di Armando Polito
Non c’è da meravigliarsi, inoltre, se le prerogative di salvatore del delfino, (che diventa metafora di vìrtù divine e dell’uomo (in riferimento a quest’ultimo, come spesso succede nella simbologia di ogni tempo, anche di vizi) e di salvatrice dell’ancora (che nella forma ricorda, oltretutto, la croce che, però, all’inizio non venne usata in quanto all’epoca era il principale strumento di tortura e di esecuzione capitale) siano state fatte proprie anche dalla religione cristiana fin dai primi tempi del suo avvento. Oltretutto il delfino è un pesce e, com’è noto proprio il pesce costituisce il simbolo originario di questa religione perché la parola greca ιχθúς, che significa, appunto, pesce è anche acronimo di Ιεσοúς Κριστòσ Θεοú Υιòς Σωτήρ (Gesù Cristo figlio di Dio salvatore). I graffiti che seguono furono tracciati a Roma sulla via Ardeatina nella catacomba di Domitilla (nel primo secolo vissero due Domitille, una moglie, l’altra nipote del console Flavio Clemente, quest’ultima venerata come martire nel IV secolo). E sorprende che l’ancora, anche se attribuirle una precisa datazione è pressoché impossibile, compaia, sia pure avviluppata da un delfino, nelle monete di Tito Flavio Vespasiano, cioé di un appartenente, più o meno coevo, alla stessa gens, cosa di cui si parlerà in seguito.
Fondamentale, per chi voglia accostarsi all’argomento con particolare riferimento ai motti che in epoca successiva accompagnarono il delfino, è Mondo simbolico formato di imprese scelte, spiegate, et illustrate con sentenze , ed erudizioni Sacre, e Profane di Filippo Picinelli, Vigone, Milano, 1680 (presente nella biblioteca A. Vergari di Nardò; l’immagine sottostante si riferisce ad un’edizione del 1653).
L’intero libro VI è dedicato ai pesci e il suo XVII capitolo (pagg. 321-324) al delfino. Mi limiterò a citare fedelmente, anche nella punteggiatura oggi discutibile, col mio commento nelle relative