Il Cristo deposto nella chiesa del Carmine in Nardò

 

di Marcello Gaballo

Tra le opere pittoriche conservate nella chiesa del Carmine di Nardò, già chiesa conventuale carmelitana poi parrocchia, di gran rilievo è senz’altro la tela della Pietà o del Cristo deposto sorretto da angeli finora attribuita al copertinese  Gianserio Strafella, collocata sul secondo altare della navatella destra. Di cm. 152×205 non è ad olio, ma una tempera grassa su tela, come emerso dall’ultimo restauro del 1999 eseguito da Francesca Romana Melodia.

Nonostante sia stato ridotto rispetto alle dimensioni originarie ed il pigmento abbia perduto di consistenza materica a causa di una precedente violenta pulitura, il dipinto è un’opera davvero importante del cinquecento salentino e tra le più belle esistenti in città.
Continuando a ritenerla opera del copertinese, come ancora sostiene la critica, lo Strafella nasce attorno al 1520 da Pietro e Maria Mollone, ed è documentato dal 1546 grazie alle pale d’altare presenti in alcuni centri di Terra d’Otranto. Restano incertezze sulla data di morte dell’artista, da collocarsi tra la fine del 1573 e il 1577, e pochi sono ancora gli studi finora condotti, se si eccettuano quelli più noti di Nicola Vacca, ripresi da Giovanni Greco.

Una delle prime opere sembra sia stata la Trinità, un olio su tavola autografo conservato in Santa Croce a Lecce, ma il capoluogo può vantare un’altra pittura al medesimo attribuita, La Vergine col bambino e i santi Michele e Caterina d’Alessandria nella chiesa di S. Francesco da Paola, del 1564.
Sua è pure la Madonna in Gloria, un tempo nella chiesetta di S. Maria di Costantinopoli in Gallipoli ed ora nell’episcopio; da qualche Autore gli vengono erroneamente attribuite anche l’Assunzione nella parrocchiale di Cocumola e la Pietà nella cattedrale di Castro.

Più fortunata la sua città natale nella cui chiesa matrice di Santa Maria ad Nives sono conservati quattro dipinti coevi, del 1554, raffiguranti ieratici e solenni santi Pietro, Paolo, Gregorio Magno e Gerolamo, che sembra formassero un polittico purtroppo privo della tela centrale; altri due ritraggono il Coepit flere di san Pietro e la più nota Deposizione o Schiovazione del 1570. Anche la cappella di san Marco, nel castello, fu dipinta dallo stesso, sebbene il livello non possa ritenersi così alto come nell’opera neritina. Tale diversità richiede necessari approfondimenti, per poter continuare a ritenere la tela di Nardò opera certa del copertinese.

Copertino, S. Maria ad Nives, La Schiovazione di Gianserio Strafella (particolare)(ph M. Gaballo)

Rinnovatore della pittura figurativa salentina di metà secolo, la formazione sembra sia stata determinata da probabili contatti con Pellegrino Tibaldi (1527-1596) che avrebbe potuto conoscere nel cantiere di Castel Sant’ Angelo, in cui il romano dipingeva l’appartamento di Paolo III.
Il medico leveranese Girolamo Marciano definì il nostro, enfaticamente, “pittore nobilissimo, discepolo di Michelangelo, il quale non solamente si può eguagliare al suo maestro e a Raffaello da Urbino, ma agli antichi Apelle e Zèusi”. Più pacato, ma senz’altro veritiero, è il giudizio espresso nel 1882 dal leccese Cosimo de Giorgi, che lo riteneva “uno dei pochi pittori veramente esimi di Terra d’Otranto”.

 

La Pietà conservata nel Carmine di Nardò, dalla critica postdatata al 1562, conferma le capacità artistiche e le chiare influenze desunte dai maestri del tempo, con particolare richiamo al Cristo morto sorretto da angeli di Giovanni Bellini o quello di Giovanni Santi.
Il Salvatore, appena deposto dalla Croce, è il personaggio principale e il suo corpo esanime, sorretto da due angeli dolenti, mostra le piaghe ancora sanguinanti, chiaro segno del dramma appena consumato. L’angelo centrale, che effettivamente sorregge il corpo, è l’unico con lo sguardo rivolto all’insù, verso il Cielo, quasi sia l’unico a recepire consapevolmente il misterioso disegno divino sull’unico Figlio.
San Giovanni, alla sinistra di Cristo, ne sostiene il braccio dello stesso lato, mentre Maria Maddalena, dai lunghi e riccioluti capelli biondi, prostrata, sembra ancorarsi alle gambe, quasi per trovare conforto allo strazio provato e per rendere l’estremo tributo prima che sia riposto nel sepolcro.
Prospetticamente arretrate nella parte superiore le due figure di Giuseppe d’Arimatea sulla destra e della Vergine a sinistra, anch’esse dolenti e quasi isolate dal contesto. La mano sinistra materna accentua la triste sorte toccata al corpo del Figlio ed è incapace, come tutti gli altri, di osservarlo in così misero stato; il suo sguardo affranto è rivolto verso l’osservatore, quasi a volerlo indirizzare alla figura centrale. All’orizzonte nubi basse e scure tracciate sommariamente, sopravanzate da sciagurati ridimensionamenti della tela, documentano i cieli oscurati delle Scritture.

La modulazione manierata delle vesti, la ricca e brillante cromia, l’affollamento e l’intensa psicologia dei personaggi, il sapiente intreccio di mani e la profondità degli sguardi, le proporzioni e la fisicità delle figure ne fanno un lavoro tra i più significativi della pittura  meridionale, auspicando nuovi studi ed approfondimenti che diano la certezza dell’attribuzione e comunque il giusto risalto ad una personalità sottovalutata del cinquecento salentino, magari non ancora scoperta.

 

Bibliografia:
voce Gianserio Strafella, in Dizionario della Pittura e dei Pittori, V, Torino 1994, pag. 390; in La Pittura in Italia – Il Cinquecento, tomo II, Napoli 1988, pp. 508-847/848;
G. GRECO, Gianserio Strafella, pittore copertinese, Ed. Pro Loco, Copertino 1990, p.51;
E. MAZZARELLA, Nardò Sacra, (a c. di M. GABALLO), Galatina 1999, p.148;
N. VACCA, Nuove ricerche su Gian Serio Strafella da Copertino, in “Archivio Storico Pugliese”, Bari, Società di Storia Patria per la Puglia, 1964.

Tra i dipinti della chiesa delle Alcantarine di Lecce

Nel secolo fui chiamata Margarita… 

Una rara leggenda agiografica tra i dipinti della chiesa delle Alcantarine di Lecce.

 

di Valentina Antonucci

Una delle più belle chiese di Lecce, benché non tra le più note, è quella dedicata a S. Maria della Provvidenza.

Affacciata sull’odierna piazzetta Giorgio Baglivi, poco distante da Porta Napoli, essa faceva anticamente parte di un complesso monastico appartenente all’ordine degli Alcantarini, francescani riformati che seguivano la Re­gola di S. Pietro d’Alcantara. Nella fattispecie, la residenza di piazzetta Baglivi era sorta per ospitare la comunità femminile delle Alcantarine di Lecce, costituitasi nel 1698.

Si tratta di un edificio ad aula unica con altari laterali e presbiterio a pianta quadrata. La facciata a due ordini, sormontata da cimasa a timpano, è ornata da nicchie con statue di Santi . Fu eretta a partire dal 1724 su disegno dell’architetto Mauro Manieri per volontà e con il finanziamento del barone di Torchiarolo, Giuseppe Angrisani, che lasciò in merito precise disposizioni testamentarie.

La fabbrica fu completata nel giro di vent’anni e nello stesso arco di tempo furono realizzati gli altari, i quali erano originariamente quattro: altri due ne furono aggiunti nel XIX secolo e trovarono posto nel vano di due porte che erano state murate dopo l’abbattimento del convento adiacente e la risistemazione urbanistica dell’isolato.

Qualche anno fa ebbi occasione di osservare e studiare alcuni dei dipinti facenti parte dell’arredo pittorico della chiesa. L’occasione fu quella del loro restauro, che venne affidato ad un laboratorio in cui avevo agevolmente accesso, stanti i rapporti di stretta collaborazione che mi legavano alla restauratrice di esso responsabile. Per uno storico dell’arte, non vi è situazione più felice di quella in cui gli sia dato agio di seguire il restauro di opere pittoriche che rientrino nell’ambito dei suoi interessi di studioso: la visione ravvicinata del dipinto nella luce perfetta del laboratorio, con le emozionanti scoperte di iscrizioni o di dettagli iconografici che quasi sempre comporta, nonché la possibilità di osservare la materia pittorica e persino la consistenza e la struttura del supporto, sono condizioni di studio ideali,

Il santuario dell’Addolorata di Taviano

di Marcello Gaballo

Primo numero della collana Restauri e Riscoperte dell’A.I.RES (Associazione Interdisciplinare per il Restauro), i cui scopi basilari sono quelli di diffondere le informazioni tecniche e storiche acquisite durante i diversi interventi conservativi. Si parte dunque con la chiesa annessa all’ex convento di Sant’Antonio di Padova dei francescani riformati di Taviano, chiesa oggi dedicata alla Beata Vergine Maria Addolorata, i cui lavori ultimi di restauro e conservazione hanno coinvolto sin dal 1999 un cospicuo stuolo di tecnici e storici dell’arte.

Il convento, voluto dal secondo marchese di Taviano e signore di Supplesano Andrea de Franchis (+1659) e sua moglie Luisa Caracciolo, fu realizzato in periferia tra 1643 e 1647, con la partecipazione del popolo tavianese e della comunità minoritica per il tramite del loro procuratore Paolo de Paula. La chiesa, sulle cui date di erezione non vi sono testimonianze documentarie certe, fu costruita, secondo l’ipotesi della storica dell’arte V. Antonucci, nello stesso arco di tempo, secondo il tipico schema icnografico e architettonico minoritico. Essa si presenta oggi alterata nel suo aspetto originario dalle importanti modifiche settecentesche e dalle recenti (1960) addizioni di due campate, del campanile e degli ambienti a servizio della catechesi, nonché dalla distruzione della facciata seicentesca.

Intatte si presentano invece le restanti campate a vela, il presbiterio, il piccolo coro inferiore, le cornici e le decorazioni barocche, così come gli imponenti altari lignei e un cospicuo numero di dipinti, almeno questi scampati alle travagliate vicende della soppressione ottocentesca degli ordini monastici, che riguardò il nostro complesso nel 1867. Fortunatamente si salvò anche il pregevole tabernacolo, pur se decurtato della cupola, probabile avanzo del perduto retablo ligneo dell’altare maggiore che doveva essere anch’esso, come gli altri altari, opera della scuola secentesca di intagliatori francescani, assai attiva nel Salento, fondata dal celebre frate Giuseppe da Soleto.

L’analisi delle frammentarie e poco chiare vicende feudali del centro salentino fa ipotizzare committenze diverse, che ancora meritano approfondimenti, e non è improbabile che un’ulteriore analisi delle testimonianze araldiche visibili nel tempio possano aiutare per definirne l’evoluzione architettonica, distinguendo un primo periodo legato ai De Franchis (XVII sec.) ed un secondo ai Caracciolo (XVIII sec.), anch’essi notoriamente munifici nei confronti dell’ordine minoritico.

Un dettagliato excursus storico, supportato da valida documentazione bibliografica, introduce gli altri brevi ma numerosi saggi, tutti finalizzati a descrivere quanto si è salvato dalla dispersione e che, grazie ai restauri, è pienamente fruibile all’interno della chiesa francescana.

Ci si sofferma in particolare sulle opere pittoriche e sulle opere d’intaglio e scultura, con diciassette schede descrittive e altrettante di restauro raccolte nel nutrito catalogo (pp. 40-91). Tra le prime certamente risaltano il dipinto raffigurante S. Pasquale Baylon, tuttora inserito nella sua imponente macchina d’altare (Cat. n. 6 e Cat. n. 14) e il lacerto della decorazione murale seicentesca con la Natività di Cristo (Cat. n. 12), riscoperto dietro la settecentesca struttura lignea.

Di tutt’altro spessore qualitativo l’inusuale tela della Madonna con il Bambino in gloria incoronata dagli Angeli (Cat. n. 7), che la Antonucci giustamente riconosce come una “bella versione settecentesca della napoletana icona della “Madonna dell’Arco”, conservata e venerata nell’omonimo santuario a S. Anastasia (NA). La stessa storica dell’arte ne ipotizza l’attribuzione all’ambito dei pittori Bianchi di Manduria e la ritiene, verosimilmente, commissionata dal feudatario tavianese Caracciolo di Amorosi, magari in occasione della nascita della primogenita di don Francesco, venuta alla luce nel 1735 proprio nel casale di Sant’Anastasia.

 

Una Galleria d’Arte Francescana tra XVII e XVIII sec. Il Santuario dell’Addolorata di Taviano, a cura di Valentina Antonucci, Mariachiara De Santis, Francesca Romana Melodia, Lecce, Il Raggio Verde Edizioni, 2008, Collana Restauri e Riscoperte diretta da Francesca Romana Melodia e Giusy Petracca, cm. 27×21, 100 pagine, numerose fotografie colore, tre rilievi di Simonetta Previtero. Euro 25,00.

Testi di Valentina Antonucci, Mariachiara De Santis, Adriana Falco, Gaetano Martignano, Francesca Romana Melodia, Simonetta Previtero; prefazione di don Albino De Marco; fotografie di Valentina Antonucci, Mariachiara De Santis, A. Fulvio, G. Martignano, Francesca Romana Melodia, Simonetta Previtero. Supervisione artistica di Giancarlo Montelli.

Ancora una tela cinquecentesca torna a vivere

Carpignano Salentino, 4 luglio 2010

Il restauro conservativo della tela della Madonna di Costantinopoli tra Santa Caterina e San Francesco

 

di Sandro Montinaro

 

Dopo circa 6 mesi di lavoro, si è concluso il restauro della tela della Madonna di Costantinopoli nella chiesa parrocchiale di Carpignano Salentino. Si tratta di un’operazione di restauro conservativo portata a conclusione dalla dott. ssa Francesca Romana Melodia e dal suo staff e fermamente voluta dal gruppo di ricerca Olim ecclesia Carpiniani nell’ambito delle celebrazioni dei Trecento anni della Chiesa Parrocchiale di Carpignano Sal. (1709-2009).

Da circa un anno, infatti, il Gruppo è in prima linea per sensibilizzare i cittadini e coinvolgerli nella tutela del proprio patrimonio storico-artistico, nonché nella raccolta fondi per il restauro del fonte battesimale del 1594 e il coevo altare con la tela raffigurante la Madonna di Costantinopoli con la chiesa in fiamme tra Santa Caterina e San Francesco, risalente alla fine del XVI secolo.

Carpignano, grazie al suo patrimonio culturale, storico, artistico e architettonico, rappresenta una delle mete turistiche più attraenti del Salento e recuperare e preservare dalle insidie del tempo questo grande patrimonio è un obiettivo nobile, perché significa lasciare a beneficio di tutti qualcosa di unico.

Il gruppo Olim Ecclesia Carpiniani, che si identifica nel nome e nella storia del paese, ha quindi aderito con piacere a questo importante progetto di restauro e vi invita a partecipare, domenica 4 luglio 2010 alle ore 20.00, presso la Chiesa Matrice Assunzione di Maria Vergine, alla presentazione del restauro.

Nel corso dell’incontro, dopo l’inaugurazione della tela, sarà presentato il lavoro di restauro realizzato da Francesca Romana Melodia.

La manifestazione porta il patrocinio del comune di Carpignano Salentino, dell’Arcidiocesi di Otranto, della Parrocchia Assunzione di Maria Vergine di Carpignano Salentino e il sostegno di diverse aziende locali.

Tra le autorità presenti Roberto Isola, sindaco del comune di Carpignano Salentino, mons. Giuseppe Colavero parroco della parrocchia Assunzione di Maria Vergine di Carpignano Salentino e mons. Quintino Gianfreda, direttore dell’ufficio diocesano per l’arte Sacra e i beni culturali.

Il Cristo deposto nella chiesa del Carmine in Nardò

 

di Marcello Gaballo

Tra le opere pittoriche conservate nella chiesa del Carmine di Nardò, già chiesa conventuale carmelitana poi parrocchia, di gran rilievo è senz’altro la tela della Pietà o del Cristo deposto sorretto da angeli finora attribuita al copertinese  Gianserio Strafella, collocata sul secondo altare della navatella destra. Di cm. 152×205 non è ad olio, ma una tempera grassa su tela, come emerso dall’ultimo restauro del 1999 eseguito da Francesca Romana Melodia.

Nonostante sia stato ridotto rispetto alle dimensioni originarie ed il pigmento abbia perduto di consistenza materica a causa di una precedente violenta pulitura, il dipinto è un’opera davvero importante del cinquecento salentino e tra le più belle esistenti in città.
Continuando a ritenerla opera del copertinese, come ancora sostiene la critica, lo Strafella nasce attorno al 1520 da Pietro e Maria Mollone, ed è documentato dal 1546 grazie alle pale d’altare presenti in alcuni centri di Terra d’Otranto. Restano incertezze sulla data di morte dell’artista, da collocarsi tra la fine del 1573 e il 1577, e pochi sono ancora gli studi finora condotti, se si eccettuano quelli più noti di Nicola Vacca, ripresi da Giovanni Greco.

Una delle prime opere sembra sia stata la Trinità, un olio su tavola autografo conservato in Santa Croce a Lecce, ma il capoluogo può vantare un’altra pittura al medesimo attribuita, La Vergine col bambino e i santi Michele e Caterina d’Alessandria nella chiesa di S. Francesco da Paola, del 1564.
Sua è pure la Madonna in Gloria, un tempo nella chiesetta di S. Maria di

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