, in assenza di documentazione “ufficiale” che lo attestasse, chi scrive,  che  aveva  avuto  in  svariate  occasioni  la possibilità di osservare e di documentare fotograficamente la variabilità cromatica del Geco, trovò  quanto  meno  singolare il fatto che queste piccole creature, talmente comuni da essere considerati banali, avessero delle incredibili quanto inattese – e sorprendenti! – capacità di cambiare colore, e non solo: ancora più singolare trovò che tale caratteristica non fosse documentata.
L’excursus personale sull’argomento, in merito all’interesse per questa categoria di animali ed a quanto ad essa correlato, nacque in concomitanza delle mie personali ricerche a proposito del Camaleonte salentino, quando mi resi conto delle strane concordanze fra l’areale di questo e quello di uno dei quattro Gechi italiani, il “Cyrtodactyluskotschyi, organismo la cui peculiare diffusione fu da me analizzata per ipotizzare un processo di importazione similare, ma per certi versi ben  differenziata, a quello ipotizzato per il Camaleonte.

“Cyrtodactylus” kotschyi orientalis (foto da wikimedia)

 

Il Geco di Kotschy, un italico endemismo salentino (e di Matera)

Da queste strane considerazioni in merito alla possibile importazione a partire dalle coste mediterranee orientali derivò il mio interesse per il piccolo Geco di Kotschy (che tuttora, malgrado i miei molteplici tentativi, finora non sono mai riuscito a vedere di persona); questo strano Geco dalle dita prive di ventose e dalle caratteristiche più simili a quelle delle Lucertole che a quelle dei Gekkonidae, al punto da formare, in alcune  isole  greche,  colonie  insieme  alla  Podarcis  milensis,  la  Lucertola  di  Milo,  con  la  quale condivide l’habitat, le prede, il territorio e persino l’etologia.
Di questo termofilo Geco che, forse a causa delle sue apparentemente scarse possibilità di salire su muri completamente lisci – è privo di cuscinetti adesivi, avendo delle zampe in tutto e per tutto simili a quelle delle Lucertole – si trova meno frequentemente nei pressi delle abitazioni umane.
A proposito di questo Geco è accennata in letteratura la capacità di cambiare colore, che tende al nero in corrispondenza delle ore più luminose della giornata; a parere di chi scrive, potrebbe sì trattarsi di una variazione legata alla sola termoregolazione (fatto che potrebbe risultare anche controproducente ai fini di un’eventuale mimetizzazione dell’animale, rendendolo spesso ben più appariscente che non se fosse rimasto con la livrea pressoché “eclissale” che lo caratterizza quando non diventa scuro).

Ma potrebbe più probabilmente, alla luce delle considerazioni che saranno fate da qui a breve, trattarsi di un fenomeno, ben più complesso, molto vicino a quello descritto in queste pagine per il Geco comune.

Nel caso  del  “Piccolo  Geco  dei  muretti  a  secco” (così si intitolava un mio articolo, presente online per diversi anni e attualmente non più disponibile, sul Geco di Kostschy), qualora limitato ad un semplice melanismo, questa  caratteristica  non  apporterebbe infatti, presumibilmente, alcun vantaggio in fase predatoria, in quanto il colore nero risalta notevolmente sul colore chiaro dei susbstrati, siano essi sassosi o murari, di calcarenite (fatto questo che il che lo renderebbe ben visibile da parte delle prede e, allo stesso modo, dei predatori). Un aiuto in tal senso certamente viene al “Cyrtodactylus” dall’essere più veloce e meno flemmatico degli altri Gechi, tanto che esso riesce a sfuggire ai predatori ed a rincorrere le prede con un’efficienza tale da annullare gli eventuali effetti sfavorevoli derivanti da un’eccessiva visibilità.

(continua)

 

[1] Sandro D’Alessandro, residente a Brindisi, laureato in Scienze Forestali, è autore dei libri La Vallonea  Quercia di Chaonia – un viaggio nell’ecologia, nella storia e nella mitologia della Falanida salentina. albero delle civiltà mediterranee, Il Serpente simboli miti etologia – dalla Sacara con le corna al Malpolon in Terra d’Otranto e Il Lupo e altri Lupi – Il Lupo di Gubbio e la Bestia di Gevaudan, il Lupo cerviero e la Lonza, nonché coautore di altri libri a firma di svariati autori e di numerose pubblicazioni, tutte a sfondo naturalistico, pubblicate su riviste sia cartacee che telematiche del settore naturalistico-ambientale.

[2] S. D’Alessandro, Il mimetismo nel Geco comune, in “Silvae”, Rivista tecnico-scientifica del Corpo Forestale dello Stato, maggio 2014, poi su “Natura”, Rivista dell’Arma dei Carabinieri, http://www.carabinieri.it/editoria/natura/la-rivista/home/tematiche/ambiente/il-mimetismo-nel-geco-comune

 

 

Puglia, porta d'Oriente (terza parte)

Ambienti, paesaggi e natura di Puglia

Terza parte

Continuiamo il nostro rapido excursus tra gli ambienti naturali pugliesi con un accenno ai boschi mesofili xerofili.

Faggeta
Faggeta
L’ambiente mesofilo è un ambiente che garantisce la sopravvivenza di organismi viventi che hanno un fabbisogno idrico medio e che si colloca a metà strada fra l’ambiente igrofilo (caratterizzato da grande necessità di acqua, come ad esempio le piante che vivono in prossimità dei corsi dei fiumi) e quello xerofilo, dove invece domina la siccità.
Boschi mesofili sono localizzati in Puglia soprattutto in aree collinari, o di media montagna, come il Sub Appenino Dauno e il Gargano, le cui condizioni climatiche, fresche ed umide, consentono lo sviluppo di specie quali: il faggio (Fagus sylvatica L.), il cerro (Quercus cerris L.), la roverella (Quercus pubescens Willd.), l’acero campestre (Acer campestre L.), il frassino (Fraxinus ornus L.), il carpino orientale (Carpinus orientalis Mill.) e quello nero (Ostrya carpinifolia Scop.), per citarne alcune. Particolari condizioni microclimatiche hanno consentito lo sviluppo di boschi mesofili anche in aree della Murgia (come ad es. nel Bosco delle Pianelle in provincia di Taranto) e del Salento.
Agrifoglio (Ilex aquifolium L.), biancospino(Crataegus monogyna Jacq.), alaterno (Rhamnus alaternus L.), fillirea (Phillyrea latifolia L.), insieme ad altre essenze, caratterizzano il sottobosco, arricchito dalla preziosa fioritura di numerose orchidee spontanee. Il raro capriolo garganico (Capreolus capreolus italicus Festa) e l’elusivo gatto selvatico (Felis silvestris Schreber) impreziosiscono il già ricco patrimonio faunistico del Parco Nazionale del Gargano, mentre sono soprattutto i piccoli passeriformi canori, balieluìcince, oltre che a tordi,merlighiandaie, ad allietare la foresta con il loro canto melodioso.
Murge Sud-Orientali, boschi xerofili

Per boschi xerofili si intendono associazioni vegetali che si sviluppano in zone caratterizzate da condizioni climatiche critiche, quali precipitazioni scarse e temperature estive anche elevate.
Le specie vegetali presenti in questi boschi mostrano così adattamenti atti a ridurre l’evapotraspirazione per resistere ai lunghi periodi di siccità, come la persistenza più o meno prolungata delle foglie sui rami. Ad altitudini minori troviamo il leccio (Quercus ilex L.), sempreverde, cui segue il fragno (Quercus trojana Webb), semideciduo, associato con l’aumentare di quota, alla roverella (Quercus pubescens Willd.)

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