Le Ferrovie Sud-Est macinano più debiti che chilometri

Stazione Sud-Est di Poggiardo (foto Antonio Chiarello)
Stazione Sud-Est di Poggiardo (foto Antonio Chiarello)

Le Ferrovie Sud-Est macinano più debiti che chilometri,

può salvarle solo un commissario straordinario

di Paolo Rausa

L’azienda Ferrovie Sud-Est Srl, costituita a Roma nel 1931, gestisce mille km di linee ferroviarie. E’ così gravata da una pesantissima crisi debitoria da non riuscire più a percorrere i km della sua rete che come una ragnatela congiunge i paesini del Salento e si allunga fino a Taranto e a nord a Martina Franca (Ta) e a Bari Mungivacca. ‘1300 dipendenti e 1400 cause di lavoro!’ – Sergio Rizzo con un articolo sul Corriere della Sera analizza la sua situazione drammatica, frutto di anni e anni di cattiva gestione finanziaria che data al tempo della sinistra ferroviaria di Claudio Signorile. Non modernizzata nei mezzi utilizzati e nell’adeguamento delle rete ferroviaria alle effettive necessità di un Salento turistico, le Ferrovia Sud-Est sono rimaste ferme nell’utilizzo dell’impianto originario, con fermate lontane dai paesi e dai centri balneari come Otranto o Santa Maria di Leuca. Qui la fermata più vicina, Gagliano del Capo, dista 5 km. dal Santuario de finibus terrae. La situazione è davvero disastrosa, con 320 autobus destinati a studenti e pendolari di cui la metà inutilizzabili, le ditte di manutenzione che entro una settimana smetteranno di prestare la loro opera, i servizi informatici e contabili affidati ad una società esterna che minaccia di chiudere senza altra alternativa (guarda caso) se non l’assunzione diretta dei dipendenti, un direttore del personale che operava da Roma, dirigenti retribuiti con 220 mila euro annui, 311 milioni di debiti e 170 milioni di sbilancio contabile, mancato versamento da tre mesi all’Inps e al Fisco delle ritenute previdenziali e dell’Irpef dei dipendenti. Le consulenze esterne sono oggetto di indagine. Nell’inchiesta sulle grandi opere è stato coinvolto Ercole Incalza per almeno un decennio commissario governativo dell’azienda pugliese, di proprietà del Ministero delle Infrastrutture. Con lui risulta indagato anche l’ex amministratore unico della società pubblica Luigi Fiorillo. Tangenti e malaffare, sprechi come nel caso delle 25 carrozze passeggeri usate, acquistate dal Germania nel 2006 a 37.500 euro, poi vendute ad una società polacca e ricomprate dopo una sistemazione a 900 mila euro l’una invece delle 620 mila concordate. La società polacca Varsa era gestita da un pregiudicato, un prestanome, Carlo Beltramelli. Soldi intascati, tangenti, una macchina BMW regalata al braccio destro di Fiorillo e tante altre irregolarità hanno fatto muovere la Corte dei Conti che ha richiesto la restituzione di 9 milioni di euro e ha già messo sotto sequestro i beni. Il nuovo presidente Andrea Viero si è messo le mani nei capelli appena ha potuto accedere ai documenti aziendali ed è rimasto inorridito dalla ‘inadeguatezza drammatica di meccanismi operativi, processi decisionali e sistemi di controllo’, tanto che ha suggerito al Ministro del Rio di ricorrere urgentemente per il risanamento ad un amministratore straordinario. Intanto è da anni che si parla di una riconversione della Ferrovia a metropolitana leggera per tutto il Salento fino all’aeroporto di Brindisi. Nell’attesa si investe nelle autostrade del mare che dal capoluogo leccese si inabissano verso Otranto e verso Santa Maria di Leuca. Povero Sud, povera Patria!

Antonio Errico ha fatto bene: una guida ad uso dei viandanti della Ferrovia Sud-Est

di Pier Paolo Tarsi

Qualche giorno fa in questo stesso sito ho scritto sulle Ferrovie Sud-Est, proponendole tra le righe come il vettore unico con cui il viandante può vagare in questa terra estrema, possibilità per vagabondare oltre l’ordinario, nei sentieri di quell’altrove che è oltre il Salento per turisti ma anche oltre l’abbandono, oltre la lentezza scandita dal tempo che pur distilla, nel mezzo di quell’essere che giace pulsando nelle pietre, negli ulivi dell’entroterra, nelle cose cadute in disuso come questa via ferrata. A quanti sanno abitare questa dimensione molto più a Sud dell’esistenza ordinaria, locali o stranieri che rifiutano la sintassi del comune gergo turistico, voglio proporre questa volta una guida del proprio errare. Come infatti ogni buon turista si accompagna con la sua agile guida, così il viandante si può incamminare con un segnavia che lo sappia condurre nel suo viaggio senza mete in Terra d’Otranto. Questo segnavia non può che essere Secoli fra gli ulivi di Fernando Manno, un libro che quando uscì la prima volta, oltre cinquant’anni fa, era già e per sempre fuori dal tempo come scrive giustamente Antonio Errico nella sua perfetta introduzione alla ristampa del testo, riedito nel 2007 da Manni. Fuori dal tempo; non vi è modo migliore per alludere al senso complessivo delle pagine di un’opera “intrappolata in una condizione di memoria senza futuro[1]. Antonio Errico ha ben colto meglio di chiunque altro questa condizione, costui del resto non è stato un semplice curatore di questa opera nel corso della sua recente riedizione ma molto di più, divenendo a parer mio in qualche modo anche lui parte del libro, non solo perché lo ha amato profondamente, come si comprende dalla sua introduzione, ma anche perché a questo libro appartiene una parte della sua esistenza che ogni tanto si riaffaccia, magari a distanza di decenni misurati col tempo ordinario: “Per vent’anni non ho più ripreso in mano Secoli fra gli ulivi. Accade con i libri quello che a volte – spesso – accade con le persone, con gli amici, con le creature alle quali in qualche modo siamo appartenuti o che ci sono appartenute […] Ma quando ci si ritrova – se ci si ritrova – basta un istante soltanto per riconoscersi, per annullare tutto il tempo passato, per ritornare da dove si è partiti […]”[2].

Il libro a lui, ad Antonio Errico, un po’ appartiene dunque, è parte della vita di quel ragazzo che nella primavera del ‘79, ancora studente , folgorato da un incontro casuale con il testo acquistato in un mercatino e letto in quindici ore – lo immagino ogni tanto quel ragazzo, in quelle quindici ore di febbrile vagare, lo immagino e provo una profonda istintiva simpatia per lui – decise in quindici minuti di farne argomento della sua tesi, agendo in un modo che sembrava avventato e insensato agli occhi di quanti gli andavano ripetendo “che te ne fai di una tesi su un libro sconosciuto di un autore sconosciuto[3].

Ha fatto bene quel ragazzo, ha fatto bene il giovane Antonio Errico a non dare ascolto a quei consigli, pur comprensibili nei ricami delle logiche dell’ordinario, ha fatto bene a dedicare i suoi studi ad un libro che fu il primo e l’ultimo del suo autore.

Non vi parlerò del libro di Manno in sé, rinviando i lettori, in coerenza con quanto detto, alla felicissima penna di Errico e alla sua inarrivabile introduzione al testo. Sarebbe davvero pleonastico, credetemi, se non addirittura immorale proporre qui un surrogato di cosa già detta altrove molto meglio peraltro di quanto potrebbe fare il sottoscritto. Leggete l’introduzione di Errico e avrete tutto quanto vi occorre per comprendere il valore del libro e del suo immenso quanto sconosciuto autore. Mi dedicherò qui piuttosto, per quanto mi concerne, a suggerire questo lavoro come il segnavia per il viandante delle Sud-Est, come l’unica “guida” che sappia far volgere e indirizzare lo sguardo di coloro che intendono vagare per le vie ferrate e pietrose nell’altrove salentino, una dimensione che essendo fuori dal tempo non è mai mutata.

Scrive a tal proposito Errico alla fine della sua introduzione: “È cambiato molto in questi anni. Quasi tutto. Com’è normale che sia. È rimasto soltanto il Salento di questo libro, perché non esistendo, non essendo mai esistito, non poteva essere soggetto a nessuna trasformazione. Il Salento di Secoli fra gli ulivi è una pura invenzione. Un’ombra della memoria. Il souvenir di una fantasia. Il paese di una fiaba. La figurazione di una nostalgia. L’apparizione per un incantesimo. Il rammarico per una mancanza. Il rimpianto per un’assenza. Una regressione al fondo dell’infanzia. L’ipotesi di un’origine. La rappresentazione di una mitologia interiore. Una recherche du temps perdu[4].

Soltanto un ponte dunque, ad uso dei viandanti, mi limiterò qui a gettare oltre le condivisibili e meravigliose parole di Errico, soltanto questo vorrei suggerire d’ulteriore: le vie ferrate della Sud-Est offrono la possibilità di raggiungere quell’ombra di memoria, quella pura invenzione che è nelle pagine del libro di Manno, poiché queste vie sono costituite della stessa materia di quella fantasia, sono l’anello di congiunzione tra quel Salento dell’immaginario e quello del reale, segnando con i loro tracciati i confini tra un Salento ordinario, che muta, ed un Salento dell’altrove, immutabile. Due dimensioni che trovano in ogni piccola stazione deserta il loro critico anello di congiunzione, quasi si fosse di fronte all’incomprensibile e sfuggente legame tra la materia e lo spirito di questa terra, all’incontro tra la sua extra-ordinaria anima e le sue ordinarie membra. La Littorina che corre lungo le vie ferrate a Sud-Est è il mezzo per vagare nel medesimo Salento di Secoli fra gli ulivi e le pagine di Secoli fra gli ulivi sono il segnavia unico e perfetto per chi con quel treno intende e sa smarrirsi. Ogni pagina del libro, voltandola, lascia il medesimo agrodolce sapore che il vano passaggio della Littorina trascina dietro di sé tra i caselli abbandonati; ogni ostinata ripartenza del trenino, allo stesso modo, lascia una scia che invita a perdersi in quel sapore dell’altrove di secoli da sempre sospesi tra distese di ulivi e mai trascorsi, un invito ad abbandonarsi in quel “tempo dell’anima, sognante e indefinito” che il Manno voleva stringere con il suo libro, scritto “per dire l’incantesimo della fissità che pervade l’aria, per dire che il mutare dei tempi con cambia il sangue”. Buon viaggio viandanti!


[1] A. Errico, Introduzione a F. Manno, Secoli fra gli ulivi, Manni Editore, San Cesario di Lecce 2007, p 13

[2] Id. pp. 14-15

[3] Id. p. 6

[4] Id. p. 15

16 ottobre 1911-16 ottobre 2011. Cento anni di storia delle Ferrovie nel Capo di Leuca

Ferrovie nel Salento di Dario Carbone

di Marco Cavalera

Il 16 ottobre 1911 fu inaugurata, con una solenne cerimonia, la stazione di Gagliano del Capo, da dove partì, esattamente alle ore 05:07 del mattino, il primo treno in direzione Maglie, tra l’euforia della popolazione locale che da anni attendeva con ansia la realizzazione di tale opera.

La linea Maglie – Leuca fu fortemente voluta dalle personalità politiche di spicco del Basso Salento dei primi anni del Novecento, tra cui il barone Filippo Bacile, gli onorevoli Ruggieri, Codacci Pisanelli, Giuseppe Romano (fratello di Liborio Romano) e Domenico Daniele. Lungo la tratta Maglie – Leuca erano dislocate le seguenti stazioni ferroviarie: Tiggiano, Alessano, Tricase, Miggiano, Castiglione, Spongano, Poggiardo, Sanarica e Muro Leccese. Le stazioni furono intonacate di color rosso pompeiano, realizzate su due piani e dotate di servizio igienico, cisterna, piano caricatore e rimessa, ponte e binari di stazionamento[1].

Al momento della progettazione della linea ferroviaria si sono registrati diversi episodi di accentuato “campanilismo” tra i paesi, desiderosi chi più chi meno di vedere il proprio territorio servito dalla ferrovia. Emblematico è quanto ci riporta Santo Marzano, a proposito della vicende storiche che hanno preceduto la costruzione della stazione di Miggiano, Specchia, Montesano, la cui ubicazione poneva il primo centro in una posizione strategica, mentre isolava fortemente Specchia e Montesano. Il comune di Specchia aveva

Ferrovie a Sud-Est

di Pier Paolo Tarsi

Pensare la Ferrovia Sud-Est vuol dire porsi più di un problema di ordine metafisico, equivale a chiedersi quale modalità dell’essere la connota principalmente, significa chiedersi qual è la sua inafferrabile natura, quale il suo essere. Venne concepita in epoca fascista la via della Littorina, oggi come via di trasporto appare anacronistica per le usanze salentine di spostarsi solo con mezzi privati tra i vari paesi. Non è bene, non è sapiente, ma è così. No, non esiste la Ferrovia Sud-Est come esiste la Nord-Milano, non esiste come rete di trasporto, come possibilità effettivamente contemplata da qualcuno per andare in qualche posto in cui ha da essere, fatta eccezione per sporadici casi, per lo più studenti che qua e là ogni tanto usano il trenino per andare a scuola o per marinarla. La modalità di essere della ferrovia non rientra più nel quotidiano ma nell’extra-ordinario. Essa è ormai fuori dall’ordinario, è altrove. Ti accorgi che la Sud-Est esiste, come la maggior parte degli abitanti di Terra d’Otranto, solo per caso, se andando di fretta in paese un passaggio a livello ti sbarra la strada per far passare un

La situazione di Galatina nell’Italia post-unitaria

di Tommaso Manzillo

Con la battaglia del Volturno e l’ingresso di Garibaldi a Napoli, il re Francesco II fu costretto alla fuga, ma i galatinesi non mostrarono mai grande entusiasmo per questo passaggio reale, perché le radici filo borboniche, nella nostra città, erano ancora molto profonde.

Ci volle l’intervento del decurione Nicola Bardoscia, affinché il sindaco, Antonio Dolce, indicesse la data degli scrutini il 21 ottobre 1860, presso il Corpo di Guardia dei Vigili Urbani, situato presso la Torre dell’orologio (costruita nel 1861 come simbolo dell’Italia Unita).

L’amministrazione galatinese aveva faticosamente soffocato le manifestazioni d’entusiasmo dovute alla notizia dell’ingresso di Garibaldi a Napoli, mentre pochissimi avevano espresso il loro voto, nonostante gli interventi di Nicola Bardoscia, Fedele Albanese (che fu uno dei primi ad entrare, come giornalista, nella  “breccia di Porta Pia” del 20 settembre 1870, insieme a La Marmora) e Innocenzo Calofilippi.

particolare di palazzo nobiliare nel centro storico di Galatina

 

Per sconfiggere l’inerzia dei galatinesi, determinante rimane l’intervento del medico Nicola Vallone, per richiamare gli elettori alle urne, mentre bivaccavano in piazza San Pietro. Nicola, figlio più giovane di Donato e morto in giovane età, ebbe una brillante carriera di medico e scienziato, spesso lontano dalla sua città: a Napoli, per conseguire la laurea in medicina; a Vienna, entrò in contatto con gli ambienti accademici e culturali approfondendo gli studi professionali e la ricerca e la sperimentazione in una branca importante della scienza medica, ossia l’anatomia patologica; alla Sorbona di Parigi, dove seguì le lezioni di Claude Bernard, considerato tra i più grandi scienziati del tempo; a Berlino dove subì l’influenza delle idee democratiche del suo maestro e deputato parlamentare Rudolf Virchow, uno dei più autorevoli esponenti dell’anatomia patologica. Nicola Vallone rappresentò un modello di cultura politica e un prestigioso referente nelle relazioni sociali, proiettando la famiglia nella politica attiva, grazie anche al forte influsso che subiva dall’ambiente liberale galatinese, nel quale erano influenti le figure di  Pietro Cavoti, Berardino Papadia, Giustiniano Gorgoni e Rosario Siciliani.

Ritornando al 21 ottobre 1860, il voto si esprimeva con l’uso dei legumi, dato l’alto tasso di analfabetizzazione: le fave erano per i sì, mentre i fagioli per il no. Il responso fu di 1257 sì, più 1253 voti favorevoli espressi dai forestieri che stavano a Galatina per il mercato.

Dopo la proclamazione del regno d’Italia (17 marzo 1861), la carta fondamentale o Statuto cui fare riferimento era quello Albertino, varato e concesso al popolo in fretta e in furia nel 1848 da Carlo Alberto di Savoia-Carignano, il quale rimase in vigore, seppur con opportune modifiche, fino al 1846, quando fu adottato un regime costituzionale provvisorio, in attesa

La prima locomotiva salentina

di Cesare Paperini

L’ACQUISTO DELLA PRIMA LOCOMOTIVA DI PROPRIETA’ FERROVIE SALENTINE S.A.I Sede in GENOVA.

Ditta costruttrice BORSIG, numero commessa 7874, data di entrata in servizio il 30 settembre 1911.

La prova a freddo fu eseguita il 29/9/1911, a caldo il 30/9/1911.

Il Presidente della società gli attribuì il n°8. La corsa di prova fu eseguita il 29 luglio del 1911:
TRICASE (dai verbali del Capo Stazione di Tricase Anchora Clodomiro)
Vi giunse in rappresentanza del Governo l’Ing. Umberto Nevvoni e per la Società l’Ing. Francesco Silo alle ore 9.30 sotto un caldo infernale.

La locomotiva iniziò la corsa di prova da TRICASE a SPONGANO e da

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