E’ notorio come le carni equine non siano apprezzate univocamente in tutta la penisola italiana, bensì, come il loro uso, sia circoscritto a piccole aree sparse a macchia di leopardo, tanto a Nord, quanto nel Centro-Sud.
Una delle più estese, è senza dubbio il Salento, ove il consumo di carni equine o ferrate, come vengono localmente denominate, è quantitativamente paragonabile a quello delle carni bovine e suine.
Nessuno azzarda a ipotizzare una continuità storica, ma è un dato scientificamente comprovato, che le carni di un piccolo equide: l’Asino Idruntino (Equus asinus hydruntinus), fossero qui, già cospicuamente consumate, sin dal Paleolitico Medio e Superiore, come una grande mole di reperti, ritrovati in molte grotte del Salento testimoniano. Forse, ma è sempre un’ipotesi, l’estinzione di questo simpatico asinello dalla testa di mulo, sopravvissuto persino alla terribile glaciazione wurmiana,
E’ notorio come le carni equine non siano apprezzate univocamente in tutta la penisola italiana, bensì, come il loro uso, sia circoscritto a piccole aree sparse a macchia di leopardo, tanto a Nord, quanto nel Centro-Sud.
Una delle più estese, è senza dubbio il Salento, ove il consumo di carni equine o ferrate, come vengono localmente denominate, è quantitativamente paragonabile a quello delle carni bovine e suine.
Nessuno azzarda a ipotizzare una continuità storica, ma è un dato scientificamente comprovato, che le carni di un piccolo equide: l’Asino Idruntino (Equus asinus hydruntinus), fossero qui, già cospicuamente consumate, sin dal Paleolitico Medio e Superiore, come una grande mole di reperti, ritrovati in molte grotte del Salento testimoniano. Forse, ma è sempre un’ipotesi, l’estinzione di questo simpatico asinello dalla testa di mulo, sopravvissuto persino alla terribile glaciazione wurmiana,
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il corposo dossier inviatoci come comunicato stampa dal Coordinamento Civico apartitico per la Tutela del Territorio e della Salute del Cittadino. Tantissime le richieste avanzate, evidente conclusione di un lavoro a monte che ha visto impegnati numerosi e attenti custodi del paesaggio salentino, sempre più minacciato da tutti i fronti
Il Parco Otranto-Santa Maria di Leuca sia un baluardo per la rinascita e la difesa di tutto il Salento, da trivellazioni, energie rinnovabili industriali eolico-fotovoltaiche e dal cemento!
E il ritorno della Foca Monaca lungo le sue coste suggelli a lungo termine il successo delle politiche e degli investimenti di denaro pubblico del Parco naturale!
Sono queste alcune delle prioritarie richieste, che sono state avanzate all’ Ente del Parco naturale costiero Otranto-Santa Maria di Leuca e Bosco di Tricase, dal Coordinamento Civico per la Tutela del Territorio e della Salute del Cittadino, rete d’azione apartitica coordinativa di associazioni, comitati e movimenti locali e non, ambientalisti, culturali e socio-assistenziali, avente una delle sue sedi principali a Maglie, in occasione dell’incontro programmatico-consultivo, dell’altra sera, nel Castello di Andrano, della consulta di enti pubblici e associazioni che hanno a cuore le sorti e le politiche del neo-istituito Ente Parco!
In questa prima fase importantissima di definizione costruttiva, e solidale tra tutti, degli indirizzi e della filosofia che devono ispirare il nuovo Parco, i rappresentanti del Coordinamento hanno esordito con un’immagine ed un obiettivo al contempo ambizioso quanto doveroso: tra gli obiettivi principali, tra i sogni concreti e realizzabili, cui il Parco deve mirare e perseguire, dal punto di vista naturalistico, vi è il ritorno della Foca monaca, scomparsa da alcuni anni pare ormai quasi del tutto, eccezion fatta per occasionali avvistamenti, da quelle coste ora protette, che con i loro arenili, le loro calette, i loro scogli, e con le loro grotte marine sono l’habitat ideale per la foca del Mediterraneo (Monachus monachus), ancora presente con alcune colonie
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