Il terremoto in Emilia vissuto e raccontato da Paperoga

L’Orcolat in salsa emiliana

di Paperoga

Quando a 50 km da casa tua un terremoto lesiona buona parte delle abitazioni civili, non è troppo melodrammatico dire che la tragedia ti ha sfiorato. Sfiorato appunto, perchè non sono stato una vittima del terremoto emiliano. Ho ancora una casa perfettamente in piedi, un lavoro e, se conto le persone care ci sono tutte e in perfetta salute. Se così non fosse non proverei a prenderla con la filosofia di chi da una parte ne è scampato, e dall’altra è quel filino intelligente da capire che è tutto così potente, incontrollabile, invisibile e imprevedibile da non potersi opporre altro che un pacato fatalismo.
Ovvero, tradotto e semplificato, non c’è proprio un cazzo da fare. A parte le regolette di buon senso di accucciarsi o scappare, a parte le evacuazioni ordinate con perfetto tempismo, a parte l’evitare gli ascensori e strozzare il panico dentro il gargarozzo, tutto quello che puoi fare è guardarti attorno, e vedere se qualcosa crolla o tutto rimane in piedi. Tu, la tua casa, i tuoi affetti, la tua vita. Sei un mero spettatore, disarmato come una cacca di cane. E allora puoi chiuderti in un silenzio scosso, o fare lo spavaldo che la butta sull’umorismo nero. Oppure puoi rimanere del mezzo, e provare ad accettare tutto questo non senso, e sfidare con amara ironia questa prova provata dell’inesistenza di qualsiasi dio non dico buono, ma almeno non così sadico.
Proviamoci allora, nel momento stesso in cui ancora la terra trema, le macerie sono calde, la gente muore ed una provincia tranquilla e sonnolenta si accartoccia su se stessa.

Anche da quando vivo in Emilia, i terremoti sono sempre stati fenomeni che succedevano senza che me ne accorgessi.  A quelli che “hai sentito il terremoto ieri?”,  opponevo una faccia del tutto stolida e ignara. O non c’ero, o dormivo. E se non dormivo, il mio corpo era un sismografo piatto, senza pile, sui cui percettori sensoriali si spegnevano le tracce del sisma.
Tanto gli anni reggiani quanto quelli parmigiani sono trascorsi sul sentito dire, sulle scossette impercettibili. Tant’è che quando in una notte di maggio bolognese mi sono svegliato come spostato da un vento invisibile, ed ho percepito in un attimo che c’era un terremoto vero e in carne ed ossa, mi sono meravigliato, imbambolato com’ero dal sonno e da quella strana sensazione del venire sbatacchiato da una forza sovraumana. Ho acceso la luce, ho messo

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