Basoli in Terra d’Otranto

ph Angelo Micello

di Angelo Micello

Il Regolamento sulla redazione dei progetti e l’esecuzione dei lavori pubblici fu emanato nel 1895 (Regio Decreto 25 maggio 1895, n. 350) e rimase in vigore fino al 1999. Poi non ebbe più pace seguendo i gusti del ministro di turno. L’attenzione posta dai tecnici nel redarre norme per una corretta esecuzione di un’opera pubblica cominciò a svilupparsi negli anni successivi arrivando a consolidarsi e uniformarsi in modo pressoché omogeneo caratterizzandosi tuttavia per alcune indicazioni su lavorazioni locali tra cui appunto la basolatura delle strade e delle piazze che non poteva prescindere dalla disponibilità e dalla qualità dei materiali principali reperibili in loco. La Terra d’Otranto fu favorita dai numerosi affioramenti calcarei, che pur nella diversità dei colori e della durezza, presentavano metodologie comuni nell’estrazione e nella lavorazione del singolo concio.

Contrariamente a quanto si crede le basolature delle strade è cosa piuttosto recente e si diffonde definitivamente soltanto nell’Ottocento con la necessità di presentare decorosi spazi esterni agli splendidi palazzi che caratterizzarono quel periodo storico. In ambiti medievali è più facile rinvenire una vecchia massicciata romana che una qualunque pavimentazione strutturata di epoca successiva.

In altre parti si ricorre alla tecnica di armare i terreni con ciotoli e  scaglie di facile reperimento formando acciotolati e selciati. I primi lavori pubblici di basolatura in Terra d’Otranto vengono appunto chiamati lavori di “in selciatura” e si datano a cominciare dalla seconda metà dell’Ottocento e nei primi decenni del secolo successivo qualificandosi come una delle principali categorie delle grandi opere pubbliche postunitarie in cui le amministrazioni comunali inve­stono consistenti somme.

Nel 1908 l’ing. Gaetano Bernardini, incaricato del progetto per la pavimentazione delle strade interne dell’abitato di Monteroni di Lecce, elabora un capitolato speciale tra i più dettagliati dell’epoca per quanto concerne la basolatura; oltre a confluirvi le pratiche norme dettate – probabilmente per la prima volta in forma completa – dall’ingegner Luigi Pino nel 1845 su analoghi lavori da svolgere in Lecce, vi si trovano numerose altre utili indicazioni a completamento delle regole precedentemente elaborate.

Chi ha avuto modo di vedere una copia originale di un vecchio progetto di opera pubblica, interamente scritto e disegnato a mano, può capire la scarsità di altre descrizioni atrettanto dettagliate come quelle dell’ing. Bernardini.

Le descrizioni sono fedelmente riportate in “ARTE E LAVORO” di Andrea Mantovano – Mario Congedo Editore un testo che ogni professionista dell’architettura e del territorio dovrebbe conoscere, in particolare chi opera nel campo del restauro edilizio ed urbanistico in Terra d’Otranto.

A seconda dei casi, i basoli sono distinti in due o tre classi dagli arti­coli di capitolato d’appalto che forniscono istruzioni precise su tutte le fasi dell’opera, dal formato dei blocchi calcarei al tipo di lavorazione sui diversi lati dei basoli,

Edilizia e arte funeraria a Nardò e nel Salento (I parte)

La città dei morti tra storia e memoria del passato.

Un esempio salentino: il cimitero di Nardò.

di Gabriella Buffo

“E’ da un pezzo che la Filosofia ha intimato il bando alle sepolture, e ai cimiteri non solo fuori delle chiese, ma anco fuori delle città, e lungi dall’abitato per la semplice ragione, che i morti non debbono ammorbare i vivi. Se le nostre Chiese sono pavimentate di cadaveri, qual maraviglia il trovarci spesso desolati da tante malattie pestilenziali”[1].

Così scriveva Francesco Milizia, teorico e critico di Oria, nel suo trattato Principi di Architettura Civile (1781), rilevando il grosso problema igienico sanitario legato alla consuetudine di tenere esposti i morti per lungo tempo nelle chiese e seppellirli poi sotto i loro pavimenti o nei cortili degli ospedali e delle confraternite.

Se il diritto funerario romano aveva respinto, per secoli, con la decima legge delle XII Tavole [2] (homine mortum in urbe ne pepelito neve urito) le sepolture fuori dalle mura delle città, per preservare la sanctitas delle abitazioni è “con il Cristianesimo che avviene il passaggio dalla negazione alla familiarità della morte che porterà in epoca medioevale all’inurbamento dei luoghi di sepoltura”[3].

Cimitero di Nardò – cappella Personè – particolare fiaccole con ali e globo terrestre

Nei primi secoli dopo Cristo, infatti, si afferma la pratica delle sepolture ad sanctos o martyribus sociatus, affinché fosse più facile il cammino del defunto verso la resurrezione: in Christianis mors non est mors, sed dormitio et somnus appellatur, così afferma S.Girolamo nella XXIX epistola, secondo il quale la morte non può più far paura perché è vista come sonno eterno.

Le chiese accoglievano le sepolture dei nobili in ambienti ipogei posti in prossimità o davanti alle cappelle laterali di patronato di una certa famiglia; il clero, invece, aveva sepoltura in un unico ambiente sotterraneo, posto in prossimità del presbiterio e dell’altare maggiore; i popolani erano ammucchiati uno sopra l’altro senza cassa, avvolti solamente in un sudario, all’interno della navata centrale lungo due o più corridoi sotterranei ovvero in fosse molto larghe.

“Il posto più ricercato, e quindi più costoso, che si pagava generalmente tramite lasciti testamentari per le preghiere, era il coro ovvero vicino al punto in cui si celebra la messa e dove sono conservate le reliquie del santo. La scelta del posto di sepoltura da parte dei testatori restava subordinata comunque all’approvazione del clero. Ed era quasi sempre una questione di denaro”[4].

Nelle chiese conventuali  trovavano sepoltura i frati ivi dimoranti e, in linea di massima, eventuali benefattori mentre, nelle chiese confraternali, erano ubicate le sepolture per i confratelli della congrega di pertinenza. In ogni paese, per sovvenire alle esequie dei poveri, c’era quasi sempre una confraternita della Buona Morte (spesso delle Anime Purganti) che provvedeva ai funerali e a fornire una cassa da usarsi solo per il trasporto (una sola cassa per tutti i beneficiati).

Il processo di separazione tra cimiteri e città inizia ad avviarsi già nel 1765 con un decreto promulgato dalle autorità civili parigine e, immediatamente dopo il 1787, con una disposizione austriaca nel Lombardo Veneto.

I Francesi, durante l’occupazione napoleonica (1809-1814), con la loro visione illuministica, che aspirava a rimodellare le città secondo criteri di ordine, bellezza e igiene, misero al bando la pratica medievale della sepoltura ad sanctos o apud ecclesiam.

L’Editto Napoleonico di Saint Cloud del 12 giugno 1804, nell’occuparsi di molti aspetti di convivenza, entrò nel merito delle sepolture imponendo l’obbligo di seppellire i morti in appositi spazi recintati, fuori dall’abitato, allestiti per cura delle amministrazioni pubbliche, (art. 75, 76 e 77) e introducendo un controllo sulle iscrizioni funerarie, che dovevano essere consone allo spirito della rivoluzione francese e, pertanto, non contenere iscrizioni nobiliari. Le sepolture dovevano essere anonime e la collocazione della lapide era relegata ai margini dei cimiteri. La legge venne estesa all’Italia Meridionale con decreto del 5 settembre 1806.

Questa legge, senz’altro valida secondo il più freddo razionalismo, incontrò forti resistenze, perché lesiva di pratiche religiose profondamente sentite ma che impediva anche – come scriveva Ugo Foscolo nel carme dei Sepolcri (composto nel 1806) – quella “corrispondenza d’amorosi sensi” togliendo all’uomo l’illusione che egli potesse sopravvivere almeno nel ricordo dei suoi cari.

“Pur nuova legge impone oggi i sepolcri fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti contende. E senza tomba giace il tuo sacerdote, o Talia, che a te cantando nel suo povero tetto educò un lauro  con lungo amore, e t’appendea corone”; così polemizza il Foscolo a proposito della disumana normativa sulle iscrizioni funebri che non permise al poeta Parini di essere sepolto con una lapide che ne tramandasse almeno il nome.

Cimitero di Nardò, cappella della confraternita delle anime purganti. Sopra la porta il Chrismon costantiniano formato dalle iniziali greche di Cristo

 

Lo stesso disagio culturale è, nel contempo, accusato da una intera generazione poetica europea a partire dall’anglosassone Thomas Gray con l’opera Elegy written in a country churchyard, a Edward Young nei Night Thoughts alle Meditations among the tombs di James Hervey per passare poi agli intellettuali francesi come Jacques Delille.

Sino al 1814 nei cimiteri è prescritta la costruzione di monumenti sepolcrali; successivamente a questa data nuovi emendamenti regoleranno il rilascio delle autorizzazioni per le sepolture private .

Durante il periodo della restaurazione borbonica nel Regno delle Due Sicilie determinante fu l’emanazione della legge nr. 653 dell’11 marzo 1817, che stabiliva la costruzione in ogni Comune di un camposanto fuori dell’abitato “in modo da servire ad un tempo a garantire la salute pubblica, ad ispirare il religioso rispetto dovuto alle spoglie umane, ed a conservare le memorie onorifiche degli uomini illustri”. La legge dava, inoltre, facoltà ai Decurionati di individuare i fondi di proprietà pubblica o privata idonei a tale destinazione procedendo là dove necessario all’esproprio.

Alla legge seguì il Regolamento di attuazione del 21 marzo 1817 che all’art. 2 prescriveva: “la figura dei campisanti sarà un quadrato, o un parallelogramma, avrà una sola porta d’ingresso, chiusa da un forte rastello di ferro, o di legno, e che la posizione sia scelta in un sito a circa un quarto di miglio lontano dall’abitato, nella direzione dei venti settentrionali in modo da evitare gli effetti sgradevoli dei miasmi”[5].

Purtroppo le disposizioni di legge tardarono ad essere applicate. Forti opposizione sia da parte del clero, timoroso di una diminuzione delle “pie elargizioni dei suffraganti”, sia dei ceti popolari, restii ad abbandonare la prassi della tumulazione apud ecclesiam, faticavano a far nascere i cimiteri extraurbani avallando la comune pratica di tumulare all’interno delle chiese con grave detrimento della salute pubblica anche considerando le ricorrenti epidemie di colera, si pensi alla terribile epidemia di colera asiatico del 1836, che flagellò il Regno. A ciò si aggiungeva  una quale inerzia amministrativa e la penuria di fondi per la costruzione dei camposanti.

Cimitero di Nardò, cappella della congrega di S.Giuseppe

Il cimitero in Terra d’Otranto: il caso di Nardò

Il Real Rescritto dell’11 gennaio 1840 fu reso esecutivo in Terra d’Otranto il 25 gennaio 1840. Con la nota del 25.1.1840 sullo “stato progressivo de’ lavori de’ Campisanti” l’Intendente Marchese Della Cerda comunicava  ai Sindaci la “definitiva chiusura delle tombe nelle chiese dell’abitato” e “sollecitava ancora l’edificazione delle città dei morti” [6].

“Il Comune di Lecce non si fa cogliere impreparato e si attiva giungendo a un risultato concreto con la predisposizione di una serie di documenti fondamentali: il primo e più importante di questi è datato 19 febbraio 1840 e contiene la relazione descrittiva del Progetto de’ lavori che occorrono per la costruzione del Cimitero nel locale di S. Nicola in Lecce con allegato lo Stato Stimativo firmato dal suo estensore nonché progettista delle opere, l’ing. Benedetto Torsello[7]. Il cimitero fu aperto ufficialmente il 1° gennaio 1845  ma il popolo leccese, ancora non convinto della necessità ed utilità di questo impianto extraurbano, nel 1848 manifestò aspramente il proprio dissenso con l’abbattimento delle porte e dei muri del Cimitero e con la dispersione delle croci”[8].

Cimitero di Galatina, cappella Galluccio in stile neoegizio

 

Nel territorio salentino il Comune di Galatina nel marzo del 1886 aveva ultimato i lavori per la realizzazione del cimitero ma, già nel 1894, approvava il progetto di ampliamento, presentato dall’ing. Giuseppe Greco, per la costruzione di nuove cappelle gentilizie nell’area prospiciente l’ingresso[9].

Analoga era la situazione a Gallipoli, dove l’ing. Luigi Pinto aveva già redatto nel 1868 un progetto di ampliamento del preesistente camposanto.

“Non manca di Cimitero il Comune di Nardò che si trova provveduto sin dal 1840 ed è posto in apposita località fuori l’abitato, i cadaveri vi si seppelliscono per inumazione ed anche tumulazione essendo permessa la costruzione di tombe particolari. Manca solo il Regolamento […] e quindi vengono adottati gli antichi del 1817” così scriveva il sottoprefetto di Gallipoli il 16 ottobre 1870 alla Prefettura di Lecce[10], alla quale spettava l’obbligo di vigilare sulla salute pubblica[11].

Al 1847 risale, comunque, un tentativo di spostarlo in altra area della città: una relazione, datata 17 gennaio, presenta all’amministrazione comunale il progetto di un nuovo campo santo “da costruirsi ad uno dei lati del Monastero dei P.P. Cappuccini, distante dalla città un terzo di miglio mentre l’attuale Campo Santo è d’un quarto ed alla medesima direzione di Nord Ovest. [   ] Inoltre li P.P. Cappuccini abbraccerebbero quest’occasione per loro peculiare interesse, cederebbero, forse, gratis, parte del di loro giardino pel Campo Santo”[12].

Ma la scelta del luogo è subito contestata dai neretini, come si legge in una missiva, datata 21 dicembre 1847, di un cittadino portavoce, il quale scrive all’Intendente della Provincia di Terra d’Otranto che “l’unica delizia che offre questa Nardò, si è incontrastabilmente il passeggio sulla via che mena al Convento dei PP. Cappuccini, ed al Capoluogo del Distretto, ove la popolazione si accalca, specialmente nei mesi estivi. Ora cercasi avvelenare questo pubblico ed innocente sollazzo ed collocare colà il Campo Santo e rendere così mesto e luttuoso quel luogo che oggi è ridente ed ameno. Né il pubblico diletto è il solo che debbasi tener presente”.[13]

L’antico impianto architettonico del cimitero neretino era tipologicamente definito da uno spazio geometrico regolare in cui due viali perpendicololari dividevano l’aia cimiteriale in quattro parti .

Planimetria del vecchio cimitero di Nardò

Il muro del recinto interno del camposanto, come disponeva l’art.10 dello stesso Regolamento, fu diviso in sezioni per essere acquistato, “ad un prezzo da determinarsi a favore del Comune, dalle famiglie le quali colà avrebbero potuto erigere monumentini, lapidi con bassorilievi ed epigrafi, cippi commemorativi al fine di conservare le memorie onorifiche dei loro trapassati”[14].

Inizialmente il cimitero era limitato da un “puro e semplice muro di cinta di determinata altezza con apposito ingresso su di un pubblico cammino, con dentro un infelice locale coperto con volta semicilindrica a cui dato il nome di Cappella. Tutto ciò praticato mancava non solo di quella decenza dovuta ad uno stabilimento di simil fatta, ma ancora di un locale per la custodia , e di altro pel provvisorio deposito dei cadaveri fino all’ora della inumazione”, così si legge in una relazione dell’arch. Gregorio Nardò.[15].

Incaricato “d’invigilare alla esecuzione delle regole prescritte sul modo della inumazione”[16] era il custode, di certo già in servizio nell’anno 1842, in quanto in una missiva, datata 8 maggio dello stesso anno, il sindaco di Nardò Gian Vincenzo Dell’Abate chiedeva all’intendente di Terra d’Otranto l’autorizzazione ad anticipare di giorni 15 la somma di denaro dalla Cassa Comunale, quale paga per il custode sig. Giuseppe Gioffreda, il quale si trovava in difficoltà economiche[17].

Pianta del vecchio cimitero di Nardò

Alla costruzione del cimitero seguì presto il progetto, datato 10 aprile 1844 e firmato dall’ing. Benedetto Torsello, dei lavori che occorrevano “per la costruzione della nuova strada che dall’abitato di Nardò mena al Campo Santo, uscendo dalla nuova porta sul filo detto Boccaporto”[18].

Cimitero di Nardò. Prospetto dell’antico cimitero

Il 2 maggio 1844 l’Intendente approvò l’esecuzione dei lavori per la realizzazione della strada per la spesa preventiva di 260 ducati cioè ducati 70 di lavori a farsi e ducati 182 di compenso ai proprietari e di ducati 8 per competenze dovute allo stesso ingegnere.

Nella relazione di verifica, datata 8 aprile 1848, l’ing. delle Acque e Strade Vincenzo Fergola accertò che “l’inumazione nel Pio Stabilimento fu incominciata in febbraio 1840 e che fin ad allora vi erano n. 2834 cadaveri e che vi rimaneva ancora un’aia capace a potervi continuare l’inumazione fino a tutto luglio prossimo”[19].

Progetto del nuovo cimitero di Nardò

 

Ma già in una relazione dell’Ufficiale Sanitario Comunale del 13 marzo 1911 si evidenziava che il cimitero era insufficiente ai bisogni del paese e che necessitava di un ampliamento e anche di un nuovo fabbricato con l’alloggio del custode, la cisterna e i locali richiesti dai Regolamenti, nonché di una nuova cappella per le funzioni religiose. La nuova cappella “in cui i fedeli nel giorno della commemorazione dei morti potranno recitare gli uffizi di pietà”, fu costruita al centro del muro opposto all’ingresso “di croce greca come quella che occupando lieve spazio meglio di qualunque altra figura […] nell’esterno saravvi un prospetto di stile greco”[20].

Il 9 gennaio 1915 l’ing. Gaetano Bernardini di Monteroni presentò il progetto di ampliamento del vecchio cimitero “che così ampliato e fornito di tali opere verrebbe a sostituire in parte l’antico, il quale resterebbe destinato in gran parte a tombe gentilizie ed in parte ad inumazione ordinaria”[21].

La zona di ampliamento fu individuata a lato dell’antico muro di cinta a ovest, interessando i fondi del cav. Giovanni Colosso e Benedetto Trotta. Essa confinava a nord con la via nuova detta Carignano, a est con l’antico cimitero, a sud con la proprietà Colosso e a ovest con la via vecchia vicinale Scapiciara. L’intera zona espropriata copriva una superficie totale di metri quadri 11537,98.

Il progetto di Bernardini, già approvato dalle Autorità Superiori il 6 luglio 1915, fu successivamente modificato dall’Ing. Luigi Tarantino.

Il 4 giugno 1916 fu contratto un mutuo di £. 30.000 con la cassa dei Depositi e Prestiti di Roma per l’esecuzione di nuovi lavori nel Cimitero.

Il Comune di Nardò, con delibera del 23 febbraio 1923, affidava i lavori di costruzione delle fondazioni dei muri di cinta del cimitero alla cooperativa dei muratori fascisti, il cui presidente era Vaglio Ermenegildo, anche al fine di contrastare la disoccupazione, che in quel periodo affliggeva gli operai del posto.

 (continua)


[1] F. MILIZIA, Principj di architettura civile, Milano 1847, 289-290.

[2] Le leggi delle XII tavole (duodecim tabularum leges) è un corpo di leggi compilato nel 451-450 a.C. dai decemviri legibus scribundis, contenenti regole di diritto privato e pubblico. Rappresentano una tra le prime codificazioni scritte del diritto romano, se si considerano le più antiche mores e lex regia. Sotto l’aspetto della storia del diritto romano, le Tavole costituiscono l’unica redazione scritta di leggi dell’età repubblicana.

[3] L. BERTOLACCINI, Diritto d’asilo e sepolture nelle città medievali, in “I servizi funerari”, n. 4 , Rimini, ottobre-dicembre 2000.

[4] Ibidem

[5] P. PETITTI, Repertorio amministrativo del Regno delle Due Sicilie, Napoli 1856, vol. III,  428-429.

[6] A.S.L, Intendenza di Terra d’Otranto, affari generali, busta 35 fascicolo 718.

[7] G. CATALDO, Il ‘Campo Santo’ di Lecce, ……, pag. 153.

[8] V. MATRANGOLA, Il giardino degli addii, Lecce 2005.

[9] Delibera del Consiglio comunale del 5.12.1893. A.S.L., Prefettura, serie II versamento III busta 24 fasc.307. Sul Cimitero di Galatina cfr. Percorso extraurbano alla riscoperta dei più bei monumenti funebri in “Galatina da scoprire… con la guida degli alunni del Liceo Scientifico Statale “A. Vallone” di Galatina,” Galatina 2004, pp. 11-25.

[10] A.S.L., Prefettura, II serie I versamento fascicolo 44 – 45 busta 37.

[11] La prima legge sanitaria del Regno d’Italia è contenuta nel Regolamento per l’esecuzione della Legge sulla sanità pubblica presentato dal Governo Lanza e approvato con Regio Decreto n. 2322 dell’8 giugno 1865, il quale fissava le responsabilità dei Prefetti, Sottoprefetti e Sindaci in merito ai problemi riguardanti la sanità pubblica .

[12] A.S.L., Prefettura, serie II versamento I fascicolo 44 busta 37.

[13] A.S.L., Prefettura, serie II versamento I fascicolo 44 busta 37.

[14] P. PETITTI, Repertorio amministrativo del Regno delle Due Sicilie, Napoli 1856, vol. III, pp. 428-429.

[15] Archivio Storico Comune di Nardò (ASCN), Progetto per la nuova Cappella ed Ingresso al Camposanto di Nardò.

[16] Art. 11 della Legge 11/03/1817, in P. Petitti, Repertorio…., op. cit, p. 430.

[17] A.S.L., Prefettura II serie I versamento fascicolo 44 busta 35.

[18] A.S.C.N.

[19] A.S.L., Prefettura II serie I versamento busta 37.

[20] A.S.C.N., Progetto per la nuova Cappella ed ingresso al Camposanto di Nardò.

[21] A.S.C.N.

[22] A. MANTOVANO, Il Cimitero Monumentale di Lecce, in V. Cazzato – S. Politano, Architettura e Città a Lecce. Edilizia privata e nuovi borghi fra Otto e Novecento, Galatina 1997, 32.

[23] L. BERTOLACCINI, Sepolture individuali e tombe di famiglia. Immagini e simboli della morte, in “I servizi funerari”, n.1, Rimini, gennaio-marzo 2001

[24] M. GABALLO, Araldica civile e religiosa a Nardò, Nardò 1996.

[25] Ibidem

[26] O. GHIRINGHELLI, I repertori a stampa fra Ottocento e Novecento, in L’architettura della memoria in Italia,  253.

[27] M. AUGE’, Nonluoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità,  Milano, 2005.

[28] A. BELARDINELLI, Lo specchio non effimero, in L’architettura del cimitero tra memoria e invenzione, Perugia 2005, 75.

[29] COMUNE di MILANO, Monumentale Museo a cielo aperto – le migliori 100 foto del concorso, Milano 2004.

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