Magia, fatture e malattia fiacca nelle credenze popolari a Nardò

 

di Egidio Presicce

[A Nardò] esistevano personaggi poco conosciuti e tacitamente operanti in un altro ramo dello scibile popolare, ai quali veniva riconosciuta la capacità di mettere in atto speciali riti comunemente chiamati “fatture”, quasi sempre finalizzati a problemi d’amore, gelosia o invidia. Un’espressione di cultura a cui era vicina una ristrettissima fascia popolare, quella priva di cenni di progresso civile, quindi in condizioni molto favorevoli per accettare le sceneggiate del paranormale.  Credenze che, anche se costruite su granitiche basi di inciviltà e ignoranza, hanno sempre profuso energia penetrativa in tali settori sociali.

Un eclatante caso che illustra la morfologia di questa storica espressione sociale è, senza dubbio, ciò che avvenne a  Cumpare Micheli, Cummare Crazia ed ai loro sei figli. Sopravvivevano tutti in un angusto monolocale nel centro storico, ove sembrava che venisse rispettata l’atavica regola “mangiamu quandu abbimu, quandu non abbimu stamu a dasciunu”.

Cocu, il piccolo dei figli maschi, all’età di 18 anni si ammalò di malattia fiacca, un male che colpiva dove era carente l’igiene e l’alimentazione e la malattia avanzava inesorabilmente senza rimedio e speranza.

La diagnosi che in merito venne fatta dal medico risultò grave e terribile, sino al punto da essere ritenuta sbagliata dalla famiglia, che attribuì invece la malattia di Cocu ad un fatto di mascìa, sicuramente voluto da qualche giovane donna. Vennero così informati parenti e conoscenti e tutti si misero a cercare affannosamente qualche esperto personaggio competente per intervenire con opere di antimascìa. La notizia trasmessa voce dopo voce giunse a Lucia la cardalana, già nota come esperta in filtri e contro-filtri. Avvennero i contatti con l’esperta, vi furono le visite e l’interrogatorio al paziente; per più di tre mesi furono adoperate misture diverse con il risultato che il povero Cocu, per sua fortuna, passò serenamente a miglior vita. Lucia per più tempo andava dicendo a chiunque: Piccatu! M’onu chiamata troppu tardu. Questa frase servì a dare ai familiari addolorati la forza per continuare a dire: S’è trattatu propriu ti mascìa no ti malatia fiacca.

L’episodio fu un’eloquente espressione di come e quanto all’epoca era temuto l’imperdonabile male, che dilagava con facilità senza guardare in faccia nessuno e creava un largo tessuto di vergogna che andava inesorabilmente a coprire tutta la famiglia. Quando avveniva un decesso per causa dello specifico male, nella periferia del paese venivano fatti bruciare tutti gli indumenti e i panni appartenuti al poveraccio.

Questo triste ed incivile costume venne a cessare quando la scienza medica, dopo la grande campagna nazionale contro la malattia, trovò il tanto sospirato rimedio per la cura del pesante male. La malattia fiacca, che non risparmiava né ricchi né poveri, era stata finalmente vinta.

Un nobile e ricco signore di Nardò, presa l’infezione andò a vivere e farsi curare in una rinomata località del Belgio consigliata dai medici come zona di ottima salubrità. Il lungo, lussuoso e costoso soggiorno vissuto come ultima speranza non servì a nulla. Nel popoloso rione di Santu Pietru a Nardò fece storia la triste sventura che andò a colpire Mescia Chiarina, un’umile e laboriosa vedova che con coraggio, cucendo e ricamando tenacemente, fece crescere i cinque figli che nel giro di pochi anni, per il tanto temuto male, morirono uno dopo l’altro. Restò così sola, con indescrivibile rassegnazione e pazienza, senza mai esternar ad altri il suo grande dolore. Morì ultranovantenne frequentando sempre la chiesa.

 

(tratto da Egidio Presicce (1927-2017). Luci ed Ombre di un’Epoca. Nardò nel primo cinquantennio del ‘900: avvenimenti, personaggi, usi, costumi (Besa edit., Nardò 2019)

Libri| Egidio Presicce. Luci ed ombre di un’epoca a Nardò – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)

Magia popolare: le legature con il sangue mestruale

 

 

di Gianfranco Mele

 

Uno dei legamenti più utilizzati nelle locali pratiche magiche legate alla cultura contadina è quello con l’utilizzo di sangue mestruale. Per legare a sé un uomo, la donna (direttamente o sotto la guida della “masciàra”) deve offrirgli una bevanda contenente il proprio liquido mestruale.[1] Sino a tempi recenti è sopravvissuta in loco l’usanza, molto temuta dagli uomini, di versare alcune gocce di sangue mestruale nel caffè offerto alla “vittima” (più anticamente, veniva versato in vino, infusi, liquori, focacce e qualsiasi alimento o bevanda nel quale potesse essere occultato). Il terrore di essere “affatturati” con sangue mestruale ha generato negli uomini, per secoli, paure, sospetti e psicosi.

Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 avevo conosciuto Antonio, un mio coetaneo che viveva con l’anziana madre vedova. Lo conobbi nel periodo di una sua violenta crisi nervosa e depressiva. Antonio aveva terminato da poco una relazione con una ragazza che gli aveva lasciato un solco profondo, non solo e non tanto a causa dello sconforto per la perdita, ma a causa delle implicazioni di questa relazione. Era convinto di non riuscire a slegarsi del tutto da questa persona, a causa della “fattura” subita. L’anziana madre stessa lo aveva persuaso di ciò. La loro casa, come tante abitazioni della Sava anni ’70, era pervasa, in modo ossessivo, di immagini e simboli religiosi e “profani”: il classico “cuore di Gesù” con il lumicino perennemente acceso, quadri, statue e immagini di santi e madonne, e un’infinità di simboli come ferri di cavallo, cornetti, gobetti, e amuleti di ogni sorta.

La madre era una fervente religiosa, addentrata tuttavia in conoscenze e credenze di tipo magico. In questa atmosfera, Antonio si era convinto che l’ex ragazza, una volta che lui era andato a trovarla a casa, gli aveva versato del sangue mestruale nel caffè offertogli. Solo così, lui e sua madre si spiegavano il violento turbamento psichico, fisico ed emotivo di cui lui era vittima. Come origina questa credenza popolare? Andiamo un po’ a ritroso nel tempo.

Sin dall’antichità al sangue mestruale è stata data una forte valenza magica essendo stato identificato dalle antiche popolazioni come il simbolo potente della creazione.[2] Nel mito di Demetra, la dea compie, anteponendo ad esso formule sacre e segrete, un antico rito (prerogativa anche delle sue sacerdotesse) che consiste nello spargere sulla terra il sangue mestruale mescolato a saliva, al fine di aprire le viscere dell’Ade (mentre è alla ricerca di sua figlia Persefone). Tale rito era utilizzato dalle stesse sacerdotesse per evocare Demetra.[3]

Streghe, guaritrici ed herbarie hanno sempre attribuito una forte valenza magica al sangue mestruale, e del resto questo elemento è fortemente collegato alle divinità femminili primordiali e lunari anche come simbolo di ciclicità e di fertilità.[4] In antichità, la scansione del tempo era calcolata sulle fasi della luna e sul ciclo mestruale delle donne.

Del “potere” del sangue mestruale ci parlano Aristotele e Plinio.

Per Aristotele, una donna mestruata ha il potere di annuvolare gli specchi con lo sguardo:

Da questi «specchi» risulta al tempo stesso evidente che la vista come subisce una certa affezione così anche ne produce. Nel caso degli specchi particolarmente lustri, infatti, quando le donne al tempo delle mestruazioni guardano nello specchio, sulla superficie dello specchio stesso si genera come una nuvola sanguigna: se lo specchio è nuovo, non è facile pulire la macchia siffatta, se invece è vecchio, è facile. La causa […] è che non soltanto la vista subisce una certa affezione da parte dell’aria ma anche ne produce una e muove, come fanno anche le cose splendenti […] Gli occhi si trovano dunque ragionevolmente nella medesima posizione in cui è qualunque parte del corpo, quando vi sono le mestruazioni, giacché per natura sono venosi. Pertanto quando si generano le mestruazioni, a causa del perturbamento e dell’infiammazione del sangue, la differenza negli occhi non ci è chiara ma c’è (la natura del seme e delle mestruazioni, infatti, è la stessa): l’aria ne viene mossa, e l’aria che sta sullo specchio, trovandosi a continuazione, la rende tale quale l’affezione che essa subisce. Questa «produce» l’apparizione dello specchio. In questo modo gli indumenti molto puliti si sporcano velocemente…[5]

 

Il quadro che offre Plinio dei “poteri” del sangue mestruale è ancor più onnicomprensivo:

 

«Ma non sarebbe facile trovare qualcosa di più prodigioso del flusso mestruale delle donne. Al sopraggiungere di una donna che ha le mestruazioni il mosto inacidisce; al suo contatto le messi diventano sterili; muoiono gli innesti, bruciano i germogli dei giardini, cadono i frutti degli alberi presso cui la donna si è fermata; al suo solo sguardo, la lucentezza degli specchi si appanna, si smussa la punta delle lame, si oscuro lo splendore dell’avorio, muoiono le api negli alveari; persino il bronzo e il ferro si arrugginiscono all’istante e il bronzo prende un odore sgradevole» [6]

 

Ancora, Plinio parla dell’utilizzo delle mestruazioni come insetticida contro bruchi e vari insetti,[7] del potere del sangue mestruale di smussare il filo del rasoio, di ricoprire il cuoio di ruggine, e di vari altri fenomeni legati alla sua forza, tra cui la caratteristica di riuscire a provocare l’aborto nelle giumente e nelle donne gravide. [8] Ma per gli antichi il sangue mestruale ha anche poteri curativi, come ad esempio la capacità di curare la gotta[9] o la rabbia: in quest’ultimo caso, la guarigione avverrebbe portando con sè un pezzo di stoffa impregnato di sangue mestruale e si tratterebbe del tipico effetto di magia simpatica, essendo il sangue mestruale stesso la causa della rabbia, nei cani che lo assaggiano.[10] Ancora, secondo Plinio il sangue del mestruo guarirebbe anche le febbri terzana e quartana.[11] Tali rimedi sarebbero stati utilizzati da due levatrici greche, Laide e Salpe. [12]

Nel 1365 a Reggio Emilia viene processata Gabrina degli Albeti per aver compiuto vari sortilegi e incantesimi, tra i quali filtri d’amore preparati con decotti di erbe ai quali veniva aggiunto sangue mestruale. Questa donna verrà marchiata a fuoco e le verrà tagliata la lingua. Qualche decennio dopo finirà sul rogo Matteuccia Francisci per aver preparato unguenti stregoneschi a base di sangue mestruale. Benvenuta Benincasa detta la Mangialoca viene processata a Modena nel 1370, e fra le varie malìe utilizza pozioni a base di mestruo, per legamenti d’amore. Anche nei secoli a seguire, la documentazione riferita alle legature con sangue mestruale è ricorrente e numerosa nei processi italiani per stregoneria: Anastasia da Cottigliano, detta la Frappona, viene processata a Modena fra il 1517 e il 1519. Fra le varie accuse, quella di aver compiuto legature con il sangue mestruale. Anche Caterina Medici (da non confondere con la regina omonima), processata tra il 1616 e il 1617, è accusata di mettere sangue mestruale nel cibo che preparava per il senatore Luigi Melzi.

L’ esoterista e filosofo cinquecentesco Cornelius Agrippa di Nettesheim, nel suo trattato De Occulta Philosophia scrive, trattando dei veleni e dei loro poteri:

“Ora narrerò di alcuni veneficii, affinchè con il loro esempio sia preparata la via a tutta questa considerazione. Tra questi è il sangue dei mestrui, capace di far inacidire tutte le nuove produzioni. Così una vite su cui cada resta per sempre infruttuosa, gli alberi piantati o innestati muoiono e le frutta seccano, i germi bruciano nei giardini, gli specchi, le lame dei rasoi e la purezza dell’avorio si appannano, il ferro si arruginisce, il rame produce un veleno micidiale, i cani si arrabbiano e prodigano morsi inguaribili, le api periscono, la tela annerisce al bucato, le cavalle abortiscono, le asine non possono generare durante tanti anni per quanti grani d’orzo guastati dal flusso abbiano mangiati, la cenere delle stoffe su cui esso fu sparso fa cangiar colore alla porpora e impallidire i fiori. Si dice anche che guarisca la quartana, impregnandone la lana d’un ariete nero e collocandola entro un braccialetto di argento. Oltre la quartana guarisce la terzana, stropicciandone la pianta dei piedi del sofferente e riuscendo ben più efficace, se proviene da una donna che ignori d’avere le sue regole. Combatte altresì l’epilessia e, diluito in acqua o in qualche pozione, immunizza dalla rabbia canina.

Una donna che abbia le sue regole che cammini nuda in un campo, farà perire le tignole, le lumache, le cantaridi e quanti altri insetti nocivi vi si annidino. Bisogna però aver cura a che ciò non avvenga al levare del sole, altrimenti seccherebbero le messi.

Plinio ci narra molte cose intorno a tal veleno, che ha potere maggiore quando la luna è calante o nuova, e durante i primi anni, quando la donna è ancora giovanetta e vergine. In tal caso sparso sul limitare della casa, ha il potere di rendere nullo ogni sortilegio. Si dice che i fili d’una stoffa che ne siano stati impregnati non possano bruciare e abbiano il potere di estinguere un incendio. Si dice anche che, somministrati insieme a radice di peonia e castoro, valgano a guarire dalla tisi. Inoltre, facendo arrostire lo stomaco d’un cervo, mischiandovi qualche brandello di detta stoffa e portando il tutto addosso, non si può esser feriti da alcun dardo. I capelli d’una donna mestruante, messi dentro il letame, generano serpi e il bruciarli fa fuggire col loro odore i serpenti, perchè ha tale virtù venefica da avvelenare anche le bestie velenose.” [13]

 

Il tema delle legature con sangue mestruale è presente anche nei documenti inquisitori del Tribunale del Santo Officio di Oria. Citiamo qui alcuni passaggi di un verbale del 1679 (è la masciàra Grazia Gallero, che racconta):

“ho fatto il sangue che purgano le donne incantate, e serve, acciò un huomo volesse bene all’istessa donna da chi ha da essere il sangue per farli l’incanto, e l’ho fatto in questo modo, mi faccio dare dall’istessa donna, che desidera l’huomo tre stizze del sangue proprio delle purghe dentro un vaso, e sopra del sangue dico trè volte Diavolo vogli bene, verbigratia, à Pietro e questo sangue nell’istesso tempo che dico dette parole, chiamando il demonio, lo stò mischiando col vino, portato dall’istessa donna, per darlo poi à bevere à chi vuol bene[14]

 

Ancora, nella deposizione fornita al Tribunale orietano nel 1747 da Dorotea Rossi si legge:

“Ho inteso dire da Saverio Senatore che una vedova, chiamata Caterina, per aver lui per marito gli aveva dato il suo sangue dentro il cibo ò vivanda…[15]

 

La pratica delle legature con sangue mestruale sopravviverà in tutta Italia sino ai giorni nostri, come testimoniato anche da recenti ricerche etnografiche.[16]

 

[1]v. Angela Giallongo, Imaginary and mestrual bood – Cuadernos Kòre. Revista de historia y pensamiento de gènero. Vol. 1, n.4, pp. 59-78, Verano, 2011. In questo saggio l’autrice offre anche delle interessanti correlazioni tra le pratiche magiche con l’utilizzo di sangue mestruale e il “malocchio”. Cfr. anche Ernesto De Martino, Sud e magia, Feltrinelli UE, Milano, 2000, pag. 21

[2]Angela Giallongo, op.cit., pag. 67

[3]Cfr.: http://www.romanoimpero.com/2010/01/il-culto-di-cerere.html

[4]http://www.ilcerchiodellaluna.it/central_femm.mestruo.htm

[5]Aristotele, Dei Sogni, 459-460

[6]Plinio, Naturalis Historia, VII 13.64

[7]Plinio, cit., XXVIII 23.77–85

[8]Plinio, cit., XXVIII 20.70, 22.79

[9]Plinio, cit. XXVIII 22.82

[10]Plinio, cit. XXVIII 22.82

[11] Plinio, cit., XXVIII 22.84

[12] Cfr. Giulia Pedrucci, Sangue mestruale e latte materno: riflessioni e nuove proposte. Intorno all’ allattamento nella Grecia antica. In: Gesnerus. Swiss Journal of the History of Medicine and Sciences , 70/2 2013, pag. 268; nota (21) a pag. 268

[13]Enrico Cornelio Agrippa, La filosofia occulta o la magia, volume primo, Edizioni Mediterranee, Roma, 2004 (traduz. e ristampa dall’originale De Occulta Philosophia, 1533), pp. 67-68

[14] Atti Curia di .Oria, Denuncia contro Nicodemo Salinaro, Anno 1679, Sortilegi e stregonerie in Francavilla Fontana ai tempi di Monsignor C. Cozzolino, f. 31 cit. da M.A. Epifani in “Stregatura” pag. 104

[15]Atti Curia di .Oria, Deposizione di Dorotea Rossi in data 24 luglio 1747 (cit. da M.A. Epifani in “Stregatura”, pp. 56-57)

[16]Cfr. Alessandro Norsa, Nell’antro della strega. La magia in Italia tra racconti popolari e ricerca etnografica, Liberamente Edizioni, 2014, pp. 118-122

Salento e lupi mannari

RITUALI MAGICO-RELIGIOSI NEL SALENTO FINE OTTOCENTO

SANTONI  E  LICANTROPI

 

Se il lupo mannaro aveva il pelo nero, l’uomo era stato maledetto dal padre. Se  aveva il pelo grigio, a  maledirlo era stata  la madre. Se il pelo era rossiccio, si trattava di  una potente fattura.

  

L’ESORCISMO IN CAMPAGNA

SOTTO DUE ALBERI DI CARRUBO E IN UNA NOTTE

DI LUNA PIENA

 

 

di Giulietta Livraghi Verdesca Zain

L’insonnia, vista come problema patologico in sé concluso – cioè svincolato da stati febbrili o altri malesseri -, non rientrava nelle abituali esperienze contadine, solo concessa – e quasi a larvato privilegio – ai molto vecchi, i quali, per essere cucchi a lla mpannàta longa (vicini alla lunga dormita, cioè alla morte), potevano permettersi di pitticulisciàre cu lla cuccuàscia, ti menzanotte sinca a mmatutìnu (pettegolare con la civetta, da mezzanotte a mattutino).

Partendo da tale costante, e nel criterio aprioristico che il dormire non fosse solo un’esigenza fisica necessaria al ripristino delle forze, ma anche un mantenersi nell’equilibrio degli avvicendamenti cosmici, il popolo si allarmava di fronte a un’immotivata insonnia, scorgendovi un’alterazione dello stato di coscienza e diagnosticandola come anticamera della pazzia. E poiché le patologie mentali, per un permanere di concezioni medievali, non venivano ritenute infermità a insorgenza spontanea, bensì frutto di orditure esoteriche, si arrivava alla conclusione che il poveretto era certamente vittima o di un sortilegio d’amore degenerato in fissazione o, peggio ancora, di una fattura malevola il cui scopo fosse proprio quello di procurargli uno squilibrio psichico. “Nsignàle ti nnu scusu ca àe cirnùtu ti pressa…” (”Segnale di un qualcosa di nascosto che va indagato d’urgenza…”), dicevano infatti le donne allorché un loro congiunto o vicino di casa per più notti non riusciva a chiudere occhio; e facendo valere ataviche esperienze, consigliavano di rivolgersi contemporaneamente e a S. Donato, recandosi in pellegrinaggio al santuario di Montesano – dove convenivano tutti i malati di mente -, e a una fattucchiera esperta in magie neutralizzanti.

Se poi il disturbo aveva manifestazione ciclica, ogni volta coincidendo con la fase di luna piena, e alla difficoltà di prendere sonno si aggiungeva

La Fondazione Terra d'Otranto, senza fini di lucro, si è costituita il 4 aprile 2011, ottenendo il riconoscimento ufficiale da parte della Regione Puglia - con relativa iscrizione al Registro delle Persone Giuridiche, al n° 330 - in data 15 marzo 2012 ai sensi dell'art. 4 del DPR 10 febbraio 2000, n° 361.

C.F. 91024610759
Conto corrente postale 1003008339
IBAN: IT30G0760116000001003008339

Webdesigner: Andrea Greco

www.fondazioneterradotranto.it è un sito web con aggiornamenti periodici, non a scopo di lucro, non rientrante nella categoria di Prodotto Editoriale secondo la Legge n.62 del 7 marzo 2001. Tutti i contenuti appartengono ai relativi proprietari. Qualora voleste richiedere la rimozione di un contenuto a voi appartenente siete pregati di contattarci: fondazionetdo@gmail.com.

Dati personali raccolti per le seguenti finalità ed utilizzando i seguenti servizi:
Gestione contatti e invio di messaggi
MailChimp
Dati Personali: cognome, email e nome
Interazione con social network e piattaforme esterne
Pulsante Mi Piace e widget sociali di Facebook
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Servizi di piattaforma e hosting
WordPress.com
Dati Personali: varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio
Statistica
Wordpress Stat
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Informazioni di contatto
Titolare del Trattamento dei Dati
Marcello Gaballo
Indirizzo email del Titolare: marcellogaballo@gmail.com

error: Contenuto protetto!