Nardò, due pergamene certamente (una addirittura, una bolla papale), due scultori forse, anzi, decisamente no!

di Armando Polito

Dopo le ultime “creazioni” di Christo e di Cattelan il lettore si chiederà, letto il chilometrico titolo che farebbe invidia a a quelli di tanti  libri a stampa dei secoli scorsi, quali saranno mai questi scultori prima annunziati e subito dopo schizofrenicamente rinnegati alle prese con pergamene. Anche se avessero rimediato gli onori della cronaca, avrei perso il mio tempo con loro solo per un liberatorio sfogo intriso di sarcasmo. La questione, invece, è stata, almeno all’inizio, maledettamente seria e ci porterà, comunque, a ritroso nel tempo per più di quattro secoli.

Comincio col presentare la bolla, non di sapone né finanziaria …, cioé quella con cui papa Gregorio XIII sancì l’elezione di Cesare Bovio1 a vescovo di Nardò il 15 aprile 1577.

Riproduco la pergamena, che è custodita nell’archivio della curia vescovile di Nardò, da http://www.sapuglia.it/Schedatura/Pergamene/iviewer/viewer/viewer.php?id_perg=7780&offset=0, aggiungendo di mio la trascrizione (le abbreviazioni sciolte in parentesi tonde, le lacune integrate2 nelle quadre), la traduzione e le dovute note.

bolla diocesi Nardò

Gregorius ep(iscopu)s servus servo(rum) Dei Dilecto filio Cesari Electo Neritonen(si) Sal(u)t(em) et A [p(osto)licam) Ben(edictionem)].

Apostolatus officium meritis licet imparibus nobis ex alto commissum quo ecclesiarum omnium regimini divina dispositione presidemus utiliter exequi coa[diuvante Domi]no cupientes soliciti corde reddimur et solertes ut cum de Ecclesiarum ipsarum regiminibus agitur committendis tales eis in Pastores preficere studeamus,  qui [Populum] sue cure creditum sciant non solum doctrina verbi, sed etiam exemplo boni operis informare commissasque sibi ecclesias in statu pacifico et tranquillo velint et [valeant], auctore Domino salubriter regere et feliciter gubernare Dudum siquidem provisiones Ecclesiarum omnium tunc vacantium et in posterum vacaturarum ordinationi et disp[ositioni nostre] reservavimus decernentes ex tunc irritum et inane, si secus super his per quoscumque quavis auctoritate scienter vel ignoranter contigeret attentari. Et deinde ecclesia N[eritonensis auctoritati] apostolice immediate subiecta cui bone memorie Ambrosius Episcopus Neritonensis dum viveret presidebat per obitum dicti Ambrosii Episcopi qui extra Romanam Curiam  de[bitum] persolvit pastoris solatio destituta Nos vacatione huiusmodi fide dignis relationibus intellecta ad provisionem eiusdem ecclesie celerem et felicem de qua nullus preter [nos hac] vice se intromittere potuit sive potest reservatione et decreto et sistentibus  supradictis ne ecclesia ipsa longe vacationis exponatur incommodis paternis et solicitis [studiis] intendentes post deliberationem quam de preficiendo eidem ecclesie personam utilem et etiam fructuosam cum fratribus nostris habuimus diligentem demum ad te Rectorem [ecclesie] beate Marie Virginis Assumptionis nuncupate Licien(sis) in presbiteratus ordinem constitutum et ex civitate Bononien(si) oriundum cui apud Nos de literarum scientia vite munditia honestate morum spiritualium providentia et temporalium circumspectione aliisque multiplicium virtutum donis fide digna testimonia perhibentur direximus oculos nostre mentis. Quibus omnibus debita meditatione pensatis de persona tua nobis et eisdem fratribus ob tuorum exigentiam meritorum accepta eidem ecclesie Neritonen(si) de ipsorum fratrum consilio Apostolica auctoritate providemus teque illi in Episcopum preficimus et pastorem curam et administrationem ipsius ecclesie Neritonen(sis) tibi in spiritualibus et temporalibus plenarie committendo in illo qui dat gratias et largitur premia confidentes quod dirigente Domino actus tuos prefata ecclesia Neritonen(sis) per tue diligentie laudabile studium regetur utiliter et prospere dirigetur ac grata in eisdem spiritualibus et temporalibus suscipiet incrementa. Iugum igitur Domini tuis impositum humeris prompta devotione suscipiens curam et administrationem predictas sic exercere studeas solicite fideliter et prudenter quod ecclesia ipsa Neritonen(sis) Gubernatori provido et fructuoso Administratori gaudeat se com(m)issam. Tuque preter eterne retributionis premium benivolentiam nostram et nostre sedis benedictionem et gratiam exinde uberius consequi merearis. Volumus autem quod antequam possessionem seu quasi regiminis et administrationis dicte ecclesie Neritonen(sis) vel illius bonorum aut maioris partis eorum assequaris seu in illis te immisceas fidem catholicam iuxta articulos pridem ab eadem sede propositos iuxta formam quam [sub b]ulla nostra   mittimus introclusam in manibus venerabilium fratrum nostrorum Archiepiscopi Idruntusin(ensis)  et Episcopi Castren(sis) seu alterius eorum quibus et eorum cuilibet per alias nostras literas man[dam]us quatenus ipsi vel eorum alter professionem a te recipiant seu recipiat antedictam omnino profiteri et facte huiusmodi professionis fidei formam in scriptis tuo sub sigillo per proprium [n]uncium ad sedem autem quantocitius destinare tenearis alioquin provisio et prefectio huiusmodi nulle sint. Datum Rome apud Sanctumpetrum Anno incarnationis dom[inic]e millesimoquingentesimoseptuagesimoseptimo decimo septimo (ante) Calendas Maii nostri pontificatus anno [quin]to.

Da notare che nella prima linea le iniziali G di Gregorius, D di dilectus, C di Cesari, E di Electo, N di Neritonen(sis), la S di Sal(u)tem hanno l’estetica dei capilettera imitanti le miniature medioevali; inoltre, in modo meno appariscente, delle linee verticali uniscono al capolettera la s di servus e di servorum, la l di dilecto, la f di filio, la s di Cesari e la l di Electo.

Ecco la traduzione:

Gregorio vescovo servo dei servi di Dio al diletto figlio Cesare eletto a Nardò (rivolge) il saluto e l’apostolica benedizione.

Desiderando che l’ufficio dell’apostolato a noi affidato dall’alto pur con impari meriti, con il quale per divina disposizione presiediamo al governo di tutte le chiese, sia eseguito utilmente con l’aiuto di Dio siamo resi solleciti nel cuore e solerti affinché, quando si tratta di affidare Il governo delle stesse chiese, curiamo di dare l’incarico di presiederle a pastori tali che credano che il popolo sia stato affidato alla loro cura non solo per l’insegnamento della parola (di Dio) ma anche vogliano e valgano con l’esempio della buona azione educare e con l’aiuto di Dio reggere e felicemente governare in uno stato pacifico e tranquillo li chiese a loro affidate. Da tempo poiché abbiamo riservato al nostro governo e comando la cura di tutte le chiese allora vacanti e in seguito destinate ad esserlo giudicando da allora  nullo o inutile se diversamente su queste cose toccasse di transigere da chiunque con qualsiasi autorità consapevolmente o inconsapevolmente e di conseguenza la chiesa di Nardò, immediatamente soggetta all’autorità apostolica, alla quale presiedeva finché era in vita il vescovo di Nardò Ambrogio di buona memoria priva di conforto per la morte del detto vescovo Ambrogio che fuori della curia romana assolse al dovere di pastore, Noi per una sospensione di questo tipo compresa mediante relazioni degne di fede per una cura celere e felice della medesima chiesa circa la quale nessuno eccetto noi questa volta potè o può intromettersi con riserva o decreto e stanti le cose prima dette intendendo che la stessa chiesa non sia esposta lungamente agli inconvenienti della sospensione dopo la diligente deliberazione che abbiamo avuto con i nostri fratelli sul preporre alla medesima chiesa persona utile e anche fruttuosa alla fine abbiamo diretto gli occhi della nostra mente a te rettore della chiesa leccese chiamata della Beata Vergine dell’Assunzione post nell’ordine dei presbiteri e oriundo della città di Bologna, dal quale sono offerte a noi testimonianze degne di fede sulla conoscenza delle lettere, la purezza di vita, l’onestà dei costumi, la prudenza delle cose spirituali e l’avvedutezza di quelle materiali e altri doni di molteplici virtù. Meditate con la dovuta profondità tutte queste cose, circa la tua persona gradita a noi ed ai medesimi fratelli per esigenza dei tuli meriti provvediamo con apostolica autorità su decisione degli stessi fratelli alla chiesa di Nardò e ti eleviamo a capo di quella e a pastore affidando plenariamente a te la cura e l’amministrazione della stessa chiesa di Nardò nelle cose spirituali e temporali in (nome di) colui che dà le grazie e largisce i premi confidando che dirigendo il Signore le tue azioni la predetta chiesa di Nardò grazie al lodevole impegno della tua diligenza sarà retta utilmente e prosperamente diretta e conseguirà graditi progressi nelle cose spirituali e temporali. Accettando dunque con pronta devozione il giogo del Signore posto sulle tue spalle impegnati ad esercitare la cura e l’amministrazione predette così sollecitamente, fedelmente e prudentemente che la stessa chiesa di Nardò goda di essere stata affidata ad un governatore provvido e fruttuoso. E tu possa meritare oltre al premio dell’eterna ricompensa la nostra benevolenza e la benedizione della nostra sede e di conseguire più abbondantemente da questo gratitudine. Vogliamo poi che prima che tu consegua il predetto possesso sia quasi di governo e amministrazione della detta chiesa di Nardò o dei suoi beni o della loro maggior parte, o che in essi ti immetta, che tu faccia aperta dichiarazione di fede cattolica secondo la forma che sotto la nostra bolla mandiamo chiusa nelle mani dei venerabili nostri fratelli l’Arcivescovo di Otranto ed il vescovo di Castro o di uno di loro. Ad essi ed a ciascuno di loro per altre nostre lettere diamo l’incarico che essi o uno di loro ricevano o riceva da te la dichiarazione di fede, che tu sia tenuto a fare in tutto la predetta professione e a far pervenire quanto più presto possibile a questa sede per iscritto la forma di professione di fede di tal genere fatta sotto il tuo sigillo tramite proprio messaggero, che in caso contrario il provvedimento e la nomina a capo di tal fatta siano nulli. Emesso a Roma presso San Pietro nell’anno dell’incarnazione del Signore 1577 il 15 aprile, del nostro pontificato anno quinto.

La bolla in calce mostra ben cinque scritture spurie, cioè estranee al testo ma aggiunte senz’altro subito dopo la sua stesura. Riproduco in dettaglio ingrandito quella che ci interessa.

Leggo più o meno agevolmente Franc(iscu)s Bellottus p(ro) Mag(istr)is.

La traduzione sarebbe: Francesco Bellotto per i maestri. Credo che il riferimento sia ai magistri plumbi (alla lettera maestri del piombo), cioè a coloro che realizzavano il sigillo, della cui presenza la bolla oggi presenta solo tracce, com’è detto nella scheda di catalogazione che l’accompagna. Ciò che, però, a prima vista fa sobbalzare, a patto di averlo sentito nominare, è Francesco Bellotto, cioè il nome di uno scultore neritino del secolo XVI3.

E, tenendo conto che di lui ben poco si sa, uno sobbalza credendo di averne rinvenuto, addirittura, la firma e giunge pure a supporre che nella realizzazione del sigillo di Gregorio XIII ci sia il suo zampino. Poi comincia a riflettere ed a nutrire qualche dubbio, a cominciare dal fatto che a livello cronologico siamo proprio al limite. Un controllo effettuato sulle altre cinque bolle di Gregorio XIII conservate nel detto archivio ha fatto rilevare la presenza della firma del Bellotto in due altre bolle, sempre del 15/4/1577. Nella prima  (il papa assolve Cesare Bovio da ogni censura o pena ecclesiastica in cui sia eventualmente finora incorso):

 

Nella seconda (il papa dispensa Cesare Bovio dalla rinunzia alle cariche e ai beni che teneva a vita prima della sua elezione, concedendogli, cioè, di conservare la chiesa di S. Maria dell’Assunzione di Lecce, de iure patronatus di D. Filippo De Matteis, la chiesa di S. Andrea dell ‘Isola e quella di S. Maria de Formellis, di Brindisi:

Nel corso di questo controllo, poi, è avvenuto qualcosa che da un lato ha definitivamente messo da parte il sospetto di aver fatto una scoperta, se non eccezionale (!), quanto meno interessante (tanto più, come ho detto, che del Bellotto sia sa poco o niente), dall’altra di prendere una madornale cantonata con un’ipotesi abbastanza evanescente, seppur suggestiva.

In calce ad un’altra pergamena, questa del 23/6/1577, in cui Cesare Bovio, in presenza del Capitolo, impartisce istruzioni per il servizio nella Cattedrale di Nardò, leggo, sempre in calce, quanto segue.

Placidus Buffellus ca(ncell)ar(ius) causarum ep(iscopa)lis neritonens(is) Not(arius)

Placido Buffelli cancelliere delle cause, notaio neritino del vesc

Faccio presente che Buffellus alla lettera sarebbe Buffello, ma ho tradotto Buffelli per l’uso invalso nel latino di declinare al singolare anche i cognomi dalla forma evocante il plurale. Un esempio per tutti, connesso con l’epoca e col territorio: il Galateo, com’è noto, dedica il De situ Iapygiae a Giovan Battista Spinelli e Spinelle (vocativo singolare=o Spinelli, ma alla lettera sarebbe o Spinello) ricorre più volte,senza contare la stessa procedura adottata per altri cognomi “plurali” di autori di opere latine, com’è regola fino al XVIII secolo.

Placido Buffelli, dunque, non è una forzatura, e legittima il ricordo di Placido Buffelli di Alessano 1635-1693), anche lui scultore, autore, fra l’altro, di tre fastosi altari realizzati nel 1668 nella cattedrale di Nardò.

Le date appena ricordate, però, a differenza di quanto era successo per il presumibile scultore neritino, non lasciano scampo e sanciscono un caso di omonimia, il che, d’altra parte, era sospettabile tenendo  conto dei titoli che nella pergamena ne accompagnano il nome.

E desolatamente bisogna prendere atto, non solo per la proprietà transitiva, che, se il notarius Buffelli non è lo scultore alessanese, nella bolla da cui siamo partiti il magister plumbi Bellotto non è lo scultore neritino. Insomma, poteva essere uno scoop, è stato un flop …

La pergamena con la firma di Francesco Bellotto direi che non viene da Nardò,o perlomeno tutti i firmatari non sono locali. Probabilmente fanno parte della Curia romana

Invece l’altra riporta i membri del Capitolo della Cattedrale di Nardò, tutti abati, che firmano la pergamena:

Gio: Francesco Nestore arcidiacono

Cesare Sizzara preposito

Leonardo Gaballo cantore

Antonio Massa tesoriere

Ercole  Sombrino arcipresbitero

Ferrero Campanella canonico

 A… Phontonius (Fontò)  canonico

Leonardo Trono canonico

Pietro Scopetta  canonico

Giulio Cesare Rapanà  canonico

Domenico Antonio Vernaleone  canonico

Gio: Antonio Giulio canonico

Vincenzo De Matteis  canonico

Domizio…  canonico

Lucio Guerrieri   canonico

Cola Piccione  canonico

Domenico Bia  canonico

Gio: Carlo Colucci  canonico

Gio: dello Pinto  canonico

Gio: Antonio de Pantaleonibus  canonico

Placido Buffelli actuarius causarum episcopalis

Placido Buffelli, notaio, nel 1596 vive a Nardò. Aveva sposato Claudia della Penta , con cui aveva generato Nicola nel 1585, Desiderio nel 1589, Virginia nel 1590, Betta nel 1583, Ippolita nel 1588. La famiglia proveniva da Alessano e viveva in Nardò “pro exercendo offitio auctuarii” nella curia vescovile di Nardò.

__________________

1 La biografia più completa è quella manoscritta di Pietro Pollidori (1687-1748) De sacris, et profanis antiquitatibus Neritinae urbis et dioecesis, anch’essa custodita nell’archivio della curia di Nardò. Una copia manoscritta fu fatta nella seconda metà del XVIII dall’abate canonico bibliotecario Michele Foggetta ed è inserita in una miscellanea custodita nelle Biblioteca pubblica arcivescovile Annibale De Leo a Brindisi (ms_B/54, cc. 33r-59r).

2 Operazione facilitata dall’abbondante uso di locuzioni formularie agevolmente ricavabili da documenti analoghi.

3 Condivido, infatti l’osservazione contenuta nella prima delle righe in blu, che sono di Marcello Gaballo.

Francesco Bellotto scultore di Nardò e il cinquecentesco corteo trionfale della chiesa di S. Sebastiano a Galatone

 

Mesagne, portale del Bellotto (ph M. Gaballo)

di Vittorio Zacchino

Se vi capita di recarvi a Mesagne, vi raccomando una visita alla chiesa dell’Annunziata, o almeno una veloce incursione al «vico Antonio Corsi, alle spalle della Chiesa dei Domenicani». Vi imbatterete nella piacevole sorpresa di poter ancora ammirare «incastonato nella muratura esterna del coro» un bel portale di gusto e fattura rinascimentali con un sopraporta scolpito con scene di un corteo.

Ne fu autore, come scoprirete di lì a poco, uno scultore salentino del Cinquecento, anzi un neretino di Nardò: Francisco Bellocto de Nerito, reso noto per primo nel 1875 dallo storico di Mesagne Antonio Profilo. Dopo un superficiale interessamento di Amilcare Foscarini, fu un altro genius mesagnese, Antonio Franco, che il 1960 sottopose il portale a rigorosa analisi critica, in un ambito comparativo fra portali di epoca rinascimentale, allargato a tutta l’area pugliese. Da quella scrupolosa ricognizione non sortirono altri frutti se non questo che il portale della chiesa domenicana dell’Annunziata risultava opera unica a firma di questo pressoché ignoto scultore.
Infatti su due targhette laterali del portale di Mesagne si conservano il nome del suo autore e quello della sua patria d’origine: su quella di sinistra è inciso M(Fran)CISCO BELLOCTO, sull’altra di destra DE NERITO SCULPSIT, e in aggiunta l’impresa della città di Mesagne e quella della Famiglia Beltrano, feudataria pro tempore di Mesagne; sul filatterio, ai lati della Veronica (testa del Cristo) la data di esecuzione IS/SS (1555).

A giudizio del Franco l’autografo corteo di Francesco Bellotto è «di squisita eleganza» ed ancora in buono stato nonostante le bucherellature del salnitro e quelle prodotte dalle fionde dei monelli.

In concreto siamo di fronte a un fregio rettangolare, collocato al di sotto della statua della Madonna Annunziata, in cui viene effigiata una «scena continua che si svolge da sinistra verso destra e rappresenta molto probabilmente un corteggio regale che entra in una città simboleggiata da una specie di torre a tre piani che si trova all’estremità destra». Nonostante l’entusiasmo di Franco, l’opera appariva, già nel 1960, molto rovinata, ma non fino al punto da non consentirne una descrizione: «da sinistra di chi guarda sono riconoscibili vicino la torre due specie di buffoni che precedono due figure virili con corona, col capo vestito di lunga tunica stretta alla cintura che avanzano verso la torre seguite da paggi, fanciulli, cavalieri e da un carro a due ruote tirato da una coppia di cavalli, uno dei quali arpionato da una figura infantile, è preceduto da un cane. Sul carro è seduta una donna anch’essa con corona sul capo. Segue questo gruppo centrale una serie di guerrieri appiedati vestiti di corazze e con ampi scudi, chiudono il corteo alcuni cavalieri al galoppo verso i quali si sottomette una figura prona».

Ma il corteo rappresentato, smentendo Antonio Franco, non era quello della principessa Isabella Gonzaga che aveva fatto tappa a Mesagne nel luglio 1549, durante il viaggio verso i suoi feudi del basso Salento (di Alessano e Specchia), bensì quello che il 1510 aveva portato la Regina Giovanna a Mesagne e in altre sue terre, dove l’avevano accolta in pompa magna il governatore Giovanni Granai Castriota e il di lui fratello Alfonso (le due figure virili coronate).
Questo di Mesagne, autografo dell’artista neritino, è pertanto un pannello lapideo cinquecentesco, dedicato all’ingresso di una regina in una piccola terra del Mezzogiorno, un corteo affollato delle varie rappresentanze cittadine (civili, religiose, militari) che scortano l’augusta ospite, Giovanna III d’Aragona, una delle due tristi reyne, vedova di re Ferrante nel suo ingresso a Mesagne di cui è feudataria.

Antonio Franco nel tentarne la destrutturazione storica ed artistica, mediante un suggestivo excursus che prende in esame diverse sculture di analogo soggetto, presenti in edifici sacri di tutta la regione, veniva fortemente attratto, tanto da concentrarvi ogni sua attenzione, dal portale rinascimentale della chiesa dei Santi Sebastiano e Rocco di Galatone, datato 1500 e, particolarmente, dall’elegante fregio che lo sormonta. Anche il sovrapporta di Galatone infatti propone un corteo trionfale di rilevanti qualità artistiche.

Mesagne, particolare el portale firmato dal Bellotto (ph M. Gaballo)

Sulla base delle forti somiglianze che vi colse tra le due opere, di Mesagne e di Galatone, Franco si convinse che questo secondo corteo doveva attribuirsi alla stessa mano che aveva firmato il portale di Mesagne, cioè a Francesco Bellotto de Nerito. Il portale di Galatone fa venire in mente scultori di maggior grido come Nuzzo Barba e Niccolò Ferrando di Galatina, o loro discepoli, né si deve escludere che lo stesso Bellotto, come anche il Franco supponeva, potrebbe essersi formato nelle loro botteghe. Un’ipotesi su cui scava il dibattito storiografico come sull’altra, suggestiva, dell’attribuzione del medesimo portale ad artista di maggior spicco, il famoso Gabriele Riccardi proposto di recente da Mario Cazzato, autorevole storico dell’arte. In questa sede mi preme tentare di capire ed eventualmente riuscire a dimostrare, sul piano umano e storiografico, se è compatibile e conciliabile nella vicenda esistenziale ed artistica di Bellotto una divaricazione cronologica di ben cinquantacinque anni, quanti ne sarebbero corsi appunto tra le due committenze domenicane di Galatone (1500) e di Mesagne (1555).

Recentissime analisi storiche, nostre e di altri, hanno dimostrato che la forbice si può restringere di almeno una ventina d’anni, con la conseguente datazione del bassorilievo di Galatone al 1530-1535, e l’agevole superamento del problema di incompatibile longevità artistica del Bellotto. Analisi confortate e supportate dagli avvenimenti storici galatonesi e salentini coevi, e dai loro protagonisti. Nella problematica epigrafe situata sul prospetto della chiesa di Galatone si afferma che la chiesa sorse nell’anno 1500 (MD) per voto ed iniziativa di Giovanni Granai Castriota figlio primogenito di Bernardo, barone di Ferrandina e conte di Copertino, il quale Giovanni dedicò il tempio a San Sebastiano e lo affidò ai padri domenicani.

Chi era costui e quali rapporti ebbe con Galatone? Oriundo macedone, brillante dongiovanni, cortigiano ed intrinseco della regina Giovanna, dopo essere stato anche vescovo di Mazara, il Castriota fu soprattutto audace condottiero e tenace difensore di Taranto di Gallipoli e di Galatone che, fortiter pugnans, aveva difeso e liberato dai francesi invasori del Salento negli anni 1500-1502. Amico dell’umanista Antonio Galateo, il quale qualche anno dopo ne ricorderà le gesta eroiche e le vittorie nel De Situ Iapygiae (1507-1509) e in due epistole dirette ai fratelli Alfonso e Giovanni, e al figlio di quest’ultimo Pirro.

Fu sicuramente in quel tempo (1500-1503) di perdurante esposizione ai pericoli che Giovanni Castriota dovette proclamare l’intenzione di erigere la chiesa la quale, come si può facilmente intuire, non poteva essere costruita in tempo di guerra, bensì alcuni anni più tardi. Nel 1712, ricostruita la chiesa, i domenicani ricordarono l’avvenimento sottolineandone la data con epigrafi dentro e fuori dell’edificio sacro: graffita sulla sommità della facciata in una cornice barocca (PRAEDICATORUM ORDINIS DUX ET MAGISTER DOMINICUM A.D.1712), replicata nella targa marmorea sovrastante il portale, su fascia di colore più scuro aggiunta in basso (NOVITER ERECTUM A(NNO) D(OMINI) MDCCXII), e ancora il 5 maggio 1719 al momento della consacrazione officiata dal vescovo Antonio Sanfelice, con altra più elaborata iscrizione posta all’interno, per riaffermare che questa nuova fabbrica era sorta il 1712 post CC annos dalla precedente del 1500, ad iniziativa dell’ordine domenicano. E così la data della prima fabbrica veniva avanzata, per malizia o ignoranza, dal MD al 1512 senza osservazioni di chicchessia. Fino ad oggi. E già questa discrepanza tra due epigrafi apposte a soli 7 anni di distanza, segnala una correzione di ben dodici anni tramite l’espressione post CC annos. Perché è assurdo che nel 1719, imperversanti Antonio Sanfelice e Pietro Polidori negli ambienti curiali di Nardò, si continuasse a parlare di Giovanni Granai Castriota semplicemente come del rampollo dei baroni di Ferrandina, e si ignorasse il nobile guerriero barone di Galatone e conte di Copertino, e valoroso trionfatore dei francesi.

Giovanni Castriota era succeduto al padre Bernardo nella contea di Copertino e nella baronia di Galatone, nell’ agosto 1508, e gli era anche subentrato a Ferrandina, e nella amministrazione dei feudi reginali di Leverano, Veglie, e Mesagne, dove si narra abbia perso la vita in duello nel 1516 (non nel 1514).

È importante, quindi, sottolineare i seguenti elementi: Mesagne e Galatone, due località governate dal medesimo barone Giovanni Granai Castriota, stessa intermediazione nelle due città dei padri domenicani, incaricati di far costruire due chiese o dallo stesso mecenate-committente finché fu in vita, o, in seguito, da congiunti del medesimo casato. Come è noto i Granai Castriota, con Maria, unica erede di Giovanni a Ferrandina, Galatone, e nella contea di Copertino, inizialmente tutorata dallo zio Alfonso, governatore della provincia e marchese di Atripalda, governarono quei feudi fino al 1549; quindi stesso artifex (Bellotto) pur con interventi eseguiti in epoche assai distanti tra loro.

Qualche anno dopo la morte del Castriota, la sua vedova Giovanna Gaetani di Traetto, aveva sposato in seconde nozze il duca di Nardò Bernardino Acquaviva. Una coincidenza non priva di sviluppi. Si può supporre infatti che il Bellotto sia stato suggerito ai domenicani di Mesagne da Isabella Acquaviva Castriota la quale, per essere figlia di Francesco, terzo duca di Nardò, era nipote di Bernardino Acquaviva, e ovviamente di Giovanna Gaetani, e naturalmente già vedovata in questi anni del conte Beltrano. Sicché la committenza mesagnese potrebbe essere riconducibile a lei che, verosimilmente, vivendo anche a Nardò, vi aveva conosciuto il Bellotto e viste opere sue forse eseguite in precedenza a Galatone e a Nardò.

Il nostro discorso, come è evidente, punta a dimostrare che la prima fabbrica del San Sebastiano di Galatone, e quindi il suo portale col corteo, vanno spostati di una trentina d’anni: a) per le difficoltà belliche già accennate (guerra tra Francia e Spagna scandita dalla disfida di Barletta del 1503, poi dalla battaglia di Cerignola dello stesso anno, fino alla stabilizzazione del viceregno di Napoli nel 1506 con Ferdinando il Cattolico; guerra franco-ispanica di Lautrech del 1527-1529; b) per il ritrovamento di un cartiglio (da me scoperto sul suddetto portale) con incisa la frase CASTRIOTA DOMUS, coincidente col documentato decennio di dimora nel castello di Galatone della famiglia Castriota (Alfonso con la moglie Camilla Gonzaga e la nipote Maria Castriota orfana di Giovanni) dal 1522 al 1531; c) l’inoppugnabile evoluzione artistica del classico manufatto galatonese rispetto a quello più modesto di Mesagne.

Alla luce di tali presupposti si può sostenere che, dopo il voto di Giovanni Castriota dichiarato il 1500, mentre ferveva in Salento la guerra contro i francesi, a costruire la chiesa di S.Sebastiano siano stati i Castriota, con tutta probabilità nel corso della loro residenza a Galatone. La Casa Castriota in solidum (con Pirro e la sua sorellastra Maria figli di Giovanni, soprattutto quest’ultima, ormai uscita di minorità e titolare della baronia) i quali, prima a Galatone, in seguito a Mesagne, vollero immortalare, nei rispettivi portali di due chiese domenicane, le gesta eroiche del loro glorioso congiunto. Le cui spoglie, ormai circondate dall’aureola e dal mito, alla cui nascita avevano contribuito l’amicizia personale e gli elogi di Antonio Galateo, potrebbero aver trovato l’ultima ospitalità in San Sebastiano, ed aver costituito il pannello di un eventuale sarcofago-mausoleo dell’eroe albanese.
(continua)

pubblicato su Spicilegia Sallentina n°4

Bisignano e Nardò. I Sanseverino e gli Acquaviva

di Roberto Filograna

Sia la città di Bisignano (l’antica, medioevale Visinianum), sia la città di Nardò (l’antichissima, messapica Naretinon), legano buona parte della loro storia più recente, dal XV secolo sino ai tempi dell’eversione della feudalità, al nome di due grandi famiglie che detennero il potere feudale ed amministrativo delle due città: i Sanseverino a Bisignano e gli Acquaviva a Nardò.

La famiglia Sanseverino e la famiglia Acquaviva appartenevano al gruppo delle sette famiglie più importanti del regno, assieme ai Ruffo, ai d’Aquino, agli Orsini del Balzo, ai Piccolomini e ai Celano. Ambedue le famiglie, improntarono la storia, l’economia, la cultura e la vita economica e sociale dei due centri, con alterna fortuna per gli stessi e secondo direzioni prevalentemente parallele ma che in

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